Antro è pparlà dde morte, antro è mmorì
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
Eh, bbisoggna trovàccese,3 sor Diégo,
Ar caso che vve tajjino4 er boccino.5
Se6 fa ppresto de dillo:7 io me ne frego;8
Ma, ar fatto è un’antra sorte de latino.9
Oh incirca a le vertù, nnun ve lo nego,
Un assassino è ssempre un assassino.
Però,10 la vita, nun zo ssi mme11 spiego,
Tanto va a ssangue12 a un re, cquant’a un burrino.13
M’aricorderò ssempre un marvivente,14
Che l’aveva davero er cor in petto,
E cche la morte je pareva ggnente,
Eppuro,15 ar punto de perde16 la vita,
Spennolava17 la testa sur carretto,
Che sse18 sarebbe creso19 un gesuita.
30 ottobre 1833.
Note
- ↑ Altro.
- ↑ [Proverbio, in uso anche nell’Umbria, e derivato da un verso che dovrebbe essere del Metastasio: “Altro è parlar di morte, altro è morire.„]
- ↑ Trovarcisi.
- ↑ Vi taglino.
- ↑ La testa.
- ↑ Si.
- ↑ Di dirlo: a dirlo.
- ↑ Io me ne rido: non me ne cale.
- ↑ È un’altra cosa.
- ↑ Purtuttavia.
- ↑ Non so se mi.
- ↑ Tanto interessa.
- ↑ Villano. [V. la nota 4 del sonetto: Le lingue ecc., 16 dic. 32.]
- ↑ Malvivente.
- ↑ Eppure.
- ↑ Di perdere.
- ↑ Spenzolava.
- ↑ Si.
- ↑ Creduto.