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sensibile, ed è più ancora che questa meritevole di essere esaminata? Sia pure che l’armonia delle tinte si abbia ad imparare sulla mirabile tela, che ad ogni poco d’ora si cangia davanti ai nostri occhi nella continua vicenda del cielo; ma e gli accordi nella varietà de’ colori, trovati dai sommi artisti ad imitazione di quella primitiva armonia, non possono, o anzi non devono, insegnare qualche cosa di nuovo, a chi abbia sortito la facoltà di ricevere in sè, e tramandare agli altri quelle impressioni? Il grande pittore sa bene egli trarre dal roseo dell’aurora, o dal perso del mare in burrasca, un perso ed un roseo che non sono quelli del cielo e del mare; e non potrà, studiando la tavolozza dei maestri che lo hanno preceduto, derivare in altre tinte a lui proprie le tinte di que’ maestri? Diremo che le opere della natura siano esse sole feconde per l’imitazione? Negheremo all’incontro alle opere dell’arte fin anco la qualità di promovere, e di eccitare? Non foss’altro, non potranno i lavori d’arte servirci di guida a cogliere la natura per la via de’ contrarii?

Si opporrà forse a tutto questo discorso la inclinazione all’imitare, universale negli uomini; ma e non dee forse anche in ciò rimanere separato dalla condizione comune l’uomo straordinariamente disposto ad operar cose grandi? Non che debba credersi di diversa natura, o soverchiamente disforme dalla ordinaria: per essere