Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/326
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Anno di | Cristo CCCXXVI. Indizione XIV. SILVESTRO papa 13. COSTANTINO imperadore 20. |
FLAVIO VALERIO COSTANTINO AUGUSTO per la settima volta e FLAVIO GIULIO COSTANZO CESARE.
Entrò nella prefettura di Roma Anicio Giuliano nel dì 13 di novembre3246 in luogo di Acilio Severo, e in quella carica continuò egli per i due seguenti anni. Un grande sfregio patì nell’anno presente la riputazione di Costantino per quelle passioni ed inganni, da’ quali non va esente quasi mai alcuno de’ potentati perchè uomini anch’essi come gli altri, ed uomini che hanno men freno degli altri. Prima nondimeno di palesar questo suo trascorso, convien dire che il vittorioso imperadore determinò in questo anno di passare, dopo tanto tempo di lontananza, a Roma, secondo tutte le apparenze, per celebrar ivi i vicennali del suo augustale imperio con più solennità. Di febbraio noi il troviamo3247 in Eraclea di Tracia, nel marzo in Sirmio di Pannonia, e nell’aprile in Aquileia. Ci comparisce nel principio di luglio in Milano, e nel dì 8 di luglio in Roma, dove abbiamo da Idacio3248 ch’egli celebrò l’anno ventesimo del suo imperio augustale, siccome nell’anno precedente egli avea solennizzato in Nicomedia il ventesimo del cesareo. Per quel che riferisce Zosimo3249, il popolo romano con una sinfonia di maledizioni e d’ingiurie lo accolse, non per altro, se non perchè sempre più si accertarono ch’egli aveva dato un calcio al culto dei loro idoli. In fatti solito era in quelle grandi solennità che gl’imperadori col senato, esercito e popolo si portassero al Campidoglio, per far ivi de’ sacrifizii a Giove Capitolino; ma nulla di ciò volle far Costantino; e perchè si scaldarono alcuni per l’osservanza di quel sacrilego rito, non seppe ritenersi il pio imperadore dal prorompere in parole di abborrimento e sprezzo della superstizione pagana: il che gli tirò addosso l’odio del senato e popolo romano, costante per la maggior parte nell’idolatria. Anzi, se crediamo al medesimo Zosimo, l’esser egli restato mal soddisfatto di loro fece cader in mente il pensiero di formare una nuova Roma, e veramente la formò dipoi, siccome vedremo. Si vuol nondimeno ascoltare Libanio sofista3250, cioè un oratore di questo secolo, ben più di Zosimo vicino a Costantino, allorchè asserisce aver questo imperadore trattato i Romani con assai dolcezza, tuttochè le loro pasquinate e parole pungenti paressero degne di un trattamento diverso. Accadde un dì che, avendo egli stesso udita una salva d’insolentissime grida di quel popolo in dispregio suo, dimandò ai suoi due fratelli (cioè probabilmente a Delmazio ed Annibaliano, o pur Costanzo) che gli stavano appresso, cosa in tal congiuntura fosse da fare. L’un di essi fu di parere che s’inviassero i soldati a tagliare a pezzi que’ temerarii. L’altro rispose che così avrebbono fatto i principi cattivi, ma che i buoni doveano dissimulare e sofferir le vane dicerie e scappate della plebe senza giudizio. Se ne rise in fatti Costantino: cosa che, a parer di Libanio, gli acquistò l’affezion de’ Romani. Anche Aurelio Vittore3251 lasciò scritto che il dolore mostrato dal popolo romano, allorchè questo glorioso principe venne a morte, assai diede a conoscere ch’egli era molto amato da essi Romani. Dopo essersi fermato in Roma Costantino per qualche tempo, sembra, secondo le leggi3252 che restano, aver egli di nuovo ripigliato il cammino alla volta della Pannonia, giacchè una sua legge di settembre è data in Spoleti, un’altra di ottobre in Milano, e una di dicembre in Sirmio.
Veniamo ora al passo più degli altri scabroso della vita di Costantino. Abbiam più volte fatta menzione di Crispo suo primogenito, partorito a lui da Minervina sua prima moglie, già creato Cesare, giovane di grande espettazione, e che avea anche dato saggi del suo valore nella guerra coi Franchi e con Licinio. Questo infelice principe nell’anno presente3253, per ordine dello stesso Augusto suo padre, tolto fu di vita, chi dice col veleno, e chi colla spada. Zosimo3254 pretende succeduto così funesto avvenimento in Roma nel tempo che vi si trattenne Costantino; ma Ammiano Marcellino3255, scrittore più vicino a questi tempi, assegna la città di Pola nell’Istria per luogo di tal tragedia. Perchè Costantino, principe sì saggio e clemente, e nello stesso tempo sì crudo padre, giugnesse a tanta severità, nol seppero dire di certo neppure gli antichi scrittori, e solamente a noi tramandarono i loro sospetti. Zosimo immaginò incolpato il misero giovane di tenere un’amicizia illecita con Fausta Augusta sua matrigna; o, per dir meglio, che Fausta facesse calunniosamente credere al marito d’essere stata tentata da questo suo figliastro3256. Altri si figurarono che la medesima Augusta inventasse delle cabale per persuadere a Costantino che il figlio macchinasse contro la vita e lo stato del padre3257. Certamente i più convengono in dire che per le accuse della matrigna Crispo innocente perdè la vita. E ben probabile è che quell’ambiziosa donna, la qual già avea tre suoi proprii figliuoli, mirasse di mal occhio il figliastro Crispo anteposto per cagion dell’età ai suoi fratelli, per timore ancora che a lui solo potesse un dì pervenire l’imperio, e però si studiasse di screditarlo presso del padre, e le riuscisse di precipitarlo. Ell’era figliuola di un gran cabalista, cioè di Massimiano Erculio. Probabilmente profittò anch’essa di quell’indegna scuola. Comunque sia, la morte di questo amabil nipote fu un coltello al cuore di Elena madre dell’Augusto Costantino, nè potea essa darsene pace. Andò ella dipoi tanto pescando, che dovette in fine far costare al medesimo imperadore non men l’innocenza di Crispo, che la malvagità e la calunnia di Fausta sua matrigna; e vuole Filostorgio3258 che si scoprisse allora, come l’iniqua donna avea tradito il talamo nuziale con prostituirsi a delle vili persone. Un sicuro segnale che Costantino la credesse rea, fu l’aver egli medesimamente ordinato che a lei si fosse tolta la vita: il che si crede eseguito con farla serrare in un bagno d’acqua bollente3259. Se un esecrando commercio fosse stato fatto credere a Costantino fra la matrigna e Crispo, contra di amendue nello stesso tempo sarebbe caduta la pena. Perciò l’essersi differita la morte di Fausta rende assai verisimile che, scoperte le sue trame ed iniquità, essa arrivasse al meritato gastigo. Eutropio3260 aggiugne che non si fermò qui l’ira di Costantino, perchè egli appresso fece uccidere molti de’ proprii amici, o sospetti, o complici dei delitti verisimilmente di Fausta. Ora questo lagrimevole avvenimento, di cui Eusebio non si attentò di far parola, perchè tasto troppo delicato, non volendo egli dispiacere ai figliuoli allora regnanti di Fausta, certo è che diede da mormorar non poco a’ grandi e piccoli, ed offuscò non poco la gloria di Costantino, con esser giunto taluno3261 ad assomigliare il governo e secolo di lui a quel di Nerone; e senza trovarsi chi abbia saputo scusare o giustificare la credulità soverchia, o il rigore estremo da lui mostrato in tal occasione. Perciò Eutropio non ebbe difficoltà di dire che Costantino ne’ suoi primi anni meritò d’essere uguagliato ai più insigni principi di Roma, ma che nel progresso egli potè contentarsi d’essere annoverato fra i mediocri. Non sussiste poi ciò che Zosimo3262, dopo aver narrata questa tragedia, aggiugne con dire, che rimordendo la coscienza ad esso Augusto per tali trascorsi, e cercando la via di rimettersi in grazia di Dio, ricorse ai pagani, che gli dissero di non aver maniera di purgare i parricidii (il che Sozomeno3263 mostra essere falso), ebbe allora ricorso ad un Egiziano venuto di Spagna, cristiano di religione, che già s’era introdotto in corte (vuol probabilmente dire Osio, vescovo di Cordova), il quale l’assicurò che dal battesimo de’ cristiani restava cancellata qualsivoglia reità: e però Costantino da lì innanzi aderì alla religione di Cristo. Più chiaro del sole è che molto prima di questi tempi Costantino s’era rivolto al Dio vero, con abbandonar gl’idoli. Che poi per tali fatti Dio permettesse che sopra Costantino si affollassero da lì innanzi varie sciagure, e che ne’ figli suoi terminasse la sua discendenza, del che sembra essere persuaso il Tillemont3264: tuttavia meglio è non voler entrare ne’ gabinetti di Dio, perchè le cifre de’ suoi, sempre per altro giusti, giudizii venerar si debbono anche senza intenderle, e massimamente per non saper noi i veri reati di Costantino. Abbiamo poi da Eusebio3265 e da Eutropio3266 che nell’anno stesso, in cui a Crispo tolta fu la vita, anche il giovane Licinio, figliuolo del già Licinio Augusto, fu, d’ordine di Costantino, ucciso, nulla avendo servito a lui l’essere nato da Costanza sorella dell’imperadore medesimo. Qual motivo influisse a farlo privar di vita, e s’egli tuttavia conservasse il titolo di Cesare, a noi resta ignoto. Può ben temersi che anche per tale azione s’aguzzassero contra di Costantino le lingue di chi fra i pagani mirava lui di mal occhio. L’anno fu questo, in cui esso Augusto con sua legge3267 ordinò che i cherici ed altri ecclesiastici si cavassero dalla classe de’ poveri, e non se ne ordinasse se non quel numero ch’era necessario alle chiese, acciocchè l’esenzione da lui conceduta ai sacri ministri del Vangelo non riuscisse dannosa al pubblico, cioè al corpo secolare. Con altra legge ancora3268 dichiarò che i privilegii da lui accordati alle persone ecclesiastiche s’intendessero in favore de’ soli cattolici, e che ne restassero esclusi gli eretici e sismatici. Credesi finalmente3269 che in quest’anno fosse composto il poema in versi di Publilio Optaziano Porfirio, che giunto sino a’ dì nostri fu dato alla luce dal Velsero, contenente le lodi di Costantino, ma formato con degli acrostici, e con altre di quelle ingegnose, o, per dir meglio, laboriose bagattelle, che erano anche nel secolo precedente al nostro il grande sforzo degl’ingegni minori. Contuttociò anche tali rimasugli dell’antichità son da tenere in pregio, sì per le cose che contengono, come per farci intendere ancora il genio di que’ secoli, nei quali per altro fiorirono tanti uomini grandi nelle lettere e nella santità. Augurando Optaziano in esso poema i vicennali felici a Costantino, e non men felici i decennali ai di lui figliuoli; perciò si crede composto quel poema prima della morte di Crispo.