Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/134
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Anno di | Cristo CXXXIV. Indizione II. Telesforo papa 8. Adriano imperadore 18. |
Consoli
Cajo Giulio Serviano per la terza volta, e Cajo Vibio Varo.
Serviano console ordinario dell’anno presente era il cognato di Adriano, perchè marito di Paolina, sorella di lui. Però a quest’anno appartiene la lettera, che di sopra all’anno 230 dicemmo a lui scritta da Adriano intorno ai costumi degli Alessandrini ed Egiziani, e a noi conservata da Vopisco1. Fa conoscere quella lettera, che Adriano era stato in Egitto, e tuttavia dimorava ne’ primi mesi di quest’anno lungi da Roma. Non è improbabile ch’egli andasse visitando le città e le isole della Grecia. Avea nel precedente anno cominciata Giulio Severo la guerra contro ai Giudei; nel presente la terminò, se sussiste la cronologia di Eusebio2, che ne riferisce il fine sotto quest’anno. Così gran fatti ne racconta Dione3, che parrebbe non essersi potuto smorzar quell’incendio in poco tempo. Scrive egli adunque, che Giulio Severo, valoroso ed accorto generale di Adriano, non si attentò mai di venire con quella gente disperata, ed ascendente ad un numero eccessivo, ad una battaglia campale. Ma assalendoli in corpi separati, impedendo loro i viveri, e rinserrandoli a poco a poco, e senza azzardare, ne fece un terribil macello, sì fattamente, che pochissimi salvarono la vita. È da credere ch’egli non la perdonasse nè pure alle donne, a’ fanciulli e ai vecchi; imperocchè vi perirono, se dobbiamo stare in ciò all’asserzione di quello storico, cinquecento ottantamila persone di nazione giudaica, tagliate a pezzi, senza contare i morti di fame, fuoco e malattia, che fu una moltitudine incredibile. Cinquanta buone loro fortezze vennero in poter de’ Romani: e novecento ottantacinque belle terre, castella e borghi furono tutti spianati, di modo che quasi tutta la Palestina rimase un paese deserto. Costò nondimeno assai caro anche ai Romani quella impresa, perchè ve ne perirono parecchie migliaia; e perciò in occasione che Adriano scrivendo al senato in questi tempi (segno ch’egli era lungi da Roma) non si servì dell’usato esordio secondo il formolario, cioè di quelle parole: Se voi e i vostri figliuoli siete sani, me ne rallegro. Quanto a me e all’esercito, noi siam tutti sani. Terminata secondo i giusti giudizii di Dio questa gran rovina del popolo giudaico4, Adriano pubblicò un editto, che sotto pena della vita niun Giudeo potesse più entrare in Gerusalemme, e nè pure appressarvisi. Ma non si mantenne questo gran rigore sotto i susseguenti Augusti. Diede lo stesso Adriano in ricompensa del buon servigio a Giulio Severo il governo della Bitinia, esercitato poscia da lui con tal giustizia, prudenza e nobil contegno, e con sì fatta cura non men de’ pubblici che de’ privati affari di quel paese, che Dione, nativo di lì, attesta essere stata anche ai suoi dì in venerazione la di lui memoria. Insorse poco appresso un altro torbido in Levante, perchè gli Alani, appellati anche Massageti, mossi da Farasmane re loro, diedero il sacco alla Media e all’Armenia, scorrendo fin sulle terre della Cappadocia, dove era governatore Flavio Arriano, forse quel medesimo, di cui ci[p. 472] restano alcuni libri. I regali fatti da Vologeso (probabilmente re dell’Armenia) a que’ Barbari, e la paura dell’esercito romano raunato da Arriano, fecero da lì a non molto cessare le loro ostilità e i saccheggi. Si può ricavar da Dione, che in questi tempi l’Augusto Adriano stanziasse in Atene, dove dedicò il tempio di Giove Olimpico, in cui fu anche posto la statua di lui col suo altare, e un drago fatto venire dall’India. Solennizzò ivi Adriano con gran magnificenza le feste di Bacco, e vi fece la sua comparsa, vestito in abito di Arconte. Diede inoltre licenza ai Greci adulatori di fabbricar in quella città a nome di tutta la Grecia un tempio alla sua persona, come ad un dio; e per far onore a questo insigne edifizio, istituì de’ combattimenti e giuochi, e donò agli Ateniesi non solo una grossa somma di danaro e del grano, ma anche l’isola di Cefalonia. In somma di tante beneficenze colmò egli Atene, che quasi divenne essa una città nuova. Il che fatto, finalmente abbandonò quel caro paese, e se ne ritornò in Italia nel presente anno, o almeno nei primi mesi del seguente.