Alla scoperta dei letterati/Roberto Bracco
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Napoli, decembre del ’94.
La sera in cui fu per la prima volta rappresentata a Napoli dalla compagnia Maggi La Vipera di Ferdinando Martini, si uscì dal Sannazzaro in parecchi discutendo. Man mano la compagnia si diradò, Bracco ed io rimanemmo soli e ci dirigemmo verso gli uffici del Mattino dove egli andava a scrivere il suo articolo. Per la via, sostando a volta a volta, poi su negli uffici, Bracco mi disse queste idee sue sul nostro teatro contemporaneo.
— Ti parlerò da critico o da autore? Per quanto cercassi di scindere le due persone non ci riescirei, e sarebbe inutile. Io ti dirò solo che tra i molti giovani che vivacemente scrivono pel teatro italiano, nessuno è così eccellente da essere fissato come segno di risorgimento, come affidamento per il futuro. Fino ad ora le recenti opere teatrali in Italia sono mediocri e come intenzioni e come successo di pubblico, ma sono indipendenti, e questo è ottimo sintoma. In Francia han perduto l’originalità, e ricalcano vecchi tipi, o pazzamente corrono per strane vie dietro un tedesco, dietro un norvegese, dietro un belga, dietro un russo. Non possiamo in alcun modo sperare di acclimatizzare il dramma nordico, intendo specialmente l’ibseniano; ma quello che nel metodo è modernamente buono, dobbiamo pur prendere a nostro vantaggio. Io penso che l’indirizzo moderno del teatro debba risultare da tre coefficienti: l’esattezza della osservazione è il primo coefficiente, e con essa intendo non solo la realtà del fatto particolare o generale riprodotto sul palcoscenico ma andate il modo di vederlo per riprodurlo, cioè la prospettiva teatrale che nel tempo e nello spazio modifica la realtà esattamente così che poi al pubblico dia attuale impressione di vita. L’importanza umana della cosa osservata e riprodotta; certi fatti insignificanti in un caso sono addirittura indici importantissimi in un altro, sia per la figurazione di un carattere che per lo sviluppo di un argomento: e questo è il secondo coefficiente. Il terzo è quello che io direi coefficiente estetico, usando l’aggettivo in un senso molto relativo: ciò è che quel che si rappresenta su la scena nei particolari e nell’insieme, piaccia, sia degna materia d’arte, acconcia alla vita estetica; e questo dico con intendimenti ben lati, fuori di ogni grettezza moralizzante.
— Dammene qualche esempio nella pratica.
— Sùbito, nell’opera di Giacosa. I Tristi amori, ottimi come fattura, come selezione di particolari, conte adattamento della realtà al meccanismo teatrale, mancano della terza qualità: io, ascoltandoli, come criticò e come autore godo ed imparo, ma come pubblico non rimango soddisfatto e commosso. I diritti dell’anima, invece mancano della prima qualità da me annunciata, ossia l’osservazione non è esatta e, quando a volta lo è, non è veduta dal punto di vista teatrale e su la scena viene falsata.
— Che occorrerebbe perchè quel po’ di buon teatro che anche oggi si produce potesse affermarsi e sorgere più in alto e più in chiaro?
— C’è una ragione etnografica che sempre si opporrà alla formazione di un buon teatro italiano: la molteplicità delle città principali al cui giudizio il dramma deve soggiacere. In Francia sta, sovrano unico, Parigi. Anche da noi occorrebbe una capitale, con un ottimo pubblico, ottimi attori, ottimi autori, ottimi critici; insomma un accentramento artistico, donde si irradiasse il Verbo. Cominciamo a dire che questa nostra divisione di razze e di gusti, impedisce un’esistenza prospera alle compagnie stabili, così che, pur essendovi attori buoni anzi eccellenti, noi abbiamo per lo più tutte compagnie cattive.
— Tu quest’anno sei stato premiato al Concorso drammatico. Che pensi di questi concorsi?
— Penso che sono inutili e, in un senso più ristretto, anche dannosi. In ogni modo giacchè ci sono...
— Tu sei stato premiato!
Ma dalla tipografia chiedevano insistentemente l’articolo su La Vipera ed era tardissimo, e io mi congedai dall’elegante amico geniale.