Torniamo allo Statuto

Sidney Sonnino

1897 Indice:Torniamo allo statuto.djvu saggi letteratura Torniamo allo Statuto Intestazione 21 agosto 2014 100% Da definire

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TORNIAMO ALLO STATUTO




Omnia sunt incerta cum a jure discessum est.


Tra un anno si celebrerà in Torino, con una solenne esposizione nazionale, il cinquantesimo anniversario della concessione dello Statuto, cioè della base giuridica e storica delle nostre istituzioni rappresentative.

È ora il momento di raccogliersi e considerare con occhio sereno il cammino percorso in un mezzo secolo di storia parlamentare.

Con quale animo la nazione considera oggi le istituzioni parlamentari?

Lo scoramento innegabile che ha invaso l’universale, intorno al loro merito ed al loro avvenire, devesi veramente attribuire a difetti inerenti allo Statuto, nei suoi principî fondamentali, oppure alle dottrine accessorie con cui si sono via via voluti interpretare ed esplicare tali principî, alterandone e falsandone a poco a poco i concetti direttivi?

Senza dubbio alcuno, il parlamentarismo, quale si esplica in Italia, è ammalato; e conviene studiarne le condizioni ed approntare i rimedi, se non vogliamo vedercelo intisichire nelle mani, minato dall’indifferenza o dal disprezzo della nazione.

Non è, del resto, solo in Italia che ciò si verifica. Il Governo parlamentare è messo in questione in tutto il continente europeo, dovunque con questa espressione si è inteso il governo del Parlamento.

Ogni giorno si fa più viva in tutti la coscienza della fondamentale verità, che la semplice riunione, il cumulo degl’interessi [p. 10 modifica]particolari, sia pure rappresentati da tanti singoli aggruppamenti a base territoriale (collegi elettorali), non ci dà l’espressione sincera dell’interesse generale della Nazione, nè ci fornisce gli elementi sufficienti per tutelarlo e garantirlo.

Le accuse sostanziali contro il parlamentarismo, intorno a cui tanto si è scritto e detto in questi ultimi anni, si possono condensare in poche formole comprensive di verità generali e quasi evidenti.

L’interesse generale dello Stato non è identico, giorno per giorno, con la somma di tutti gl’interessi particolari, individualmente e soggettivamente considerati, e tanto meno lo è con la somma di un aggregato variabile di quegl’interessi sufficiente soltanto a costituire una maggioranza fuggevole di una metà più uno delle forze politiche che li rappresentano.

In un Governo fondato quasi totalmente sull’elezione manca nella alta direzione della cosa pubblica la rappresentanza dell’interesse collettivo e generale. Atto per atto predominano sempre gli aggregati di interessi personali o locali.

Nè si può tampoco appoggiare ogni atto di governo al solo principio del far piacere, lì per lì, a chi ne è l’oggetto, o dello ottenere la preventiva o contemporanea adesione della parte interessata.

Onde l’elemento elettivo apparisce meglio adatto a determinare l’indirizzo generale della legislazione e a sindacare l’azione del Governo, che non a governare, sia direttamente sia per delegazione.

Accade in questi tempi pel cosidetto parlamentarismo quel che accadde con il Governo assoluto, nel periodo in cui durava ancora e già l’opinione universale in Europa ne contestava la legittimità e l’utilità. Potrebbe venire rovesciato ad un tratto, e nessuno alzerebbe un dito per difenderlo, o lo rimpiangerebbe estinto.

Tutto ciò rappresenta un grave pericolo per l’avvenire della civiltà nostra; perchè, mentre il parlamentarismo è in pieno discredito, non vi è un insieme di dottrine che indichi, col consenso generale, una data e positiva evoluzione verso altro metodo, verso altra base di governo liberale e ordinato a un tempo. E intanto il socialismo si organizza minaccioso da un lato; il clericalismo con intenti teocratici dall’altro; despotismi soffocanti ogni libertà civile e morale, tanto questo che quello. [p. 11 modifica]

Da un canto si produce negli animi, per timore del crescere degli elementi sovversivi o per desiderio di una ferma restaurazione dell'ordine e della disciplina, un movimento conservatore, quasi reazionario, che piega sempre più verso la gerarchia ecclesiastica, come rappresentante e portavoce di una legge divina di moralità sociale da contrapporsi all'utilitarismo individuale.

Dall'altro lato si accentua un movimento socialista, che traendo forza dal malcontento, dall'attrito nascente per la intensa concorrenza individuale, e dai sentimenti tanto di simpatia umanitaria quanto di desiderio di eguaglianza oppure di invidia democratica, lavora a idealizzare e intensificare il concetto dello Stato, supremo rappresentante della collettività, che deve imporre la sua ferrea legge di utilità propria collettiva ad ogni volontà o libertà individuale.

Non possiamo ignorare queste due tendenze, che spingono sempre più verso la divisione della Nazione in due grandi partiti estremi, con minaccia per ogni libertà e morale e intellettuale e politica e civile.

La parte liberale temperata, desiderosa di un giusto contemperamento dell'elemento di Stato con l'elemento individualista, è paralizzata dal sentimento dell'insuccesso delle principali dottrine da lei fin qui professate e decantate e del completo discredito in cui sono cadute alcune frasi rettoriche, cui essa stessa non crede più, ma che non ha il coraggio morale di sconfessare.


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«E nondimeno io spero», diceva l'onorevole Di Rudinì nel suo discorso di Palermo della primavera 1895, alla vigilia delle elezioni da cui prese vita la presente Camera, «fortemente spero, che la pubblica opinione illuminata e diretta dai nostri statisti, potrà convincersi, che non dobbiamo menomare o sopprimere le nostre istituzioni rappresentative, ma dobbiamo piuttosto richiamarle ai loro principî, costringendo Camera e Governo nei limiti dei loro rispettivi poteri, e togliendo soprattutto al Governo i mezzi di esercitare illegittime pressioni e indebite influenze sugli eletti e sugli elettori».

Sono perfettamente d'accordo con l'onorevole Di Rudinì nella [p. 12 modifica]premessa, e riguardo alla necessità di richiamare le nostre istituzioni ai loro principî; ma trovo insufficiente ed incompleto il rimedio, quando egli lo fa consistere tutto nel meglio delimitare i poteri del Governo e della Camera e nel ridurre le attribuzioni dello Stato, delegandone alcune funzioni ai Corpi ed alle autorità locali, e non contempla come ugualmente necessaria ed urgente la rivendicazione del potere esecutivo alla persona del Principe, intendendo per Governo non il Ministero considerato in sè stesso ma solo in quanto è l'organo responsabile degli atti del Principe.

Sono due le questioni e non una, per quanto tra loro intimamente connesse. Dalla progressiva usurpazione del potere esecutivo pei parte della Camera elettiva sono derivate non solo la confusione tra le funzioni del Governo e quelle del Parlamento e segnatamente della Camera dei deputati e la deplorevole ingerenza del Governo nelle elezioni; ma ancora la effettiva usurpazione per parte del Ministero dei poteri di esclusiva spettanza del Principe, riducendo questi ad una parte negativa ed inattiva, e considerando il potere esecutivo come legalmente e realmente posseduto dal Ministero, non dal Re.

L'esorbitare della Camera elettiva dalle sue funzioni e la sua invasione dei poteri della Corona si sono effettuate e sono state rese possibili mediante la dottrina che faceva dei ministri del Re i ministri della Camera, cioè li sottoponeva alla diretta dipendenza delle mutevoli maggioranze parlamentari.

Non potete ora togliere efficacemente gli usurpati poteri alla Camera e risanare tutta l'azione del meccanismo parlamentare, finchè, in un paese come il nostro, dove tanta è, e di tanto si vuole sempre accrescere l'azione dello Stato, non liberate in parte i ministri dalla diretta dipendenza dalla Camera, ridando loro realmente il vecchio e primitivo carattere di ministri del Re.

In paesi dove l'azione del Governo centrale e in genere l'azione dello Stato sono ridotte al minimo, pel grande svolgimento non solo della vita locale, ma dell'attività e della indipendenza individuale, e dove numerosi e potenti organismi a base storica servono di freni e di guide ai funzionamento delle istituzioni democratiche, la dipendenza formale del Ministero dalla Camera elettiva non porta necessariamente a conseguenze gravi, col viziare tutto l'ambiente parlamentare, spingendo il Ministero per la propria difesa e salvezza a valersi di ogni mezzo per legare a sé ed asservire la [p. 13 modifica]Camera; ma dove invece, come da noi, le funzioni dello Stato, in mezzo alla inerzia ed alla neghittosità generale, si accrescono ogni giorno più, e tutto si attende e si chiede dal Governo centrale, gli effetti del traviamento dalle norme dello Statuto sono disastrosi, anzi fatali pel regolare funzionamento delle istituzioni rappresentative.

Si cerchi pure in ogni modo di riattivare la vita locale; si deleghino pure ai Corpi locali quante più attribuzioni di Stato riesca di togliere al Governo centrale senza mettere in pericolo la salute complessiva dell'organismo nazionale; sarà tanto di guadagnato. Ma checchè si faccia, non riuscirà a nessuno oggi in Italia di ridurre l'azione del Governo alle sole funzioni sognate dagli Spenceriani.

Abbiamo veduto recentemente gli stessi Ministeri e ministri, che predicano da mane a sera la necessità del decentramento, percorrere tutto il paese promettendo ad ogni città o regione e porti e strade e scuole e bonifiche e acquedotti e stazioni.

La stessa legge che concedeva anche ai Comuni minori l'elezione del sindaco lasciava larghe le facoltà al Governo di sciogliere i Consigli comunali, senza freno nè controllo.

Lo Stato, si grida da ogni parte, deve favorire le industrie nascenti, proteggere tutte quelle avviate, ancorchè valide e fiorenti, soccorrere quelle sofferenti.

Lo Stato ora, ce lo hanno detto in questi giorni a Montecitorio gli stessi alfieri della scuola liberale, deve contribuire alla Cassa nazionale per la vecchiaia.

Lo Stato deve, si proclama dagli individualisti più officiali, procurare la colonizzazione interna; deve costringere i proprietari a coltivare i loro terreni, espropriando gl'inetti, gl'impotenti e gl'infingardi.

Lo Stato deve perfino, così dichiara un Ministero sedicente liberista, garantire le cartelle fondiarie di Istituti autonomi pericolanti, e gl'interessi dei prestiti di Comuni scioperati.

Comunque sia di ciò e senza spingersi a tali pericolosi eccessi, occorre por mente, anche da chi più si preoccupi dei difetti dell'accentramento, che in molti casi non è da considerarsi come più favorevole alla libertà ed allo svolgimento della personalità individuale la delegazione delle funzioni proprie dello Stato ad una autorità locale piuttostochè al Governo centrale, e che anzi, date le nostre condizioni sociali, si rischia talvolta di rendere più facile e più grave l'oppressione di una classe sull'altra, oppure le tirannie [p. 14 modifica]delle consorterie locali, facendo così mancare l’autorità sociale al suo supremo ufficio.

Ad ogni modo, fintantochè dureranno in Italia condizioni tali che rendano inevitabile una larga azione dell’autorità centrale per la tutela della sicurezza e della stessa libertà individuale, per le opere pubbliche, per l'istruzione, ecc. (e nessuno di noi che viviamo ne vedrà la fine, nemmeno quelli che giungeranno al centenario dello Statuto), ogni diretta e immediata dipendenza dalla Camera elettiva, del potere esecutivo impersonato nei ministri, si convertirà in un continuo tentativo dei Ministeri di coartare la volontà della Camera mediante la multiforme azione del Governo nei singoli collegi, promettendo favori e minacciando dispetti e danni.

Resosi oggi il Ministero (non parlo di questo o quel Gabinetto, ma dell’istituto considerato impersonalmente) quasi indipendente dal Sovrano, ed avendone arrogate a sè le funzioni reali ed effettive nel nome della rappresentanza elettiva, ora vorrebbe rendersi indipendente dalla Camera, col togliere a questa ogni ingerenza nel potere esecutivo. In altre parole, il Gabinetto, che si è valso della Camera per spossessare realmente dei suoi poteri essenziali il Principe, oggi invece, a nome dei diritti della Corona, ossia dei diritti di quel potere esecutivo che lo Statuto vorrebbe al Principe riservato, e facendosi forte del principio della divisione dei poteri, vorrebbe trovar modo di liberarsi dalla Camera e dalle sue fastidiose esigenze.

Praticamente e logicamente non si può raggiungere la meta desiderata dall’onorevole Di Rudinì come da tutti i liberali conservatori, se non che rimontando ai principi dello Statuto in quanto esso proclama che i ministri ossia le persone preposte alla direzione delle grandi amministrazioni dello Stato non sono, nè collettivamente considerati nè singolarmente, i ministri della Camera, e tampoco ministri per proprio conto con diritti e titolo proprio, ma semplicemente i ministri responsabili dell’azione del Principe. Da tale ritorno ai principî dello Statuto dipende tutto il risanamento della nostra vita parlamentare, compresevi tanto la liberazione del deputato dalle pressioni degli elettori perchè giorno per giorno s’intrometta nell’amministrazione della cosa pubblica per favorire i loro interessi personali, quanto la liberazione dei ministri dalle illecite pressioni ed ingerenze parlamentari.

Rivendicate al Sovrano i suoi diritti, e facilmente vi riuscirà [p. 15 modifica]delimitare i poteri della Camera elettiva, rinfrancare quelli della Camera vitalizia, e per di più riattivare la vita e l'azione di entrambe, ritornandole alle loro vere funzioni.

La Camera per troppo volersi imporre si è annullata. Ha voluto non solo legiferare quasi da sola, ma anche governare, ed ora è in balìa di qualunque uomo possa, organizzando una consorteria locale, riunendo intorno a sè la deputazione di una sola grande regione, maneggiando le turbolenze di piazza, o con qualunque altro mezzo o espediente, impadronirsi del potere. E non si vuole che il Principe sia autorizzato a resistere, ad indicare la via, lui personalmente, con la sua coscienza e guardando le cose dall'alto, salvo il libero esame e l'aperto e pubblico giudizio degli atti del suo Governo per parte del Parlamento.

La Camera, lavorando ad asservire sempre più il potere esecutivo, si è trovata invece asservita al Ministero, cioè a quel gruppo di uomini che si è comunque impadronito del potere e che, con la intimidazione e la corruzione elettorale, nelle mille sue forme, dispone a suo talento della maggioranza.

La Corona ha interessi ben più larghi e permanenti di quel che non abbiano i politicanti che via via si succedono nei Ministeri; e la sua rivendicazione dei poteri e degli uffici affidatile dallo Statuto segnerebbe la liberazione e la riabilitazione della Camera, e in genere del Parlamento. Imperocchè anche il Senato, nominato veramente e non solo formalmente dal Principe, avrebbe ben altro prestigio ed autorità di quanto non abbia ora, che rappresenta soltanto una stratificazione progressiva d'infornate di colore diverso secondo il succedersi delle varie fazioni o gruppi al Governo o le mutevoli vicende dell'alchimia parlamentare.

La Camera elettiva sarà tanto più indipendente e riprenderà tanto più seriamente ed efficacemente la sua funzione legislativa e l'esercizio del controllo finanziario, quanto più presto rinunzierà a pretendere che i ministri siano una emanazione sua e da lei debbano essere effettivamente designati, e li considererà quali ministri del Principe, cioè quali organi responsabili della volontà e dell'azione del Sovrano, da lui solo scelti e nominati.

Con ciò si ferirà forse alquanto il governo cosidetto di Gabinetto, ma s'instaurerà una seria divisione dei poteri negli ordinamenti rappresentativi, e si darà alla stessa opinione pubblica ed alla volontà nazionale una maggiore libertà di movimento e di [p. 16 modifica]azione nel determinare l'indirizzo della legislazione e nel sindacare gli atti del Governo.

Ora la Camera è le tante volte obbligata, in forza della questione cosidetta politica e di fiducia che si pone ad ogni istante, a lasciar passare alla cieca provvedimenti legislativi che essa, nella sua intima coscienza, disapprova in tutto o in parte.

Tolta la diretta e fatale dipendenza del Ministero dall'appoggio ininterrotto della maggioranza della Camera, questa rimane più libera di preoccupazioni d'altro ordine nell'esprimere il suo giudizio oggettivo tanto sulle singole proposte in materia legislativa, quanto sui singoli atti del Governo, inquantochè ogni disapprovazione o monito della Camera non segnerebbe necessariamente e fatalmente la morte politica di un ministro o di un Gabinetto, non suonerebbe ritiro della fiducia del mandante nel mandatario. Oggi la costante preoccupazione politica ed il timore di compromettere per una questione speciale le sorti del Gabinetto e l'equilibrio generale dei partiti o dei gruppi parlamentari, spinge troppo spesso la Camera a trascurare il coscienzioso disimpegno della sua funzione legislativa.

La maggioranza dei deputati, avendo per primo interesse e conseguentemente per prima sua preoccupazione la salvezza del suo Ministero, si mostra oggi le troppe volte disposta a lasciare perfino manomettere i diritti e le prerogative del Parlamento, piuttostochè, con un voto contrario, porre a rischio la vita del Gabinetto e il proprio predominio nel Governo. Ed è così che si spiega la grande docilità con cui si sono viste le maggioranze piegare ripetutamente il capo dinanzi ai decreti-legge, anche quando questi compromettevano, in tempi e condizioni normali, questioni di alta importanza costituzionale, economica e finanziaria.

Ricondotta invece l'azione della Camera nella cerchia delle sue legittime competenze, la maggioranza si mostrerà sempre, non meno della minoranza, gelosa di mantenere incolumi i diritti collettivi dell'istituto cui appartiene.

La mia tesi non è, certo, che le sorti del Ministero o dei singoli ministri non debbano e non possano mai in alcun modo dipendere dai voti della Camera, ancorchè questi voti partano da una vera volontà ponderata e costante, e rivelino un serio movimento dell'opinione pubblica. Così come oggi, mentre una siffatta dipendenza è proclamata fatale e necessaria, essa non si è sempre [p. 17 modifica]tradotta in pratica, non è nemmeno detto che ai termini del nostro Statuto sia esclusa ogni azione della rappresentanza nazionale elettiva sulla vita del Ministero o dei ministri. Una tale azione non è però da considerarsi a priori come sempre egualmente e costituzionalmente necessaria.

S'intende che nessuna legge può mai essere sanzionata senza l'approvazione preventiva della Camera; e mediante la votazione dei bilanci non è esclusa la facoltà nel Parlamento, dove si tratti di un vero contrasto costante d'indirizzo, di far valere la sua volontà contro un determinato Ministero o ministro.

Il sistema monarchico rappresentativo, come ogni altra forma di governo, non funziona automaticamente nè meccanicamente, e richiede nei suoi organi una prudente e costante considerazione delle condizioni di fatto in cui esplicano la propria azione.

E per fare tutta questa riforma, non occorre nè alcun ritocco allo Statuto nè alcuna legge, e tampoco alcun colpo di scena o atto di energia; ma basta che se ne persuada la coscienza pubblica. Il vizio attuale non sta nella legge; trae anzi origine dalla violazione della legge stessa fondamentale dello Stato.


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È strano invero il fenomeno che si è venuto svolgendo e determinando nel Regno d'Italia, e più specialmente durante questo ultimo quarto di secolo.

A poco a poco è sorto e si è affermato un istituto nuovo, non contemplato affatto nello Statuto, e che ogni giorno più tende a costituirsi come un potere autonomo, fuori della legge, e si alimenta e s'impingua di tutte quelle funzioni di cui apertamente o tacitamente sta spogliando gli altri poteri costituzionali. Questo istituto nuovo, ibrido, che tende a sovrastare ogni giorno più a tutti gli altri poteri, è quello del Ministero, considerato nel suo complesso, ma che s'incarna specialmente nella persona del presidente del Consiglio.

Non intendo alludere qui alla vecchia questione dei ministri-cancellieri e dei ministri-cardinali o gran visir, cioè ad una questione che riguarda la costituzione interna del Ministero e la opportunità di concentrarne in maggiore o minor grado la [p. 18 modifica] rappresentanza collettiva in una o più persone; bensì accenno alla questione della situazione del Ministero considerato come istituto a sè, di fronte al Sovrano da un lato ed al Parlamento dall’altro.

Ad ogni crisi ministeriale, comunque nata, tutti gli uomini che riuniscono intorno a sè qualche influenza politica, soli o aggruppati, si adoperano a tutta forza per impadronirsi del potere, ottenendo l'incarico dal Sovrano di formare il Gabinetto.

La convinzione generale è che chiunque, tra i diversi capigruppo del Parlamento, arrivi comechessia ad avere per primo l’incarico di comporre il Gabinetto, se è accorto e ardito, e soprattutto se non ha l’ingenuità di volersi mostrare troppo coerente nei principî e corretto nei mezzi, avrà poi sicuramente la maggioranza dei voti alla Camera. Quindi nei momenti di crisi si mette in moto, da tutti, ogni macchina, ogni astuzia, ogni pressione perchè l’incarico venga dato al proprio candidato, a quello cioè da cui ciascuno può sperare maggiori vantaggi. Tutti i mezzi sono buoni. Si minaccia perfino copertamente o apertamente il Sovrano, che se la sua scelta cadrà sopra altri, si susciteranno disordini e tumulti, facendosi forti di quel misterioso terrore che invade gli animi di tutti in Italia, come una reminiscenza giacobina, di fronte ad ogni movimento della piazza.

Avuto l’ambito incarico, tutta l’arte sta nel far presto, nel mettere insieme una diecina di ministri, non importa come la pensino, purchè lì per lì con la semplice somma dei loro aderenti rappresentino un numero notevole di deputati; non importa nemmeno che questo numero costituisca la maggioranza della Camera; il resto che manchi si otterrà cammin facendo. Del programma nessuno si cura. Fare diverso dai predecessori; farsi temere e far sperare a molti; ecco tutto il giuoco.

Impadronitosi del ridotto centrale del Governo, il Ministero nuovo si volge minaccioso contro tutti coloro che non si mettono al suo seguito. Forte del possesso dell’autorità, esso è pronto a sfidare, per mantenersi in seggio, e Camera e Senato e, occorrendo, lo stesso Sovrano; quasi rappresentasse un potere costituzionale autonomo, con un diritto proprio e una base giuridica a sè, all’infuori e della Corona e del Parlamento.

Ad ogni menomo segno che la Corona possa avere una volontà propria nelle cose di governo, il Ministero s’inalbera, contestandogliene il diritto. Con la teoria che il Re regna e non governa, [p. 19 modifica]si nega, contro e la lettera e lo spirito dello Statuto, che il Principe possa avere e tanto meno manifestare una qualsiasi volontà diversa da quella del Ministero, finchè questo possa presentare un voto favorevole della Camera, fosse pure la maggioranza di un solo voto, e con qualunque mezzo ottenuta.

Di fronte alla Camera, che mostri velleità di ribellarsi, si minaccia continuamente lo scioglimento, con elezioni generali sotto alta pressione governativa. Non si ammette quasi più che il Sovrano possa, nel caso di un dissidio tra il Ministero e la Camera, negare al primo lo scioglimento. Ciò non si sostiene ancora apertamente; ma si fa dagli amici dichiarare per ogni verso, che, in caso di un voto sfavorevole, il Ministero non presenterà le sue dimissioni. Si sussurrano pei corridoi di Montecitorio le confidenze supposte del presidente del Consiglio: «Io, checchè avvenga, non me ne vado. La vita della Camera dipende da come si saprà condurre. Se avessi un voto contrario, io resto al mio posto, e non presento dimissioni. Se il Sovrano non mi vuole, dovrà revocarmi con decreto suo e di sua iniziativa». E magari in certi momenti si aggiunge: «Io sono pronto a ricorrere a qualunque mezzo. Sono pronto anche a scendere in piazza», ecc., ecc.

Intanto si pone mano (senza ammettere mai che nè il Sovrano nè altri in ciò possano entrare o aver che osservare) ad un lavoro di cosiddetta preparazione delle elezioni generali. Si mutano prefetti e funzionari d’ogni grado. Si revocano quelli che si suppongono ligi ai passati Ministeri. Si terrorizzano altri; e specialmente le Amministrazioni dei Comuni, delle Opere pie, degl’Istituti di credito, ecc. Si cerca di preparare dappertutto strumenti politici, dicendo tra sè e sè: «Vorremmo vedere, nel giorno della crisi, come farebbe altri a scomporre rapidamente tutto questo lavorìo». E così individualmente s’intimoriscono i deputati, ognuno dei quali vede nel proprio collegio tutta una macchina montata dal Governo in attesa delle elezioni, sia per sostenerlo, sia per combatterlo se avversario.

Quanto al Senato, il sistema è più semplice. Si nomina una quarantina o magari una ottantina di senatori amici; e anche qui naturalmente non si ammette, contrariamente allo Statuto, che il Principe ci abbia che vedere.

E per la stampa, il preteso quarto potere, si provvede coi danari dello Stato, o con pressioni e lusinghe sugli uomini politici o sui finanzieri che ne abbiano in mano le fila. [p. 20 modifica]

È la storia del cosiddetto Vecchio del Mare, delle Mille e una notte, il quale montato in collo a Sindbad il marinaro, ne fa un servitore ed uno schiavo, minacciando di strangolarlo ad ogni accenno di ribellione. Questi non può sbarazzarsene che quando, un giorno, il vecchio si ubriaca. È il caso che si verifica anche pei Ministeri. È soltanto quando s’inebriano del potere, che il Parlamento riesce a levarseli di dosso.

Dato questo sistema, della continuità nell’azione del Governo, della conservazione delle buone tradizioni amministrative, della coerenza nei programmi, non vi è più chi si preoccupi.

I nuovi ministri debbono far parlare di sè; avere ciascuno un metodo nuovo; rivoluzionare quanto è stato fatto dai predecessori, siavi o no urgenza o bisogno di riforme. Preme soprattutto far nuove nomine d’impiegati, cambiare organici, ecc.

La burocrazia rimane l’unica tutrice della tradizione del Governo e della continuità della sua azione, in quanto non sia anche essa travolta o sconvolta dalla corrente della politica; perchè anch’essa, contrariamente a quanto dispone lo Statuto, non vede più alcuna difesa sua nell’azione del Sovrano, al quale non si ammette quasi il diritto di rifiutarsi a movimenti di personale, revoche, nomine, traslochi, ecc. Se si concede che in pratica si debba avere dai ministri un po’ di riguardo a non contrariare troppo qualche singolo desiderio del Sovrano, ciò avviene in considerazione della elevata dignità della sua carica, o per timore di spingere le cose all’estremo, ma non perchè si ammetta che egli possa nè debba regolarmente ingerirsi delle questioni di amministrazione, e ciò ancorchè si tratti del personale dei gradi più elevati.


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Orbene, tutto questo è nettamente contrario a quanto prescrive e vuole lo Statuto. Esso determina espressamente riguardo ai poteri del Principe quanto segue:

«Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il capo supremo dello Stato, comanda tutte le forze di terra e di mare, dichiara la guerra, fa i trattati di pace, di alleanza, ecc.» (art. 5).

«Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato» (art. 6).

«Il Re solo sanziona le leggi e le promulga» (art. 7). [p. 21 modifica]«Il Re può far grazia e commutare le pene» (art. 8).

«La proposizione delle leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere, ecc.» (art. 9).

«Il Re nomina e revoca i suoi ministri» (art. 65).

«La giustizia emana dal Re ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce» (art. 68).

«Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato e quella dei Deputati» (art. 3).

«Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re, in numero, ecc.» (art. 33).

«Se un progetto di legge è stato rigettato da uno dei tre poteri legislativi, non potrà essere, ecc.» (art. 56).

Quanto ai ministri, devesi in primo luogo notare che lo Statuto, mentre nomina a più riprese i ministri del Re, non fa mai parola di un Ministero, o Gabinetto, o Consiglio di ministri 1. Riguardo poi alle loro funzioni, all’infuori dell’articolo già citato che ne attribuisce la nomina e la revoca al Principe e di un altro in cui si prescrive che i ministri che siano deputati o senatori possono votare nella sola Camera cui appartengono e si dà loro facoltà di poter sempre entrare e prendere la parola nelle due Camere (art. 66), abbiamo nello Statuto i due soli articoli seguenti:

«I ministri sono responsabili. Le leggi e gli atti del Governo non hanno vigore se non sono muniti della firma di un ministro» (art. 67).

«La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del Re, e di tradurli dinanzi all’alta Corte di giustizia» (art. 47), cioè al Senato convocato con decreto del Re (art. 36).

Il Re insomma, secondo lo Statuto, impersona lo Stato in tutti gli elementi suoi più necessari e normali, e nella tutela di questi elementi ha una funzione attiva, e non passiva. È lui che rappresenta la tradizione di governo, la continuità nell’azione dello Stato, la stabilità dei suoi ordinamenti; in una parola, egli sintetizza l’interesse generale della patria tanto nel presente che nel futuro. Ed è l’unico istituto a cui queste funzioni siano, nei nostri ordinamenti, affidate. [p. 22 modifica]Il Principe dinastico raffigura nella nostra Costituzione l’elemento continuo, permanente dello Stato considerato come un organismo complessivo, di fronte agli elementi temporanei, mutevoli, contingenti nello spazio e nel tempo, rappresentati dagli elementi elettivi.

Al Sovrano dunque spettano secondo la lettera precisa dello Statuto: 1º il potere esecutivo; 2º una parte non inferiore a quella del Parlamento nel potere legislativo, avendo egli eguale diritto di proposta delle leggi, ed essendone a lui solo riservata la sanzione.

Nè lo spirito dello Statuto può ritenersi diverso dalla lettera delle sue disposizioni testuali.

Il potere esecutivo, dovendo, nella sua azione di governo, mantenersi al di sopra e al di fuori dei partiti e non dovendo favorire gl'interessi della maggioranza piuttostochè quelli della minoranza, o degli elettori anzichè dei non elettori, ma considerare tutti i cittadini allo stesso modo, tenendo conto del solo interesse generale dello Stato, dev’essere dipendente da chi non può non immedesimarsi sempre con questo interesse generale; e non potrebbe mai essere affidato ad un istituto che fosse la emanazione diretta della maggioranza e di un solo partito.

Che se invece il Governo, impersonato nei ministri, dipendesse direttamente dalla maggioranza parlamentare, anche per la designazione delle persone che debbono comporlo, l'intera potestà legislativa verrebbe inoltre, in evidente contraddizione con lo spirito dello Statuto, assorbita dalla sola Camera elettiva, anzi dalla sola maggioranza dei suoi membri; inquantochè le leggi verrebbero, in tale supposto, in primo luogo proposte dai ministri, delegati diretti della maggioranza stessa (restando ridotto ad una vuota formalità il decreto reale che autorizza la presentazione dei disegni di legge); quindi discusse e modificate a Montecitorio dalla maggioranza dei deputati in contraddittorio coi propri suoi delegati; ed in ultimo riesaminate, per la finitura e polimentatura soltanto, a palazzo Madama, la cui decisione resterebbe pure in balia dei ministri, cioè degli organi e rappresentanti diretti della maggioranza elettiva. Onde i poteri legislativi resterebbero effettivamente ridotti ad uno solo, invece di essere tre come vuole lo Statuto.

L’azione del Principato si deve esplicare più specialmente in quell’ordine di questioni che deve essere mantenuto fuori del giro [p. 23 modifica]mutevole dei partiti parlamentari. A lui più propriamente spetta quanto ha attinenza:

1° con la difesa dello Stato, e la conservazione dello spirito e della forza morale dei suoi corpi militari;

2° con la politica estera;

3° con la giustizia, e non solo con quella civile e penale, ma anche con la giustizia amministrativa, come pure con la giustizia sociale, con quella, cioè, che riguarda i rapporti sociali tra le diverse classi ed ordini di cittadini, e la tutela dei deboli;

4° con l'alta amministrazione dello Stato.


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Riassumendo brevemente i concetti fin qui accennati, mi affretto verso la conclusione del discorso.

Due grandi forze sociali e politiche stanno crescendo ed organizzandosi in Italia, e tutte due con tendenze ed aspirazioni rivoluzionarie di fronte alla Monarchia rappresentativa e liberale.

Da un lato il socialismo, nel nome della eguaglianza, vuole soppressa ogni libertà individuale. Perchè la libera concorrenza, troppo esagerata dai dottrinari della scuola economica del «lasciar fare», può ostacolare di fatto lo svolgimento della personalità umana e della libertà individuale del gran numero, i socialisti sopprimono addirittura ogni libertà personale, con l’organizzare lo Stato unico proprietario dei mezzi di produzione ed unico ripartitore dei frutti del lavoro, e tendono di fatto al despotismo di una burocrazia, alla tirannide di un mandarinato.

Dall’altro lato nel nome tanto delle idealità più elevate del consorzio umano quanto dell’ordine e della conservazione delle tradizioni sociali del passato, sta facendo passi da gigante l’organizzazione clericale, che tende in realtà all’oscurantismo più intollerante, alla soppressione del disordine mediante la soppressione del progresso e di ogni movimento dello spirito umano, nemica com’è della libertà di coscienza e di pensiero.

Di fronte a questi pericoli crescenti lo Stato liberale sta ogni giorno più demolendo spensieratamente le proprie difese.

Togliesi ogni credito, ogni prestigio al Parlamento, volendone far riposare tutta l’azione sulla necessità di un conflitto continuo [p. 24 modifica]d’interessi locali e personali, e facendo del dissidio e della lotta le condizioni di vita e di funzionamento del governo della cosa pubblica.

E allo stesso tempo togliesi credito e prestigio al Principato, che dovrebbe formare la spina dorsale dell’organismo politico, che dovrebbe incarnare l’idea dello Stato difensore, non soverchiatore della libertà, impersonando l’interesse generale in quanto diventa condizione e mezzo di tutela dell’interesse individuale, del maggior numero e del libero svolgimento della personalità umana. Del Principe invece si vorrebbe, dai nostri dottrinari, fare un essere quasi ipnotizzato, che dovesse accettare tutto, sottomettersi a tutto, non avere volontà nè opinione propria, ma solo designare, come un manometro automatico, nei momenti di crisi, quale è il presidente del Consiglio che si suppone debba e possa per fas ac nefas ottenere la maggioranza dei voti dei deputati. Non si può pretendere che il pubblico abbia da considerare per novantanove giorni su cento la persona del Principe come un elemento inattivo, che non deve avere e tanto meno manifestare opinioni nè sentimenti nell’indirizzo della cosa pubblica, ma deve far buon viso a qualunque Gabinetto possa strappare il consenso della Camera, e poi volere che il centesimo giorno, nei momenti più difficili e di crisi, quando divampano le passioni più vive, quello stesso istituto, fino allora trascurato e senza azione reale, venga issofatto rispettato e venerato da tutti, come il grande moderatore dello Stato, avente chiara e sicura coscienza della linea da seguire nell’affidare a nuove mani il potere, e riscuota la cieca fiducia e l'assentimento dell’universale.

Tutto oggi dovendo dipendere dalla volontà della maggioranza dei mandatari degli elettori, ogni studio, ogni sforzo degli uomini politici, di coloro che di fatto hanno in mano il governo, si riassume nel predisporre gli organi dello Stato e tutti gl’istituti politici che da loro possono dipendere, in guisa da poter lusingare o costringere il responso degli elettori a seguire la via da essi indicata e nel vincolare intanto la volontà della maggioranza della Camera con le lusinghe personali e con le minacce di schierare contro ogni singolo deputato nel suo Collegio tutta la batteria delle influenze governative ed ufficiali.

E d’altro canto ogni studio, ogni sforzo dei singoli deputati si concentra nell’assicurarsi la rielezione, cioè nel soddisfare lì per lì in qualsiasi modo il maggior numero di interessi e di brame dei singoli elettori. [p. 25 modifica]Onde disprezzo dell’elettore pel deputato, di cui si serve e che lo serve; disprezzo della Nazione pel Governo, e per le istituzioni stesse di cui esso è il prodotto visibile.

Ogni idealità di Stato viene a mancare; ogni tradizione di governo rimane interrotta; il principio dell’autorità perde ogni prestigio; e la Nazione si disamora sempre più degli ordinamenti che la reggono, condannando tutto e tutti in massa, e persone, e istituti, e principî.

I Governi misti, complessi, composti di vari istituti autonomi, con attribuzioni proprie e distinte, presuppongono, per la regolare loro azione, che ciascun potere, ciascun istituto vigili alla conservazione dei propri diritti ed alla integrità delle funzioni affidategli.

In Italia invece, lo ripeto, è sorto un potere nuovo, parassita e ibrido, dallo Statuto non contemplato, il quale facendosi strumento e sgabello delle pretese dottrinarie e delle crescenti usurpazioni della Camera dei deputati, che vorrebbe arrogare a sè sola il diritto di parlare come interprete della volontà della nazione, è riuscito col dichiararsi a sua volta la emanazione legittima e autorizzata della rappresentanza nazionale, ad una progressiva ed effettiva usurpazione di quasi tutte le funzioni normali della Corona, facendone altrettante funzioni direttamente da sè dipendenti, e tende sempre più a mettere nell’ombra il Principe; mentre al tempo stesso ha, d’altro canto, snaturate o distrutte le funzioni proprie della Camera elettiva. La Camera, avendo voluto invadere le competenze altrui e governare, è venuta invece a perdere anche di fatto l’esercizio libero delle stesse funzioni legislative, attribuitele dallo Statuto; e si trova, ogni giorno più, mancipia del Ministero.

Intanto la gran massa del pubblico, impensierita e sfiduciata, si dà sempre più in braccio ai rivoluzionari e ai sognatori promettitori di cure miracolose e ai ciurmadori promettitori dell’età dell’oro, oppure ai clericali promettitori del regno di Dio mediante il governo de’ suoi ministri.

Forte della lettera e dello spirito dello Statuto, la Nazione si rivolge al Sovrano e gli dice: «Maestà, vigilate a mantenere integre le funzioni affidatevi, e che i successivi Ministeri hanno lasciato che Vi fossero usurpate o hanno cercato di carpirvi. A Voi solo spetta il potere esecutivo. A Voi solo spetta la nomina o la revoca dei ministri che debbono controfirmare e rispondere dei [p. 26 modifica]vostri atti di governo. La Nazione guarda a Voi e fida in Voi, sicura da un lato che non toccherete ad alcuna libertà e non ritirerete mai alcun diritto dal Vostro glorioso avo largito o delegato ad altri; ma non meno desiderosa dall’altro che conserviate viva ed ìntegra l’istituzione madre, che ci rappresenta la difesa dell’interesse generale della patria. Sire, vegliate! l’interesse Vostro è sopratutto interesse nostro, interesse di tutti, interesse dell’Italia».

Non meno del socialismo, il Principato liberale contiene il concetto elevato e preponderante dello Stato, all’infuori di ogni elezione di classe.

E di fronte alla Chiesa invadente, rappresenta, oltre la ferma difesa della moralità sociale, la libertà della coscienza individuale, l’indipendenza sicura del pensiero; garantisce i diritti di tutti i culti, di tutte le opinioni, e la piena esplicazione delle facoltà individuali pel cittadino, in tutte le funzioni essenziali della vita civile; assicura la tutela degli interessi materiali come del progresso civile della nazione.

Per contrapporsi al socialismo di piazza ed al clericalismo oscurantista il Principato nostro, che s’immedesima col concetto della patria nazionale ed impersona insieme il principio della libertà individuale, garantita invece che soffocata dall’azione dello Stato, ci porge una idealità atta a servire di punto di raccolta, di nucleo attorno a cui stringerci, in mezzo al rapido avvicendarsi degli uomini e dei gruppi al potere, ed al turbinio delle loro momentanee passioni e rancori.

Vogliamo noi un’Italia clericale, liberale-temperata, o radicale-socialista?

Tra non molto bisognerà scegliere fra le tre cose.


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Gli elementi liberali temperati, col loro credo troppo individualista per la lotta quotidiana, si trovano nella condizione dei corpi di volontari di fronte agli eserciti permanenti dei partiti estremi. Questi o mediante l’ordinamento ecclesiastico, che scende fino ai parroci e si vale delle mille forme di associazione e di confraternite fra loro collegate, o mediante le Società operaie, di mutuo soccorso, di consumo, di produzione, e pur troppo con l’aiuto [p. 27 modifica]non infrequente degli impiegati governativi e comunali, hanno sempre pronti i quadri per la mobilitazione in guerra.

Onde spesso vediamo gli eserciti folla dei partiti temperati liberali, sgominati dalle schiere, più ristrette di numero, ma compatte e disciplinate, dei loro avversari.

In queste condizioni, il dividere normalmente e stabilmente il partito liberale temperato in due frazioni che combattendo perpetuamente tra loro s’indeboliscano a vicenda e si annullino, equivale a metterlo nella impotenza, non che di combattere contro le altre due schiere riunite, di nemmeno poter avere una voce predominante negli accordi o nelle transazioni che facesse con l’una o con l’altra parte.

Noi siamo, anche da soli, i più forti e numerosi, o per meglio dire lo saremmo se sapessimo stare uniti ed organizzarci; se sapessimo considerare la realtà delle cose e non solo pascerci di teorie stereotipate tolte dai libri forestieri; se sapessimo mettere da banda le discordie e le gare personali e stringerci compatti intorno alla grande idea civile e liberale rappresentata dalla monarchia italiana di Casa Savoia; se sapessimo scuotere l’inerzia che ci paralizza, la mancanza di fede e di coraggio morale; se sapessimo essere sinceri nell’esprimere la nostra volontà e virilmente risoluti nell'attuarla.

Vorrei che la mia voce potesse chiamare a raccolta tutti gli uomini di buona volontà, liberali e conservatori a un tempo, perchè si organizzasse un grande partito che, per combattere efficacemente il socialismo ed il clericalismo, si proponga come programma immediato la delimitazione delle funzioni dei vari poteri dello Stato, e lo svolgimento degli uffici della Corona, restituendole i diritti sanciti dal patto fondamentale votato nei plebisciti che costituirono il Regno d’Italia.

Non intendo affatto spingere ad alcun cesarismo o governo autocratico senza freno nè sindacato, nè ad alcuna forma di despotismo o di governo assoluto.

Vogliamo la monarchia liberale e rappresentativa dello Statuto, col Monarca principe effettivo ed attivo, non consegnato bendato nelle mani di un «maire du palais» che si chiami il presidente del Consiglio.

La Camera elettiva e il Senato vitalizio debbono cooperare attivamente alla legislazione, ed inoltre sindacare sempre, discutere e [p. 28 modifica]frenare gli atti e l’indirizzo del Governo, mediante la loro azione tanto sui ministri responsabili, quanto sulle leggi e sui bilanci da loro presentati. Ma essi non debbono esercitare, nè direttamente nè per mezzo di uno o più loro delegati, il potere esecutivo, che è di esclusiva competenza del Principe; il quale a sua volta, come ogni altro potere o persona, è subordinato alla legge, nella formazione della quale concorre anch’egli, col diritto di proposta e col diritto di sanzione.


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Non ho inteso nel presente scritto far allusione o rivolgere accuse all’attuale Ministero, più che muovere rimproveri a quelli passati. Ho inteso rilevare ed analizzare una trasformazione che si è andata svolgendo nelle nostre istituzioni, e che parmi essere stata una delle principali cause della loro progressiva decadenza, trasformazione che trova la sua espressione nella formula: «Il Re regna e non governa», ed è in aperta contraddizione con quanto lo Statuto vuole e la Nazione attende, per la conservazione delle istituzioni libere in Italia.

Un Deputato.

Note

  1. Anche all'art. 15, dove parlando della convocazione delle Camere per la nomina del Reggente nel caso di minore età del Re e di mancanza di parenti maschi e della madre, si allude inevitabilmente ai ministri considerati collettivamente, lo Statuto dice: «le Camere, convocate fra dieci giorni dai ministri».