Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/174
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Anno di | Cristo CLXXIV. Indizione XII. ELEUTERIO papa 4. MARCO AURELIO imperad. 14. |
GALLO e FLACCO.
Nulla di più sappiamo di questi consoli. Ho io prodotta una nobile iscrizione1297 col C. CALPVRNIO FLACCO, L. TREBIO GERMANO COS., congetturando che questa si potesse riferire all’anno presente, e che quel Germanico forse sostituito a Gallo nelle calende di luglio, o pure ne’ mesi seguenti. Se sia o non sia ragionevole tal conghiettura, ne giudicheranno i lettori. Al vedere nelle medaglie1298 di quest’anno, che l’imperador Marco Aurelio prese per la settima volta il titolo d’Imperadore, senza timor di errare, veniamo a conoscere ch’egli riportò qualche vittoria contra de’ Barbari. Secondo tutte le apparenze, questa fu la descritta da Dione1299. Erasi inoltrata l’armata romana nel paese de’ Quadi, e vi era in persona lo stesso imperadore. In un sito svantaggioso fu essa ristretta da innumerabil copia di Barbari che presero tutti i passi, senza che i Romani potessero a lor talento dar la battaglia. Eccessivo era il caldo della stagione, nè acqua si trovava in quella parte. Andavano differendo i Barbari il combattimento sperando di cogliere i nemici snervati ed avviliti per la sete. In fatti, ad un estremo pericolo era ridotta l’armata romana, se un improvviso accidente non avesse provveduto al bisogno. Imperciocchè ecco in un subito annuvolarsi il cielo, e cadere una dirotta pioggia. Ogni1300 soldato allora tutto lieto stese i suoi elmi e scudi per raccoglier l’acqua cadente, abbeverando sè stesso e i cavalli, e tutti si riconfortarono. All’incontro i Barbari, veggendo fallita la loro speranza di vincerli colla sete, e credendoli tuttavia indeboliti pel patimento preceduto, attaccarono la zuffa. Forse anche prima l’aveano attaccata, immaginando troppo spossati i Romani e i lor cavalli, onde non potessero resistere. Generosamente combatterono i Romani rinvigoriti dall’acqua cadente; ma quel che portò loro la vittoria, fu una scappata di fulmini addosso all’esercito barbarico, e un fuoco aereo che cadeva solamente addosso ai medesimi Barbari, confessato miracoloso dallo stesso Dione gentile. In somma rimasero interamente sconfitti i Barbari, liberati i Romani, ed ognuno confessò essere stata prodigiosa così gran vittoria. Era solito Marco Aurelio ad aspettare dal senato il decreto di moltiplicare il titolo d’imperadore, segnale di qualche nuova vittoria. A cagion della suddetta, che riuscì cotanto luminosa, fu egli proclamato Imperatore per la settima volta dal vincitore esercito. Ne scrisse poi egli al senato in occasione di notificargli il felicissimo e mirabil successo delle sue armi: e il senato non solamente approvò il fatto, ma dichiarò anche Faustina Augusta sua moglie madre degli eserciti. Ora, conoscendo anche i Pagani per miracoloso il descritto avvenimento, chi fra essi ne attribuì la cagione a un incantesimo di Arnufi mago egiziano, chi ad un altro mago caldeo appellato Giuliano, chi alle preghiere del medesimo Marco Aurelio, come si può vedere presso Dione 1301, Capitolino 1302 ed altri antichi scrittori 1303. E nella colonna Antonina effigiato tuttavia si scorge un Giove che manda pioggia e fulmini nello stesso tempo dal cielo: con che s’avvisarono i Pagani di attribuire tal grazia al loro Giove. Ma è ben più da credere agli antichissimi scrittori, i quali attestano che i Cristiani, militanti allora in gran numero nell’oste di Marco, Aurelio, veggendo il comune periglio, ritiratisi in disparte, colle ginocchia a terra implorarono l’aiuto del vero Dio, ed impetrarono quel miracolo. Che poi vi fosse una legione tutta di Cristiani, ch’essa fosse appellata di Melitene, e venisse poi soprannominata la Fulminatrice, questo è dubbioso, e l’ultimo, secondo le osservazioni degli eruditi, non sussiste punto. Un buon fondamento bensì abbiamo di credere ottenuta quella vittoria per intercession de’ Cristiani, asserendolo, per testimonianza di Eusebio1304, santo Apollinare vescovo di Jerapoli, vivente allora, e Tertulliano 1305 vicino a questi tempi, san Girolamo, san Gregorio di Nissa ed altri antichi. Anzi il suddetto Tertulliano scrive aver lo stesso Marco Aurelio in una lettera al senato romano attribuito questo prodigio alle preghiere de’ Cristiani, quantunque ne parlasse con qualche dubbio, per non comparir troppo credulo ad una religione cotanto odiata dagl’idolatri Gentili. Parlasi poi nelle medaglie1306 di qualche vittoria riportata da Marco Aurelio sopra i Sarmati. A quanto si è detto di sopra de’ costumi di questo imperadore, si vuol ora aggiungere ch’egli ebbe in uso di tenere delle spie dappertutto, non già1307 per far danno altrui, ma solamente per saper ciò che si dicea di lui. Niun caso poi facea delle sciocche o maligne dicerie e detrazioni che udiva della sua persona. Ma se trovava ben fondata la lor censura, serviva ciò a lui per emendarsi; chè questo era l’unica mira sua. Trovandosi egli appunto a questa guerra, fu informato dei lamenti che facea il popolo romano, per aver condotto via sì gran brigata di gladiatori, de’ sanguinosi combattimenti de’ quali viveano spasimati i Romani; e per avere ordinato che le commedie, o vogliam dire le buffonerie de’ pantomimi, si facessero in ora più tarda, per non impedire i negozii de’ mercatanti. Imperciocchè pareva ai Romani, che l’imperadore, con privarli de’ consueti divertimenti e sollazzi, li volesse far tutti diventare filosofi. Ora egli mandò ordine, che si facessero gli usati spettacoli, deputando a ciò i nobili, che aveano miglior borsa, e più degli altri poteano rallegrare il popolazzo.