Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo V

Capitolo V

../Capitolo IV ../Capitolo VI - parte I IncludiIntestazione 14 settembre 2020 75% Da definire

Capitolo IV Capitolo VI - parte I

[p. 116 modifica]


CAPITOLO V.

[Anno 1849]


Atto del Santo Padre da Gaeta del 1 gennaio 1849 conosciuto sotto il nome di atto della scomunica. — Effetti che produsse in Roma. — Lettera diretta dal Santo Padre il 5 al generale Zucchi. — Questi emette il 7 un ordine del giorno che rimane nullo. — Personaggi giunti a Gaeta in gennaio 1810. — Lettera del cardinale Antonelli al generale De Latour in Bologna, e richiamo degli Svizzeri da colà. — Monsignor Bedini si reca in Bologna per indurli a partire — Suoi sforzi riusciti inutili. — Gli Svizzeri restano. — Vari parrochi insultati in Roma par sospetto di aver fatto affiggere l’atto della scomunica. — Accademia il 5 nel teatro di Apollo per Venezia. — Elezione dei duca Cesarini a generale della civica. — Sua rinunzia. — Eletto in vece il general Ferrari. — Corrispondenza fra il conte Mamiani e monsignor Muzzarelli da una parte, il nunzio pontificio in Napoli monsignor Garibaldi dall’altra.— Tentata fuga del generale Zamboni. — Suo arresto e processo. — Tentata riazione di una cinquantina di soldati in favore del papa. — Istituzione di una commissione militare. — Disapprovazione del dottore Pantaleoni. — Rinunzie. — Atti governativi dal 1° al 28 gennaio. — Anniversario dell’insurrezione di Palermo del 12 festeggiata in Roma. — Padre Ventura intonò il Te Deum nella chiesa dei Siciliani.

Avendo noi se non esaurito interamente, schiarito alla meglio che per noi si potesse nel II e nel IV capitolo del presente volume tutto ciò che alla Costituente si riferisce, incominciando dalla sua origine ed arrestandoci alla proclamazione dei nomi degli eletti all’assemblea (per Roma soltanto) il 28 di gennaio, passiamo ora a parlare dell’ effetto che la proclamazione della Costituente produsse in Gaeta. I fatti però parlano chiaramente, perchè il Santo Padre con motu-proprio del 1° di gennaio che incomincia «Da questa pacifica stazione,» protestando contro l’atto promulgato in Roma il 29 dicembre dell’anno antecedente 1848, servissi delle parole che seguono:

[p. 117 modifica]«Risparmieremo alla nostra dignità la umiliazione di trattenerci su quanto di mostruoso si racchiude in quell’atto abominevole per l’assurdità della sua origine, non meno che per la illegalità delle forme, e per l’empietà del suo scopo; ma appartiene bensì all’apostolica autorità, di cui, sebbene indegni, siamo investiti, ed alla responsabilità che ci lega co’ più sacri giuramenti al cospetto dell’Onnipotente, il protestare non solo, siccome facciamo nel più energico ed efficace modo contro dell’atto medesimo, ma di condannarlo eziandio alla faccia dell’universo, quale enorme e sagrilego attentato commesso in pregiudizio della nostra indipendenza e sovranità, meritevole de’ castighi comminati dalle leggi sì divine come umane».

E quindi, dopo aver proibito di prendere parte alle riunioni relative alla Costituente, aggiungeva:

«In pari tempo vi ricordiamo come questa nostra assoluta proibizione venga sanzionata dai decreti dei nostri predecessori, e dei concili, e specialmente del sacrosanto concilio generale di Trento (Sess. XXII. C. XL de Refor.), nei quali la Chiesa ha fulminato replicate volte le sue censure e principalmente la scomunica maggiore da incorrersi, senza bisogno di alcuna dichiarazione, da chiunque ardisce rendersi colpevole di qualsi voglia attentato contro la temporale sovranità de’ sommi romani pontefici, siccome dichiariamo esservi già disgraziatamente incorsi tutti coloro che hanno dato opera all’atto sudetto ec.»1

Circa all’effetto che produsse in Roma allorquando se n’ebbe piena e positiva cognizione, che fu la domenica 7 gennaio, diremo che le persone pie e credenti in Dio, nel papa, e nelle censure ecclesiastiche, ne furon conturbate e atterrite. Chi poi non ci credeva, se ne rise.

[p. 118 modifica]Sventuratamente però rimarcossi dagli uomini che ricordavano quella di Pio VII contro Napoleone I, quanto i tempi fosser cambiati, sopratutto pel basso popolo, nelle cui menti pur troppo perniciosissime dottrine eransi traforate, e queste avevano alterato non poco l’antica fede, e l’attaccamento proverbiale alla Santa Sede: ma di ciò la colpa si deve in gran parte alla inerte polizia romana o ai suoi malfidi agenti, perchè erano anni e anni molti che lavoravasi a corrompere il basso popolo; e il governo che cosa faceva? Si ricordino i nostri lettori ciò che racconta il Montanelli sulla fratellanza popolana del Trastevere nel primo volume pagine 53 e 54 delle sue Memorie.

I tempi però che correvano eran peggiori assai di quelli del governo napoleonico, ed avevano incusso tale un terrore, che ognuno astenevasi dal far sopra la scomunica commento veruno il quale alla nota d’inutilità avrebbe aggiunto quella d’imprudenza. I tempi si differenziavano in questo, che sotto l’Impero non aveva a temersi che l’autorità legale soltanto, ma nel gennaio 1849 era a questa sostituita l’autorità della piazza e dei circoli, gli artifici delle sette, la paura del pugnale.

La sera del 7 dunque non vidersi che pochi giovinastri formanti un gruppo di venti o trenta persone al più, andare schiamazzando pel Corso. Talune copie dell’atto del pontefice venner depositate in luogo di disprezzo che è meglio tacere; ed il Don Pirlone consacrò al fatto abominevole una più abominevole vignetta, perchè il primo passò, e l’altra restava.2 Talune mostre de’ cappelli dei cardinali venner distaccate dalle officine de’ cappellari, portate derisoriamente in processione, e quindi, fra il baccante tripudio di poca ciurmaglia insensata, gittate con disprezzo nel Tevere a ponte Sisto.3

[p. 119 modifica] Lo stesso giorno in cui il papa emetteva l’atto chiamato della scomunica, giungeva in Napoli venendo da Genova, non senza avere incontrato pericoli, il generale Zucchi, per trasferirsi subito in Gaeta.4

Quanto a Gaeta dopo aver rammentato l’atto del 1°, aggiungeremo che il 2 gennaio vi giungeva il conte Pennafiel da Silva, inviato straordinario e ministro plenipotenziario della regina del Portogallo, ed il marchese Scipione Bargigli, ministro residente di Toscana.

Il 3 vi approdava il cavaliere Leopoldo Mayer, comandante la guardia svizzera in Roma.5

Il giorno 5 poi il 8anto Padre dopo essersi abboccato col generale Zucchi, gli dirigeva una lettera per incaricarlo di far conoscere a tutte le truppe, che attendeva dalle medesime un atto di sudditanza, con promessa di adoperarsi a mantenere in fede quelle provincie che ancora si tenevan tranquille.6

E il generale, obbedendo agli ordini del pontefice, emetteva il 7 un ordine del giorno alle truppe.

Era tale però in Roma il timore,, che non solo non si arrischiava di divulgarlo nelle caserme, ma appena osavasi di leggerlo nelle case dei privati; cosicché anche questo atto rimase come lettera morta.7

Il 10 gennaio giungeva in Gaeta l’americano Brown, incaricato di affari degli Stati Uniti d’America, e ne’ giorni antecedenti eravisi recata una deputazione dei parrochi di Roma.8

Il dì 11 di gennaio una deputazione della regia università degli studi di Napoli giungeva in Gaeta per prestare omaggio al 8anto Padre.9

[p. 120 modifica]Ed il 12, onomastico del re che in quel momento trovavasi in Gaeta, il Santo Padre ed il cardinale Antonelli recaronsi a porgergli le loro felicitazioni. 10

Monsignor Franzoni poi, inviato dal gabinetto piemontese in Gaeta, ne partiva, ed il 12 recavasi in Roma.11 Il 13 vi giungeva una deputazione di Serra.12

Il 15 vi giungeva il cardinal Simonetti ed il conte Luigi suo fratello, ministro incaricato del duca di Modena. Vi si era recata il giorno innanzi una deputazione di Pontecorvo.13

Sotto la data del 17 gennaio il cardinale Antonelli scrisse da Gaeta al generale De Latour, comandante le truppe svizzere in Bologna, affinchè colle medesime si recasse presso il Santo Padre in Gaeta.

Questa lettera venne consegnata al generale da monsignor Bedini appena giunto colà, il che fu il 24 gennaio.

Ma dopo lunghe pratiche; dopo infiniti maneggi dei circoli tendenti a paralizzare i negoziati del Bedini, ebber questi la prevalenza, ed il generale Latour colle sue truppe fu indotto di restare a Bologna.

Questo episodio importantissimo delle nostre storie merita di essere schiarito: e siccome lo stesso monsignor Bedini fece pubblicare un opuscolo nel quale racconta circostanziatamente le sue pratiche per ottener l’intento, riuscite infruttuose, narreremo le particolarità di questo affare, giovandoci tanto dell’opuscolo medesimo, quanto della storia del Torre, il quale ne parla a lungo nel primo volume,14 e di altri documenti che avemmo agio di consultare.

[p. 121 modifica] Monsignor Bedini adunque giungeva in Bologna, come dicemmo, il 24 gennaio.

I due reggimenti svizzeri stanziati l’uno a Bologna, l’altro a Forlì, l’intera batteria estera, il corpo dei dragoni pontifici, e qualche altra truppa disseminata nelle legazioni, somministravano una forza imponente. Inoltre avevasi ragione di contare sui suoi principi d’attaccamento verso il governo pontificio. Queste considerazioni pertanto indussero il governo stesso a fare assegnamento sul suo valido appoggio.

Tardi però giunse monsignor Bedini in Bologna, perchè il governo romano vi aveva richiamato da Venezia le civiche mobili e i corpi franchi. Il partito moderato piemontese poi vi si adoperava per farvi una diversione all’Austria, nella imminente rottura dell’armistizio. I circoli bolognesi rispondendo ad un comune e solidale impulso secondavano queste tendenze.

Verso il fine di gennaio il conte Alessandro Spada si dimise dalla carica di legato di Bologna ed i repubblicani gli sostituivano Carlo Berti Pichat, e ponevano il conte Biancoli alla testa della polizia. Affidavasi la civica a Carlo Bignami, e ponevasi un Lombardo già ufficiale di ordinanza del general Durando, per nome Marliani, al fianco del generale Latour.

Il Bedini si pose in communicazione col generale nell’intendimento che ove non fosse riuscito di ricostituire in Bologna l’autorità pontificia, avesse ricondotto le sue truppe in salvo, potendo, a Gaeta.

La restaurazione dell’autorità fu riconosciuta impossibile, stantechè gli uomini influenti eransi pel timore nascosti, e rifuggivano dal partecipare ad un cosiffatto ripristinamento. La partenza per Gaeta pertanto fu riconosciuta siccome l’unico mezzo da adottarsi.

Mostravasi in sui primi favorevole il generale Latour al proposto temperamento. Poi obiettava che senza molto danaro non avrebbe permesso alle sue truppe di partire, non volendo imitare l’esempio del Garibaldi.

[p. 122 modifica]Si discoperse allora che vi erano dodicimila scudi nella cassa militare, e con questi si convenne di effettuare la partenza il giorno 28.

I preparativi di partenza essendo stati però scoperti, il generale veniva circuito e distolto dai capi del movimento. Affacciava quindi esso altre difficoltà circa i carri ed altri mezzi di trasporto inservienti all’uopo.

Già la sera del 27 parlavasene nei circoli, già alcun estero agitatore ad opera vasi per attraversare la partenza, e gli stessi onesti e pacifici abitanti di Bologna incominciarono a manifestare la loro avversione alla partenza, temendo che trovandosi privi d’un presidio sì incoraggiante, seri disordini sarebbero occorsi.

Si richiese allora e si ottenne almeno una dilazione di ventiquattro ore, la quale con segni di esultanza venne festeggiata. Il generale stesso cercò di atterrire monsignor Bedini col timore della opposizione che da ogni parte rivelavasi in città.

La direzione di polizia proibì di somministrar cavalli per gli Svizzeri.

Riconobbesi allora nella implorata dilazione un mezzo per creare impedimenti, e i fatti lo comprovarono. Il prelato insisteva per la partenza immediata, ed il generale Latour vi si opponeva. Dopo lunga lotta venne decisa la partenza senza nè carri nè cavalli. Ma ecco sollevarsi di nuovo nel generale gli scrupoli di una vasta sollevazione, e di una carnificina. Il prelato dall’altra parte tenendosi rinchiuso, nulla poteva da per se stesso verificare.

Un proclama del 28 del preside di Bologna Berti Pichat di carattere misterioso e allarmante, venne a porre in orgasmo quella popolazione. Ne profittò subito il generale Latour per esporre a monsignor Bedini il pericolo ognor crescente di vicini tumulti. Fu esortato il generale a non permettere attruppamenti, ma egli nulla fece per impedirli; che anzi fermaronsi appunto sotto le sue stesse finestre. Nella notte poi si riseppe che il colonnello Kaiser di suo ordine inviato a Forlì per preparare alla partenza [p. 123 modifica]l’altro reggimento, era stato ivi arrestato dai perturbatori. Lo stesso era accaduto ad altri Svizzeri ch’eransi posti in viaggio per quella città.

Il generale si mostrò intimorito per questi fatti. Ne parlò al prelato, aggiungendovi la notizia di fermento in Bologna e del pericolo di una immediata sollevazione in tutte le Romagne, ed insistendo inoltre per la revoca dell’ordine di partenza. In tale emergenza si rimise all’indomani la decisione.

Intanto consegnavansi improvvidamente dal generale Latour seicento fucili al reggimento la Unione, nel quale la rivoluzione era personificata; ed i circoli preparavano nella notte un indirizzo al generale per esortarlo in nome della popolazione a rimanere colle sue truppe in Bologna.

Conserviamo ancora l’indirizzo dei circoli, che riportiamo in Sommario.15 Ne riferiamo qui uno squarcio che così diceva:

«Gl’iniqui nostri nemici, perduta la perfida speranza dello straniero intervento, vogliono disonorare il glorioso nome d’Italiani, di cui siete stati battezzati nel vostro sangue a Vicenza, chiamandovi a sostener la parte del Tedesco, ad eccitare nel vostro passaggio attraverso lo stato la guerra civile ed il brigantaggio.»

Il colonnello della civica Bignami invitava con altro proclama il popolo a riunirsi l’indomani 29 tanto nei quartieri, quanto in sulla piazza.

Giunto il 29, monsignor Bedini veniva invece esortato non solo, ma spinto a mettersi in salvo all’istante, perchè, si asseriva, la sua casa sarebbe stata in brev’ora accerchiata di armati, nè potersi rispondere della sua incolumità.

In tali frangenti il generale Latour chiese ed ottenne l’ordine di revoca della partenza, e prontamente disparve.

L’ordine era così concepito: «vista l’impossibilità di partire senza massacro, l’ordine è revocato.» Il prelato Bedini però, sostando fuor delle mura della città, [p. 124 modifica]trasmetteva al generale, mezz’ora dopo l’invio dell’ordine di revoca della partenza, una nota in cui diceva: «l’ordine della partenza non è che differito, e voi vi recherete dal Santo Padre quando le circostanze vi sembreranno più favorevoli.» Di più lo avvertiva che: «egli, il Bedini, da quel vicino luogo di rifugio, sarebbe stato in attenzione di sua sortita per tosto raggiungerlo.»

Non ostante tutto ciò scriveva il De Latour al colonnello Berti Pichat nello stesso giorno 29 gennaio di: non potersi ricusare al voto unanime della nazione bolognese, e ricordare come i campi di Vicenza attestassero della simpatia delle truppe, sotto i suoi ordini, per la causa italiana; prometteva in somma di rimanere co’ suoi soldati. Ecco anzi il tenore della lettera:

«Signor tenente colonnello,

» Non posso ricusarmi al voto unanime di questa popolazione, ed ho l’onore di prevenire vostra signoria illustrissima che ho dati gli ordini perchè la brigata che comando rimanga nelle rispettive guarnigioni, ed a partire da domani 30 corrente, riprenda il consueto servizio di piazza.

«I campi di Vicenza protestano della nostra simpatia per la causa italiana, ed io in particolare l’assicuro che sono pronto a fare per la città di Bologna, che ci ha accolto con tanto favore, tutto ciò che da me dipende, e che non sia in aperta contraddizione coll’onore militare, col quale un soldato non può e non deve transigere.

» Ho l’onore di dirmi con la più distinta stima.

» Bologna, il 29 gennaio 1849.

» (firmato) De Latour.


» Al signor tenente colonnello

» Carlo Berti Pichat

» Preside della città e provincia di

» Bologna16


[p. 125 modifica]Il Berti Pichat fu sollecito di comunicare al popolo bolognese il dispaccio seguente:


«Provincia di Bologna.

«Notizia ufficiale.


» A compiere la notizia di questo solenne giorno iniziatore di nuova era italiana, ho il sommo contento di partecipare a questa eccellente magnanima popolazione il seguente dispaccio.

» Bologna, 29 gennaio 1849.

» Il preside

» Carlo Berti Pichat



Segue il dispaccio ossia la lettera del generale De Latour, che già abbiamo riportato di sopra.

E il detto dispaccio fu subito spedito a Roma ove appena giunto, ristampavasi e diffondevansene a migliaia le copie.17

Il procedere del generale Latour rivestì tutti i caratteri di una vergognosa defezione, e tale senz’ambagi dovrebbe chiamarsi. Ma fosse pure pusillanimità, egli è un fatto che non obbedì agli ordini del pontefice; e checchè dica il Torre per difenderlo, 18 la sua condotta produsse un senso tristissimo in tutti gli uomini onesti. A Gaeta poi ne furono sommamente costernati.

Certamente è da stupire come truppe coraggiosissime e onoratissime, quali eran le svizzere, le quali seppero splendere per valore contro il nemico nei campi di Lombardia e soprattutto a Vicenza, si facessero imporre dalle millanterie (fosser pure minaccie) dei circoli. Non furono però le soldatesche, le quali anzi ardevano di uscire dalla inazione vergognosa cui erano condannate, ed anelavano di compiere il loro dovere. Le apparenze son tutte [p. 126 modifica]contro i capi, e non saprebbesi come chiarirli dalla nota di vigliaccheria o di fellonia, finché non ci giungano documenti a tal uopo concludenti: documenti che per il loro onore sinceramente desideriamo che vengan prodotti. Possiamo rammentare a carico del generale De Latour il fatto dei soldati napoletani nei maggio 1848. Ancor essi trovavansi colà; ancora ad essi fu imposto dal sovrano di retrocedere; anche su di essi e sui loro capi facevasi pesare la responsabilità degli sconcerti che sarebbero accaduti c delle sollevazioni che avrebbcr provocato; e pure, salvo un piccolissimo numero, ubbidirono tutti, retrocedettero e raggiunsero tranquillamente il reame di Napoli.

Ma il secolo nostro ostentatore a parole di sublimi virtù, vide spesso di questi fatti vergognosi, c vede molti e molti campioni del tradimento e della viltà passeggiare tronfi e pettoruti per le contrade d’Europa, mentre vede pure tapini e spregiati trarre a stento la vita i seguaci della fedeltà c dell’onore.

Ne ciò è da meravigliare: perchè allorquando trattasi di prender parte per le rivoluzioni, i soldati sono tutti eroi; ma ove trattisi di sostenere la bandiera de’ propri sovrani, la bandiera dell’onore, e la santità de’ giuramenti, eglino allora sono in vece sgherri, cagnotti, briganti, e lo squarcio dell’indirizzo dei circoli bolognesi riportato di sopra ne somministra un esempio.

Egli è quindi a desiderarsi che uomini coraggiosi sorgano in tutti i canti di Europa per rialzarla dallo scadimento morale in cui trovasi affondata, e ciò facciano colla voce, cogli scritti, colle opere, e cerchino di riaccendere e mantenere il fuoco sacro dell’onore, della verità e della virtù; altrimenti finirassi col cambiare il senso dei vocaboli ne’ dizionari, e alle parole, fedeltà ai propri sovrani e alla loro bandiera, si porrà per sinonimo la parola, brigan taggio , e al vocabolo, rivoluzione, si appiccheranno le qualifiche tutte che prima davansi al cumulo di tutte le virtù sociali.

[p. 127 modifica]Ci siamo diffusi e con ragione nel chiarire questo punto di storia che noi giudicammo importantissimo, poichè era pure fra i possibili che il sussidio degli Svizzeri, ove non fosse mancato, avesse forse risparmiato l’intervento straniero.

Ritornando a Gaeta, d’onde prendemmo le mosse per parlare del generale De Latour, diremo che la notte del 20 il re di Napoli parti da quella città per la capitale, sul vapore il Vesuvio, e che alle 3 della notte incontratosi col vapore l’Antilope si urtarono i due vapori. Lanciatosi in mare il segretario della legazione russa Oustinoff, vi perdette la vita.

Giunse in quel tempo in Gaeta il cardinal Giraud arcivescovo di Cambray, non che una deputazione di Ferentino ed altra di Piperno.19 Il conte Martini ministro plenipotenzario del re di Sardegna, dopo lunghe esitazioni e corrispondenze, fu formalmente ricevuto in Gaeta dal Santo Padre nella sua rappresentanza il 23 di gennaio.20

Circa il giorno 25 ricevette il Santo Padre varie deputazioni, e detter fondo in Gaeta la corvetta da guerra il Mazaredo e il brick il Volador spagnoli, comandati dal comodoro brigadiere Bustillo.21

Queste sono le scarse notizie di Gaeta che potemmo raccogliere relativamente al mese di gennaio, imperocchè non più pubblicaronsi i bollettini di Gaeta, e lo stesso giorpale il Tempo poco o nulla ce ne disse.

Ripiegandoci ora di nuovo su Roma continueremo la narrazione delle cose ivi occorse.

E per prima diremo che la pubblica stampa scagliossi in genere contro l’atto del 1 gennaio portante la scomunica. Fra i giornali si segnalarono il Contemporaneo,22 [p. 128 modifica]l’Epoca,23 la Pallade,24 la Speranza italiana,25 e l’Alba di Firenze.26

Con tutto ciò il governo, quantunque avesse preso le sue misure per mantenere la tranquilità, non lasciava di essere in qualche pensiero per gli effetti che avesse potuto produrre la diffusione dell’atto di cui andavansi moltiplicando le copie che una società di amici fece ristampare, e che alcuni giovani animosi, perlustrando la città nella notte e pattugliando come civici, ebbero perfino il coraggio di affiggere. Il governo dunque per calmare gli spiriti, emise subito un proclama che incominciava: «Romani! Voi aveste una grande provocazione,» non dicendo quale fosse ma alludendo evidentemente all’atto del Santo Padre. Con detto proclama gli esortava secondo il solito ad aver fiducia in lui; e ponendo da un lato sotto i loro occhi lo spettro terribile dell’anarchia e gli orrori della guerra civile, lusingavali dall’altro con le consuete frasi. Diceva cioè: «La dignità della vostra tranquillità, in mezzo a tanti cimenti, fu l’ammirazione dell’Europa e la disperazione de’ nostri nemici.»27

Uscirono immediatamente alla luce vari foglietti stampati per illuminare (come dicevasi) il popolo, e tutti, bene inteso, contrari alla scomunica; e la lor diffusione intrecciavasi colla diffusione di altre pubblicazioni esplicative della Costituente. Tutti questi fogli stampati posson vedersi fra i nostri documenti.28

Più tardi divulgavasi per Roma un preteso atto del cardinale Opizzoni dato in Bologna contro la scomunica, e i gridatori vendevanlo pubblicamente per le vie di Roma.29

[p. 129 modifica] Ma il Costituzionale del 26 avvertiva i suoi lettori di essere autorizzato a dichiararlo un documento falso.30

Il governo però alle belle parole consociò alcuni tristi fatti per incutere timore ai credenti nella scomunica; e già fin dal 7 gennaio eransi assoggettati ai più grossolani insulti tanto il parroco di san Giovanni in Luterano don Giuseppe Graziani, quanto l’altro di santa Maria Maggiore, perchè attribuivasi ad entrambi di aver favorito l’affissione del fatto del 1° gennaio.31 E ad un tal Pietro Bighi facevansi delle perquisizioni sulla metà di gennaio, ed era guardato a vista nella sua abitazione di Monte Cavallo.32

Il mal seme poi delle idee nuove essendo penetrato fra gli alunni dell’ospizio di san Michele a Ripa, furonvi degli sconcerti nelle sere del 17 e del 18 per discussioni politiche sulla Costituente, sul papato e sulla scomunica. L’ospizio era diviso in due fazioni: chi teneva pel cardinale Tosti e quindi pel papa, e chi no. Vi furon pertanto dei tafferugli, e si disse perfino esservi stati dei feriti.33

Il 22 gennaio in Senigallia veniva arrestato e perquisito quel vescovo.34

Ritornando in dietro, e riprendendo il filo delle nostre narrazioni dai primi di gennaio, designeremo il fatto che la Giunta provvisoria di governo o terzo potere (ch’era stata eletta dalle Camere il giorno 3) emise la sua formale rinunzia, e da quel giorno quindi le Camere essendo chiuse, ed il terzo potere sparito, restò il ministero soltanto. Esso però rappresentando così (sia pure per necessità) i due poteri legislativo ed esecutivo, tutto insomma, adottò il ripiego di chiamarsi quinc’innanzi commissione provvisoria di governo; ed ecco il perchè si trovano in tal [p. 130 modifica]modo intestati tutti gli atti governativi di quel tempo. Fu questa, è vero, un’altra illegalità; ma quando tutto era illegalità e confusione, avere una illegalità di più o di meno era cosa da passare talmente inosservata, che oggi ce ne avvediamo svolgendo le carte di quei tempi, ma allora non avvertivasi nè punto nè poco. E poi a chiunque avesse affacciata la minima obbiezione, rispondevasi sempre in guisa da ricoprire le irregolarità sotto il manto comodissimo della necessità.

La sera del 5 vi fu accademia musicale a profitto di Venezia nel teatro di Apollo. La decorazione e la illuminazione furono fatte a spese del principe Torlonia. Cantarono Fraschini, la de Giuli e Colini. Recitaron poesie il Miraglia di Strongoli, il Mameli genovese, e i due romani Meucci e Guerrini. La poesia del Mameli rivelava sensi eminentemente repubblicani. Era quel desso che mesi dopo mori combattendo per la repubblica romana a villa Panfili. La sua poesia ci venne conservata dalle stampe.35 Lo incaricato di Venezia, Castellani, fece inserire il suo ringraziamento nella Gazzetta di Roma.36

Comparve il detto giorno un indirizzo clandestino sottoscritto da Alcuni officiali civici, e tendente a proclamare all’istante un governo provvisorio civico pontificio. L’indirizzo circolò, si lesse, ma non ebbe seguito veruno. I nomi degli officiali civici però non apparivan nell’atto.37

E nel detto giorno il famoso Luigi Masi dichiarava da Senigallia di non accettare la nomina di tenente generale della guardia civica, dicendo: «il dovere e la coscienza mi dettano rimanere in questo posto, dove l’affezione de’ miei bravi ufficiali e soldati mi tiene in grado di prestare qualche servizio alla causa del popolo.38

[p. 131 modifica]La conoscenza di questo rifiuto, che in Roma si ebbe il giorno 8, avendo lasciato scoperto il posto importante di tenente generale della guardia cittadina, provocò una ordinanza ministeriale del giorno 9 colla quale proponeva» la scelta del generale, in via di eccezione, ai militi stessi per segreti suffragi, e si stabilivano i giorni 12, 18 e 14 per ricevere le schede nei relativi quartieri. Il giorno 15 poi se ne sarebbe fatto lo spoglio.39

In seguito di ciò i circoli si adoperarono e fecer correre per le mani di tutti una nota dei loro candidati.

Eccone i nomi:

Principe don Luigi Spada
Colonnello Roselli
Avvocato Sturbinetti
Colonnello Tittoni
Marchese Ala Ponzoxi di Milano
Maggior Salvati.

E la sera dell’11, antecedente a quella della consegna delle schede, tenevasi già nel palazzo di Monte Citorio una riunione dal comitato preparatorio per la elezione del generale anzidetto.40

L’operazione ebbe luogo; e aperte le schede e compilate le liste il giorno 15, si ebbe il risultato seguente:


Duca Cesarini voti 1202
Principe Spada » 787
Colonnello Roselli » 655
Avvocato Sturbinetti » 536
Colonnello Tittoni » 432
Ex generale Gallieno » 416

[p. 132 modifica]Ma come la civica non volle il Masi per suo generale perchè troppo democratico, i circoli non vollero il duca perchè appartenente all’aristocrazia. Ne fu avvertito, rinunziò, e partissene subito per Civitavecchia.41

In seguito di ciò il giorno 18 la commissione provvisoria di governo elesse al grado di tenente generale della civica il general Ferrari; e così Roma non ebbe nè l’eletto dalla milizia cittadina ch’era il duca Cesarini, nè il Masi ch’era il favorito dai circoli, ma ebbe invece a capo un campione della rivoluzione italiana, per antiche geste sperimentato.42

Accettò il general Ferrari, e ringraziò il 19 con un indirizzo.43

Ma un altro episodio non meno interessante e curioso ci occorre narrare, il quale ci farà conoscere la poca esperienza o il poco tatto politico degli uomini preposti in que’ tempi a reggere la somma delle cose nostre.

Egli è dunque a sapere che saltò in capo tanto al conte Terenzio Mamiani quanto a monsignor Muzzarelli di scrivere a monsignor Garibaldi nunzio pontificio in Napoli affinchè si spiegasse e apertamente dichiarasse se voleva o no continuare a servire, e rappresentare il governo temporale del Santo Padre (corrispondendo co’ suoi ministri in Roma) nella qualifica suddetta di nunzio in Napoli.

Queste lettere ci sembrano di una singolarità tale che non possiamo fare a meno di riportarle estraendole dal giornale l’Epoca.44

[p. 133 modifica]

Eccole:



«Circolare

» Ai nunzi, internunzi, e incaricati di affari.


N.° 9948.                                                                                  19 dicembre 1848.

» Non avendo ella mai dato riscontro alla mia circolare, con cui ebbi l’onore di parteciparle la mia nomina a ministro delle relazioni estere, debbo credere ch’ella voglia esonerarsi dalla diplomazia propria del governo temporale del Santo Padre, ritenendo e conservando solo la rappresentanza diplomatico-religiosa.

» Se ciò è, come sembra fondatamente, prego la E. V. reverendissima a darmene franca e chiara conferma, poiché mi è necessario di chiarir bene questo emergente prima di proporre ai due Consigli deliberanti l’invio di nuovi e stabili rappresentanti all’estero. Avrò in conto di tale conferma il silenzio, che anche dopo la presente volesse meco continuare la E. V.

» Approfitto pure di questo incontro per rinnovarle i sensi del mio profondo ossequio.


» (firmato) Terenzio Mamiani





[p. 134 modifica]


«Circolare

» Ai nunzi, internunzi, e incaricati di affari.


N.° 9984.                                                                                  23 dicembre 1848.
» Eccellenza reverendissima,

» La suprema Giunta di stato con atto del 22 del corrente ha composto il nuovo ministero nel seguente modo:

» Monsignor Carlo Emmanuele Muzzarelli — Istruzione pubblica e presidente del Consiglio de’ ministri, col portafoglio interinalmente degli affari esteri.
» Avvocato Carlo Armellini — Interno.
» Avvocato Federico Galeotti — Grazia e giustizia.
» Conte Pompeo di Campello — Armi.
» Livio Mariani — Finanze.
» Dottor Pietro Sterbini — Commercio e lavori pubblici.


» Mentre io sono in dovere di annunziarle tale atto di governo come presidente del Consiglio de’ ministri, mi do pure premura di parteciparle la mia nomina di ministro interino delle relazioni estere.

» Ometto d’inculcarle lo zelo e la lealtà nel corrispondere con questo ministero, come le corre obbligo, perchè ho ferma fiducia ch’ella più che delle etichette diplomatiche vorrà penetrarsi delle sorti del paese ch’ella rappresenta e cooperare con noi alla conservazione di una pace non meno necessaria per questo stato che per la intera Europa.

» E frattanto con sensi di stima passo a rassegnarmi

» Di vostra eccellenza reverendissima.


» (firmato) C. E. Muzzarelli


[p. 135 modifica]Al conte Mamiani, come particolare e non come ministro, replicò monsignor Garibaldi il 25 decembre dicendogli, che il vero motivo per cui non rispose fu perchè non poteva riconoscere il ministero di cui il Mamiani stesso gli parlava, essendo del tutto illegittimo ed usurpatore del potere che pretendeva esercitare. Al Muzzarelli poi, come decano della sacra Ruota, inviò monsignor Garibaldi una lettera il 30, ove fra le altre cose diceva che il suo dovere era quello di rappresentare presso sua maestà siciliana il sommo pontefice Pio IX tanto come capo della Chiesa di Gesù Cristo, quanto come sovrano degli stati temporali della Chiesa medesima, e di corrispondere a tal oggetto co’ ministri legittimi del sommo pontefice stesso; che non riconosceva la sedicente Giunta di stato, usurpatrice sacrilega del potere sovrano, dalla quale era nato il ministero di cui faceva parte; e elio infine gli faceva specie che riflessi consimili non avessero potuto ritener lui, il Muzzarelli, che come antico giureconsulto e prelato avrebbe forse dovuto sentirli più di tanti altri, dal prender parte ad uno dei più gravi e più sacrileghi attentati che immaginar si potevano.

Affinchè poi non si creda che il prelato Muzzarelli fosse stato trascinato recentemente e per illusione di fantasia nel turbine della rivoluzione, preghiamo i nostri lettori di gittare un’occhiata sopra una lettera che riportiamo in Sommario. Essa è del cardinale Lambruschini e porta la data del 1° settembre 1838. Questa lettera in originale la possediamo fra i nostri manoscritti.45

La lettura della corrispondenza riportata di sopra ci chiama di necessità alle seguenti osservazioni.

Era egli mai presumibile che monsignor Garibaldi nunzio del papa in Napoli, a contatto col medesimo, col sacro collegio e con tutto il. corpo diplomatico, abborrenti tutti dalle cose che facevansi in Roma, potesse prendere sul serio gl’inviti del Mamiani e del Muzzarelli, e [p. 136 modifica]umilmente rispondere loro quasi che fosse un lor dipendente? Possibile ch’egli volesse dir loro se voleva o no rimanere, e promettesse di disimpegnar bene il suo officio? E non sarebbe stato ciò un riconoscere la loro autorità? E non era egli piuttosto da attendersi che rispondesse come rispose, e che assoggettasse entrambi ad una ben meritata mortificazione? Forse potrebbe obiettarcisi che entrambi per debito di officio, come ministri degli affari esteri, dovevan farlo a tutti. Agli altri ne converremo, ma a monsignor Garibaldi in allora nunzio pontificio a Napoli, interpellazioni di tal fatta sentirono di decisa stoltezza.

Ritornando in dietro rammenteremo come dopo la festa notturna del 5 ve ne fu una tutta militare il 7, ma diurna, per recare in Campidoglio la bandiera inviata a Roma da Venezia.

Sul mezzo giorno (era di domenica) difilaron pel Corso circa un mille civici ed un millecinquecento uomini di linea col generale Zamboni alla testa e sei cannoni. V’eran pure dei giovani che cantavano il coro di Magazzari sulle parole del Dall’Ongaro.

Giunta la processione al Campidoglio, vi fu un discorso dell’abate Rambaldi (quello stesso che la sera del 2 predicò dalla base del Marco Aurelio) diretto al principe Corsini, ed una risposta del principe al democratico abate.46

Ci occorre di narrare un altro fatto.

Il motu-proprio del Santo Padre, del 1° gennaio, la sua lettera del 5 al generale Zucchi, non che le corrispondeuze e le istruzioni orali che giungevan da Gaeta, dicevano chiaramente a’ soldati di onore qual fosse la condotta da doversi tenere.

Obbediente alla voce del dovere e dell’onore si mostrò principalmente il generale Zamboni, il quale divisato aveva di recarsi, fuggendo da Roma, nel luogo ove [p. 137 modifica]il pontefice aveva posto sua stanza; ma ad onta delle precauzioni usate erane venuto qualche sentore alla Giunta provvisoria di pubblica sicurezza, la quale nella notte del 16 al 17 gennaio ordinò ad un picchetto di civici, diretto da Angelo Bezzi, di appostarsi nella strada che da porta san Giovanni conduce in Albano. In sulle tre del mattino di fatti del giorno 17 eseguì l’arresto del general Zamboni in compagnia del capitano Sassolini, del tenente Monari, di Gioacchino Giansanti, di Domenico Cicerchia, di due figlie del Zamboni, e d’un figlio del Sassolini, i quali in due legni provenivano da Roma privi di passaporti e mancanti di fogli regolari di via. Ricondotti indietro, furon tutti posti agli arresti. Le carte vennero tutte sequestrate, e consegnate alla giustizia. Un processo fu subito istruito. 47

Fra le carte che seco recava il general Zamboni eravi il seguente ordine del giorno:


«Agli ufficiali, sotto ufficiali, e soldati

«nella prima divisione militare.


» Il supremo momento è giunto! Si tratta di dichiararsi ribelli in faccia al mondo, del legittimo nostro sovrano Pio Papa IX col prestare il voto ed un implicito giuramento all’Assemblea dello stato condannata da lui, o di rimanere fedeli al nostro principe, al sovrano pontefice, col rigettare generosamente lungi da noi qualunque indegna proposta.

» Non vi ha via di mezzo = o stringersi intorno al vessillo pontificio, pronti eziandio a cadere da prodi a piè del medesimo estinti, o vilmente cedere al più nero suggerimento di smascherata fellonia. =

[p. 138 modifica]» In quanto a me vostro generale, la decisione è presa. Fin dalla prima giovinezza educato alle armi, ho camminato la via dell’onore, e non rare volte ho dato prove di batterla con piede fermo, ed animo risoluto. Ora che per la grave mia età mi trovo quasi al termine di tale carriera, tradirei me stesso se osassi pur concepire di abbandonare quella bandiera sotto cui onoratamente ho finora militato.

» Quindi, in questo estremo di cose, non ho creduto di appigliarmi che ad un estremo rimedio. Si è questo di partire dalla capitale facendo appello col presente proclama a tutti voi, miei fedeli soldati, di seguirmi guidati dai vostri rispettivi comandanti, cui regolarmente ne ho trasmessi gli ordini, sotto le insegne pontificie, sormontate dai colori nazionali, alla volta di Terracina, per attendere ivi gli ordini di Sua Santità.

» Chi memore de’ suoi doveri, de’ suoi giuramenti, riflette per un istante alla giustizia dell’impresa, sono certo non esiterà un momento di abbracciare un tale partito. A parte ogni indugio pi vostro generale, il vostro superiore legittimo, il vostro padre vi precede. Sta a voi, o generosi, di seguirlo, o ricoprirvi di vergogna! Roma, non temete, rimane tranquilla. La guardia cittadina veglierà all’interna sicurezza, ed occuperà i posti da voi, momentaneamente lasciati scoperti.

» Il legittimo comando della prima divisione militare viene stabilito in Terracina, ove i comandanti dei corpi tutti, delle piazze e delle guarnigioni si dirigeranno per i loro rapporti e per le opportune istruzioni ed ordini.

» Roma, 16 gennaio 1849.


» Il generale comandante

» la prima divisione militare48


[p. 139 modifica]All’arresto del Zamboni poi successe un altro avvenimento, che esser poteva principio di una reazione sanguinosa in favore del pontificio governo; poichè quantunque il terrore invadesse gli animi tutti dei cittadini estranei al movimento, non potrebbe poi assicurarsi, se trovato un punto d’appoggio, non si sarebber riscossi. Ecco il fatto:

Una quarantina (così il foglio officiale) di soldati di linea avendo forzato il giorno 19 le porte della caserma di Cimarra, ne uscirono armati percorrendo la città, recandosi al quartiere della Pilotta, e gridando: fuori Zamboni. Fecero una scarica sui dragoni ch’erano ivi schierati, e alcuni rimaser feriti.

Parecchi degl’insorti vennero arrestati subito, altri vennero inseguiti e arrestati dalle pattuglie in perlustrazione, altri finalmente datisi alla fuga fuori della città lo furono in seguito.49

Lo stesso giorno veniva istituita con decreto una commissione militare composta del


Colonnello Angelo Ruvinetti presidente, e dei

Giudici


Tenente colonnello Filippo Caucci Molara
Maggiore Alessandro Calandrelli
Capitano Mariano Volpato
Capitano Odoardo Romiti
Tenente Olimpiade Meloni
Tenente Luigi Gabet
Avvocato Felice Sani procuratore della legge.50

Siffatta commissione ebbe per iscopo unico il prevenire e punire qualunque moto sedizioso.

[p. 140 modifica]Non appena uscito però e conosciuto il decreto, il dottor Pantaleoni con una lettera in data del 20 inserita nella Rivista indipendente di Firenze del 29, insorse contro il medesimo, qualificandolo come contrario ad ogni legge, ad ogni diritto. Parve al medesimo un caso gravissimo la istituzione di una commissione militare, e di un giudizio statario.51

Ad onta di ciò la commissione rimase al suo posto, e per prima cosa prese cognizione dei fatti accaduti, de’ quali furon compilati i processi che possono leggersi nel volume Processi politici contro l’avvocato Galletti, Montecchi, Canino, generale Zamboni ec., ov’è pure quello contro i soldati insorti. Nella mattina del 25 cominciò il dibattimento, e la relazione fiscale venne pubblicata nella Gazzetta di Roma del detto giorno.52

Delle condanne parleremo in seguito.

Lo stato in cui versavasi, e quello che temevasi in appresso, allontanavano a poco a poco molti uomini rispettabili, e fra questi ricorderemo, che il principe di Viano rinunziava il 12 gennaio al carico di colonnello del 9º battaglione civico,53 ed il 19 rinunziava il principe Torlonia a quello del 2.°54 Della rinunzia e del ritiro del principe Corsini abbiamo già parlato. Esso verso il fine di gennaio si allontanò anche da Roma e fermossi in Toscana.55 In Bologna erasi ritirato non solo il senatore Zucchini, ma tutta la magistratura;56 e l’avvocato Zannolini prolegato di Ancona dava la sua dimissione, ed il giorno 20 giungeva a Bologna.57

Altra rinunzia di fatto si verificò nell’allontanamento dalle loro sedi del Manzoni preside di Ravenna, e del conte [p. 141 modifica]Lovatelli preside di Ferrara, i quali, alla vigilia delle elezioni per la Costituente, sparirono dalle dette città e rifugiaronsi all’estero. Ciò accadeva il 20 gennaio.

La commissione provvisoria di governo nell’avvertirne il pubblico, chiamava amendue i presidi a comparire in Roma entro il termine di 10 giorni, per render conto del loro operato. Inutile lo aggiungere che non obbedirono. Sbaglio fu questo come quello di scrivere a monsignor Garibaldi. 58

Queste rinunzie si spiegano facilmente. Vedevan tutti a colpo d’occhio qual piega pigliassero le cose, e come si camminasse affrettatamente verso la repubblica.

Nel teatro Metastasio poi la sera del 20 rappresentavasi sulle scene la rivoluzione di Napoli con barricate sul palco; e così venivasi accostumando il popolo, fra gli applausi, a vedere quelle cose in teatro che si sarebber vedute poco dopo fra le sue mura. 59

Il 27 davasi per la prima volta nel teatro Argentina la musica del maestro Verdi intitolata la battaglia di Legnano, scritta sulle parole del Cammarano.

Il suo effetto sul pubblico fu sopra ogni dire affascinante, perchè e parole e musica contenevano tutto ciò che può esaltare le passioni. Il libretto può leggersi nella nostra raccolta. 60 I pezzi che maggiormente eccitarono il pubblico e provocarono applausi frenetici, furon quello in cui si dice: siete barbari stranieri, e l’altro:

«Chi muore per la patria
» Alma sì rea non ha!»

Per caso avevamo ancora i migliori artisti, perchè la cantarono il Colini, il Fraschini e la de Giuli.

Ma volgiamoci ad altro argomento.

[p. 142 modifica]Molti furono i decreti, le notificazioni, o le disposizioni di legge che dal 1° al 28 gennaio promulgaronsi in Roma, e noi per non dilungarci di troppo, ci limiteremo a rammentarle dandone per ordine di data una semplice indicazione. Diremo dunque che

Con decreto del 2 della commissione provvisoria di governo venner vietate le sostituzioni fidecommissarie a favore di persone o corpi morali per atto tra vivi, o di ultima volontà.61

E con altro veniva sospeso l’obbligo della decennale rinnovazione delle iscrizioni ipotecarie.62

Il giorno 4 si sottoscrissero le leggi ed i regolamenti criminali e di disciplina militare.63 E venne pur sottoscritta la legge sulle giubilazioni e pensioni ai militari64 ed un ordine del giorno del ministro delle armi Campello relativo all’amministrazione militare.65

Ed il giorno 9, decreto per la soppressione del dazio sul macinato.66

Nello stesso giorno, ordinanza per l’apertura delle cattedre di economia politica e di diritto commerciale nelle università di Roma e Bologna. Ed a quella di Roma si aggiunse anche la cattedra di scienza agraria.67

Il 10, circolare del ministro dell’interno Armellini sopra il carnevale.68

Li 11 detto, programma del ministro delle armi Campello sull’ammissione degli aspiranti nelle militari marinerie pontificie.69

[p. 143 modifica]Il 12 detto, decreto di riforme provvisorie sulla procedura delle cause civili, contenente non poche importanti disposizioni, non che la deroga di varie leggi anteriori.70

Il 13 detto, decreto del ministro dell’interno Armellini per autorizzare i giovani che avessero 18 anni compiuti a far parte della civica, escludendone quelli che avesser compiuto i 55 anni.71

Con detto decreto si venne a favorire la rivoluzione, perchè mentre guadagnavansi dei giovani di prima età e vigoria, si allontanavano tutti gli uomini di esperienza dai cinquantacinque ai sessantanni; e sicuramente in questa età la esperienza non deve mancare.

II 19 gennaio venne sottoscritto il decreto per la remissione di pena a tutti i detenuti, condannati per titolo qualunque, eccettuati quelli per omicidio, furto qualificato, falsità, ed i recidivi di ogni specie.72

Il 22 detto, ordinanza del prefetto di polizia Livio Mariani sulle stampe non governative, attaccate alle pareti delle strade, le quali per distinguersi da quelle del governo, dovevano essere di carta colorata.73

Il 23 detto, decreto relativo alla marineria dello stato romano.74

Detto, simile sulla navigazione delle coste marittime e dei fiumi dello stato romano, ossia sul piccolo cabottaggio.75

Detto, simile sul modo di esigere la dativa reale.76

Il 24 detto, simile sulla emissione di scudi seicentomila di boni garantiti coll’ipoteca sui beni dell’appannaggio.77

Questo decreto fu sicuramente in seguito dell’ordine del [p. 144 modifica]Consiglio dei ministri del 21 dicembre, come al supplemento al numero 265 della Gazzetta di Roma, di quel giorno.

Il 26 detto, decreto sulle giubilazioni agl’impiegati, giudici, ec.78

Detto, simile sull’interesse dei capitali, il quale, nei limiti della legge, e dalla consuetudine autorizzato, s’intendeva ammesso nel caso di mora dietro la semplice interpellazione e senza le formalità fino allora richieste.79

Il 25 gennaio la commissione provvisoria di governo eleggeva ad incaricato speciale del governo romano presso quello di Toscana l’avvocato Federico Pescantini, quello stesso che due anni prima venne discacciato dal governo pontificio.80

Il 26 detto, programma del ministro di guerra e marina Campello sull’ammissione degli officiali nella marineria romana.81

Tutte queste disposizioni governative, sul merito o sulla opportunità e giustizia delle quali non discutiamo, provano per lo meno qual fosse la solerzia non solo, ma l’energica operosità del governo e de’ suoi impiegati ai quali non potrà al certo appiccarsi la taccia di pigrizia. Solo deve rincrescerci che simili lodevoli requisiti dovessero svolgersi ed applicarsi piuttosto che nel senso della legalità e dell’ordine, in quello di sostenere la rivoluzione.

Il ministro dell’interno Armellini poi, cui sicuramente non mancava il da fare in tanto movimento legislativo, trovava pure il tempo per approvare l’8 di gennaio lo statuto organico del battaglione civico universitario,82 ed il 18 detto lo statuto fondamentale, in 20 pagine, del circolo militare dei zappatori, apponendo la sua firma sotto [p. 145 modifica]il medesimo che conserviamo nella nostra raccolta.83 Esso era stato approvato precedentemente da un’adunanza che si tenne nelle terme di Caracalla.84

Fra le altre cose inoltre di cui crediamo dover conservare la memoria designeremo quella che il giorno 12 (anniversario della rivoluzione siciliana) venne solennizzato con una festa nella chiesa dei Siciliani in Roma. Il padre Ventura benedisse la bandiera sostenuta dal colonnello La Masa, e quindi intonò il Te Deum .85 E ricorderemo pure che nel teatro di Apollo la sera del 17 si tenne un’adunanza dal comitato dei circoli italiani. L’inviato da Venezia G. B. Castellani lesse un discorso tendente ad attivare un sistema di soccorsi mensili per la stessa Venezia.86

La repubblica unitaria italiana essendo il voto di Mazzini e de’ suoi seguaci, e dovendo raccontarne a momenti la proclamazione ch’ebbe luogo in Roma, abbiamo creduto di far precedere alcune osservazioni sulla unità e nazionalità italiana, colle quali apriremo il capitolò seguente.



Note

  1. Vedi Motu-propri vol. I, n. 73, e Documenti vol. VIII, n. 1. — Vedi l’atto intero in Sommario, n. 61.
  2. Vedi il Don Pirlone dell’11 gennaio, n. 105.
  3. Vedi il Tribuno t n. 1, pag. 2. — Vedi il Costituzionale dell’8, e il Tempo dell’11.
  4. Vedi il Tempo, del 2.
  5. Vedi il Tempo, del 6.
  6. Vedi il Tempo, del 15. — Vedi la Pallade n. 446. — Documenti vol. VIII, n. 9.
  7. Vedi Documenti, vol. VIII, n. 9. — Vedi la Pallade, n. 446.
  8. Vedi il Tempo, del 10.
  9. Vedi il Tempo, del 15.
  10. Vedi il Tempo, del 16.
  11. Vedi detto del 16.
  12. Vedi il Costituzionale, del 19.
  13. Vedi il Costituzionale, del 22, pagina $9.
  14. Vedi l’opuscolo Risposta ad alcuni giornali svizzeri, nel vol. XXII, Miscellanee, n. 11, e Torre, Memorie storiche sull’intervento francese in Roma nel 1849, vol. I, pag 269.
  15. Vedi Sommario, n. 62. — Vedi Documenti, vol. VIII, n. 41.
  16. Vedi Risposta ad alcuni giornali svizzeri nel vol. XXII, n. 11, pag. 12, delle Miscellanee.
  17. Vedine una copia nei Documenti, vol. VIII, n. 47.
  18. Vedi il vol. I delle sue Memorie, ec. pag. 151 e 200.
  19. Vedi il Tempo del 20 Vedi il Costituzionale del 26.
  20. Vedi il Farini vol. III, pag. 187.
  21. Vedi la Speranza italiana del 31 gennaio.
  22. Vedi il Contemporaneo del 9.
  23. Vedi l’Epoca dell’11, n. 213.
  24. Vedi Pallade dell’8 e del 10.
  25. Vedi la Speranza italiana del 15.
  26. Vedi l’Alba dell’11, n. 41S, Documenti, vol. VIII, n. 17.
  27. Vedi Atti officiali n. 12S. — Vedi la Gazzetta di Roma del 9.
  28. Vedi i primi sotto i n. 12, 13, 16 e 17, e le seconde sotto i n. 26 e 27 del vol. VIII Documenti.
  29. Vedilo sotto il n. 30, vol. VIII Documenti.
  30. Vedi il Costituzionale del 26 gennaio 4849, pag. 48,
  31. Vedi la Grande riunione del circolo popolare, pag. 293.— Vedi Documenti vol. VIII, n. 13.
  32. Vedi il Costituzionale dei 19, pag. 36.
  33. Vedi l’Epoca dei 18. —- Vedi il Positivo, n. 2. — Vedi il Costituzionale del 19, pag. 36.
  34. Vedi il Costituzionale del 26, pag. 48.
  35. Vedila nei Documenti, vol. VIII, n. 6.
  36. Vedi la Gazzetta di Roma dell’8, pag. 24.
  37. Vedilo in copia nei Documenti, vol. VIII, n. 8. Se ne parla pure nella prima pagina della Guardia nazionale del 5 gennaio.
  38. Vedi la Guardia nazionale del 12 gennaio. Vedi la Pallade, n. 442
  39. Vedi la Gazzetta di Roma del 10.
  40. Vedi la Guardia nazionale, anno II, n. 4.
  41. Vedi la Guardia nazionale, anno II, n. 5 e 6. — Vedi Documenti, vol. VIII, n. 22. — Vedi il Contemporaneo del 21.
  42. Vedi Gazzetta di Roma del 18.
  43. Vedi l’Appendice agli Atti officiali, n. 13. — Vedi la Gazzetta di Roma del 20.
  44. Vedi l’Epoca del 14 gennaio. — Vedi il Tempo del 9.
  45. Vedi Sommario, n. 63. — Vedi Autografi di personaggi politici, n. 57.
  46. Vedi la Gazzetta di Roma dell’8 gennaio. — Vedi la Pallade dell’8. — Vedi Documenti, vol. VIII, n. 7.
  47. Vedi Gazzetta di Roma del 17 gennaio 1849.
  48. Vedi il Ristretto del processo contro il generale Zamboni, Documenti n. 80 A, vol. VIII.
  49. Vedi Gazzetta di Roma del 20. — Vedi Guardia nazionale, n. 7, Documenti, n. 19 e 38, vol. VIII.
  50. Vedi la Gazzetta di Roma del 20. — Vedi Atti officiali, n. 136.
  51. Vedi Documenti, vol. VIII, n. 45.
  52. Vedi Gazzetta di Roma del 25 gennaio 1819.
  53. Vedi Guardia nazionale, pagina 15.
  54. Vedi la suddetta numero 6 pagina 22.
  55. Vedi la Pallade, numero 460.
  56. Vedi il Costituzionale del 17 pagina 32.
  57. Vedi il detto del 26 gennaio pagina 48.
  58. Vedi Gazzetta di Roma del 29.
  59. Vedi la Pallade numero 451
  60. Vedilo nelle Miscellanee, voi 18 n. 11. — Vedi la Pallade, del 27.
  61. Vedi la Gazzetta di Roma del 5, pag. 17.
  62. Vedi la detta di detto giorno.
  63. Vedi Supplemento alla Gazzetta di Roma del 24 gennaio a 19.
  64. Vedi la Gazzetta di Roma dell’11, pag. 43 e 44, e il vol. Mutu-proprî n. 33 A.
  65. Vedi la Gazzetta di Roma del 4, pag. 11.
  66. Vedi la detta del 10.
  67. Vedi la detta del 9, pag. 31.
  68. Vedi la detta dell’11, pag. 41.
  69. Vedi la detta del 13, pag. 54 e 55.
  70. Vedi la Gazzetta di Roma del 13, pag. 55.
  71. Vedi la detta del 13, pag. 55. — Vedi la Pallade del 15 n. 445.
  72. Vedi la detta del 22 gennaio. — Vedi Atti ufficiali n. 137.
  73. Vedi la detta del 22, pag. 95.
  74. Vedi la detta del 24, pag 107.
  75. Vedi la detta del 20, pag. 117.
  76. Vedi la detta del 25, pag. 111.
  77. Vedi Atti ufficiali, Supplemento, n. 19, non riportato nella Gazzetta di Roma, bensì nel Monitore del 31 gennaio.
  78. Vedi la Gazzetta di Roma del 29, pag. 127.
  79. Vedi la detta del 29, pag. 128.
  80. Vedi la detta del 23 pag. 111.
  81. Vedi la detta del 27, pag. 121.
  82. Vedi la detta del 13, pag. 53 e 54.
  83. Vedi Documenti, vol. VIII. n. 32 A, e Monitore del 3 febbraio, pag. 19, 20 e 21.
  84. Vedi pag. 19 del detto statuto, nei Documenti, vol. VIII, n. 22 A.
  85. Vedi il Tribuno n. 2, pag. 4. — Vedi la Pallade, n. 443.
  86. Vedi la Gazzetta di Roma del 18 e 19.