Trattato completo di agricoltura/Volume II/Piante annuali leguminose, oleifere e tessili/9

Del Lino

../8 ../10 IncludiIntestazione 21 ottobre 2023 100% Da definire

Piante annuali leguminose, oleifere e tessili - 8 Piante annuali leguminose, oleifere e tessili - 10
[p. 56 modifica]

del lino.

§ 801. Il lino (linum usitatissimum) è una delle principali produzioni dei terreni irrigabili della Bassa Lombardia, quali sono quelli delle provincie di Pavia, Lodi, Crema e Cremona, del Piacentino e della Lomellina. La coltivazione di questa [p. 57 modifica]pianta dovrebbe ora acquistare un nuovo impulso dallo stabilimento di macchine per la sua filatura, le quali hanno perfezionati i suoi prodotti, almeno in quanto all’uso, potendosi oggidì per tal mezzo ottenere dei tessuti d’una estrema finezza.

Il lino è coltivato in grandi proporzioni anche in Germania, nel Belgio, nell’Olanda, nell’Irlanda, sulle rive del Baltico e nei dipartimenti francesi del Nord. Anzi può dirsi che in Italia sia un prodotto eccezionale, desiderando questa pianta un clima umido ed un terreno fresco. Ecco perchè in Lombardia è coltivato soltanto nei terreni irrigatorj, ove dà un prodotto di filo quasi pari alle summentovate località, oltrechè nel nostro clima fornisce una quantità di semi assai superiore anche per qualità a quella dei climi più settentrionali.

Il lino nei paesi settentrionali umidi, atti alla produzione de’ foraggi, entra, dopo di essi, utilmente nella rotazione, come assai utilmente entra pure in quella delle nostre provincie che coltivano lino, col grandissimo vantaggio in confronto di que’ paesi, che presso di noi il lino matura prima, ed in una stagione tale che permette un secondo raccolto di melgone quarantino o di miglio. Nella Lombardia pertanto, ove non è coltivato il riso, entra nella rotazione come segue:

1.° Anno Melgone concimato.
2.° » Frumento bulato.
3.° » Spianata.
4.° » Spianata concimata.
5.° » Spianata concimata.
6.° » Lino e poi miglio o quarantino.

Talvolta, seminato in autunno, succede al frumento dopo una coltura agostana, od in primavera dopo una coltura jemale. Per dove si coltiva anche il riso, vedi il § 733, vol. I.

§ 802. Il clima conveniente alla coltivazione del lino è un clima temperato o caldo umido, poichè desso, seminato in primavera, non esige che 1200° gradi circa di calore, temperatura media, per fiorire, incominciando dalla germinazione, ed altri 450° per maturare il seme; e, se è seminato in autunno, matura il seme con 1450° gradi circa, calcolati dal momento che riprese la vegetazione in primavera, il che succede quando la temperatura media sia giunta a +10°.

§ 803. La composizione del lino, quantunque già indicata, [p. 58 modifica]è bene ch’io la ripeta, dovendo essa fornirci le norme per la scelta del terreno e del concime.

Lino senza semi. Semi di lino.
Potassa e soda 19,50 26,56
Calce 12,33 25,97
Magnesia 7,79 0,22
Ossidi di ferro e manganese 6,09 3,67
Acido fosforico 10,84 40,11
    »     solforico 2,65 1,00
    »     silicico 21,35 0,92
    »     carbonico 16,95 — —
    »     cloroidrico 2,50 — —
Cloruri alcalini — — 1,55
100,00 100,00.

§ 804. Dalla suesposta composizione chiaramente rilevasi che il terreno per la coltivazione del lino deve essere sciolto e profondo, non solo perchè il lino ha una radice unica e lunga, sprovvista quasi di radichette laterali, ma eziandio perchè tal sorta di terra mantiene maggiormente la freschezza, e perchè deve necessariamente contenere una buona proporzione di silice. Nè deve poi mancare l’argilla che fornisca la soda e la potassa, nè le materie vegetali in decomposizione, se vuolsi ottenere l’acido carbonico necessario allo sviluppo della pianta, e perchè rendasi solubile la silice contenuta. Se poi mirasi anche alla produzione del grano, il terreno dovrà contenere eziandio della calce e delle sostanze organiche animali, delle quali dirò più estesamente parlando dei concimi più opportuni pel lino.

Epperò, come dissi, il terreno migliore per questa coltivazione sarà il vegetale-argilloso-siliceo-calcare; profondo e soffice perchè mantenga la freschezza senza trattenere l’umidità; irrigatorio perchè artificialmente si possa supplire alla mancanza delle pioggie; quello insomma delle provincie Lombarde che vi ho accennate, ove il lino essendo inoltre alternato colla spianata viene ad essere fornito delle opportune sostanze vegetali in decomposizione.

§ 805. Ma dove vogliasi coltivare il lino in condizioni di terreno diverse da quelle che avventuratamente gode la nostra Bassa Lombardia, devesi indispensabilmente pensare al concime. Il coltivatore dovrà quindi esaminare quali siano le [p. 59 modifica]qualità del terreno nel quale intende di seminare il lino, e supplirvi alle mancanti, per mezzo degli opportuni emendamenti per le qualità fisiche, e coi concimi adattati per quelle chimiche. E soprattutto dovrà avvertire che questa pianta avendo, si può dire, una radice unica che s’approfonda di molto, per una tal disposizione il suo nutrimento riesce più difficile, epperciò richiede facilità a riscontrarlo, il che ottiensi coll’abbondare nella quantità dei concimi, e più ancora nel somministrarglieli in uno stato assai suddiviso e scomposto, e meglio ancora allo stato liquido, come usasi nelle Fiandre con meraviglioso successo. Volendo poi dare al terreno freschezza e materie vegetali decomposte, giova assai anche il sovescio di lupini seminati assai fitti e rivoltati sotterra prima che fioriscano, e tanto più presto se la semina del lino si voglia fare in primavera, poichè aspettando oltre i primi giorni d’aprile, la si ritarderebbe di troppo.

§ 806. Le varietà di lino comunemente coltivate in Lombardia sono due, il lino d’autunno, detto lino ravagno, ed il lino di primavera, detto linetto e lino di marzo, perchè ordinariamente vien seminato nella seconda metà di questo mese. In Francia e nella Germania queste varietà sono conosciute sotto altri nomi, poichè quanto più ci portiamo al di là del 47° di lat. N. il lino detto da noi d’autunno non resiste ai freddi del verno. Colà è tenuto in gran pregio il lino di Riga, tanto per la quantità di prodotto quanto per la finezza del suo filo; e vi è poi conosciuta la varietà a fior bianco, per distinguerla dalle ordinarie che hanno il fior bleu, già da tempo conosciuta in Fiandra, e rinvenuta ad Urbana in America. Quest’ultima varietà dà un filo più grossolano, ed ha il seme di color verde-giallastro. Del resto possiamo dire quel che già esponemmo per la canapa, cioè che la finezza del filo non dipende tanto dalla varietà quanto dalla rapidità di vegetazione favorita dal clima caldo-umido, dal terreno adattato o reso tale coll’abbondante concimazione, nonchè dal crescere le piante piuttosto fitte fra di loro. Fra noi le due varietà distinte di autunno e di primavera, rese tali dalla continua speciale coltivazione, richiedono ciononpertanto una diversa coltivazione, almeno per quanto spetta alla preparazione del terreno.

§ 807. Epperò, dovendo parlare della coltura del lino, dirò che il terreno per la semina della varietà autunnale si prepara colla coltura estiva, ossia lavorandolo profondamente due [p. 60 modifica]volte in estate, dopo il raccolto del frumento, o d’altro cereale che maturi almeno nel luglio, procurando di sminuzzare e polverizzare ben bene la terra. Il terzo lavoro, che deve essere concimato, si fa in settembre al momento della semina. Egli è poi tra il secondo lavoro fatto nei primi giorni d’agosto ed il terzo che si possono seminare i lupini pel sovescio, come già ve ne feci parola.

Non occorre poi dire che quando il lino d’autunno succeda al prato di spianata, od alle cotiche sovesciate in genere, è necessario un sol lavoro in autunno, e questo vuolsi ben fatto, cioè a solchi stretti e profondi, uguagliando meglio che si può il terreno colla zappa avanti di procedere alla semina. In ogni caso poi entro il mese di ottobre il lino desidera d’essere zappato, perchè soffre assai le male erbe, fra le quali le peggiori sono la bietola pratense, detta slavazzo, ed il grongo; la prima nuoce per le sue larghe foglie e robusta vegetazione, la seconda perchè serpeggiando sul terreno, avviluppa per larghi tratti co’ suoi finissimi steli le piante di lino.

Pel lino di primavera all’incontro si prepara il terreno colla coltura jemale, cioè con un’aratura in settembre od in ottobre, un’altra in novembre, alla quale si lascia in piedi il solco, ed una terza ed ultima in marzo all’epoca della semina, ben inteso che il terreno venga concimato avanti di quest’ultimo lavoro. Se però il lino succede alle cotiche, due sole arature saranno sufficienti, cioè la prima in novembre, anche dopo il pascolo della quartirola, e la seconda in marzo al momento della semina. Quando il terreno sia duro per siccità, si usa d’irrigare avanti l’ultimo lavoro.

La semina tanto del lino d’autunno quanto di quello di primavera deve aver di mira lo scopo finale di tale coltivazione, cioè se dalla pianta vogliasi il puro filo, oppure buona quantità di semi, od ambedue questi prodotti. Perciò la quantità di semi necessaria per un ettaro può variare d’assai, essendo necessario gettarne in abbondanza quando si desideri ottenere una maggiore quantità e migliore qualità di filo; e se invece si miri ad aver seme, la semina dovendo essere assai più rada, basterà una quantità di semente assai minore; ed una quantità media quando vogliasi e filo e seme. Epperò il peso della semente varia dai chilogrammi 140 sino ai 350; la Lombardia è quel paese che ne adopera una minor quantità, cioè dai 130 ai 150 chilogrammi; di più per [p. 61 modifica]la semina di primavera che per quella d’autunno, la di cui pianta ha maggior tempo per ramificare.

Per la riuscita di questa coltivazione giova moltissimo l’essere oculato nella scelta del seme, e sebbene da noi questi non degeneri così facilmente, come avviene nei paesi più settentrionali, pure di sovente può riscontrarsi immaturo, o misto a semi di altre piante, e specialmente a quelli di erbe pratensi, e segnatamente del lollio, lollierella e grongo, dalle quali si monda col crivello. Il seme ben maturo deve essere ben nutrito, pieno di colore castagno-cupo, pesante, lucido e scivolante fra le mani, quasi come untuoso.

Disposto adunque il terreno in ajuole o porche, come si farebbe pel frumento sul quale s’intenda di stabilire la spianata, si eseguisce la semina a gettata, indi vi si può sovrapporre qualche concime ben minuto, quale sarebbe il panello in polvere, la fuliggine, lo sterco colombino, ecc., meglio ancora spargendovi concimi liquidi; poi si copre e si uguaglia il tutto con un rastrello, e si appiana leggiermente con un rullo o borlone di legno. La germinazione succede in sette od otto giorni, quando il terreno sia già per sè umido, od inumidito artificialmente coll’irrigazione avanti l’ultimo lavoro. Nel caso poi che il seme fosse già in terra asciutta, e che la pioggia non arrivasse, abbisognerà irrigare leggiermente per infiltrazione, avvertendo però che in questa circostanza, per quanta precauzione si adoperi nell’introdur l’acqua nei solchi che dividono le ajuole, questa ne trascina sempre una porzione unitamente ad una certa quantità di seme, per il che la nascita sulla parte bassa delle dette ajuole riesce quasi sempre ineguale.

Il lino d’autunno desidera che la neve lo ricopra nel verno, poichè così meno facilmente soffre pel freddo: in primavera ben di rado si può zappare ricoprendo già di troppo il terreno, ed abbiam detto che devesi sarchiare in ottobre. Quello invece di primavera si sarchia, quando ai primi di maggio abbia raggiunta l’altezza di 0m,05 a 0m,10. Se la stagione fosse asciutta sarà necessario irrigare ogni 8 o 15 giorni a seconda della qualità del terreno, e ciò soltanto fino al principio della fioritura, la quale succede dai 20 ai 25 di maggio.

§ 808. Passati quindici giorni dalla fioritura, cioè verso la fine di giugno o principio di luglio, il lino incomincia ad ingiallire, perde le foglie lungo lo stelo, e le capsule che [p. 62 modifica]contengono i semi prendono un color bruno; allora può dirsi maturo e si passa a farne il raccolto. Alcuni volendo ottenere un miglior filo, non attendono il complesso di questi indizii; e lo raccolgono appena che alcune capsule incomincino ad imbrunire, od anche appena che ingialliscano gli steli.

Il raccolto si fa estirpando le piante a mano, avendo riguardo a prenderle in basso, onde non comprimere le capsule e perderne i semi; estirpati gli steli si ripongono colle radici all’insù, formandone dei mucchietti circolari, appoggiando l’un contro l’altro i manipoli di essi. In tal modo la pianta finisce di essiccare completamente, prima di trasportare il tutto sotto ai portici esposti al mezzogiorno, o sopra solari o cascine, dove sta da otto a dodici giorni, secondo che questi siano più o meno caldi e soleggiati. Se dopo questo decorso di tempo il lino non è per anco ben secco, si stende in buona giornata sull’aja colle cime rivolte a mezzodì, indi si prende il lino a manate, ed appoggiandone le cime sopra una forte tavola, si batte con una mazzuola appianata di legno, finchè veggasi che tutte le capsule siansi staccate, o per lo meno che tutti i semi ne siano usciti. In alcune località si usa far passare le manate di steli per una serie di denti impiantati piuttosto fitti sopra una tavola, ma con questo metodo talvolta o si perdono dei semi, o si perde del filo, perchè porzione degli steli viene strappata assieme colle capsule. Durante questa operazione si sciolgono i manipoli di lino per mondarli dalle erbe straniere che fossero state strappate assieme, e si separa il lino più lungo da quello più corto: ciò fatto si rilegano facendo dei fastelli più grossi, quanto cioè può contenersi in due mani. Il seme del lino, detto volgarmente linosa, si ventila e si vaglia per riporlo in granajo.

§ 809. Ben mondati e legati i fastelli, come si disse, si dispongono per la macerazione, la quale oggidì si eseguisce in quattro diverse maniere cioè, colla rugiada, coll’acqua corrente, coll’acqua stagnante e col vapore. Tutti questi metodi sono adoperati a seconda delle circostanze: quello però di macerare colla rugiada non è praticato in Lombardia, perchè in quell’epoca può dirsi che non ve ne sia, e perchè il lino dov’è coltivato in grande, gode dell’opportunità dell’acqua corrente che serve all’irrigazione, e dov’è coltivato in piccolo può sempre avere qualche piccolo maceratojo di acqua stagnante. Dovendo far macerare alla rugiada si opera come indicai per la canapa, § 799, stendendo il lino sopra [p. 63 modifica]un prato, e rivoltandolo frequentemente, riconoscendosi macerato sufficientemente quando le fibre corticali si staccano facilmente dalla parte legnosa per tutta la lunghezza dello stelo.

La macerazione coll’acqua corrente, che è il miglior metodo finchè l’industria non ne suggerisca dei migliori, più comodi e meno costosi, è quella che si costuma quasi dappertutto, e singolarmente in Lombardia, riuscendo assai facile per la quantità delle acque che attraversano per ogni dove questo paese, ove è stabilita l’irrigazione. Il maceratojo deve disporsi in luogo discosto dall’abitato, per tener lontane le cattive esalazioni che si sviluppano verso la fine della macerazione, e dove l’acqua possa essere rinnovata senza portar danno al libero corso delle acque d’irrigazione. Immersivi i fascetti di lino, nei primi momenti i superiori rimangono alquanto galleggianti, ma dopo a poco a poco da loro stessi vi s’immergono, per l’assorbimento dell’acqua nell’interno del loro tessuto. Ogni giorno i fascetti devono essere rivoltati, il che si eseguisce con una forca. Generalmente dopo sei o tutt’al più otto giorni il lino è completamente macerato, riconoscendosi dall’indizio più sopra marcato parlando della macerazione alla rugiada. Se l’acqua è limpida, non troppo ricca di calce e non troppo fredda, questo metodo dà un eccellente risultato, cioè un filo bianco, lucente e morbido; ma se l’acqua s’intorbida, o che sia troppo fredda riesce più ruvido e di un color grigio.

Per la macerazione coll’acqua stagnante si opera come per la canapa, procurando però che l’acqua non s’intorbidi nè s’imbratti troppo facilmente di terra, poichè il lino ne riceverebbe maggior danno di quella. Nell’acqua stagnante la macerazione è più breve, ma il filo riesce sempre di color grigio-giallastro, e di gran lunga meno apprezzato di quello macerato nell’acqua corrente, per quanto sia forse più morbido.

Macerato il lino, tanto nell’acqua corrente quanto nell’acqua stagnante, in Lombardia si fanno dei mucchi di 8 a 10 fascetti cadauno sopra un suolo di paglia o sopra una cotica appena falciata, si ricoprono con paglia bagnata o con tavole cui si sovrappone qualche leggier peso. Così disposti i mucchi dopo due o tre giorni incominciano a fumare pel calore che si sviluppa da una fermentazione che avviene negli ammassi. Allora, appena che si mostri questo indizio di riscaldamento, si disfanno i mucchi e si distendono ad asciugare [p. 64 modifica]sopra un prato appena falciato, oppure facendone dei manipoli conici appoggiando i fastelli legati in giro gli uni contro gli altri. Asciugato che sia il lino, dopo 8 o 10 giorni, si carica e si conduce al coperto ove subisce gli altri lavori all’uopo di separare il filo dalla parte legnosa. Nel frattempo che il lino è disposto ad asciugare è bene che non sia colto dall’acqua, poichè altrimenti riesce poco bello e poco pesante. La fermentazione che più sopra indicai farsi subire agli ammassi di fastelli, è fatta allo scopo che il filo meglio si separi dalla parte legnosa della pianta.

Considerando ora cosa succeda con tutti questi metodi di macerazione, vedesi che il tutto consiste nel riscaldare l’acqua che tiene ammollito il lino suscitandovi una leggier fermentazione, evitando nell’egual tempo ch’essa s’intorbidi e si imbratti onde non ne derivi nocumento al lino. Anche, la macerazione alla rugiada agisce nell’egual modo, producendosi quella lenta fermentazione o combustione per la quale si disorganizza la parte legnosa lasciando libera la parte filamentosa. Non si potrebbe dunque con mezzi più sicuri ottenere lo stesso effetto, cioè il riscaldamento dell’acqua ed il continuo cambiamento di essa, acciò il lino riesca bianco e lucente? Sì, ed ecco quanto l’industria oggidì avrebbe trovato. In America si pratica la così detta macerazione chimica per mezzo di tini muniti d’un serpentino col quale si eleva gradatamente la temperatura dell’acqua a +28° o 32°. Per tal modo l’operazione è compiuta in 60 od 80 ore. Altri ha dei tini a doppio fondo, capaci ciascuno di 800 chilogrammi di lino. Il vapore entrando pel falso fondo s’insinua fra i gambi delle piante e vi si condensa, l’acqua che ne risulta si smaltisce per uno scaricatojo, il che dà luogo ad una lavatura continua, per modo che il lino trovasi quasi come in una corrente d’acqua calda. In 72 ore l’operazione è compita. Il lino cavato dai tini vien sottoposto ad una forte pressione fra quattro coppie di cilindri di legno, poi seccato all’aria, indi alla stufa.

Questi processi, oltre che si possono sorvegliare e condurre a piacimento, somministrano delle acque residue che contengono da chilogrammi 1,50 a chilogrammi 2,00 di azoto per %, nonchè molte sostanze inorganiche solubili, che negli altri metodi vanno intieramente perdute. — Non è poi impossibile che la macerazione possa rendersi ancor più spedita coll’aggiungere all’acqua alcune sostanze che accelerino il distacco della [p. 65 modifica]parte legnosa dal filo. E in ogni modo ripeterò che sarà un gran vantaggio pei paesi liniferi l’allontanare una grave causa d’insalubrità coll’introdurre la macerazione chimica.

§ 810. Il prodotto del lino varia secondo che mirasi maggiormente ad avere filo o seme, od ambedue queste produzioni unite. E si può dire che il prodotto di filo diminuisce in proporzione che aumenta la quantità di semi. In Lombardia il lino marzuolo produce ettol. 11 grano e chil. 228 filo, ed il lino d’autunno ettol. 16 grano, e chil. 285 filo per ogni ettaro. Nei paesi settentrionali, ove si mira piuttosto al filo, il prodotto in filo è di chilogrammi 700 circa, proveniente da chilogrammi 4300 circa di steli secchi. Anche in Lombardia il prodotto medio può essere anche superiore a quello accennato.

In Fiandra si ottengono chil. 280 di grano ogni chil. 505 di filo.
Nell’Anjou 307 » 450 »
Picardia 268 » 332 »

Dai semi di lino si estrae il 28 per % di olio, e rimangono 72 di tortello o panello ricco del 6 per % di azoto. Questo tortello è assai adoperato in Lombardia per l’ingrassamento dei buoi.