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VI

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VII.


La notte era senza luna. Il sottile velo di nebbia autunnale che aveva coperto il cielo, durante il giorno, era diventato, nel crepuscolo della sera, uno strato scuro di nuvole. E la nerezza del cielo incombeva sulla nerezza del mare sulla oscurità profonda dell’isola di Nisida. Ma non si presagiva nè la bufera, nè la pioggia; anzi era grande la quiete dell’aria e delle cose, intorno: tanto che le sentinelle ferme sotto l’arco delle loro garitte interrogavano distrattamente quelle tenebre. Qualche sentinella in fondo alla garitta aveva accesa una lanternina, poichè tutti i fanali dell’isola erano spenti: ma la fiochissima luce era mascherata dal corpo del soldato, che si teneva fermo innanzi al suo casotto di legno o di ferro. Ombra profonda e profonda quiete. Solo, come sempre a ogni quarto d’ora la voce di richiamo cominciava da un capo dell’isola e si propagava, lentamente, precisamente sino all’altro capo, per ritornare indietro, intorno intorno, con la risposta.

All’erta, sentinella!

All’erta sto.

La voce della domanda era più viva, suonava [p. 118 modifica]come una sveglia, mentre la voce della risposta era tranquilla, pacata, quasi serena nella fiducia della sorveglianza. La quiete era così profonda in quella notte! Solo, verso le due, nel colmo cioè della notte, la sentinella che guardava l’angolo più acuto dell’isola, verso Pozzuoli, trasalì. Essa non aveva inteso rumore, ma, come una scossa elettrica le aveva detto che la solitudine, intorno, era percorsa da un uomo o da un animale. Talvolta, in una camera oscura, o in un cortile o in una strada, o in una campagna dove siete perfettamente certo di esser solo, si acquista, di un tratto, la certezza materiale che vi è qualcuno, intorno: non vedete, non udite nulla, ma sentite che uno spazio vuoto è ora occupato da un corpo. Così la sentinella. Aguzzò gli occhi, sull’ombra, ma non scorse nulla. Credendo che fosse la sentinella del posto vicino, che venisse a chiedergli un fiammifero per accendere la pipa, disse, assai sottovoce:

— Chi va là?

Non ebbe nessuna risposta. Crollò il capo, credendo di essersi ingannato. Ma era un calabrese avvezzo a camminare di notte, per cattive strade, guardandosi dalle sorprese; e continuò a sorvegliare facendo qualche passo, cautamente, intorno alla garitta. Di nuovo, una quiete profonda. Ma non era passata mezz’ora, che per la seconda volta, precisamente, ebbe la nozione di qualcuno che si muoveva, a trenta passi di distanza, [p. 119 modifica]verso giù, in una fratta che copriva uno scaglione dell’isola. E invece di rispondere alla parola di domanda che risuonava, allora, all’erta, sentinella, egli puntò il fucile e sparò. Immediatamente furono intesi due lunghi gridi, strazianti, e intorno intorno, per tutta l’isola, dovunque era una sentinella, la parola violenta, tumultuosa, urlante:

All’arme, all’arme, all’arme, all’arme! Tre o quattro colpi di fucile risonarono, insieme, e propagandosi, intorno all’isola, fu un fuoco circolare di fucili che si abbassavano, sparando, verso il mare, ciecamente, perchè la consegna era di sparare in giù, dove i fuggitivi si dirigevano, gli ignoti fuggitivi. Fu una corona di fuoco e di fumo, intorno all’isola, nella notte, e subito fra il tumulto dell’ergastolo risvegliato, dei soldati comandati da un ufficiale che correvano alla ricerca, si udì il secco scattare dei fucili ricaricati. Tumultuariamente, nei dormitorii, i carcerieri facevano l’appello dei galeotti, per vedere chi mancasse, mentre una staffetta correva velocemente in basso all’isola, per far partire le due barche, alla ricerca. Dappertutto furono riaccesi i lumi, tutta Nisida era in piedi: semivestito, pallido, spaventato della sua responsabilità, il vice— direttore, che suppliva Gigli nella sua assenza, dopo esser passato dal corpo di guardia, assisteva all’appello dei galeotti, nei dormitorii. Costoro, vestiti già, sbalorditi, non udivano l’appello, non rispondevano a tempo, ed era [p. 120 modifica]un urlare, un bestemmiare dei carcerieri, un gridare dei galeotti, un piovere di punizioni. A ogni dormitorio che si trovava completo, il pallido vice— direttore respirava di sollievo. Chissà, forse non mancava nessuno; era forse un falso allarme della sentinella verso Pozzuoli. Ma fuori, ogni tanto, risuonava un colpo di fucile isolato e un marciare di persone, e un chiamarsi e il secco scattar dei fucili, ricaricati. L’appello nell’ergastolo continuava, e al suo nome, talvolta, un galeotto rispondeva malinconicamente:

— Io ci sto, ci sto, beato chi è scappato!

Sì, tutti invidiavano gli ignoti che erano fuggiti. Si vedeva dalle facce, dai dialoghetti sottovoce, dai sorrisi maliziosi. I carcerieri erano furibondi. E fu solamente all’ultimo dormitorio, dove erano sessanta galeotti, che ne furono trovati cinquantotto: il carceriere, disperato, rifece l’appello tre volte, temendo di essersi sbagliato ma erano cinquantotto, sempre cinquantotto, ne mancavano due. Voltandosi al vice direttore che era diventato terreo, gli disse:

— Due sono fuggiti.

— Chi sono!

— Giacomo Calamà, detto Ingannalamorte.

— E l’altro?

— Rocco Traetta, detto Sciurillo.

— Giovani?

— Giovani. [p. 121 modifica]

Il vice-direttore si morsicò le labbra, per reprimere una bestemmia, poi se ne andò, frettolosamente, a organizzare meglio le ricerche. In tutta l’isola i due nomi Ingannalamorte e Sciurillo, si andavano propagando di bocca in bocca, ripetuti, commentati da tutti. Vi erano lumi che correvano, tra le fratte, tra i burroni, ve ne erano al basso dell’isola che andavano e venivano; risuonavano dappertutto le sciabole degli ufficiali. Qualche lume si accese finanche sulla spiaggia dei Bagnoli dirimpetto. Solo dopo un’ora potettero mettersi in moto le barche. Le loro grandi lanterne lasciavano come una traccia sanguigna di luce sul mare, e andavano lentamente intorno, esplorando ogni grotta, entrando in ogni picciolo seno dell’isola. Nelle barche scintillavano le canne dei fucili dei soldati, riflettendo la luce rossa delle lanterne. E ogni tanto, per qualche allucinazione di sentinella vegliante si udiva un colpo di fucile — e il vice-direttore che andava e veniva, agitatissimo, si fermava come se quello fosse il segnale che avessero ripreso i fuggitivi. Tutti i galeotti erano stati rimandati a letto, ma nessuno di essi dormiva, chiacchieravano, era impossibile farli tacere; alcuno di essi, ad alta voce, faceva voti, perchè gli evasi non fossero ripresi. Ma il tumulto e le ricerche non si fermarono che al mattino, quando al vice-direttore fu fatto il verbale dell’evasione. Si erano trovate le due catene dagli anelli netta[p. 122 modifica]mente segati, fra l’erba della fratta, dove la sentinella calabrese aveva sentito la presenza dei fuggitivi. Giacomo Calamà, detto Ingannalamorte, non era stato possibile ritrovarlo, nè vivo, nè morto, nè per mare, nè per terra, nè ai Bagnoli, nè a Pozzuoli, nè in alto, in nessun posto; dichiarato; evaso. Rocco Traetta, detto Sciurillo, era stato ritrovato, disteso sugli scogli, col cranio sfracellato, morto.