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I casi giudiziari - 14. Il primo dossier dell'FBI

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14. Il primo dossier dell'FBI


Il primo documento che riguarda Aaron presente negli archivi del Federal Bureau of Investigation – e, quindi, il primo coinvolgimento ufficiale del giovane, a poco più di vent’anni, in un contesto investigativo giudiziario negli Stati Uniti d’America – è datato 2 ottobre 2008.

Si tratta di un’investigazione che ha per oggetto un caso informatico cui, vista la sua apparente importanza, viene subito assegnato un agente speciale; il caso vede, come presunta vittima, l’intero sistema dei tribunali statunitensi, e i suoi vertici organizzativi, per quella che viene definita come una “possibile intrusione informatica”.

I dettagli strettamente giudiziari del caso PACER – di cui già abbiamo ampiamente illustrato gli aspetti fondamentali –, che cercano di mettere a fuoco la posizione e il ruolo di Aaron nella vicenda, sono reperibili nel fascicolo reso pubblico dalle autorità.

Il 24 settembre 2008, l’ufficio amministrativo dei tribunali degli Stati Uniti d’America decide di contattare il Washington Field Office dell’FBI per denunciare una compromissione di una parte del sistema dei tribunali nordamericani.

Le indagini preliminari evidenziano come, tra il 4 e il 22 settembre 2008, il sistema PACER avesse ricevuto richieste di login (per accedere) provenienti da due biblioteche che partecipavano al progetto pilota gratuito. L’ufficio amministrativo riferiva, pertanto, all’FBI come il sistema PACER fosse stato “letteralmente inondato di richieste”. Una interrogazione veniva, infatti, effettuata ogni tre secondi.

Le investigazioni preliminari individuano come l’informazione di login e le credenziali compromesse fossero quelle della Sacramento County Public Law Library e della Seventh Circuit Court of Appeals Library.

Il nome utente “SC5449” era stato assegnato alla prima; “WM1788” alla seconda. I due account apparivano i diretti responsabili per lo scaricamento di più di 18 milioni di pagine, per un valore approssimativo di 1,5 milioni di dollari.

L’FBI decide, di conseguenza, di aprire un caso/fascicolo per investigare su questa intrusione.

Il caso prende il numero 288A-WF-238943; un agente inizia immediatamente a operare e, il 4 novembre del 2008, gli uffici amministrativi dei tribunali forniscono all’FBI tre CD-Rom contenenti i file di log – ossia il diario di tutte le attività dei computer e dei server – che fotografano la situazione del loro sistema e le attività di quel settembre del 2008. Viene, anche, fissato un incontro di persona per fare il punto della situazione.

Il programma pilota, che era partito nel novembre del 2007, aveva riguardato 17 biblioteche federali, che avevano un determinato numero di computer in [p. 126 modifica] loco disponibili al pubblico. All’epoca, c’erano quasi 850.000 utenti registrati al servizio PACER: i vertici dei tribunali americani avevano deciso di collocare questo servizio anche nelle biblioteche perché convinti che molti cittadini comuni preferissero non fare lo sforzo di recarsi in tribunale per simili richieste di documenti legali, sentenze e atti. Le biblioteche, per di più, erano, per il cittadino comune, meno formali e austere, e più a misura d’uomo.

Ogni tribunale/corte federale ha il suo sistema e il suo server, e crea un log dei pagamenti per lo scaricamento dei documenti che viene custodito localmente. Accedere a PACER è, quindi, un processo interno alla biblioteca: il bibliotecario si deve loggare e deve scollegare l’utente alla fine della sessione. Non sono richiesti documenti cartacei da firmare; alcune biblioteche li avevano previsti e li avevano custoditi per qualche tempo, ma le persone tendevano a usare, e comunicare, nomi falsi.

All’utente viene assegnata una postazione/computer nella biblioteca e, dopo che si è loggato, può andare ovunque all’interno dell’archivio PACER.

Le password risultavano essere state violate nelle due biblioteche indicate e, durante il periodo della asserita compromissione da quei terminali, qualcuno avrebbe acceduto a 34 archivi di corti distrettuali, in una sessione unica e continua, che aveva accesso ai documenti ogni due/tre secondi fino a scaricarne più di 18 milioni.

Il tutto era avvenuto nelle normali ore di lavoro, e i dati, che erano in corso di esfiltrazione, venivano mandati, man mano, a due indirizzi IP presenti su computer/servizi di Amazon.

I documenti venivano scaricati in ordine sequenziale, per numero, e partendo dai casi più vecchi – dal 1990 – sino a quelli attuali. Non erano stati individuati specifici tipi di casi, ma venivano scaricati tutti indiscriminatamente: interi fascicoli con i corrispondenti documenti.

Quando il 22 settembre furono scoperte le compromissioni, gli account vennero disabilitati e la comunicazione ufficiale, verso l’esterno, fu che il progetto pilota fosse stato interrotto per un problema di sicurezza.

Nel dialogo con l’FBI, i rappresentanti dell’amministrazione della giustizia iniziano a fare una prima ipotesi: qualcuno era intenzionato a progettare un servizio simile e a costruire un proprio database per offrire ciò che consentiva PACER che, al momento, non aveva concorrenti commerciali.

La vittima era, pertanto, preoccupata per due ragioni. Innanzitutto, perché qualcuno era riuscito a ottenere un accesso di questo tipo alle postazioni delle due biblioteche, e poi per il grande numero di documenti scaricati. Il timore era, in particolare, che dietro a un attacco simile ci fosse una organizzazione criminale con competenze informatiche specifiche.

L’FBI, ascoltate le ragioni dei vertici delle corti nordamericane, si interessa al caso. E, in particolare, si interessa a un sito web – “public.resource.org” – dove sembra che sia “apparsa” online una lista di documenti che corrispondono a [p. 127 modifica] quelli compromessi. Gli investigatori analizzano la corrispondenza tra i file sul web e quelli trafugati – che viene acclarata – e focalizza, quindi, l’attenzione su public.resource.org.

Tra gli atti del fascicolo dell’FBI viene acquisita una lettera, inviata il 3 ottobre 2008, nella quale public.resource.org si definisce una corporation non profit che “porta avanti progetti di interesse pubblico su Internet”.

La lettera era stata inviata al presidente di una commissione sulle regole di procedura del sistema giudiziario, il giudice Rosenthal.

In sintesi, nella lettera si poneva l’attenzione su alcuni tipi di dati che erano soliti rimanere ben visibili nei documenti delle corti e che erano accessibili con PACER. In particolare, informazioni sulla sicurezza sociale, dati di terzi, dati di minori, dati fiscali, dati di nascita e, in alcuni casi di atti penali, persino l’indirizzo di residenza dei soggetti coinvolti in casi giudiziari.

Nella missiva si ammette che tali risultati sono legati a una preliminare attività di auditing effettuata su documenti delle corti distrettuali; come allegato, viene incluso un DVD contenente 2.282 documenti che erano, secondo il mittente, problematici e vulnerabili, al fine di evidenziare possibili violazioni della privacy dei cittadini.

La lettera, inoltre, suggerisce all’amministrazione della giustizia di ripensare completamente le regole identificative dei soggetti coinvolti in un giudizio o in un procedimento, usate nel trattamento dei documenti, e suggerisce delle strategie e degli strumenti specifici per anonimizzare i dati durante la scansione dei documenti.

Il quadro sta diventando, per l’FBI, più chiaro: il passo successivo è quello di acquisire agli atti un articolo di giornale del 12 dicembre 2008 dal titolo molto minaccioso: “Ribelle online pubblica milioni di dollari di fascicoli dei tribunali USA gratuitamente”.

La notizia esce su Wired, un’importante rivista tecnologica, e tra le righe si fa il nome, espressamente, di Carl Malamud, attivista che era solito domandare a gran voce un diritto di accesso a tutti i documenti legali pubblici negli Stati Uniti d’America, affinché i cittadini potessero consultare tali dati gratuitamente.

In questo articolo – lo vedremo meglio a breve – Malamud non usa mezzi termini e si lascia andare a toni aggressivi.

Definisce il sistema PACER come un’assurdità, come un vero e proprio “difetto” dell’intero sistema della giustizia americana; al contempo, domanda a tutti gli avvocati del Paese di donare alla sua organizzazione, uno ad uno, i documenti che ogni giorno scaricano da PACER.

Lui promette, dal canto suo, di classificarli con cura e di pubblicarli gratuitamente sul sito della sua organizzazione. Afferma, esplicitamente, di essere già in possesso di ben il 20% dei file dell’archivio PACER, con le decisioni degli ultimi 50 anni. [p. 128 modifica] L’articolo cita, anche, il periodo di prova che si era svolto l’anno precedente e la chiamata alle armi di Malamud in quell’occasione: aveva invitato tutti gli attivisti a cercare di recuperare più documenti possibile usando chiavette per, poi, donarli a lui.

Non c’è da stupirsi, quindi, che questo articolo sia finito direttamente nel fascicolo dell’FBI.

Si leggano, ad esempio, i seguenti passaggi dell’articolo, per meglio comprendere come i contenuti fossero, in un’ottica investigativa, particolarmente preoccupanti.

Il primo riferimento è al sistema informatico in sé, e alla sua vetustà:

Se volete cercare i documenti del tribunale federale, non è un problema. Basta richiedere un account online e il Governo vi fornirà un nome utente e una password. Tramite il servizio postale. Una volta effettuato l’accesso, il motore di ricerca dei tribunali del governo, noto come Public Access to Court Electronic Records (PACER), vi farà pagare 8 centesimi a pagina per leggere i documenti di pubblico dominio, una tariffa che nel 2006 ha fruttato alla magistratura federale 50 milioni di dollari di profitti. Con il suo costo elevato e le sue funzionalità limitate, i critici definiscono il sistema un’assurdità nell’era di Google, dei blog e di Wikipedia, dove l’informazione è gratuita e la larghezza di banda, lo spazio su disco e la potenza di elaborazione lo sono quasi altrettanto.

Subito dopo, entra in gioco Carl Malamud, e il giornalista descrive con cura in che cosa si concretizzi il suo attivismo:

«Il sistema PACER è la parte più difettosa del nostro meccanismo legale federale», afferma Carl Malamud, che dirige il gruppo no-profit di open-government Public.Resource.Org. «Hanno una mentalità da mainframe». Ora Malamud sta facendo qualcosa al riguardo. Chiede agli avvocati di donare i loro documenti PACER uno per uno, che poi classifica e raggruppa in file ZIP pubblicati gratuitamente sul sito web della sua organizzazione. Questo sforzo, che dura da un anno, gli ha permesso di ottenere il 20% di tutti i file presenti su PACER, comprese tutte le decisioni delle corti d’appello federali degli ultimi 50 anni.

Le motivazioni di Malamud sono nobili, e la sua passione è veramente forte, quasi una missione di vita:

Il progetto è importante, dice, perché i documenti dei tribunali fanno parte del tessuto di una democrazia e dovrebbero essere liberamente accessibili ai cittadini. «Stiamo cercando tutto il materiale legale primario degli Stati Uniti», afferma Malamud. «È parte del sistema operativo americano e pensiamo che debba essere open source». Malamud è un uomo abituato a trovare modi per fornire un accesso online gratuito e semplice ai documenti governativi. Nel 1995, il Securities and Exchange Committee decise di mettere online i documenti societari solo dopo che Malamud lo spinse a farlo. Per due anni ha gestito un sito gratuito che [p. 129 modifica] pubblicava i documenti, poi ha staccato bruscamente la spina e ha indirizzato gli utenti arrabbiati alla SEC. Da allora ha vinto battaglie per liberare il catalogo nazionale dei diritti d’autore, l’archivio delle leggi statali dell’Oregon e il database dei brevetti e dei marchi degli Stati Uniti. Ora sta cercando di ottenere i video delle udienze del Congresso, i codici edilizi costosi ma privi di copyright e il Codice dei Regolamenti Federali, oltre a tutti gli atti giudiziari contenuti nel database PACER. Sebbene il budget di Malamud sia di appena 1 milione di dollari all’anno, egli può contare su una sovvenzione equivalente da parte del gruppo filantropico del fondatore di eBay Pierre Omidyar e sull’aiuto di influenti amici del settore tecnologico come Tim O’Reilly, Paul Vixie e Larry Lessig.

Il sogno di Malamud, di liberare, in un certo senso, il diritto dai tribunali, non è però ben visto da tutti, ed è naturale che si generino frizioni con il sistema. Il giornalista di Wired ascolta, infatti, anche altre voci:

Malamud sogna un giorno in cui i documenti legali del PACER siano gratuiti, in modo che accademici e imprenditori possano creare motori di ricerca personalizzati e nuovi strumenti per rendere le informazioni disponibili ai cittadini americani. Ma questo è ciò che PACER fa ora, come spiega il portavoce dei tribunali degli Stati Uniti Richard Carelli. «PACER è la più grande conquista tecnologica del sistema giudiziario degli ultimi 20 anni», afferma Carelli. Il sistema di ricerca ha già rivoluzionato l’accesso agli atti giudiziari, sostiene Carelli, evitando lunghi spostamenti verso i tribunali federali e riducendo le tariffe per le fotocopie. PACER sta anche sperimentando la possibilità di rendere disponibili online le registrazioni audio digitali dei casi e, almeno durante la fase pilota, una copia di un file audio costa solo 8 centesimi, indipendentemente dalla lunghezza. Inoltre, il PACER offre già ai suoi 900.000 utenti l’accesso gratuito ai pareri giudiziari, e i cittadini non devono pagare se guardano meno di 10 dollari di documenti all’anno, dice Carelli. In effetti, il PACER è rivoluzionario ed economico se paragonato ai tribunali statali e locali che non hanno alcun archivio elettronico, o che fanno pagare 5 dollari solo per eseguire una ricerca di documenti, anche se non dà alcun risultato, come nel caso della Corte Superiore di Los Angeles. Ma l’interfaccia di PACER sembra progettata per il Dipartimento dei veicoli a motore e il sistema non offre alcuna possibilità di ricerca nel testo dei documenti legali. Siete interessati a trovare tutti i casi di pirateria musicale o a scoprire quante volte Steve Jobs viene citato in un documento giudiziario? Volete essere avvisati via e-mail quando c’è una nuova archiviazione in un caso specifico? Che ne dite di un feed RSS delle decisioni di un determinato tribunale? Il PACER non vi aiuterà.
Chi vuole informazioni del genere? Tim Stanley, l’amministratore delegato di Justia.com, per esempio. Dopo aver venduto la sua società di contenuti giuridici Findlaw a una delle più importanti aziende di editoria legale del Paese, West Publishing, Stanley ha avviato una redditizia società di web design per studi legali. Utilizza i ricavi per regalare documenti legali attraverso il motore di ricerca Justia.com. «West guadagna miliardi di dollari vendendo materiale che noi vogliamo regalare gratuitamente», si vanta Stanley. Justia consente ad accademici e giornalisti di seguire gratuitamente i casi di interesse e pubblica online alcuni fascicoli di casi [p. 130 modifica] che possono essere consultati da tutti. La sua azienda ha acquistato e digitalizzato tutte le decisioni della Corte Suprema, ha creato il primo motore di ricerca gratuito e le ha donate a PublicResource.org. Ora Justia sta collaborando con la Cornell University per introdurre alcuni strumenti Web 2.0, tra cui le pagine wiki per le decisioni, il monitoraggio automatico delle citazioni nelle decisioni e gli strumenti per tenere traccia delle memorie scritte da un determinato avvocato. Altri sforzi includono AltLaw.org, un motore di ricerca legale gratuito creato dai professori di legge Tim Wu e Paul Ohm, e la completa Public Library of Law di Ed Walter, che copre anche i tribunali statali.

Nell’articolo di Wired vi è, anche, il riferimento esplicito a questa attività di verifica della presenza di dati personali, che Malamud effettua su tutti i documenti provenienti da PACER:

Alcuni problemi sono emersi quando i vecchi fascicoli dei tribunali sono migrati online e sono stati indicizzati da Google e da altri motori di ricerca. Malamud racconta di essere stato contattato da persone scioccate dal fatto che una vecchia causa in cui erano stati coinvolti fosse improvvisamente comparsa nei risultati di ricerca con il loro nome; attualmente sta bloccando i motori di ricerca dall’indicizzazione dei suoi file PACER tramite robots.txt. Malamud sostiene che ci sono anche enormi violazioni della privacy che si nascondono all’interno di alcuni documenti giudiziari, poiché cancellieri, giudici e avvocati non rispettano le regole su ciò che può o non può essere contenuto nei documenti legali. Public.Resource.org ha utilizzato alcuni strumenti software primitivi per cercare i numeri di previdenza sociale nei documenti giudiziari di 32 tribunali distrettuali. I risultati: 1.700 documenti confermati, tra cui uno di un tribunale del Massachusetts che conteneva un elenco di 54 pagine di nomi, problemi medici, numeri di previdenza sociale e date di nascita di 353 pazienti.
Malamud sostiene che la soluzione a questi problemi è una maggiore trasparenza, non una minore. «I gruppi di interesse pubblico e il pubblico in generale, quando hanno accesso a questi documenti pubblici, sono in grado di fornire il tipo di feedback che porta alla correzione di questi problemi di privacy», ha detto di recente Malamud agli amministratori dei tribunali statunitensi. «Se vogliamo essere seri riguardo alla privacy personale, possiamo farlo solo se siamo seri anche riguardo all’accesso pubblico».

Il passaggio dell’articolo che riguarda il periodo di prova gratuito del servizio, e che è sembrato a Malamud il momento migliore per agire, armando un esercito di ragazzi con chiavette USB (“Thumb-Drive Corps”), è di centrale importanza per gli investigatori:

Ma l’Ufficio amministrativo dei tribunali degli Stati Uniti ha già sperimentato la possibilità di rendere PACER gratuito per il pubblico, trovando molti punti deboli. Nel 2007, l’ufficio ha lanciato una sperimentazione in 16 biblioteche del Paese che consentiva l’accesso gratuito illimitato dai computer della biblioteca. La sperimentazione è stata sospesa lo scorso settembre, dopo che Malamud ha incoraggiato i [p. 131 modifica] volontari a recarsi nelle biblioteche e a scaricare un gran numero di casi su chiavette USB per poi donarli al pubblico.
Carelli non ha voluto dire perché il processo è stato sospeso, né se la “Thumb-Drive Corps” di Malamud sia stata la causa di tale decisione. Anche Malamud non vuole parlarne, ma in una lettera ai tribunali dello scorso ottobre ha fatto notare che la sperimentazione interrotta «è stata condotta senza alcuna linea guida scritta o orale sull’uso appropriato».
Malamud dice che non vede l’ora che arrivi il giorno in cui non dovrà più ricorrere al sistema. «Se avessi 10 milioni di dollari, farei una copia di tutti i documenti e la farei finita»

L’articolo che abbiamo appena analizzato apre tante strade interpretative agli agenti dell’FBI, che cominciano a unire i puntini e a comprendere che cosa fosse successo. Vi è, ormai, la quasi certezza che il DVD allegato alla lettera contenesse i file provenienti da quel periodo di prova.

Lo step investigativo successivo dell’FBI si concentra sulle persone e riguarda l’identificazione di chi fosse stato ad accedere, studiando le modalità attraverso le quali aveva operato. Si analizza, in altri termini, il processo di login.

In pochi giorni, l’FBI viene a sapere che l’indirizzo IP di Amazon usato per le operazioni collegate all’accesso al sistema PACER appartiene a tale Aaron Swartz, del quale riescono ad ottenere un numero di telefono e un indirizzo nei pressi di Highland Park. La scheda di Aaron in possesso dell’autorità inizia a riempirsi di dati. Ha una pagina web, che viene visionata con cura dagli investigatori per raccogliere le prime informazioni. Il sistema non restituisce precedenti penali. Nel fascicolo finiscono anche il suo numero di previdenza sociale, una sua foto e tanti altri documenti pubblici, compresa una recente attività collegata al sito whatchdog.net.

Il sopralluogo per identificarlo non va a buon fine, per il rischio dell’agente di essere scoperto.

Il 12 febbraio del 2009, il New York Times pubblica un articolo intitolato “Uno sforzo per aggiornare il sistema di archiviazione delle corti in maniera gratuita e facile”; in questo articolo viene intervistato proprio Swartz, sulla compromissione del sistema PACER. Anche in questo articolo, che finirà nel fascicolo, si parla dell’invito fatto da Malamud a tanti attivisti di andare nelle diciassette biblioteche che offrivano accesso gratis e di scaricare più documenti che potevano, per poi mandarli a lui per la pubblicazione sul web.

Swartz rispose, e scaricò i documenti; gli avvocati dei due li rassicurarono, dicendo che non avevano infranto alcuna legge, ma li consigliarono di rimanere un po’ nell’ombra, di tenere un basso profilo. Del resto, il New York Times aveva una diffusione mondiale.

Quando l’FBI inserì anche questo articolo nel fascicolo, apparve interessante il sottotitolo: “Aaron Swartz used a free trial of the government’s Pacer system [p. 132 modifica] to download 19,856,160 pages of documents in a campaign to place the information free online”. Vi era un preciso riferimento a un’azione di Aaron.

Anche il contenuto di questo servizio, come l’articolo di Wired, è, del resto, perfettamente idoneo a richiamare l’attenzione degli investigatori.

Si apre, in particolare, proprio con la descrizione dell’azione di un gruppo di attivisti:

Gli americani si sono abituati a trovare online qualsiasi cosa desiderino in modo rapido e gratuito. Ma per chi cerca decisioni, memorie e altri documenti legali di un tribunale federale, non c’è Google. C’è invece Pacer, il sistema di accesso pubblico ai registri elettronici dei tribunali gestito dal governo e progettato ai tempi dei modem telefonici. Macchinoso, arcano e non gratuito, è tutto ciò che Google non è. Di recente, tuttavia, un piccolo gruppo di attivisti dedicati all’open-government si è unito per spingere il sistema dei registri giudiziari verso il 21° secolo, semplicemente accaparrandosi enormi porzioni del database e regalando i documenti, con grande disappunto del governo.

Carl Malamud è presente anche in questo scritto, e conferma il suo approccio critico nei confronti del sistema:

«Pacer è semplicemente orribile», ha dichiarato Carl Malamud, leader dell’iniziativa e fondatore di un gruppo no-profit, Public.Resource.org. «Il sistema è obsoleto da 15 a 20 anni». Peggio ancora, ha detto Malamud, Pacer prende informazioni che secondo lui dovrebbero essere gratuite, e i documenti prodotti dal governo non sono coperti da copyright, e fa pagare 8 centesimi a pagina. La maggior parte dei servizi privati che consentono la ricerca, come Westlaw e Lexis-Nexis, fanno pagare molto di più, mentre i nuovi arrivati, come AltLaw.org, Fastcase.com e Justia.com, offrono alcuni documenti a basso costo o addirittura gratuitamente. Ma anche il costo apparentemente basso di Pacer aumenta quando i documenti giudiziari possono arrivare a migliaia di pagine. Le tasse vengono restituite ai tribunali per finanziare la tecnologia, ma il sistema ha un’eccedenza di bilancio di circa 150 milioni di dollari, secondo i recenti rapporti del tribunale. Per Malamud, mettere il sistema legale della nazione dietro un muro di denaro e di meccanismi separa la gente da quello che lui chiama il “sistema operativo della democrazia”. Così, nel 2008, utilizzando 600.000 dollari di contributi, ha acquistato un archivio di 50 anni di documenti delle corti d’appello federali e li ha messi online. Entro quest’anno, era pronto a operare sul più ampio database dei tribunali distrettuali. Questi tribunali, con l’aiuto del Government Printing Office, avevano aperto una prova gratuita di Pacer in 17 biblioteche del Paese. Malamud ha esortato i colleghi attivisti a recarsi in quelle biblioteche, a scaricare il maggior numero possibile di documenti giudiziari e a inviarglieli per la ripubblicazione sul Web, dove Google potrebbe indicizzarli.

A questo punto, il quotidiano presenta al pubblico la figura di Aaron Swartz e lo indica come l’unico responsabile dello scaricamento di quell’enorme quantitativo di documenti statali: [p. 133 modifica]

Aaron Swartz, un ventiduenne di Stanford che ha letto l’appello di Malamud, è riuscito a scaricare circa il 20% dell’intero database: 19.856.160 pagine di testo. Il Government Printing Office ha comunicato che il programma pilota gratuito Pacer era stato sospeso, «in attesa di una valutazione». Un paio di settimane dopo, un funzionario del Government Printing Office, Richard G. Davis, ha comunicato ai bibliotecari che «la sicurezza del servizio Pacer è stata compromessa». L’FBI sta conducendo un’indagine». Gli avvocati di Malamud e Swartz hanno detto che non sembravano aver violato alcuna legge, ma che era impossibile dire cosa avrebbero potuto fare i funzionari governativi arrabbiati. All’ufficio amministrativo dei tribunali, una portavoce, Karen Redmond, ha detto di non poter commentare il problema della prova gratuita di Pacer, né se ci sia stata un’indagine penale sul download di massa. Il programma gratuito «non è terminato», ha detto la Redmond. «Dobbiamo solo vedere cosa succederà dopo l’indagine». Per quanto riguarda il costo del sistema, ha detto: «Siamo al massimo dell’economicità. Stiamo parlando di pochi centesimi a pagina». Nel frattempo, i 50 anni di sentenze d’appello rimangono online e accessibili a Google, mentre i 20 milioni di pagine di sentenze delle corti inferiori sono disponibili in blocco, ma non sono ancora facilmente ricercabili. «Voglio l’intero database nel 2009», ha detto Malamud.

L’articolo si conclude con un’ulteriore attenzione all’attività di Malamud e del suo team:

Malamud ha detto che i suoi anni di attivismo lo hanno portato a fissare un obiettivo a lungo termine: prestare servizio nell’amministrazione Obama, forse anche come capo del Government Printing Office. Il pensiero potrebbe sembrare inverosimile: Malamud è, per sua stessa ammissione, più un tipo da barricate che da scrivania. Ma ha notato che l’anno scorso ha pubblicato più pagine online di quante ne abbia pubblicate l’ufficio stampa. Malamud rappresenta una prospettiva di apertura e trasparenza che è molto in sintonia con quella della nuova amministrazione, ha detto Lawrence Lessig, professore di legge ad Harvard e principale sostenitore della cultura libera. L’idea sembra avere una certa attrattiva anche per John D. Podesta, un fan di lunga data di Malamud e capo del team di transizione di Obama, che tuttavia si è astenuto dal fare qualsiasi cosa che possa essere interpretata come un’approvazione. «Sicuramente darebbe una scossa alle cose», ha detto Podesta, ridendo.
Malamud dice di non contare sul fatto che la nuova amministrazione sia così audace. Inoltre, ha detto, si tiene terribilmente occupato a fare ciò che secondo lui il governo dovrebbe fare in ogni caso. «Se sarò chiamato, sicuramente mi renderò utile», ha detto. «Ma se non sarò chiamato, probabilmente mi renderò utile comunque».

Il caso, e l’indagine dell’FBI, cominciarono pian piano a sgonfiarsi.

Innanzitutto, non venne ravvisata una compromissione delle password, né un’ipotesi di accesso abusivo al sistema informativo. Certo, Aaron era ben consapevole che il suo accesso non era autorizzato e, quindi, stava operando in [p. 134 modifica] violazione dei termini contrattuali, dal momento che stava usando un codice di accesso non appartenente a lui e aveva superato il limite di un’ora di collegamento per utente imposto dal sistema, ma il suo comportamento non raggiungeva la gravità prevista dalle norme penali.

Il 14 aprile del 2009, circa due mesi dopo l’apparizione di Aaron sul New York Times, un agente speciale dell’FBI fece una telefonata per cercare di parlare con lui. Rispose una donna – sua madre – che disse che Aaron non era più reperibile a quel numero e che non aveva un altro numero a cui essere contattato. L’agente dell’FBI lasciò un messaggio, la madre assicurò l’investigatore che avrebbe inviato quel messaggio per e-mail ad Aaron.

Quando Aaron richiamò, la conversazione fu molto breve. L’agente disse che si stava informando su come avesse fatto ad accedere al sistema PACER per poter rimediare ad eventuali vulnerabilità. Aaron non disse nulla perché voleva, prima, parlare con il suo avvocato.

Quando Aaron contattò di nuovo l’FBI, domandò esplicitamente se vi fosse un’investigazione ufficiale aperta su di lui o se fosse solo una raccolta preliminare di informazioni. Siamo attorno al 15 aprile del 2009, e l’agente speciale è costretto a rispondere che, sì, c’è una investigazione aperta su di lui. Aaron, un po’ ingenuamente, domanda all’agente se deve contattare un avvocato per farsi rappresentare. L’agente conclude la conversazione dicendo che non può fornirgli consigli su quel punto.

Il giorno successivo, il 16 aprile 2009, l’FBI interroga anche Carl Malamud. L’attivista è molto trasparente: dice di essere stato contattato da Aaron, che era uno dei suoi volontari, che era in possesso di dati, e di averglieli fatti caricare sul suo sito. Dichiara all’FBI che non pensava che tale comportamento fosse illegale, e che né lui, né Aaron erano degli hacker in senso criminale. Non aveva pagato alcuna somma a Swartz, né Aaron era un suo dipendente: si conoscevano e collaboravano da dieci anni.

Pochi giorni dopo l’ascolto di Swartz e Malamud, l’FBI decise di chiudere questo caso: era il 20 aprile del 2009.

Sia Swartz, sia Malamud avevano, però, avuto una grande esposizione mediatica, erano finiti sulle pagine della stampa internazionale, erano stati associati al mondo della criminalità informatica e a quegli hacker che, in quel periodo storico, erano visti come soggetti ostili al governo e, soprattutto, erano ora – tutti e due – negli archivi dell’FBI.