Adiecta (1905)/I/XXXVII
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ELEZIONI
Musa mia dolce, che le alterigie
de’ carmi arcigni non hai sul viso,
3tu che rallegri l’ore mie grigie
di stravaganti scoppi di riso
e volentieri mostri la pelle
6dai larghi strappi de le gonnelle,
musa mia dolce, vieni, discendi
alla solinga mia cameretta;
9avide ai baci le labbra tendi,
libera i lacci della fascetta,
sciogli la chioma bruna e ricciuta
12e chiudi l’uscio. L’ora è venuta,
l’ora in cui l’odio fermenta e invade,
lurida peste, le menti e i cuori;
15in cui la gente giù per le strade
rutta bestemmie, rece rancori
e, masticando laide querele,
18inghiotte o sputa veleno e fiele.
Ognuno in queste turpi giornate
morde o calunnia, froda o minaccia.
21Lo sterco e il fango colto a manate
all’avversario si scaglia in faccia.
Riddano in piazza, lerci e impudichi,
24spie, deplorati, ruffiani e plichi,
e i giornalisti, tinta di loia
la meretrice penna d’acciaio,
27pur che sia piena la mangiatoia
vendon la feccia del calamaio
per imbrattarne l’onore altrui,
30quasi superbo che paghi Lui.
Indi, nell’ora concessa al voto,
cupi, nervosi, van gli elettori,
33parlando basso con viso immoto,
guatando come cospiratori
e in ogni canto dice un cartello:
36Votate questo!.... Votate quello!....
Entro la sala buia e fetente,
sozza la gromma vernicia i muri
39e intorno a un desco men che decente
seduti in cerchio cinque figuri
veglian con l’occhio cogitabondo
42l’urna di vetro dal doppio fondo.
S’apre la chiama. Nel pigia pigia
vota ciascuna pecora sciocca.
45Ardono alcuni di cupidigia,
ad altri l’ira torce la bocca,
ma quasi tutti, dopo votato,
48palpano il prezzo del lor mercato.
e tutti, uscendo, da un reo contagio
attossicato sentono il cuore.
51Chi entrò dabbene n’uscì malvagio,
chi entrò ribaldo n’usci peggiore,
chi vinse, il turpe bottino aspetta,
54chi perse, spera nella vendetta.
Ecco i comizi! Di quando in quando,
se non accade qualche sinistro,
57dall’urna falsa sbuca onorando
un frodolento caro al Ministro,
o un imbecille pien di commende;
60e l’un si compra, l’altro si vende.
Or perchè debbo far da mezzano
all’ingordigia di Calandrino?
63Perchè mi debbo lordar la mano
scrivendo il nome d’uno strozzino?
Perchè gettarmi nella battaglia
66sotto gli sputi della canaglia?
Musa mia dolce, sulla tua faccia
ride un giocondo color di rosa.
69Passerò lieto fra le tue braccia
il giorno laido, l’ora schifosa.
Sciogli la chioma bruna, e ricciuta
72e chiudi l’uscio. L’ora è venuta.