Antro è pparlà dde morte, antro è mmorì

Giuseppe Gioachino Belli

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Er pover'omo Er zervitore liscenziato
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833

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ANTRO1 È PPARLÀ DDE MORTE, ANTRO È MMORÌ.2

     Eh, bbisoggna trovàccese,3 sor Diégo,
Ar caso che vve tajjino4 er boccino.5
Se6 fa ppresto de dillo:7 io me ne frego;8
Ma, ar fatto è un’antra sorte de latino.9

     Oh incirca a le vertù, nnun ve lo nego,
Un assassino è ssempre un assassino.
Però,10 la vita, nun zo ssi mme11 spiego,
Tanto va a ssangue12 a un re, cquant’a un burrino.13

     M’aricorderò ssempre un marvivente,14
Che l’aveva davero er cor in petto,
E cche la morte je pareva ggnente,

     Eppuro,15 ar punto de perde16 la vita,
Spennolava17 la testa sur carretto,
Che sse18 sarebbe creso19 un gesuita.

30 ottobre 1833.

Note

  1. Altro.
  2. [Proverbio, in uso anche nell’Umbria, e derivato da un verso che dovrebbe essere del Metastasio: “Altro è parlar di morte, altro è morire.„]
  3. Trovarcisi.
  4. Vi taglino.
  5. La testa.
  6. Si.
  7. Di dirlo: a dirlo.
  8. Io me ne rido: non me ne cale.
  9. È un’altra cosa.
  10. Purtuttavia.
  11. Non so se mi.
  12. Tanto interessa.
  13. Villano. [V. la nota 4 del sonetto: Le lingue ecc., 16 dic. 32.]
  14. Malvivente.
  15. Eppure.
  16. Di perdere.
  17. Spenzolava.
  18. Si.
  19. Creduto.