Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/133
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Anno di | Cristo CXXXII. Indizione XV. Telesforo papa 6. Adriano imperadore 16. |
Consoli
Sentio Augurino e Arrio Severiano per la seconda volta.
Non Severiano, ma Sergiano è chiamato in vari Fasti il secondo di questi consoli, e però resta indecisa la lite intorno al di lui vero cognome. Dimorò1 Adriano tutto questo verno, e forse il resto dell’anno presente, in Atene, dove celebrò i suoi quindecennali, cioè l’anno quindicesimo compiuto del suo imperio2. Per attestato di Eusebio, tornò a visitar le misteriose imposture di Cerere Eleusina; compiè molte fabbriche [p. 468]in Atene; vi fece de’ suntuosi giuochi, fra’ quali una caccia di mille fiere. Sopra tutto quivi formò una biblioteca delle più copiose e belle che fossero nell’universo. Per tutto il tempo che si fermò Adriano3 nelle vicinanze della Giudea, cioè nella Soria e in Egitto, i Giudei, benchè pieni di rabbia a cagione del tempio di Giove fabbricato in Gerusalemme, si tenner per paura quieti. Ma intanto andavano disponendo tutto per ribellarsi a suo tempo. Fecero preparamenti d’armi, fortificarono vari siti, formarono cammini sotterranei per ricoverarvisi in caso di bisogno; e sopra tutto spedirono segreti messi per le varie città dell’imperio, acciocchè quei della lor nazione accorressero in lor aiuto, o formassero delle sedizioni. Nè lasciarono di commuovere anche altre nazioni a prendere l’armi, facendo loro sperare non pochi vantaggi e guadagni. Dacchè dunque videro Adriano molto allontanato dalle loro contrade, cominciarono apertamente a non voler ubbidire ai magistrati romani; ma non osando di venire a combattimenti, attendevano solamente a premunirsi contro la forza de’ Romani. Però Eusebio mette all’anno presente il principio di questa guerra.
Anno di | Cristo CXXXIII. Indizione I. Telesforo papa 7. Adriano imperadore 17. |
Consoli
Marco Antonio Ibero e Nummio Sisena.
Un’iscrizione rapportata dal Doni4 ci ha scoperto il prenome del console Ibero. Dove soggiornasse Adriano nell’anno presente, io nol so dire. Che fosse ritornato a Roma, non apparisce da alcuna memoria. Il dire col Tillemont5, ch’egli fu in questi tempi in Egitto e nell’anno seguente nella Soria, non si accorda con Dione6, che fa ribellati i Giudei, dappoichè Adriano si fu ben allontanato dai lor paesi: il che dovette succedere nell’anno precedente. Ma o fosse egli tuttavia in Atene, come io vo’ sospettando, o fosse ripassato in Asia, si può credere che egli non istesse fermo in un sol luogo: tanta era la sua vaghezza di viaggiare, e di acquistarsi credito colle sue maniere popolari fra tutt’i popoli. Abbiamo da Sparziano7, ch’egli in Atene volle essere uno degli Arconti. Nella Toscana, benchè divenuto imperadore, esercitò la pretura; e per le città del Lazio si compiacque degli uffizii municipali di Dittatore, Edile e Duumviro. In Napoli volle essere Demarco, o capo del popolo; in Italica, sua patria, in Ispagna, quinquennale; e in Adria, da cui ebbero origine i suoi maggiori, ebbe il medesimo uffizio di quinquennale. A tutta prima non fecero i magistrati romani8 gran caso dei movimenti degli Ebrei; ma dappoichè si avvidero che si accendeva il fuoco per tutta la Giudea, e che per l’altre parti dell’imperio romano la nazion giudaica facea delle adunanze, delle minacce e peggio ancora: Adriano pensò allora daddovero a reprimere il loro ardire e disegno. Perciò spedì rinforzi di gente a Tenio Rufo, governatore della Giudea, ed ordinò che i migliori suoi generali passassero in quelle parti. Uno di questi fu Giulio Severo. Abbiamo da Eusebio9, che i Giudei aveano saccheggiata la Palestina. Lor capitano era un certo Cochebas o Barcochebas, uomo sommamente crudele. Fece costui quanto potè per indurre i Cristiani a prendere anch’essi l’armi contra de’ Romani; ma i cristiani istruiti dalla lor santa legge, che s’ha da osservare la fedeltà anche ai principi cattivi, non ne vollero far altro; e però lo spietato Giudeo non solamente [p. 470]contra de’ Romani, ma anche contra di quanti cristiani gli caddero nelle mani, andò sfogando il suo sdegno, con fargli aspramente tormentare e morire. Ma sopraggiunti gli eserciti romani, poco potè far fronte alla superiore lor forza.