Alarico Carli/Marito e Padre
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Marito e Padre.
Nel 1854 perse, con suo grande rincrescimento, il fratello Archimede, che amava e stimava moltissimo; e l’anno dipoi, dopo aver visto, con grande soddisfazione, sgombrata la sua diletta Toscana dalle truppe austriache, e, credendo ancora lontano il tempo della riscossa, si unì in matrimonio con la Signorina Vitellia del fu Luigi Mugnai, e ne ebbe tre figli Archimede, Aurelia, Zoele.
Questa famiglia ebbe costante, tutto il suo amore tutta la delicatezza del suo sentire. Sposo amoroso e fiducioso nella intelligenza della moglie, la tenne sua cooperatrice in quanto erano i suoi ideali, nella educazione dei figli; e da Bergamo, nel Gennaio 1863, in giorno di cattivo umore, come egli dice, scriveva per lei:
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«Che tu sola sia arbitra di tutto senza che alcuno dè miei o altri di fuori ti possano vincolare in alcun modo. Così tu potrai consigliarti co’ tuoi figli, se saranno in età e avranno capacità di farlo, o con chi crederai più adatto a giovarvi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
«Vitellia, ci siamo amati sempre teneramente come forse pochissimi si amano, abbiamo goduto questo nostro affetto senza che nessuna nuvola, anche passeggiera, oscurasse la nostra fede. Nulla abbiamo da rimproverarci l’un l’altro e se la morte ci colpisce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
E questo amore familiare non cessò mai in Alarico; e si rafforzò anzi nelle lunghe malattie che afflissero ora l’uno ora l’altro dei suoi cari.
L’attività sua nel lavoro avrebbe dovuto stancarlo, ma egli la notte veglia al capezzale della sua sposa diletta pronto ad ogni richiesta, e come per lei così per i figli, per la cognata, per tutti, egli sa, in casi di mali divenire, anche negli ultimi suoi giorni, la più amorosa, la più delicata delle infermiere. — La educazione e la istruzione dei figli ebbero le sue cure più assidue, nè i sacrifizi sostenuti a questo scopo gli sembrarono gravosi, e il lavoro, unica sua ricchezza, lo fece attivo fino all’ultimo momento. Del ricavato poco o nulla dispone per sè, ma tutto usa largamente per il suo ideale costante, per la famiglia e per chiunque a lui si rivolga. Il dire della dolcezza sua è impossibile ed il suo rimprovero, quando aveva necessità di ricorrerci, era tale che dal cuore muoveva ed al cuore andava a colpire.
Questo suo amore grandissimo che nella famiglia trovò sempre la corrispondenza la più completa, egli portò in tutte le sue relazioni esteriori, relazioni che furono assai numerose qui e all’estero, e solo la disonestà poteva corrucciarlo e togliere alla sua fisonomia quella impronta di serenità che natura vi aveva impressa. Egli amò ed amò molto i genitori, la sorella, i fratelli, di uno dei quali curò ed allevò il figlio, morto giovanissimo per malattia inesorabile; amò la moglie, i figli, la cognata, chi soffriva, chi colla tenace volontà si apriva una strada, e se nella vita patì dei torti, non mancò mai di perdonare.
Tutto questo suo amore, più che l’età, commosse ed ammalò quel cuore causa della sua perdita dolorosissima per la famiglia che lo idolatrava ed in lui sentiva il legame di unione, la ragione dell’esistenza naturale e morale.
Nè i continui viaggi, nè le cure della famiglia lo distolsero mai dal suo primo ideale, l’amore per la patria diletta, e per essa, approssimandosi il 1859, non potendo dare, com’altra volta, il suo braccio e il suo sangue, dà il poco tempo disponibile profondendo il suo denaro, preparando scritti per eccitare gli animi dei pusillanimi, ed agevolando coloro che, emigrati dagli stati Pontifici e della Lombardia, volevano riparare in Piemonte. Avvicinandosi il gran giorno egli con molti altri patriotti prepara quella rivoluzione che doveva fare libero il suo paese, e lo fece infatti, senza spargimento di sangue, il che portò al colmo la sua sodisfazione di patriotta e di galantuomo.