L'Uomo
Capitolo 2

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E Genova non fu ingrata col suo grande figlio: il culto del suo nome rimase per i genovesi di tutte le epoche successive, ed anche della nostra, tradizionalmente profondo. Scuole, enti pubblici, enti privati, strade, calate del porto prendono il nome di Andrea Doria, onorandosene per onorarlo, mentre la stazione ferroviaria più importante della città, e la piazza e la strada che fanno capo al grande palazzo sul mare, hanno preso il nome del «Principe».

Ma questo, si dirà, è il riconoscimento dei posteri. I contemporanei non mancarono al loro dovere, e già nel 1528, concessero al loro salvatore autorità ed onori sovrani, ed esenzione da tributi, facendogli anche dono, e dono prezioso, di uno fra i più bei palazzi della Genova medievale, e precisamente quello che, in piazza San Matteo, chiude attualmente la via David Chiossone, e reca il civico numero 17.

Il dono fu eternato da una lapide posta sul bellissimo portale di Niccolò Corte, che reca tuttora la seguente iscrizione: Senat: Cons: Andreae De Oria patriae liberatori munus publicum. Decretò anche il Senato che gli fosse eretta una statua di bronzo, ma, probabilmente per la difficoltà della sua realizzazione, l’idea fu abbandonata, e, nel 1529, fu incaricato Fra Giovanni Angelo da Montorsoli di scolpire la statua in marmo. Fra Giovanni, architetto e scultore fiorentino, seguace valoroso della grande scuola e della maniera michelangiolesca, artista che fu carissimo al Principe - dal quale ebbe affidati molti importanti lavori nella chiesa dei Doria, intitolata a San Matteo - compì la statua in modo veramente lodevole, arricchendo la città di un’opera forte e pregevolissima, che venne collocata all’ingresso del Palazzo Ducale.

Questa statua ebbe vita avventurosa. Intanto, ebbe una prima iscrizione, che diceva: Andreae. Auriae. Civi. Opt. - Felicis. Q. Vindici. Atque. Auctori. Publicae. Liber. - Senatus. Populusque. Genuensis - Pos. Dopo qualche tempo, però, questa iscrizione venne tolta, e sostituita dalla seguente: Andreae. D’Oriae. - Quod. Rempublicam. Diutius. - Pristinam. In. Libertatem. Vindicaverit - Patri. - Proinde. Patriae. Appellato - Senatus. Genuensis. - Immortalis. Memor. Beneficii - Viventi. Posuit.

Tale statua, unitamente a quella del nipote e successore del Principe, Giovanni Andrea Doria, opera egregia del genovese Taddeo Carlone, anch’essa posta all’ingresso del Palazzo Ducale, nelle convulsioni rivoluzionarie del 1797 venne fatta oggetto di violenza e di manomissione, per cui le guardie, con metodi spicci, ma purtroppo altrettanto dannosi per le opere d’arte quanto le violenze plebee, la fecero sparire. I frammenti poterono essere raccolti nel chiostro di San Matteo soltanto nel 1846; e finalmente nel 1935 la statua, ricomposta, poté ritornare al Palazzo Ducale. Questo peregrinare è ricordato da successive lapidi, murate nel chiostro.

All’ammirazione dei posteri, nella chiesa gentilizia dei Doria, è sempre esposta sul baldacchino dell’altar maggiore, in luogo molto visibile, la bellissima spada d’argento e d’oro che Alessandro Farnese, successo a Clemente VII sul trono di San Pietro col nome di Paolo III, donò ad Andrea Doria, quale valoroso e strenuo difensore della Fede.

Nel testamento, che i fedeli amici, l’ambasciatore Figueroa e Adam Centurione fecero aprire la mattina del 26 novembre 1560, il Principe lasciò disposizione di essere seppellito nottetempo, senza alcuna pompa, e senza funerali.

La sua volontà fu rispettata: ma la Repubblica non poteva permettere che non fosse reso al suo grande figlio l’onore funebre che gli competeva. E, non appena il nipote e successore del Principe, reduce dalla battaglia di Djerba - grande sconfitta cristiana - fu rientrato, il Senato dispose una solennissima esequie in San Lorenzo, alla presenza di tutta la Signoria, della nobiltà e del popolo. Nel vasto tempio, si inchinarono alla sua memoria le bandiere di tutti gli Stati d’Italia, e quelle dei Potenti ch’egli aveva servito, e per i quali aveva tessuto di gloria la storia della sua vita.

Fu certo questo l’onore più grande che gli fu conferito, quello che giunse più gradito al suo cuore, lassù, nel Paradiso degli eroi.