Regno Unito: il tramonto dei landlords

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Regno Unito: il tramonto dei landlords
I III

VIAGGIO NELLA GRAN BRETAGNA COMUNITARIA

Aziende di grandi dimensioni nelle quali si mira, mediante produzioni estensive, a realizzare un reddito continuativo e sicuro, seppure non elevato. Aumentare il reddito significa, dati i rigori fiscali britannici, lavorare per il Fisco di Sua Maestà, e spogliare gli eredi di gran parte della proprietà al momento della successione. Appaiono palesi, rispetto alle antiche aziende patrizie, i vantaggi degli agricoltori di professione.


Una proprietà patrizia

L'azienda dell'honorable (il titolo che distingue i figli cadetti dei lords) E.R.H. Willis, a Farmington, nel Gloucestershire, sui bordi dell'antica foresta dei Costwalds, può essere considerata rappresentativa della realtà complessiva delle grandi aziende del Regno Unito: i suoi problemi gestionali e fiscali, la “filosofia”sulla quale sono predisposti i suoi programmi produttivi, sono gli stessi problemi e la stessa filosofia della maggior parte delle grandi aziende inglesi. E le grandi aziende, occorre sottolineare, occupano, in Gran Bretagna, uno spazio di gran lunga superiore a quello che esse occupano negli altri paesi della Comunità. L'azienda dell’hon. Willis è divisa in due parti, una affittata, una gestita direttamente dal proprietario tramite un direttore, mr. John Walker, un uomo di campagna dalla calda battuta rumorosa. Questa seconda parte comprende 880 ettari, tra, arativi, pascoli permanenti e boschi ove prosperano cervi, lepri e fagiani. Il terreno è un terreno calcareo di buona composizione anche se un poco leggero. Presenta però un'altissima percentuale di scheletro, anche grossolano: ciò che ne riduce alquanto la fertilità.

Sono solo tre le produzioni per cui si lavora a Farmington: cereali, carne bovina e carne ovina. I cereali coltivati a scopo commerciale sono il frumento (130 ettari, la metà investita con frumenti a uso zootecnico), e l'orzo (360 ettari). La coltivazione si svolge su grandi appezzamenti di 35 ettari ciascuno. Le produzioni medie ottenute sono di 50 quintali

Nei pascoli e nei prati viene allevata una mandria di 300 vacche, tutte derivanti da incroci da carne (Frisona x Hereford e Frisona x Angus), e 1.200 pecore, anch'esse di incrocio. Tanto le vacche quanto le pecore allattano i propri nati, che vivono con le madri sul pascolo per tutti i mesi in cui ciò è possibile. Altri vitelli e agnelli sono acquistati sul mercato per colmare le capacità di alimentazione offerte, secondo l'andamento stagionale, dai pascoli dell'azienda. All'alimentazione invernale dei bovini si provvede con l'insilamento del primo sfalcio dei prati, vengono seminati inoltre 24 ettari di mais da raccogliere a maturazione cerosa: dato il clima, il mais compare da appena qualche anno, timidamente, nelle campagne inglesi. Per quella delle pecore si seminano 20 ettari di turnips, la brassicacea che rivestì un ruolo chiave tra le colture protagoniste del rinnovamento dell'agricoltura inglese durante il XVIII secolo.

Un addetto ogni 44 ettari

A Farmington lavorano 20 persone, un addetto ogni 44 ettari, l’azienda dispone di tutte le macchine necessarie per svolgere le operazioni colturali, tra le quali due mietitrebbie per la raccolta dei cereali. In uno dei vecchi centri aziendali è stato costruito un sistema di silos per lo stoccaggio dei cereali, che vengono venduti da mr. Walker secondo le opportunità del mercato. La capacità di stoccaggio è di circa 20.000 quintali.

Le produzioni unitarie realizzate corrispondono a 120 sterline di p. l. v. media per acro (circa 440.000 lire per ettaro), una cifra che risulta inferiore a quelle realizzate dalle aziende inglesi impegnate nella produzione di latte, o nella coltivazione di frutta o di ortaggi. L’opzione della cerealicoltura e della produzione di carne al pascolo, spiega mr. Walker, corrisponde ad una scelta assunta consapevolmente: sono le due attività in cui è possibile produrre con il minore impegno di capitali e di forza lavoro, quelle che consentono di sfruttare più economicamente le dimensioni dell’azienda.

Su ogni scelta imprenditoriale l’incombenza del Fisco

Produrre un flusso di reddito sicuro, limitando al massimo le spese: ecco la filosofia dell'amministratore dell’hon. Willis, una filosofia che suscita la sorpresa dell’osservatore continentale, che non sa esimersi dal chiedere se non converrebbe cercare, con l'introduzione, sui terreni migliori, di qualche coltura diversa, di elevare il reddito dell'azienda. Perché, chiedo a mr. Walker, rinunciare a guadagnare di più? La risposta di Walker è altrettanto sicura della domanda: teoricamente sarebbe possibile accrescere la produzione, riconosce, ma c'è un ostacolo che lo vieta, il sistema fiscale: un sistema famoso per la sua severità e per l'applicazione più drastica del principio della progressività. Le imposte delle quali l'amministratore di una grande tenuta deve prevedere gli effetti sono fondamentalmente due: quella sul reddito e quella sui trasferimenti di proprietà, cioè sulle successioni. L'impatto combinato delle due induce il manager di una grande azienda a preferire un reddito relativamente ridotto.

“Piuttosto che guadagnare cerchiamo di realizzare, nell'azienda -spiega l’amministratore dell’azienda ai giornalisti europei in visita a Farmington-, i miglioramenti che ci riesca più facile realizzare. Negli ultimi anni abbiamo rinnovato molte decine di ettari di bosco, creando frangivento che reputiamo particolarmente utili come protezione per il bestiame. Abbiamo rinnovato le stecconate, molte miglia, e gli alloggi dove risiedono i dipendenti. Contemporaneamente, però, dobbiamo evitare di legare eccessivamente le parti diverse dell’azienda: quando morirà il titolare le tasse di successione mangeranno una buona parte di campi e boschi, e su quanto sopravviverà dovrà ancora sussistere un’azienda vitale.”

Dai landlords agli agricoltori di professione

Come agiscano i meccanismi fiscali sull’agricoltura inglese è oggetto della lezione che tiene al gruppo di giornalisti in visita alle campagne britanniche il professor W. S. Senior nel campus della Facoltà di agricoltura dell’Università di Nottingham: “In questo Paese la progressione delle aliquote delle imposte sui redditi è molto forte –spiega-: oltre certi valori le tasse prelevano il 90 per cento dei guadagni di un’attività economica. A questo punto guadagnare, evidentemente, non interessa più. Inoltre, alla morte del titolare il valore dell’azienda sul quale viene computata la tassa di successione è determinato moltiplicando per 27 il reddito medio annuale. Se guadagnate molto, sistematicamente, il valore della vostra proprietà sarà altissimo, e i vostri eredi cadranno sotto una progressione tale che, oltre certi valori, potrebbe spossessarli completamente. I grandi proprietari terrieri, i vecchi landlords, non hanno più interesse a restare sulla terra. Conservano la proprietà solo se dispongono di altre fonti di guadagno, e molti ne hanno. Ma hanno, allora, poco interesse a fare rendere i propri campi. La maggior parte sta vendendo, lentamente, ma sta vendendo. Le loro aziende si frazionano, e vanno ad ampliare le proprietà degli agricoltori di professione, che nel nostro Paese operano su una superficie media considerevole, che pure continua a crescere. La ampliano anche affittando, ma oggi difficilmente i landlords affittano, generalmente vendono.”

A Farmington non si parla solo di landlords: nell’antica villa è possibile avere l’onore di un drink con l’ultimo erede di una grande stirpe di landlords. Ricevendoci sul terrazzo del sontuoso edificio settecentesco l’hon. Willis lamenta che la bravura dell’amministratore porti in azienda un mucchio di gente, che gli costa un patrimonio in rinfreschi. Come italiano, il calice in mano, ho l’onore di essere invitato a visitare la sala dedicata ai dipinti del Settecento italiano, con una serie di Carracci che farebbero l’onore degli Uffizi o dei Musei Vaticani. Tornati sul terrazzo il nostro ospite ci addita i pascoli della proprietà, ingialliti dall’eccezionale siccità di questo anno senza norme, popolati di torelli che pascolano tranquilli. “Di torelli non capisco nulla –ride l’hon. Willis- ma credo che quelli che Walker mi fa pascolare sotto il naso siano meglio degli altri.” Poi si profonde in un grande gesto delle braccia, quasi a comprendere pascoli, mandrie, quadri italiani e fiamminghi, e, dimenticando per un momento il proverbiale umorismo inglese, per un nobile autentico obbligo di casta, ci confessa, sconsolato, il proprio cruccio: “Tutto questo il governo di sinistra vuole portarselo via, e lo porterà via!”

Durante il ritorno all’albergo, sulla limousine nera messa a nostra disposizione dal Foreign Office, celieremo ancora, con il funzionario che ci accompagna, mr. Angus Sinclair, di antico sangue scozzese come i bovini dello stesso augusto nome, sulla grandezza e sul tramonto dei pilastri della tradizione britannica, che non deve toccare meno crudamente il cuore della nostra guida che quello dell’hon. Willis.

Per l’allevamento, clima e animali ideali

Ma lasciando il confronto tra il Fisco di Sua Maestà e i landlords per tornare alla zootecnia che si realizza nella fattoria di Farmigton, una considerazione si impone al viaggiatore che esplora l’agricoltura britannica: ingrassare vitelloni al pascolo può parere, in Europa, qualcosa di assai simile ad un capriccio: non lo è, per lunga tradizione, in Inghilterra. Non lo è grazie al clima, salvo l’anno della nostra visita tanto piovoso da mantenere i pascoli in rigoglio per la maggior parte dell'anno. Non lo è grazie ad una tradizione zootecnica che ha sviluppato, e che continua ad evolvere, una singolare gamma di razze, tra le quali è facile scegliere l’animale ideale per qualsiasi tipo di allevamento, e che ha perfezionato le tecniche più avanzate per lo sfruttamento dei prati e dei pascoli. Ma il tema della tradizione zootecnica britannica è tale da meritare un capitolo specifico del diario di un viaggio attraverso l’agricoltura britannica.

TERRA E VITA n. 42, 23 ottobre 1976