Abrakadabra/Il dramma storico/V

V. Meneghini puro sangue

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CAPITOLO V.

Meneghini puro sangue.

Da tempo immemorabile, alla vasta città dell’Olona non erano affluiti tanti forestieri da tutte parti del mondo.

Nella casa di ospitalità dell’antico Lazzaretto, ove, fino dal giorno antecedente, han preso alloggio trentamila persone — nei quattrocento palazzi di ferro che gli Anziani della famiglia hanno fatto collocare nel Campo Ausiliario, non trovasi più una sola camera disponibile. — Tutti gli alberghi di lusso, tutti gli asili gratuiti riboccano di gente.

E dire che siamo appena al mezzogiorno, e dalle cinque ferrovie giungono ad ogni tratto nuovi convogli — e innumerevoli aerostati, immense arche natanti negli spazi del cielo, si librano a trecento metri di altezza sovra il porto Corsico, attendendo il segnale della calata.

I tardi arrivati, disperando di trovare alloggio, si accalcano nelle vie, o nelle sale da rinfresco. Il grande Caffè Centrale della Associazione Gnocchi, verso un’ora pomeridiana ribocca di uomini, donne e bestie d’ogni paese.

— Gran bel Milano! — esclama uno dei vecchi abituati del Caffè, il quale da cinque ore sta seduto in compagnia di alcuni buontemponi sulla porta di Occidente. — Gran bel Milano! Per me, ho giurato di non uscir mai [p. 97 modifica] dalla mia città quand’anche a due miglia di distanza piovessero beccafichi arrostiti, come ai tempi di Mosè.

— Via! per una pioggia di beccafichi si potrebbe fare il sacrifizio di una piccola corsa in vapore! — dice un altro milanese. — Voi mi avete capito, caro Pirotta — in vapore!

— Che! tu! un uomo che possiede trentamila lussi di rendita... viaggi ancora coi veicoli gratuiti della Unione?

— Io amo di andare all’antica, mio caro Perelli; con questi malcreati palloni io lascio viaggiare i matti, che han voglia di rompersi il collo precipitando dall’altezza di due o trecento metri sulla cupola di qualche campanile!

— Non hai torto, mio caro Pestalozza! E pazienza se quei matti, che pretendono viaggiare nell’aria, rischiassero soltanto la propria vita!... Ma pur troppo la loro imprudenza è un continuo attentato alla sicurezza altrui. Anche ieri, causa quei maledetti palloni; avvennero quattro o cinque disastri nella nostra Milano... Il Guardapolli del giardino Balzaretti, mentre stava sulla porta della piccionaia distribuendo il grano alle bestie, ricevette sul ghigno il complimento di un lungo cannocchiale che uno dei viaggiatori si lasciò scappare di mano. Sulla piazza del Duomo, mentre la folla dei nullabbienti si accalcava presso la porta della decima Dispensa per ricevere il pane, venne a cadere una pioggia di grosse ostriche, le quali, ti giuro, non resero il miglior servizio alle nuche pelate di alcuni poveretti...

— Perciò.., viva sempre il cilindro! E dicano pure i balordi che noi siamo antiquari, retrogradi, codini, cappelloni, torrioni... Ma un buon cappello a cilindro...

— Della fabbrica Ponzone...

— Bravo! della fabbrica Ponzone! Da centoventisette anni la mia famiglia si serve in quel negozio! Oh!... vedi [p. 98 modifica] quanta gente vien su dalla strada dei medici!.... Forestieri arrivati di fresco!

— Se non m’inganno, debbon essere scienziati!

— Primati dell’intelligenza, si deve dire...

— Scienziati o primati fa lo stesso... Chiamali come ti pare meglio, sono e saranno sempre sinonimi di gabbamondo.

— Dove andrà ad alloggiare tutta questa gente?

— Con tutta la loro scienza, i signori primati dovranno rassegnarsi, e far di necessità virtù, dormendo a cielo scoperto.

— È proprio una vergogna che il municipio... cioè... volevo dire... come lo chiamano ora?...

— Il Consiglio di famiglia...

— C’è da perder la testa a imparare queste nuove denominazioni! Che ne dici, caro Perelli?... Hanno fatto un gran sfoggio di belle parole, ma nel fatto non si è punto avvantaggiato! Fra le nostre Giunte municipali e i moderni Consigli di famiglia non veggo gran differenza...

— Io direi piuttosto che siamo andati di male in peggio.

— Figurati se in una giornata come questa non si doveva pensare a far venire da Bergamo o da Como duecento o trecento case di ferro!... Signori no! ha detto il Sindaco... o Gran Proposto... come ora lo chiamano... Milano non deve ricorrere alle famiglie minori — non deve disturbare i vicini — Milano deve fare da sè! — Ed ecco... corpo di mille diavoli!... che per voler fare da sé, il Municipio... non ha saputo far nulla... e il decoro della città è compromesso!...

— Questo nostro Sindaco... o Gran Proposto... vuol durar poco nella sua carica!... Ho sentito certe campane... [p. 99 modifica]

— Parliamo a voce bassa... Voi sapete che io vado a pranzo da lui due volte la settimana... E non vorrei...

— Eh! non siamo più ai tempi della repubblica rossa! Ora si può parlare liberamente!...

— Non si sa mai... quello che può accadere... Io non ho dimenticato il precetto di mio nonno: delle autorità, dei magistrati, dei funzionari pubblici — fin quando sono in carica — bisogna dirne bene, salvo a lapidarli quando sieno caduti...

— Io poi, non ho tanti scrupoli, caro Perelli... Anche ai tempi della repubblica era permesso dir male dei sindaci e delle Giunte... Toglieteci il piacere di parlare contro il Municipio, e in verità non sapremmo come passare la vita... Volete che io ve la dica schietta e netta come la sento in cuore?... anche in codesta faccenda della pioggia artificiale io ci veggo del marcio...

— Sicuro che c’è del marcio! — sciamano in coro i circostanti.

— Qui sotto c’è qualche imbroglio, qualche brutto intrigo dei signori anziani...

— E aggiungete pure del Gran Proposto!...

— Quando si pensa che Parigi, Berlino, Lucerna, Varsavia, infine le principali città della Unione respinsero la proposta dell’esperimento!...

— Ciò significa che il meccanismo è difettoso...

— Io dubito piuttosto che una pioggia artifiziale possa recare gravi danni all’igiene pubblica, suscitando dalla terra evaporazioni pestifere... Questa dev’essere la vera ragione per cui i Municipii delle capitali più illuminate non vollero tentare la prova... Oh! vedrete! vedrete!... Grazie alla intelligenza ed al senno del nostro Municipio, avremo fra pochi giorni a Milano la petecchiale o la febbre gialla...

— Quanto a me, nessuno mi leva dalla mente che [p. 100 modifica] avremo una pioggia di acqua calda, la quale cremerà in poche ore tutta la vegetazione...

— Voi parlate di danni probabili e possibili; ma nessuno di voi ha avvertito il danno certo, reale, inevitabile.... la morte di tutti i pesci del lago...

— E tu credi, Pirotta, che tutti i pesci?...

— Oh, veh l’ingenua domanda! Poiché il lago deve bollire, ne viene di conseguenza...

— Sicuro! ne viene di conseguenza che i pesci si cuoceranno.., — Ora comprendo! — grida il Perelli, levandosi in piedi, e spalancando tanto d’occhi... — E quando i pesci saran cotti...

— Allora...!

— I signori del Municipio...

— Il Gran Proposto...

— Gli anziani...

— Una buona mangiata fra loro... alla barba dei gonzi, che hanno fatto le spese della pioggia!...

La strana conclusione dell’ultimo oratore fu accolta con una esplosione di viva, di applausi e di risa sguaiate. L’idea che il Gran Proposto e gli anziani del Consiglio avessero approvato l’esperimento della pioggia artificiale al solo scopo di fare un lauto pranzo con pesci del lago, percorse i crocchi vicini, ma venne respinta ben tosto e soffocata dai sarcasmi delle persone intelligenti. Un secolo addietro, quella assurdità grossolana e maligna avrebbe trovato eco nelle masse, e venti o trenta pappagalli del giornalismo l’avrebbero stampata per edificazione del popolo.