Trattatelli estetici/Parte prima/VII. L'originalità

Parte prima - VII. L'originalità.

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VII.

L’ORIGINALITA’.

Frequentissima in bocca a quegli scrittori che studiansi di comparire originali è la frase: non vo’ leggere il tale o tal altro libro, che tratta tale o tal altro soggetto, perchè su questo soggetto medesimo ci ho a scrivere io pure. Ciò fa che moltissimi presumano esservi in que’ cotali una grande originalità, dacchè sdegnano di attingere ad altre fonti che non siano il proprio loro cervello. Quanto a me candidamente confesso, che in chi mi tiene siffatto discorso più facilmente immagino la ostentazione, o, se vuolsi, il desiderio dell’originalità, che l’originalità stessa. Essendo tuttavia quella frase, come ho già detto, frequentissima, e il mio parere su questo proposito potendo sembrare troppo particolare, mi fermerò qualche poco a dichiarare per una parte che cosa io m’intenda per originalità; e per l’altra che cosa significhi nella sostanza la frase prementovata. [p. 326 modifica]

Originalità è egli fare ciò che gli altri non hanno fatto? Non parmi: questo si chiamerebbe più propriamente singolarità. Originale, per mio gindizio, e credo per giudizio di ognuno che attribuisca alle parole il debito loro significato, è ciò che non è tratto d’altronde che da noi proprio, che sgorga spontaneo dal nostro cuore o dal nostro intelletto. In questo senso diciamo originale la tela che porta il lavoro di un dato maestro, a differenza dell’altre su cui uno scolaro, più o meno abile, condusse le linee e distese i colori, secondo gli furono dati ad imitare. Se non temessi di sviare il discorso per troppo arduo cammino, vorrei dimostrare avervi composizioni, che, quantunque nuovissime, non sono punto originali; e all’incontro altre essere originalissime, che per certi rispetti si tengono entro limiti assegnati dal costume e da una lunga esperienza. Ora, quantunque l’originalità sia riposta nel fare da sè, non è da credere che ciò significhi che altri non possa essere originale, giovandosi con certa misura di quello d’altrui. Il secreto dell’arte, e il merito principale di un intelletto privilegiato di cotesta originalità tanto ambita, consiste nel prendere l’altrui per maniera, che da noi rimpastato e messo in comune col nostro, vi s’identifichi, e rimanga cangiato in sostanza tutta a noi propria e naturale; non altrimenti di quello veggiamo accadere delle frutta o d’altro vegetabile, che per via della miste[p. 327 modifica]riosa assimilazione diventano linfa, sangue o altra parte dell’animale. E, a quella guisa medesima che alcuni stomachi infermi nou possono usare di alcuni cibi, in quanto che non hanno la forza necessaria a far loro subire il debito cangiamento, alcuni infermi intelletti è necessario che si astengano dal porsi con troppo studio a tale o tal altro modello, atteso il pericolo di rimanerne per modo improntati, da perdere af fatto la propria individualità. Prendeudo in tal guisa il timore, di cui a principio ho parlato, come un provvido e tacito ammaestramento della natura (che non manca di suggerirne a quando a quando quali cose ne convenga di fare, quali lasciare da parte) ho creduto di trovare indizii di un’indole poco disposta all’originalità in quel guardarsi dall’esaminare le opere altrui, che pur si vorrebbe che servisse a indicare una disposizione del tutto opposta. E, continuando nello stesso discorso, sia pittore o poeta, o altri che sia, non contemplano tutti la universa natura che li circonda, e di là non attingono materia alle loro ingegnose imitazioni? E perchè non potranno fare il somigliante coll’opere nelle quali la natura è imitata? Si dirà forse che in questo caso ricevono la materia dei loro studii, come a dire, di seconda mano, ciò ch’è vero per una parte; ma, per altra parte, non c’entra nelle imitazioni stesse una, quasi diremo, seconda natura intellettuale, che opera efficacemente sulla [p. 328 modifica]sensibile, ed è più ancora che questa meritevole di essere esaminata? Sia pure che l’armonia delle tinte si abbia ad imparare sulla mirabile tela, che ad ogni poco d’ora si cangia davanti ai nostri occhi nella continua vicenda del cielo; ma e gli accordi nella varietà de’ colori, trovati dai sommi artisti ad imitazione di quella primitiva armonia, non possono, o anzi non devono, insegnare qualche cosa di nuovo, a chi abbia sortito la facoltà di ricevere in sè, e tramandare agli altri quelle impressioni? Il grande pittore sa bene egli trarre dal roseo dell’aurora, o dal perso del mare in burrasca, un perso ed un roseo che non sono quelli del cielo e del mare; e non potrà, studiando la tavolozza dei maestri che lo hanno preceduto, derivare in altre tinte a lui proprie le tinte di que’ maestri? Diremo che le opere della natura siano esse sole feconde per l’imitazione? Negheremo all’incontro alle opere dell’arte fin anco la qualità di promovere, e di eccitare? Non foss’altro, non potranno i lavori d’arte servirci di guida a cogliere la natura per la via de’ contrarii?

Si opporrà forse a tutto questo discorso la inclinazione all’imitare, universale negli uomini; ma e non dee forse anche in ciò rimanere separato dalla condizione comune l’uomo straordinariamente disposto ad operar cose grandi? Non che debba credersi di diversa natura, o soverchiamente disforme dalla ordinaria: per essere [p. 329 modifica]singolare non s’intende esser mostro; ma una tempera più squisita d’animo e di fibre non può forse ingentilire questa generale tendenza all’imitazione, e guidarla per vie tutt’affatto particolari? E, ad ogni modo, a provare l’impenetrabilità d’un corpo, che monta il tenerlo lontano da quello che potrebbe penetrarvi? Quegli che, vedendo le prove di chi lo avea preceduto, esclamava: e anch’io sono pittore! non mostrava di ricevere nel più interno dell’anima la impressione più gagliarda a riceversi da quella vista? E tuttavia avrebbe lasciato mai sospettare che non altro sarebbe riuscito che un gramo imitatore, dato ancora che il tempo gli fosse mancato ad illustrare, come fece, il suo nome con lavori immortali? C’è chi soggiugne che, potendo rampollare in due menti le medesime idee a proposito di un soggetto medesimo, quegli che avesse preventivamente veduto l’opera altrui si asterrebbe dal metter fuori parte del proprio concetto, per tema di non comparire imitatore. Rispondo che ciò farà chi non abbia la coscienza della propria originalità in tutto il resto, valevole a redimerlo dalla taccia di plagio che, per una qualche rassomiglianza di particolari, gli venisse apposta da chi, non sapendo cssere aquila a volare, è sempre rana a gracchiare. Ma chi vuol dar retta alle rane? Appena l’ozioso che non sa come meglio passare il suo tempo, o il fantastico che mentre parli di ra[p. 330 modifica]ne, ripensa ai cori delle antiche commedie, o, più d’ogni altro, il fanciullo che ne va a caccia, si acquatta per appostarle coll’occhio, e, prese, le infila nel vinchio, o nella tenue vermena che ha tra le mani.

Staccandoci dalle lettere e dalle arti, e riferendoci, come per conclusione, ai costumi, sonovi molti i quali fecero divorzio dalla società con intendimento di comparire originali. Domandate loro le cose che accadono alla giornata, che hanno, come a dire, tra’ piedi; fanno le viste di cader dalle nuvole, e tengono il linguaggio degli smemorati. Ma che cosa avete fatto in questo mentre? Dormito? Viaggiato? Vissuto in relegazione? Pure le cose di cui vi parlo sono tali da battere negli orecchi degli addormentati, e destarii; da essere note in ogni paese, perchè si divulgarono col mezzo delle gazzette; e da penetrare, per poco non dissi, sia anco tra la oscurità e la solitudine degli ergastoli. Ma, ho capito; volete essere creduto originale, uomo che non è punto tocco da ciò che commove tutto il restante. Vi assicuro che non siete punto origiDale nell’infrenabile desiderio di essere notato a dito; questo desiderio vi mette a mazzo colla maggiore de’ vostri fratelli; quanto più vi studiate di radere in voi le vestigia della comune imperfezione, tanto più fate i solchi profondi, e più notabili le lividure. Polibio non vuole udire il parere di chicchessia, perchè vuole pronunziare [p. 331 modifica]il proprio immune da qualunque preoccupazione. E non è maggiore difetto, caro Polibio, quel tuo essere preoccupato in tal guisa in favore del proprio giudizio? Per altra parte, a che fare si poca stima della sodezza della tua mente, da credere che possa essere raggirata e stravolta a senno di chi parla? La tua originalità, in questo modo, è un’originalità non più che presunta; sei uccello che si lascia prendere ad ogni vischio, pesce che dà in qualunque amo, o peggio, camaleonte che ad ogni movere d’anca muta colore. La solitudine può essere cercata da chi ha nobile l’intelletto e l’animo gentile, ma non per questo di farsi originale; chi non sa rimanersi tale anche nel mezzo le genti, imiterà nel deserto le abitudini degli alberi e delle fiere. Forse che manca chi sappia calunniare il prossimo anche parlando da solo, chi essere avaro anche fuori de’ traffichi, o ambizioso anche avendo a testimonii non altri che le stelle del cielo e i fiori del campo? Ma così va appunto perchè molto rara, la originalità è ambita da molti, e perchè ambita da molti l’originalità sarà sempre patrimonio di pochi. E, a dirla in una parola, è cosa che, quando non si ha da natura, è inutile procacciarla coll’arte.