Aridosia/Atto quarto/Scena terza
< Aridosia | Atto quarto
Questo testo è completo. |
Lorenzino de' Medici - Aridosia (1536)
Atto quarto
Scena terza
Scena terza
◄ | Atto quarto - Scena seconda | Atto quarto - Scena quarta | ► |
Aridosio, Marcantonio, Erminio
- Aridosio
- Oimè!
- Marcantonio
- Chi si lamenta?
- Aridosio
- Oimè!
- Erminio
- Che diavolo è questo? Aridosio, per Dio, che si rammarica dei due mila ducati!
- Aridosio
- E’ mi mancava questo; oh figliuol del diavolo, nato per farmi morire!
- Erminio
- Non dite niente, di grazia, che voi guasteresti il disegno a Cesare.
- Marcantonio
- Io lo voglio aiutare in quel ch’io posso.
- Aridosio
- In un medesimo dì ho perduti due mila ducati, e sono stato giuntato d’un rubino da Lucido, uccellato e svergognato; sì che altro non mi resta che morire: oh sorte, tu sei pur troppo crudele quando ti deliberi di far male ad uno! io non ho giammai offeso altro che me stesso.
- Erminio
- E’ si è avvisto della burla degli spiriti.
- Marcantonio
- Oh infatti fu troppo crudele.
- Erminio
- E’ non si poteva far altro.
- Aridosio
- Quanto era meglio in sul principio lasciare andare ogni cosa, e se voleva spendere, giocare, tener femmine, lasciar fare in malora: perchè in ogni modo le fa, e io mi tribulo, e ammazzo per cercar di lui, e rimediare ai suoi scandali; e ho perduto il mio tesoro, senza il quale non mi dà più l’animo di vivere.
- Marcantonio
- E’ mi rincresce di lui; lo voglio un po’ consolare.
- Erminio
- Ricordatevi che non gli avete a dir niente dei denari.
- Marcantonio
- Non dubitare; che hai tu che ti lamenti? ecci nulla di nuovo?
- Aridosio
- E che non ho io di male? A raccoglierne quanti ne sono al mondo, tutti sono in me.
- Marcantonio
- In verità che mi duole, e dei denari, e dei modi che tien Tiberio, poi che dispiacciono a te; ma a dire il vero, non sono sempre sconvenienti all’età sua.
- Aridosio
- Tu hai sempre mai detto così, e sei stato causa di molti disordini, ch’egli ha fatti.
- Marcantonio
- Oh non mi dir villanie, che io non ti parlerò più.
- Aridosio
- Tu e Erminio ne siete stati causa.
- Erminio
- Buon per lui se si fusse consigliato meco.
- Aridosio
- Ma faccia egli, s’io ritrovo i miei denari, gli lascerò tanto la briglia in sul collo, che gli putirà.
- Marcantonio
- Il caso è a trovargli; tu fusti pazzo a metter due mila ducati in una fogna.
- Aridosio
- Ognuno è savio dopo il fatto, da me infuori, che son sempre pazzo, sempre sto malcontento, e duro fatica e stento pel maggior nemico ch’io abbia al mondo; che patisco fin a Lucido mi venga a sbeffare e darmi ad intendere, che la casa mia è spiritata, e così farmi tenere uno sciocco per tutto Firenze, fin a cavarmi l’anel di dito.
- Marcantonio
- Di questo do io il torto a te, che sii stato sì semplice, che l’abbia creduto: e se egli avea bisogno di venticinque ducati e tu non glieli volevi dare, come aveva egli a fare?
- Aridosio
- Venticinque ducati? io non voglio ch’egli abbia un soldo: della roba mia ne voglio esser padron io fin ch’io vivo; poi quando morrò, la lascerò ad un altro.
- Erminio
- Egli avrà pur quelli a tuo dispetto.
- Aridosio
- Ma infine, quand’io m’arricordo de’ miei denari, io esco di cervello; e per la pena non posso star ritto. Io voglio ora andare a farli bandire, ben che questi mi paiono pan caldi.
- Marcantonio
- Va via, non perder tempo.
- Aridosio
- Poi voglio andare in casa, e pianger tanto, che a Dio e al diavolo ne venga compassione.
- Marcantonio
- Oh cotesta è la via!
- Erminio
- Vedeste mai la maggior bestia?
- Marcantonio
- Eh, elle son cose da far disperare ognuno.
- Erminio
- Oh Dio! ebbi pur la gran sorte, quando vi venne voglia di tormi per figliuolo, e a lui di darmivi!
- Marcantonio
- Che fanciulla è quella, di che è innamorato Tiberio?
- Erminio
- È una fanciulla che ha modi e aspetto di nobile: e colui, che glie l’ha venduta, deve avere certissimi indizi ch’ella è nobilissima di Tortona, e per padre e per madre; a’ quali per le guerre di Milano fu rubata, e da un fante fu a costui venduta di età di sei anni; e da quel tempo in qua, l’ha tenuta sempre in monastero, in fin che n’è venuto tanto voglia a Tiberio che ha bisognato glie ne dia 50 ducati: e pur oggi è venuto un servidore, che dice messer Alfonso, quello che pensano che sia suo padre, essere addietro. Forse sarà qui stasera o domattina, con animo, che se la sua figliuola si ritrova come egli presume per lo indizio, di ricomprarla ogni gran pregio, e rimenarsela a casa, in modo che quel Ruffo che l’avea, si morde le mani, parendoli in poco tempo aver perduta una gran ventura.
- Marcantonio
- Orsù basta: io voglio essere fin in piazza.
- Erminio
- Se volete nulla verrò anch’io.
- Marcantonio
- No, no, resta pur a tua comodità, e pensa di far quello ti ho detto, se hai caro tenermi contento.
- Erminio
- Mio padre; io v’ho promesso di far quel ch’io potrò. O mia mala sorte, non era assai il dolore, ch’io ho, che ad ogni ora temo, che non partorisca, senza aggiugnermi quest’altro! Oimè! l’amore e l’affetto mi lacerano con tanto dolore che appena lo posso sopportare.