Aridosia/Atto quarto/Scena seconda
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Lorenzino de' Medici - Aridosia (1536)
Atto quarto
Scena seconda
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Marcantonio, Erminio
- Marcantonio
- Erminio mi disse di esser qui.
- Erminio
- V’ho ubbidito, padre mio.
- Marcantonio
- Oh bene hai fatto!
- Erminio
- Che volete comandarmi?
- Marcantonio
- Tu sai che sempre, bench’io potessi comandarti, ti ho pregato, nè adesso voglio cominciare, ma ti voglio avvertire.
- Erminio
- Oh Dio voglia che sia cosa ch’io la possa fare, acciò ch’ella non causi in me disubbidienza.
- Marcantonio
- Tu ti sei immaginato, credo, quello ch’io ti vo’ dire: in modo parli.
- Erminio
- Penso mi vogliate dire della mia monaca.
- Marcantonio
- L’hai trovata.
- Erminio
- Nella qual cosa conosco, padre mio, di errare grandemente, e dall’altra banda m’avveggo di non poter fare altro: perchè quanto mi era facile sul principio il non commettere questo errore, tanto adesso mi è difficile, anzi impossibile, il rimediarci; in tanti lacci mi trovo essere inviluppato: sì che altra deliberazione non spero, e non voglio che la morte, perchè come poss’io non amar chi mi ama? non desiderar chi mi desidera sopra tutte le cose del mondo? e massimamente non essendo donna al mondo, nè mai, credo, ne sarà che con lei di bellezza e di gentilezza si possa paragonare: però, padre mio, vi prego che non vogliate opporvi alle mie ardenti fiamme, le quali è impossibile, che da altra cosa che dal benefizio del tempo possano essere estinte: in tutte le altre cose i vostri comandamenti, i vostri prieghi mi saranno leggi fermissime; ma in questo, che non è in forza mia l’ubbidirvi, non veggo modo di potervi contentare.
- Marcantonio
- Figliuol mio, io ti ho per certo gran compassione, perchè ho provato anch’io che cosa sia l’essere innamorato; niente di manco mi parrebbe di mancare dello offizio del buon padre s’io non ti dicessi il parer mio in questo. Tu sai che non è nessuno, per scellerato ch’ei si sia, al quale non sia odioso l’usare con monache; lasciamo stare il peccato che si commette appresso Iddio che è grandissimo, e dichiamo che non è cosa che dispiaccia più alla maggior parte degli uomini, che quando si vede qua alcuno, che cerca in qualche cosa particolare farsi differente dagli altri: sì che quando tu non l’avessi mai a far per altro, questo doverebbe essere possente a fartene distorre, per non ti provocare lo sdegno di Dio, e degli uomini. Lasso stare ancora, che s’ingiuria chi v’ha le figliuole e le sorelle, e che si ci portano mille pericoli andandovi. Però, figliuol mio, muta questo tuo amore in un più ragionevole, del quale tu possa ottenere il desiderato fine senza tanti pericoli: perchè, grazia di Dio, non è figliuola in Firenze, che i suoi non te la dessero volentieri; disponti adunque a voler tor moglie, e a darmi questo contento, che oramai ne è tempo, e non mi dà noia la dote; mi basta solo che la ti piaccia, e che sia da bene, e a questo modo potrai far contento te e me ad un tempo.
- Erminio
- Contento non sarò io mai se non ho Fiammetta mia; vi dico ben che le parole vostre hanno avuto tanta forza in me, che mi fanno pensare a quello ch’io non arei mai pensato, e vi prometto, per quella riverenza ch’io vi porto, di sforzarmi con ogni mio potere di fare in modo che vi contenti, pensando pur di trovare in voi qualche compassione.
- Marcantonio
- Se tu pensi di aver bisogno di compassione, io sto fresco.
- Erminio
- Volete da me quel ch’io non posso?
- Marcantonio
- Nè da te, nè da nessuno voglio l’impossibile; ma prova, prova, figliuol mio, perchè quello che ti parrà strano e dispiacevole sul principio, alla fine grato e piacevole ti sarà, chè questa è la natura delle cose ben fatte; però lasciati consigliare, e pensa ch’io ho più esperienza di te e che solo ti dico questo pel ben ch’io ti voglio.
- Erminio
- Io farò quel ch’io potrò.