Aridosia/Atto secondo/Scena terza
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Lorenzino de' Medici - Aridosia (1536)
Atto secondo
Scena terza
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Aridosio, Cesare da parte, Lucido
- Aridosio
- Dove diavol troverò io questo sciagurato? io credo, che sarà ito in chiasso, con riverenzia parlando; oh povero Aridosio, guarda per chi tu ti affatichi, a chi tu cerchi di lasciar tanta roba: ad uno, che ti tradisca ogni dì, ogni ora ti dia nuove brighe, e che desideri più la morte tua che la propria vita.
- Cesare
- Ei ci è degli altri, che cercon questo medesimo.
- Aridosio
- Ma io me la porterò prima meco alla fossa, che lassargliene; meschino a me, che questa mattina ho pensato di crepare affatto: fra la fatica del venire a piè, che mi ha mezzo morto, e il dispiacer dell’animo, dubito di non mi ammalare, e tutto per causa di quel presso ch’io non dissi: ma che indugio io d’entrar in casa, e posar la borsa, che troppo mi pesa, e poi darmi alla cerca tanto, ch’io lo ritrovi per gastigarlo secondo ch’ei merita? ma voglio aprir l’uscio.
- Cesare
- Per Dio, ch’egli ha la borsa seco.
- Aridosio
- Ahimè, che vuol dir questo; sarebb’egli mai guasto il serrame? a voltar in qua, è peggio; ei par che sia messo il chiavistello di dentro; io so pur che Tiberio non ha la chiave, ma temo, che non ci sia più presto qualche ladro; bisogna un tratto che qua sien brigate.
- Lucido
- Chi è quel matto che tocca quella porta?
- Aridosio
- Perchè son io matto a toccar le cose mie?
- Lucido
- Aridosio, perdonatemi, voi siate per certo a toccarli; discostatevi.
- Aridosio
- Perchè vuoi tu ch’io mi discosti?
- Lucido
- S’avete cara la vita, discostatevi.
- Aridosio
- E perchè?
- Lucido
- Voi lo potreste vedere, se troppo vi badate intorno; discostatevi, dico.
- Aridosio
- Vuoi tu dir perchè?
- Lucido
- Perchè cotesta casa è tutta piena di diavoli.
(Lucido si spurga, e quei di casa fanno rumore).
- Aridosio
- Oimè, che sento? che cosa è questa? come piena di diavoli?
- Lucido
- Non gli avete sentiti?
- Aridosio
- Sì, ho.
- Lucido
- E sentirete dell’altre volte.
- Aridosio
- E chi l’ha indiavolata, Lucido?
- Lucido
- Questo non so io.
- Aridosio
- Ahimè, che mi ruberanno ciò ch’io v’ho.
- Lucido
- Se non rubano i ragnateli.
- Aridosio
- Vi son pur gli usci, le finestre e l’altre masserizie.
- Lucido
- Avete ragione, non mi ricordava di questo.
- Aridosio
- Me ne ricordav’io, che tocca a me.
- Cesare
- Ancor non intend’io questa matassa.
- Lucido
- Oh voi tremate; non abbiate paura, che non vi faranno altro male, se non che voi non potrete usar la casa vostra.
- Aridosio
- Questo ti par niente? e se gli andassero anche in villa?
- Lucido
- Bisognerebbe che avessi pazienza.
- Aridosio
- Bella discrezion la loro a tor la roba d’altri; almanco ne pagassen la pigione; ma per questa croce, che s’io dovessi metterci fuoco, ch’io ne gli vo’ cavare.
- Lucido
- Voi gli giunterete; non vi stann’eglino dentro per piacere.
- Aridosio
- Tu di’ anche il vero, e la casa arderebbe or ch’io ripenso; io gli vorrei pur ammazzare.
- Lucido
- Se vi sentono, vi faranno qualche malo scherzo; ei getton qui spesso tegoli, pietre e ciò che trovano.
- Aridosio
- Oh e’ mi debbon guastar tutta la casa?
- Lucido
- Pensate che non la racconciano; ecco un tegolo; discostiamoci, che noi non abbiam qualche sassata.
(Quei di casa gettan giù tegoli).
- Cesare
- Io comincio ad intender l’inganno.
- Aridosio
- Oh Lucido, io ho la gran paura.
- Lucido
- E voi avete ragione.
- Aridosio
- Posson eglino trar qui?
- Lucido
- Messer no.
- Aridosio
- Quant’è che cominciò questa maledizione, ch’io non ho mai saputo niente?
- Lucido
- Non lo so, ma due notti sono, ch’io ci passai, che faceano un rumore, che parea che rovinassero allora il cielo.
- Aridosio
- Non dir tanto, che mi fai paura.
- Lucido
- Certe volte dicon questi vicini, che suonano e che cantano, ma più la notte, e la maggior parte del tempo si stanno quieti.
- Cesare
- Questa è la più bella cosa ch’io vedessi mai.
- Aridosio
- Come ho io a fare? non è bene mandarvi tanti, che gli ammazzin tutti?
- Lucido
- Parlate basso di simil cose.
- Aridosio
- Tu di’ il vero.
- Lucido
- E chi volete voi, che gli ammazzi? bisogna menar preti, frati, reliquie, e far comandar loro che se ne vadano.
- Aridosio
- Ed anderannosene?
- Lucido
- Risolutamente.
- Aridosio
- Vi potrian ritornare dell’altre volte.
- Lucido
- Cotesto sì.
- Aridosio
- Ed io non istarò a cotesto rischio, che ti prometto che come n’escano, subito la vo’ vendere, s’io la dovessi dar per manco due fiorini ch’ella non mi sta.
- Lucido
- L’avranno peggiorata più di venticinque li spiriti.
- Aridosio
- Oh Dio, non me lo ricordare, che mi s’agghiaccia il sangue; io non ho però mai fatto cosa, ch’io meriti questo, ma per i peccati di Tiberio m’intervien tutto; dov’è egli quel ribaldo?
- Lucido
- Voi lo tenete in villa, e domandatene me, che sto in Firenze.
- Aridosio
- Lo debbi ben sapere, che tu e Erminio me lo sviate.
- Lucido
- Guarda a quel che costui sta a pensare; par ch’egli abbia la casa piena d’angeli, non di diavoli.
- Aridosio
- Pensa, pensa, che i mali portamenti di Tiberio mi fan crepar il cuore. Oimè, Lucido, di grazia non ti discostar da me.
(Lucido si spurga ed elle fanno rumore).
- Lucido
- Oh voi non dovreste volermi appresso, che vi svio il figliuolo.
- Aridosio
- Egli è un modo di dire; so ben, che s’ei non volesse, non lo svierebbe persona; ma a cosa a cosa; ch’io voglio prima cavarmi questi diavoli di casa, e poi faremo conto insieme: adesso me ne voglio andar a casa Marcantonio, e consigliarmi quel ch’io debba fare, ma che facc’io della borsa?
- Lucido
- Che dite voi di borsa?
- Aridosio
- Nulla, nulla.
- Lucido
- Egli è forse là in casa quella borsa, dove avete due mila ducati.
- Aridosio
- E dove ho io due mila ducati? due mila fiaschi! hai trovato l’uomo che abbia due mila ducati: ma avviati, Lucido, che io verrò a bell’agio.
- Cesare
- Vedi se niega d’aver denari, l’avarone.
- Lucido
- Venite pure a vostra comodità, che non m’incresce l’aspettare.
- Aridosio
- Va pure nelle faccende tue, Lucido.
- Lucido
- Per mia fè, ch’io non ho che fare.
- Aridosio
- Io sono impacciato. Vattene, Lucido, ch’io starò un pezzo.
- Lucido
- Io me n’andrò, poichè voi volete esser solo. Io ho paura che questo vecchio non ci voglia far qualche tradimento; ma io so pure che non è da tanto; me ne voglio andare a trovare Erminio, e farlo morire delle risa.
- Aridosio
- Mi voglio ritirare in qua or che io son solo; o Dio! io son pur disgraziato: potevami egli accadere cosa peggiore, che aver la casa piena di diavoli, a causa ch’io non potessi riporre questi denari? che ho io mai a far di questa borsa? Se io la porto meco, e che Marcantonio la vegga, io son rovinato, e dove la posso io lassare, ch’ella non mi stia a pericolo?
- Cesare
- Questa potrebbe essere la mia ventura.
- Aridosio
- Ma di poi che nessuno mi vede, sarà meglio che io la metta qua giù in questo fondo sotto questa lastra, dove altre volte l’ho messa, e fidatamente sempre ce l’ho ritrovata: o fogna dabbene, quanto ti son io obbligato!
- Cesare
- Obbligato le sarò io, se ve la metti.
- Aridosio
- Ma se la fosse trovata, una volta paga per sempre: e se io la porto anche meco, non va ella a pericolo d’esser rubata, vedutami? al certo, che è quasi quel medesimo; perchè come si sa, che un mio pari abbia ducati, subito gli è fatto disegno addosso.
- Cesare
- Nella fogna sta meglio.
- Aridosio
- Che maladetti siate voi, diavoli, che non mi lassate por la borsa in casa mia. Ma meschino a me se mi sentono! Che farò? Di qua e di là son duri partiti: pure è meglio nasconderla, e dappoi che la sorte dell’altre volte me l’ha salvata, me la salverà anco adesso: ma non ti lassar trovare, borsa mia, anima mia, speranza mia.
- Cesare
- Diavol, che ce la metta mai più.
- Aridosio
- Che farò? orsù mettiamla; ma prima mi voglio guardare molto ben da torno di qua e di là: oh Dio, mi par che sino ai sassi abbian gli occhi da vedermi, e la lingua da ridirlo. Fogna, io mi ti raccomando. Or su mettiamla giù col nome di San Cresci. In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.
- Cesare
- Ell’è tanto gran cosa, ch’io non la credo, s’io non la tocco.
- Aridosio
- Adesso vo’ vedere se ei ci pare niente; niente affè: ma se qualcuno ci avesse a picchiare sopra; gli verrebbe forse voglia di vedere ciò che sotto ci fosse; bisogna che io ci dia spesso di volta, e che io non ci lasci fermar persona; adesso voglio andar dov’io aveva detto, e trovare qualche espediente, per cavar coloro di casa; me n’andrò di qua, ch’io non voglio passar loro appresso.
- Cesare
- Questa è pur gran cosa, e se io non sogno, che mi par pur di essere desto; questo è quel dì che ha a por fine alle mie miserie; ma che aspetto? che qualcuno venga qui ad impedirmi; voglio anch’io veder s’io son visto; e da chi? o Fogna Santa, che mi fai felice: oh guarda, s’io ho trovato altro, che un fungo. Voi state pur meglio in mia mano: e forse ch’io gli ho a sciorre della moneta; tutti d’oro sono. Oh fortuna, questa è troppo gran mutazione, perchè dove io era disperato di aver mai a veder Cassandra mia, in un punto me l’hai data in mano; ma per farli maggior dispetto voglio rimettere nella borsa dei sassi, acciocch’ella gli paia piena fin che ei non la tocca, e raccorciar che non ci paia niente: o Dio! perchè non ho io un capestro da metterci dentro; ma non mi vo’ lassar vincer d’allegrezza, perchè dicono, ch’egli è: così prudenza sapere sopportare una felicità come una avversità, bench’io sia certo di non aver mai aver la maggiore, che se ben un altro di dieci mila n’avessi trovati, non mi varrebbero quanto questi; ma ecco non so chi; non vo’ che mi veda qua; ogni cosa sta bene, e non ci par niente.