Adone/Nota al testo/4. Il Marino in Francia e i mss. dei primi tre canti

4. Il Marino in Francia e i mss. dei primi tre canti

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4. Il Marino in Francia e i mss. dei primi tre canti
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[p. 763 modifica] [p. 764 modifica] l’aggionta della fabrica nuova, che non sono le fondamenta vecchie. L’ho diviso in dodici canti assai lunghi, talché il volume sará né piú né meno quanto la Gierusalemme del Tasso...» [lett. n. no]. E ancora: «... l’opera è molto dilettevole, divisa in dodici canti, ed ho a ciascuno fatte far le figure: il volume sará poco meno della Gierusalemme del Tasso...» [lett. n. in]. Non è risoluzione da poco; la sfida al Tasso era ormai bandita dal famigerato rifiuto, due anni prima, di scrivere «quattro argomenti» per la Gerusalemme liberata: «...Iddio mi dotò (la sua mercé) d’intelletto tale, che si sente abile a comporre un poema non meno eccellente di quel che si abbia fatto il Tasso. E s’io dicessi che giá l’ho fatto e che lo farò comparire alla luce riavuti che avrò i miei scritti [sequestratigli da Carlo Emanuele di Savoia all’epoca della prigionia torinese], non direi forse mentita. E se sará per avventura manchevole in alcuna di quelle parti, nelle quali il sudetto è stato singolare, abbonderá forse di molte di quelle condizioni nelle quali egli è stato difettoso ... » [lett. n. 77]. Solo che a quel punto l’ombra della Gierusalemme distrutta poteva ancora servire da ipotesi di copertura: ora si trattava di opporre, al grado supremo del poema eroico, un poema mitologico che « piace tanto a tutti gli amici intelligenti » e che, per la sfida al Tasso, si basa sul puro calcolo delle esterne dimensioni (dodici canti) e su una tecnica, rispetto all’originario poemetto, di vasto respiro architettonico (si rifletta alla dialettica struttiva della « fabrica nuova » con le « fondamenta vecchie »).

Avaro, con la passata in Francia, e fino al ’19, si fa l’epistolario. Chiamato oltralpe da Maria de’ Medici, il Marino legò le sue fortune francesi alla Regina e al potentissimo favorito di lei, Concino Concini. Il Tempio innalzato in Lione (1615) alle virtú della Regina è mediato da una dedica a Leonora Concini detta Galigai, gli Epitalami (Parigi 1616) sono preceduti da una dedica al Concini stesso, che piú espansiva ed esaltatrice non si potrebbe. E piú compromettente. Perché di lí a un anno la sfrontata avventura del Maresciallo d’Ancre sarebbe finita come doveva finire, e probabilmente il Marino si trovò a dover distruggere quanto piú gli riuscisse, del suo passato all’ombra di lui (donde la penuria dell’epistolario per quegli anni). Intanto, l’Adone era arrivato alle soglie della stampa: «... L’Adone è in procinto di stamparsi », annunciava il Marino a un amico di Parma, nell’inviargli il volumetto fresco di stampa degli Epitalami, « e finalmente è ridotto a tale ch’è quasi maggior del Furioso, diviso in ventiquattro canti... » [lett. n. 121]. Da « poco meno della Gierusalemme » a « quasi maggior del Furioso », [p. 765 modifica] da dodici a ventiquattro canti, il lavoro, parrebbe, concresceva vertiginosamente su se stesso.

Ora, noi possediamo in due codici (il Madrileno, Bibl. Naz. 12894, e il Parigino, Bibl. Nat., ital. 1516 [mss. étr. 345]), il primo copia dell’altro, una redazione di tre primi canti dell’Adone (contenutisticamente corrispondenti, molto all’ingrosso, agli attuali primo, secondo, e terzo, piú una parte del quarto con la favola di Psiche), risalente proprio a quello scorcio di tempo, fra il ’ió e il ’17. La redazione si apre con una dedica in ottave al Concini e questo spiega abbastanza, sul piano esterno, perché la stampa non si realizzasse. Vorremmo però dire una cosa. L’esame di quella redazione appare, rispetto alle attese suscitate dalle notizie sul poema che siamo andati via via rintracciando, deludente. Si ha l’impressione, davvero, a quello stadio, che i nodi umbilicali col <• poemetto » originario non siano stati tagliati, insomma che questo Adone sia cresciuto, e stia crescendo, di certo, ma ben addentro ai limiti di una crescita per interposta materia, non per il radicale sconvolgimento apportato dalla coincidenza dell’Adone col «poema grande». Riprendiamo la lettera (del ’i6) all’amico parmigiano: « L’Adone è in procinto di stamparsi ... Gli amici se ne compiacciono e mi sforzano a publicarlo. Non so come riuscirá, ma insomma è fabrica risarcita, o (per meglio dire) gonnella rappezzata. La favola è angusta ed incapace di varietá d’accidenti; ma io mi sono ingegnato d’arricchirla d’azioni episodiche, come meglio mi è stato possibile ... ».

Si è usi a dare non molto rilievo a queste riserve d’autore; pure, si dovrá concluderne che il Marino era diviso fra un progetto (del quale seguitava a cercare, senza trovarla, la chiave) abbastanza fantastico (la gara col Tasso, con l’Ariosto ... ) e la realtá di materiali che, quando si andasse a stringerli per l’« atto irrevocabile della stampa », restavano ancora assai al di qua di quelle letterarie fantasie. Quanto, peraltro, di esse la mente del Marino si nutrisse, quasi procurandosene la temperatura fervida che gli ci voleva per l’invenzione, è anche troppo patentemente dimostrato dal famigerato catalogo dello pseudo Claretti.

Ma portiamoci ora a ridosso (1621) dell’inizio della stampa: « ... L’Adone si stampa, e giá 11’è tirata una gran parte. La stampa riesce magnifica, e veramente degna di poema regio, perché si fa in foglio grande con dieci ottave per facciata in due file; onde la spesa è grossa, per esser volume forse di trecento fogli ; e si fa il conto che sia per sette volte maggiore della Gierusalemme del Tasso. In dodici non si potrebbe ristampare, se non si facesse in piú tomi... » [lett. n. 158]. [p. 766 modifica] Non si tratta, materialmente, di un grosso poema che richiede un grosso libro, un pesante in folio ; si tratta di aver materializzato nell’idea astratta dell’un folio (riservato, nella Controriforma, ai monumenti dell’erudizione religiosa, oltre che ai libri liturgici) una illusione di poesia che coincida, al limite, con le possibilitá stesse della scrittura. «... le buone poesie non si misurano a canne; ma quando con la qualitá si accoppia insieme la quantitá, fanno scoppio maggiore; percioché le storiette e le cartucce alla fine son portate via dal vento, ed i volumi grossi e pesanti se ne stanno sempre immobili » [lett. n. 157].