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V VII

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Non era più per Ermanno il caso di resistere, ma di amare. Anco se egli avesse potuto opporsi alla corrente che lo trascinava, non l’avrebbe voluto. La lotta che tende a debellare la felicità, è lotta da stolto.

Ermanno accettava il suo bene senza esaminarlo, nè calcolarne la durata; egli era felice, e per quanto gravi potessero essere le conseguenze del suo disinganno, non valeva certo la pena che loro si sacrificasse la gioja del presente. — Tutto ha fine in questo povero mondo! e l’uomo viene istintivamente predisposto a non curarsi di questa legge fatale che pesa sui destini del creato.

Eppoi, havvi forse da farne meraviglia se in quel periodo di tutta luce che si chiama giovinezza, l’uomo ragiona più col cuore che colla mente? Egli è solo allora che si spera ciò che si desidera; in quell’età di aspirazioni ardenti, non si bada gran fatto agli ostacoli che frappongonsi ad una meta prefissa. — Il senno e la ragione lasciano libero passo ai voli della fantasia che nel suo giovanile entusiasmo spiega arditamente le ali ad eccelse mire. — A vent’anni l’umile artista che abita la soffitta, e mangia pan nero, vagheggia il sorriso della dama che scorre i passeggi sdrajata in cocchio sontuoso; ronza con ingenuità veramente rara sotto le finestre di un ricco palazzo per incontrare lo sguardo di una giovinetta che sciupa [p. 55 modifica]tanto in guanti quanto egli potrebbe guadagnarsi col lavoro assiduo di un’anno.

Dal buco della sua soffitta egli ha il coraggio di palpitare per qualsiasi nobile donzella, avrà anche il coraggio di amarla, e la follia di sperare — Mormorate un po’ all’orecchio di quel povero paria: — ma disgraziato, non vedi che ti colse la più strana delle pazzie? Non pensi che fra te e quella giovinetta vi sta un’abisso senza fine? non pensi tu che sei povero, che dormi sulla paglia fra due cenci di lenzuola, mentre ella riposa fra i morbidi velluti? — Nella tua casa regna lo squallore, questa tua stamberga scarseggia financo di luce, ed ella abita invece un palazzo immenso, ove i tappeti, la seta e l’oro sono profusi con tutto lo splendore — Non vedi che tu ora sei vittima di un sogno, e che domani ridestandoti troverai amaro il tuo pane, insipida la tua acqua, orrida la tua soffitta?»

Ebbene, egli maravigliato vi risponderà che ben poco gli cale di tutto ciò, e ripigliando la sua miserabile esistenza proseguirà collo stesso ardore a sperare.

Ecco come il più delle volte si ragiona in gioventù. Non è che col frutto di una crudele esperienza imparata col volgersi degli anni che si cerca col dolce l’utile; egli è solo nella prima giovinezza che l’uomo lascia libero sfogo agli slanci del suo cuore senza calcolo d’interesse. Saranno follie, ma le sono dolci follie preferibili mille volte alla rigida diffidenza delle anime volgari che passano sotto i raggi ardenti del sole di gioventù facendosi scudo col freddo raziocinio inspirato da un cuore senza vita — La soverchia ragione nei primi anni di esistenza, non può essere che il frutto di ottusità di mente, e d’aridità di cuore — Meglio è ardere nel Vesuvio di un’illusione, che trascinare la vita fra fuochi fatui. [p. 56 modifica]

Malgrado che la notte fosse già di molto avanzata, tuttavia Ermanno non seppe decidersi d’andarsene a casa; egli aveva bisogno di abbandonarsi alla foga de’ suoi pensieri. Giammai la notte gli era parsa tanto bella, giammai il freddo raggio della luna gli era sembrato così malinconico — Errò per le vie della città senza darsi ragione della strada che percorreva: Si pensa forse ove si vada allorchè la mente è confusa ed eccitata da memorie soavi?

La mezzanotte era già trascorsa quando Ermanno giunse verso la sua abitazione. — Alzando a caso gli sguardi alla finestra debolmente rischiarata, vi scorse sua madre.

Ingrato, egli l’aveva dimenticata! — La buona donna infatti era tutta sconvolta per l’insolita assenza del figlio, ed invano aveva cercato riposo; il timore che fosse avvenuto qualche malore a lui, la tenne in una veglia angosciosa. Da due ore quella povera madre stava alla finestra spiando sulla via, e palpitando ad ogni risuonar di passo.

Ermanno entrò in casa, e subito ella gli corse premurosa incontro per sapere se fosse stato trattenuto da qualche incidente.

— Rassicurati madre mia, nulla mi è successo, rispose Ermanno stringendole la mano, sono stato da Ramati....

— Così tardi?

— Che vuoi, non mi lasciavano mai; se avessi saputo che tu mi aspettavi....

— Oh! non monta; temeva solamente.... non si sa mai di notte le strade non sono troppo sicure.

— Or via calmati buona mamma, sclamò il giovane accarezzandola, va a letto, va a riposarti che n’hai di bisogno.

— Che hai Ermanno, chiese ella sorridendo, mi sembri di buon umore stassera? [p. 57 modifica]

— Sì, non so perchè, ma sono tanto contento.

— Che Dio ti conservi sempre tale figlio mio?

Ermanno restò alzato ancora per qualche tempo sempre pensando alla graziosa fanciulla che tante prove d’amore gli aveva date in quella sera felice; baciò più volte il fiore che ella gli aveva posto fra le mani, indi lo collocò accanto ad un mazzolino di altri fiori appassiti — La freschezza dell’uno, ed il languore degli altri formavano uno strano contrasto che non sfuggì all’occhio di Ermanno — Poveri fiori! Ieri ancora erano belli e rigogliosi, oggi il soffio della materia passò sovr’essi, ed eccoli collo stelo curvato; di quei brillanti colori, di quel soave profumo appena rimangono pallide vestigia.

Ecco il passato! Pensò Ermanno sospirando; ma il suo sguardo si fermò allora sul fiore deposto ancor bello, ancor pieno di vita e di freschezza. Fu un raggio di speranza che sperdè la malinconia che già assaliva il povero giovane: Ecco il presente! gli mormorò una voce interna, ed egli baciò anco una volta lo stelo profumato del fiore che ridonavagli la speranza.

Andò a letto, si addormentò ed i suoi sogni furono una catena di rose che si rivoltava in giri senza fine. Si addormentò felice, e si svegliò felicissimo. Laura fu l’ultima parola della sera, e la prima del mattino.

Durante la giornata però, fu spesse volte preda di mesti pensieri; nel colmo dell’ebbrezza egli erasi dimenticato della prossima partenza di Laura; ed appena se ne rammentò, il suo cuore gemette amaramente.

— E sarà vero ch’ella debba allontanarsi, che non potrò più vederla? pensava fra sè.

Ciò che mitigava alquanto il dolore della separazione era senza dubbio la certezza di possedere l’amore di [p. 58 modifica]lei; ma finora ella non glie lo aveva detto; ed è tanto dolce il sentirsi dire che si è amato. D’altronde come trovare il tempo per strappare a Laura quella dolce confessione? I cugini le erano sempre dietro — Due giorni ancora, e poi ella partirebbe senza poter pronunziare la parola che doveva essere il sostegno del povero Ermanno nei giorni di amarezza.

Andò alla sera da Ramati, ma senza frutto, vale a dire senza poterle parlare da sola; non vi rimaneva che un giorno, l’ultimo. Alla vigilia della partenza il povero giovane pensò con tutte le forze del suo ingegno onde trovare un mezzo per parlarle; ma tutto fu vano, ed al mattino di quel giorno disgraziato, egli aveva ancor nulla risolto. Verso mezzogiorno gli nacque un’idea che gli parve buona; prese il cappello ed uscì frettoloso — Pochi minuti dopo egli entrava nel portone di casa Ramati.

Salì le scale coll’animo agitato dal timore e dalla speranza, e fu introdotto da un servo che lo lasciò in anticamera dicendogli: Le damigelle sono nel gabinetto da lavoro, il signor Alfredo è uscito col padrone.

— Bene, rispose Ermanno, annunziami alle signorine.

Il servo eseguì, e poco dopo ritornò per dirgli che poteva passare.

Il salotto da lavoro era assai ben riparato dalla luce giacchè entrandovi stentavasi a discernere gli oggetti; tanto è vero, che Ermanno si arrestò sulla soglia mormorando confuso:

— Mille perdoni madamigella Letizia se....

Per tutta risposta sentì una mano che aveva stretta convulsivamente la sua, ed una voce delicata e commossa che gli disse:

— Venga avanti signor Ermanno, la cugina Letizia è in giardino con mia madre, non tarderà molto a venire. In così dire Laura, giacchè era ben dessa, [p. 59 modifica]lasciò la mano di Ermanno per aprire un tantino le imposte onde lasciarvi penetrare un po’ di luce.

Ermanno sedette macchinalmente sulla seggiola ove ella lo aveva guidato, ma allorchè si vide solo con lei, sentì che gli mancava il coraggio di parlare; tutti i suoi proponimenti erano iti in fumo alla sola vista della giovinetta, e stette per qualche tempo a contemplarla senza far motto.

Laura rispose con un lungo sorriso al lungo esame che ei fece sul di lei volto; quel sorriso pareva un’eccitamento a farlo parlare; nella dolce espressione di quello sguardo che si fissava in lui, eravi un’aria sicura del perdono che poteva trovare per qualche parola troppo azzardata.

Ermanno tentò una seconda volta di parlare, ma inutilmente; la parola si ribellava sulle labbra. Eppure egli leggeva chiaramente nel placido sguardo di lei che i suoi detti erano aspettati; in quel sorriso languido eravi un’espressione voluttuosa ed affascinante che altro non poteva essere se non amore. Ma appunto l’incontro di quelle pupille mettevagli l’animo a soqquadro.

Laura ruppe per la prima il silenzio.

— Come mai, diss’ella, come mai caro signor Ermanno abbiamo la fortuna di vederlo qui a quest’ora? E sì dicendo si sedette a lui dappresso.

— Egli è madamigella, rispose Ermanno quasi balbettando, egli è che.... ella parte questa sera, non è vero?

— Ah pur troppo!

— E siccome non so se mi sarà possibile di venirla a salutare per l’ultima volta....

— Come? chiese Laura con accento di collera, ella avrebbe cuore di non venire alla stazione!... La sarebbe bella, e sì dicendo fece un gesto così espressivo [p. 60 modifica]di dispetto, che Ermanno fu a poco per stringersela al seno.

Vi fu un breve silenzio; la conversazione da bel principio erasi troppo inoltrata perchè quei due cuori non palpitassero violentemente — Infine Ermanno fattosi animo riprese con voce mesta.

— Dunque è proprio deciso?

— Oh! non me lo dica più, sclamò Laura, mi viene da piangere al solo pensarci. Anzi ho già pianto stamane, e per tutta la notte non potei chiudere occhio. Io prevedo che in quella brutta Milano morrò di malinconia; si sta tanto bene qui in Brescia!... e dopo tutto per darmi l’estremo colpo, ella ha tanto cuore di dirmi che forse stassera non potrà neanche venire a salutarmi! — Non potè proseguire, le lagrime le bagnavano gli occhi, e si portò singhiozzando il fazzoletto sul viso.

— Mi perdoni, madamigella, rispose Ermanno tutto commosso a quelle lagrime; mi perdoni. Io stesso non so più quel che mi dica, nè quel che mi faccia; da due giorni ho una spina in cuore che mi fa molto male; io non so ciò che succedette in me, ma è un fatto che oggi sento di soffrire! — Ella partirà dunque, ed io me ne resto qui solo!... Oh Laura, è inutile che io più oltre combatta per serbare il silenzio, non posso più tacere — Mi perdoni se le dico che colla sua partenza ella mi rapisce la pace, ma il mio dolore per il suo abbandono è troppo grande e non saprei celarlo — che più? non seppi reggere all’incertezza, e venni qui a quest’ora per sentirmi dire che ella serberà qualche memoria di questi giorni, e penserà talvolta a questo infelice che sente di perdere ogni bene in lei?

— Oh! sempre, sclamò Laura stringendogli la mano.

— Mi dica, proseguì egli, mi dica che nel suo cuore ella sente qualche cosa per me, che nel lasciarmi prova alcun dolore. Ciò mi sarebbe di gran conforto. [p. 61 modifica]

— Ermanno, signor Ermanno! E non sono per sè sole eloquenti queste lagrime? — Oh! io sono ben infelice; se la certezza del mio dolore le può arrecare qualche bene, lo sappia: Sì io soffro nell’abbandonare questa città, e tutto ciò perchè mi separo da lei che in sì poco tempo ho imparato a conoscere; ma ora non voglio più piangere, ora sono felice perchè ella pure si addolora per la mia partenza — Egli è ben doloroso questo destino che ci condanna a vivere separati; perchè non si può essere sempre là dove il cuore inclina? Perchè non si può sempre stare con chi.... si ama!

— Grazie Laura, sclamò Ermanno stringendole ambe le mani, grazie per queste parole che mi ridonano la vita — Mi prometta che ella penserà qualche volta a me, ed io le giuro che non avrò memoria se non per lei, che non avrò un palpito che non sia suo.

— Come potrei dimenticarlo! mormorò Laura.

Ermanno si strappò una medaglietta che teneva al collo, e presentandola a Laura le disse:

— Eccole una mia memoria. Questa medaglia è ciò che io abbia di più sacro; è di mia madre...

Laura la prese, la baciò, indi posela in seno; Ermanno proseguì:

— Mi permetta altresì che questa sera le consegni una mia lettera.

— Oh qual piacere!

— Con preghiera di non leggerla che al suo arrivo in Milano.

— Lo giuro.

— Ed ora a rivederci questa sera, ci saluteremo per l’ultima volta collo sguardo, e col cuore!