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120 all’erta, sentinella!

un urlare, un bestemmiare dei carcerieri, un gridare dei galeotti, un piovere di punizioni. A ogni dormitorio che si trovava completo, il pallido vice— direttore respirava di sollievo. Chissà, forse non mancava nessuno; era forse un falso allarme della sentinella verso Pozzuoli. Ma fuori, ogni tanto, risuonava un colpo di fucile isolato e un marciare di persone, e un chiamarsi e il secco scattar dei fucili, ricaricati. L’appello nell’ergastolo continuava, e al suo nome, talvolta, un galeotto rispondeva malinconicamente:

— Io ci sto, ci sto, beato chi è scappato!

Sì, tutti invidiavano gli ignoti che erano fuggiti. Si vedeva dalle facce, dai dialoghetti sottovoce, dai sorrisi maliziosi. I carcerieri erano furibondi. E fu solamente all’ultimo dormitorio, dove erano sessanta galeotti, che ne furono trovati cinquantotto: il carceriere, disperato, rifece l’appello tre volte, temendo di essersi sbagliato ma erano cinquantotto, sempre cinquantotto, ne mancavano due. Voltandosi al vice direttore che era diventato terreo, gli disse:

— Due sono fuggiti.

— Chi sono!

— Giacomo Calamà, detto Ingannalamorte.

— E l’altro?

— Rocco Traetta, detto Sciurillo.

— Giovani?

— Giovani.