Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/180

Anno 180

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Anno di Cristo CLXXX. Indizione III.
ELEUTERIO papa 10.
COMMODO imperadore 1.
Consoli

CAJO BRUTTIO PRESENTE per la seconda volta, e SESTO QUINTILIO CONDIANO.

Fondato il cardinal Noris1390 sopra un’iscrizione gruteriana1391, ch’egli nondimeno riconosce per difettosa, diede al primo console il nome di Lucio Fulvio Bruttio Presente per la seconda volta, nel che fu seguitato dal Pagi1392, dal Relando1393 e da altri. Ma chiunque esaminerà meglio quel marmo, non avrà difficoltà a chiamarlo un’impostura, e però appoggiati que’ nomi ad un fondamento che non regge. Ho io prodotta un’iscrizione1394, dove Cajo Bruttio Presente vien detto console per la seconda volta. Era questi padre di Crispina moglie di Commodo Augusto. Se non vogliamo ammettere ch’egli fosse per la prima volta console nell’anno 153, sarà almeno stato in alcuno de’ susseguenti anni console straordinario ed ordinario nel presente. Certamente motivo bastevole abbiamo di così credere, finchè si disotterri altra memoria che tolga ogni dubbio. Avea già l’Augusto Marco Aurelio ridotta a buon termine la guerra coi Barbari. Erodiano1395, che qui dà principio alla sua storia, scrive che già alcuni di que’ popoli s’erano a lui sottomessi, altri aveano fatta lega con lui, ed altri fuggiti non comparivano più per paura delle di lui vittoriose schiere. Ma non piacque a Dio di lasciargli tanto di tempo per dar compimento all’impresa. Cadde egli infermo1396 nel marzo dell’anno presente, essendoglisi attaccata la peste o sia l’epidemia, che già s’era introdotta nell’armata1397. Nel sesto giorno della sua malattia chiamò al suo letto gli amici, e fece loro un discorso intorno alla vanità delle cose umane, facendo assai conoscere di disprezzar la vicina morte. Piangevano essi, ed egli, loro rivolto, disse: Perchè piagnete me, invece di piagnere la peste che va desolando l’armata? Erodiano gli mette in bocca una bella orazione, con cui raccomandò a tutti Commodo, benchè Capitolino scriva che non ne parlò, ma che solamente interrogato a chi egli raccomandasse il figliuolo, rispose: A voi e agli dii immortali, se pur se ne mostrerà degno. L’aveva egli sul principio del male chiamato a sè, pregandolo di non partirsi se prima non era terminata la guerra: al che rispose Commodo che più gli premeva la propria sanità, e desiderar perciò di andarsene. Ma più del male e più dell’imminente morte, si affliggeva l’ottimo imperadore al vedere che lasciava dopo di sè un figlio troppo diverso da’ suoi costumi. Ne avea già osservata la perversa inclinazione, e gli correa per mente l’immagine di Nerone, di Domiziano e d’altri principi giovinastri scapestrati, che erano stati la rovina della lor patria. Ma rimedio più non appariva. Egli era già imperadore Augusto, nè si poteva disfare il fatto. Giuliano Apostata nella sua Satira1398 scrisse che Marco Aurelio dovea lasciar l’impero a Claudio Pompejano suo genero, personaggio di gran saviezza, più tosto che ad un figlio di natural sì maligno. Ma l’affetto paterno, lusingandosi sempre che nel crescere dell’età crescerebbe il senno del giovane Commodo, prevalse all’amor della repubblica, che in lui certamente era sommo. Fu anche sollecitato a ciò dal senato romano istesso, siccome attesta Vulcazio Gallicano1399. Puossi ancor credere che Marco Aurelio, sperando vita più lunga, si figurasse d’aver tempo da ridirizzar quella pianta, che già minacciava frutti [p. 589 modifica]cattivi. Turbato poi da questo rammarico l’infermo Augusto, nè sapendo come quetarlo, desiderò che sollecitamente venisse la sua morte, e stette anche senza voler prendere cibo. Nel settimo dì copertosi il capo, come se volesse dormire1400, spirò nella notte del dì 17 di marzo, secondo Tertulliano1401, in Sirmio, o pure, secondo Aurelio Vittore1402, in Vienna d’Austria, mentre era nell’anno cinquantanovesimo dell’età sua. Dione scrive d’aver avuto riscontri accertati, esser egli stato tolto dal mondo, non già dalla malattia, ma dai medici che Commodo avea guadagnati per sì esecrabile azione. Forse l’odio universale, in cui, siccome vedremo, incorse Commodo, diede origine e fomento a questa voce.

L’afflizione dell’armata fu incredibile per la perdita di questo principe, perchè quantunque egli fosse assai ritenuto a regalare i soldati, e lontano da quelle esorbitanti liberalità che altri imperadori aveano usato per tenersi ben affette le milizie; e tuttochè egli volesse una rigida disciplina ed impiegati in continui esercizii i soldati, pure teneramente era amato da tutti: frutto della sua gran bontà e giustizia. Non fu minore l’affanno1403 che ne provò Roma e le provincie, gridando tutti che era morto il lor fortissimo capitano e un principe che non avea pari. Portate a Roma le sue ceneri, furono collocate verisimilmente nel mausoleo di Adriano, e fatta la di lui deificazione secondo l’empio rito di allora. Venne poi riguardato qual sacrilego, chi da lì innanzi non tenne la di lui immagine in casa1404, e restò sempre anche appresso i posteri in tal onore la di lui memoria, come di principe ottimo, che fino il satirico Giuliano Apostata1405 il collocò in cielo sopra Augusto, sopra Trajano e sopra gli altri rinomati regnanti. Non mancarono certamente dei difetti in Marco Aurelio: e chi mai ne va senza? La stessa sua bontà, e l’abborrimento ad ogni severità di gastigo non potè far di meno che non cagionasse qualche disordine con abusarsene i cattivi. E il non aver frenate le dissolutezze della moglie; l’aver eletto per suo collega Lucio Vero, che nol meritava; ma sopra tutto l’aver voluto o permesso che fosse successor suo nell’imperio chi n’era sì indegno, recò non poca taccia al suo nome. Contuttociò tali e tante furono le virtù sue, che tutti gli antichi scrittori s’accordano in iscusare que’ pochi difetti che in lui si osservarono. Imperocchè, oltre al molto che ne ho già detto di sopra, il solo esempio del grave, onesto e virtuoso suo vivere, servì, a riformar non poco i costumi sregolati de’ Romani. Suo uso fu anche di mettere negli uffizii chi egli credeva più dabbene e più utile al pubblico; e perchè niuno ordinariamente si trovava che fosse perfetto, diceva1406: Essere impossibile a noi il fare gli uomini, come noi li vorremmo; e che però conveniva valersi di loro, come sono, cercando solamente i men difettosi fra gli altri. Gli diede veramente la natura un corpo debole, o pure il provvide bensì di assai vigore, perchè in gioventù era robusto, facea gli esercizii militari, uccideva alla caccia i cignali; ma poi creduto fu che l’applicazione agli studi l’indebolisse e gli cagionasse molti incomodi di salute. Contuttociò al pari de’ più vigorosi tollerava le fatiche; e già si è veduto quanti viaggi egli facesse, e quanto tempo restasse esposto agl’incomodi della guerra. La beneficenza gli stette sopra tutto a cuore; a questa sognata deità eresse anche un tempio in Roma. Da alcuni si desiderò in lui la magnificenza, e si sarebbe voluto più liberale; ma con censura indebita, perchè egli non ammassò mai pecunia per sè; ed era bensì buon economo del danaro, ma per valersene solamente [p. 591 modifica]in bene del pubblico, senza mai accrescere gli aggravi ai popoli, con isminuirli alle occorrenze e con soccorrere sempre ne’ bisogni le persone di merito. Non la finirebbe mai chi volesse riandar le belle massime ch’ebbe questo principe per regolare non men sè stesso che gli altri. Ne lasciò egli anche una perenne memoria in dodici libri, che abbiam tuttavia, delle cose sue, commentati da Merico Casaubono e da Tommaso Gatachero. Sono memorie delle meditazioni sue, concernenti il meglio della filosofia stoica, scritte in greco, come gli venivano in mente, con istile semplice, ma purissimo, ed altamente commendato dagl’intendenti. Per questi libri, ma più per la vita e per le azioni sue, egli si meritò il titolo di filosofo, ed è specialmente conosciuto sotto nome di Marco Aurelio Antonino il Filosofo. La vita, che si legge di lui, composta da Antonio da Guevara, vescovo spagnuolo di Mondognetto, è un’impostura, che nondimeno può esser utile a chi ne voglia far la lettura. Fiorirono poi1407 sotto questo letterato principe molte persone dottissime, fra le quali io solamente rammenterò Luciano Samosatense, il cui faceto, erudito e vivacissimo stile si ammira nei suoi libri, ma che più sarebbe degno di stima, s’egli non facesse un’aperta professione d’empietà. Lucio Apulejo, scrittore della medesima tempra, si crede che fiorisse in questi tempi; ed è certo che Galeno, o sia Gallieno, medico rinomatissimo, gran tempo visse nella corte di Marco Aurelio. Così Pausania, Aristide, Polieno, Artemidoro, Aulo Gellio, e forse Sesto Empirico, fiorirono in questi tempi, e di loro ci restano libri, per tacere di tanti altri, de’ quali l’opere si son perdute. Restò dunque dopo la morte di Marco Aurelio al governo dell’imperio romano Lucio Aurelio Antonino Commodo, molto prima dichiarato imperadore augusto, di cui parlerò all’anno seguente. Ed io comincio ora a contare gli anni del suo imperio, non avendo osato di farlo finora, perchè non parmi per anche ben certo il principio del suo imperio augustale. Trovasi egli, siccome già accennai, da qui innanzi nominato per lo più Marco Aurelio Commodo, avendo egli assunto il prenome del padre, ma senza avere ereditata alcuna delle di lui virtù che nel mostrassero degno suo figlio.