Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/118
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Anno di | Cristo CXVIII. Indizione I. Sisto papa 2. Adriano imperadore 2. |
Consoli
Elio Adriano Augusto per la seconda volta, e Tiberio Claudio Fosco Alessandro.
Credesi che Trajano avesse all’anno precedente designato console Adriano per l’anno presente. Ma anche senza di questo, il costume era che i novelli Augusti prendessero il consolato ordinario nel primo anno del loro governo. Era nato Adriano nell’anno 76 della nostra Era, nel dì 24 di gennaio, per testimonianza di Sparziano1, da cui abbiam la sua vita. Ebbe per moglie Giulia Sabina, figliuola di Matidia Augusta, di cui fu madre Marciana Augusta, sorella di[p. 434] Trajano. Perchè in sua gioventù comparve scialacquatore, si tirò addosso lo sdegno di Trajano, suo parente, e già suo tutore. Tuttavia tal era la sua disinvoltura e vivacità di spirito, che si rimise in grazia di lui, e ricevè anche molti onori da lui; ma non mai giunse in vita del medesimo ad essere accertato di succedergli nell’imperio a cagion del suo naturale, in cui quel saggio imperadore trovava bensì molte belle doti, ma insieme sapea scoprire non pochi vizii, quantunque Adriano si studiasse di dissimularli e coprirli. L’ambizione traspariva dalle di lui azioni e parole, molto più la leggerezza e l’incostanza; e sopra tutto, il suo essere stizzoso e vendicativo, facea temere che sarebbe portato alla crudeltà. Non si può negare, che la penetrazione del suo intendimento, la prontezza delle sue risposte, un’applicazione a tutto quanto può riuscir d’ornamento a persona nobile, l’aiutavano a brillar nella corte e negli uffizi a lui commessi. Prodigiosa era la sua memoria. Tutto quanto leggeva, lo riteneva a niente. Fu veduto talvolta in uno stesso tempo scrivere una lettera, dettarne un’altra, ascoltare e favellar con gli amici. Non si lasciava andar innanzi alcuno nella cognizion delle lingue greca e latina; sapea egregiamente comporre tanto in prosa che in versi, ed anche improvvisava talvolta con garbo2. La medicina, l’aritmetica, la geometria le possedeva; dilettavasi di sonar vari strumenti, di dipignere, di lavorar delle statue; e la sua non mai sazia curiosità il portava a voler sapere di tutto, con insino inoltrarsi molto nel vanissimo studio della strologia giudiciaria, o nell’empio della magia. Lasciò anche dopo di sè vari libri di sua composizione in prosa e in versi. Suo maestro, o pure aiutante di studio, fu Lucio Giulio Vestinio, che servì poscia a lui divenuto imperadore di segretario, e vien chiamato soprantendente alle biblioteche di Roma greche e latine in una iscrizione3. Questo suo amore alle scienze ed arti cagion fu, che a’ suoi tempi fiorirono in Roma le lettere, e vidersi i professori d’esse sommamente onorati e premiati, come attesta anche Filostrato4. Piena era la sua corte di grammatici, musici, pittori, geometri ed altri simili. Spezialmente si compiaceva di conversar coi filosofi, poeti ed oratori, e li teneva bene in esercizio, proponendo loro stravaganti quistioni, per imbrogliarli, e rispondendo loro con egual vivacità tanto sul serio, che burlando. Per altro a misura del suo volubil cervello era anche bizzarro ed instabile il suo genio e gusto. E credendosi, per istare sopra gli altri come imperadore, di aver anche questa medesima superiorità nell’ingegno e nel sapere, portava nello stesso tempo invidia a chi parea sapere più di lui, con giugnere a maltrattarli, e a trovar da dire sopra tutte le lor fatiche, e, quel che è peggio, a perseguitarli. Facevasi anche ridere dietro, allorchè anteponeva ad Omero un certo cattivo poeta appellato Antimaco, Ennio a Virgilio, Catone a Cicerone, Celio a Sallustio. E questo suo maligno ed invidioso talento il trasse fino a screditar le azioni e le fabbriche di Trajano, quasichè egli andasse innanzi a quel grand’uomo nel giudizio e nel buon gusto. Ma questo per ora basti del novello imperadore Adriano, e intorno alle sue doti e costumi.
Dacchè fu egli creato imperadore, giudicò di non dover partire di Antiochia senza lasciare in istato quieto le cose d’Oriente5. Avea ben Trajano aggiunto al romano imperio le provincie della Mesopotamia, dell’Assiria e dell’Armenia; ma il mantenere quelle provincie nella dovuta ubbidienza, non era da un Adriano, principe che s’intendea del mestier della guerra per parlarne in sua camera, non per esercitarlo in campagna,[p. 436] perchè mal provveduto di coraggio e di pazienza nelle fatiche. Però si rivolse egli a’ trattati di pace con Cosroe, già re de’ Parti, e con quei popoli, contento di salvare la dignità del popolo romano: giacchè non si credea da tanto da poter conservar quelle conquiste. Cedette dunque l’Assiria e la Mesopotamia a Cosroe, mandandogli probabilmente il diadema, con ritener qualche ombra di superiorità, e riducendo il confine romano all’Eufrate, come era prima. Levò via Partamaspare, cioè quel re che Trajano avea dato ai Parti, costituendolo re in qualche di angolo quelle contrade. Permise anche ai popoli dell’Armenia l’eleggersi il loro re. Parve che in tutto questo egli cercasse d’estinguere la gloria di Trajano, di cui, per attestato di Eutropio6, si mostrò sempre invidioso. Fece poi anche per questo distruggere, contro il volere di tutti, il teatro fabbricato da esso Trajano nel Campo Marzio. Poco mancò che non restituisse ancora la Dacia ai Barbari. Impedito ne fu dalla persuasion degli amici, acciocchè non cadessero sotto il giogo barbarico tanti cittadini romani, che Trajano aveva inviato ad abitare colà. Creò Adriano sul principio due prefetti del pretorio, cioè Celio Taziano per gratitudine, avendolo avuto per tutore in sua gioventù, e per mezzano a salire in alto; e Simile per la moderazione ed onoratezza de’ suoi costumi. Di questi ne dà un saggio lo storico Dione7 con dire che mentre Simile era solamente centurione, trovossi nella anticamera imperiale per andare all’udienza di Trajano. V’erano ancora molti altri da più di lui, cioè uffiziali primari che la desideravano anch’essi. Trajano il fece chiamare innanzi agli altri, ma egli si scusò con dire, essere contro l’ordine, che un par suo dovesse goder quest’onore, con fare intanto aspettare i suoi comandanti nell’anticamera. Accettò Simile con difficoltà la carica di prefetto, e da lì forse a due anni, scorgendo che verso di lui s’era raffreddato Adriano, dimandò ed ottenne il suo congedo. Ritiratosi alla campagna, quivi per sette anni sopravvisse in tutta pace, comandando poi alla sua morte, che pel suo epitaffio si scrivesse come egli era stato settantasei anni sulla terra, ed esserne vissuto solamente sette. D’altro umore fu ben Taziano, perchè uomo violento. Egli sulle prime scrisse da Roma ad Adriano di levar dal mondo8 Bebio Marco prefetto di Roma, e Laberio Massimo, e Crasso Frugi, relegati nell’isole, come persone capaci di novità. Adriano non volle dar principio al suo governo con queste crudeltà. Alcune poi ne commise andando innanzi, e di queste diede la colpa ai consigli del medesimo Taziano. Depresse Lucio Quieto, valoroso uffiziale, con levargli la compagnia de’ Mori, perchè si sospettava che aspirasse all’imperio. Mandò ancora Marzio Turbone ad acquetare un tumulto insorto nella Mauritania. Probabilmente verso la primavera di quest’anno Adriano, dopo aver dato ai soldati il doppio di quel regalo che solevano dare gli altri nuovi imperadori, e lasciato al governo della Soria Catilio Severo, si mise in viaggio per terra alla volta di Roma. Il senato gli avea decretato il trionfo. Lo ricusò egli, volendo che a Trajano, benchè defunto, si desse quest’onore. Perciò entrò in Roma sul carro trionfale, su cui era inalberata l’immagine di esso Trajano. Cominciò dipoi il suo governo, come far sogliono per lo più i principi novelli, con somma bontà e dolcezza, e con far bene a tutti. Diede un congiario al popolo romano9, e pare che n’avesse dato due altri nell’anno antecedente. Rimise alle città d’Italia tutto il tributo coronario, cioè quello che si solea pagare per le vittorie degl’imperadori, e per l’assunzione d’essi al trono. Lo sminuì anche alle provincie fuori d’Italia, benchè egli[p. 438] pomposamente esprimesse, quanto allora lo stato si trovasse in gran bisogno di danaro, che ciò nonostante egli faceva quella remissione. Ciò nondimeno che gli produsse un incredibil plauso, fu l’aver condonato tutti i debiti10 che aveano le persone private da sedici anni in addietro coll’erario imperiale, tanto in Roma che in Italia, e nelle provincie spettanti all’imperadore, secondo la divisione d’Augusto, non sapendosi se questa liberalità si stendesse ancora alle provincie governate dal senato. Parla di questa sua memorabil generosità Sparziano, e ne conservarono la memoria le medaglie e le iscrizioni antiche11. Se non fallano i conti del Gronovio12, questa remissione ascese a ventidue milioni e mezzo di scudi d’oro: il che sembra cosa incredibile. Per dare maggior risalto a questa sua insigne azione, e per maggior sicurezza dei debitori, fece bruciar nella piazza di Trajano tutte le lor polizze ed obbigazioni. Apparisce dalle medaglie suddette, ch’egli appena creato imperadore prese i titoli di Germanico, Dacico e Partico, come se ancor questi fossero passati in lui coll’eredità di Trajano. Trovasi anche appellato Pontefice Massimo. Ma per conto del titolo di Padre della Patria, benchè il senato non tardasse ad esibirglielo, e tornasse da lì a qualche tempo ad offerirglielo, nol volle, sull’esempio di Augusto che tardi l’avea accettato.
- ↑ Spartianus, in Vita Hadriani.
- ↑ Dio., lib. 69.
- ↑ Thesaurus Novus Inscription.
- ↑ Philostratus in Sophist.
- ↑ Dio., lib. 69. Spartianus, in Vita Hadriani.
- ↑ Eutrop. in Breviar.
- ↑ Dio., lib. 69.
- ↑ Spartianus, in Vita Hadriani.
- ↑ Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
- ↑ Dio., lib. 69.
- ↑ Panvinius, Fast. Consular. Spartianus, in Vita Hadriani.
- ↑ Gronovius, de Sextertiis.