Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane/Veronica Franco
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Veneziana
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VENEZIANA.
Tra le Veneziane del secolo XVI questa leggiadra donna puossi giudicare l’Aspasia. Nata nel 1553, crebbe in non ordinaria avvenenza, in ispirito, in cultura, in leggiadria; fregi tutti de’ quali appresso abusò accalappiando gl’incauti, e cantando troppo lubricamente di amori. Era la sua casa aperta alla gioventù più dedita a’ dissipamenti, sì però, che chi volea trovarsi più ricco di sue benigne parole dovesse andare più provveduto non dei doni della fortuna, ma di quelli dello spirito e dello ingegno. Tale dovette essere Marco Veniero patrizio, con cui, soggiornando in Verona, gareggiò la Franco nel comporre quei saporiti versi che ci restano tuttavia. Arrigo III al suo ritorno dalla Polonia per passare in Francia, giunto a Venezia l’anno 1574, avendo voluto visitarla ne restò sì preso, e n’ebbe tale martello al cuore, che non seppe di Venezia partire senza portar seco le sue sembianze effigiate dal Tintoretto. Ma nel più bel fiore de’ suoi dì, e fra le tresche e i convitti, sentissi Veronica d’improvviso inspirata dal cielo a lasciare una vita troppo ravviluppata nel fango mondano, e, dato tosto bando alle dissipazioni, si accinse a segnalarsi in opere di fervor religioso, nel che riuscì esemplarissima. Il pio ricovero del Soccorso, destinato ad accogliere le donne macchiate delle peggiori brutture, fu da lei instituito, e colle sue largizioni sostenuto. Ebbe molti figliuoli. Non si sa l’anno della sua morte, che credesi accaduta verso il finire del secolo. Nelle Terze Rime di lei, che ci rimangono, scorgesi certa spontanea ubertà, che forma la maniera più dilettevole del suo scrivere. Non diremo lo stesso delle sue Lettere di argomento amoroso. Fredde e concettose le avrà forse riputate anche Michele Montaigne, il quale nel suo Viaggio d’Italia scrive che, trovandosi egli a Venezia, l’autrice gliele mandò in dono il dì nove di novembre 1580, e che con due scudi ne regalò il portatore. Le sfacciate Rime di Veronica furono dedicate ad un duca di Mantova, e le Lettere ad un cardinale d’Este. Tanta licenza si abborrirebbe nella civiltà d’oggidì!