Aridosia/Atto secondo/Scena quinta
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Lorenzino de' Medici - Aridosia (1536)
Atto secondo
Scena quinta
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Lucido, Erminio, Ariodisio
- Lucido
- Volete voi niente, padrone?
- Erminio
- Oh, Lucido, sì voglio, ascolta.
- Lucido
- Andate dov’io v’ho detto.
- Aridosio
- Io mi riposo intanto, e non ho fretta, e ho paura andar solo. Della borsa ho paura.
- Lucido
- Fate voi; che comandate, Erminio?
- Erminio
- E’ si pensa a’ casi d’ognuno, e a’ miei niente.
- Lucido
- Pensate ch’io procuri e’ fatti d’altri, e i vostri si gettino dietro alle spalle?
- Aridosio
- Questo bisbigliare intorno alla borsa non mi piace.
- Lucido
- Non vi diss’io ch’aveva trovato quasi un modo stanotte, pel quale voi vi poteste contentare?
- Aridosio
- Che! aveva egli trovato?
- Erminio
- Sì, ma non mi avendo poi detto altro, pensai che fosse niente.
- Lucido
- Io ho pensato che voi entriate in un forziero, e fingendo di voler mandar panni e altre robe, vi facciate portare fin in cella sua.
- Aridosio
- Oh e’ mi batte il cuore, ma s’io veggio chinarli, o far atto nessuno, io griderò.
- Erminio
- Orsù finisci.
- Lucido
- Poi uscire del forziero.
- Erminio
- E poi?
- Lucido
- Son stato per dirvelo.
- Erminio
- Tu hai pensato ad ogni altra cosa, che a quella ch’io voleva, che tu pensassi.
- Aridosio
- Oh borsa mia, che pagherei averti in seno?
- Lucido
- Io mi penso, che il desiderio degl’innamorati sia il ritrovarsi con la dama, nè penso che voi speriate che ella vi doni mille scudi.
- Aridosio
- Meschino a me: che dic’egli di mille scudi? grido?
- Erminio
- Non ti ho io detto, che desidererei, che si trovasse un modo pel quale ella potesse uscir dal monasterio per tanto che partorisse?
- Lucido
- Ho inteso, questo ancora si potrà pensare: ma sarà difficil cosa, padrone; togliete il guanto, che vi è cascato.
- Aridosio
- Ohimè, che mi rubano, oh traditori, oh ladri.
- Erminio
- Che grida son queste?
- Aridosio
- La lastra sta pur bene.
- Lucido
- Che avete voi, Aridosio?
- Aridosio
- No, nulla, aveva paura.
- Lucido
- Che dicevate voi di ladri?
- Aridosio
- Aveva paura che i diavoli non mi rubassero in casa.
- Erminio
- Voi farete impazzar questo vecchio.
- Lucido
- Io vorrei volentieri, ch’ei crepasse; a che è ei buono?
- Aridosio
- Quanto vogliam noi stare?
- Lucido
- Adesso vengo; non abbiate paura quando siete meco.
- Erminio
- Dov’avete voi andare?
- Lucido
- A trovare un prete, che voglia fare in modo, che noi gli caviam di mano venticinque scudi che si hanno a dare a Ruffo.
- Erminio
- Come farai?
- Lucido
- Lo saprete.
- Erminio
- Va adunque, perchè m’è sì grato quel che tu fai per Tiberio, come se tu lo facessi per me; e non ti scordar poi del fatto mio.
- Lucido
- Mi maraviglio di voi.
- Aridosio
- Andianne, Lucido.
- Lucido
- Io ne vengo, volete voi altro?
- Erminio
- No; io voglio andare infino al monistero; addio, Aridosio.
- Aridosio
- Chi è quello?
- Lucido
- È Erminio.
- Aridosio
- Oh, addio, Erminio; io non t’aveva conosciuto.
- Erminio
- Mi raccomando a voi; egli è in collera meco, perché pensa, che io gli svii Tiberio, e ha fatto vista di non mi conoscere.
- Lucido
- Che guardate voi, che non ne venite?
- Aridosio
- No, nulla no, va pur là.
- Erminio
- E poi non me ne curo, egli è un uomo da non lo volere, nè per amico, nè per padre; ma che resto io di non bussare alla ruota?