Asolani/Libro primo/XIV
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Quivi, come da cosa molto disiata sopragiunta e tutta in se stessa subitamente recatasi, madonna Berenice: - Deh - disse - se questo Idio ti conceda, Perottino, il vivere lietamente tutti gli anni tuoi, prima che tu più oltre vada ragionando, dicci questi tuoi versi. Perciò che buona pezza è che io son vaga sommissimamente d’udire alcuna delle tue canzoni, e certa sono che tu, le ne dicendo, diletterai insiememente queste altre due che t’ascoltano, né meno di me son vaghe d’udirti; perciò che ben sappiamo quanto tra gl’intendenti giovani sieno le tue rime lodate -.
A cui Perottino, un profondissimo sospiro con le parole mandando fuora, in questa guisa rispose: - Madonna, questo Idio, male per me troppo bene conosciuto, i miei anni lieti non può egli più fare né farà giamai, quando ancora esso far lieti quegli di tutti gli altri uomini potesse, sì come non puote. Perciò che la mia ingannevole fortuna di quel bene m’ha spogliato, dopo il quale niuna cosa mi può essere, né sarà mai, né lieta né cara, se non quella una che è di tutte le cose ultimo fine; la quale io ben chiamo assai spesso, ma ella sorda, con la mia fortuna accordatasi, non m’ascolta, forse perché io, soverchio vivendo, rimanga per essempio de’ miseri bene lungamente infelice. Ora poscia che io ho già preso ad ubidirvi e ho a voi fatto palese quello che nascondere arei potuto, e sarebbe il meglio stato, ché men male suole essere il morirsi uom tacendo che lamentandosi, quantunque le mie rime da esser dette a donne liete e festeggianti non siano, io le pure dirò. - Mossono a pietà i pieghevoli cuori delle donne queste ultime parole di Perottino; quando egli, che con fatica grandissima le lagrime a gli occhi ritenne, alquanto riavutosi, così incominciò a dire:
Quand’io penso al martire,
Amor, che tu mi dai, gravoso e forte,
Corro per gir a morte,
Così sperando i miei danni finire.
Ma poi ch’i’ giungo al passo,
Ch’è porto in questo mar d’ogni tormento,
Tanto piacer ne sento,
Che l’alma si rinforza, ond’io no ’l passo.
Così ’l viver m’ancide,
Così la morte mi ritorna in vita:
O miseria infinita,
Che l’uno apporta e l’altra non recide.