Serate d'inverno/In provincia

In provincia

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Fiore d’arancio Un velo bianco
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IN PROVINCIA

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          Virginibus puerisque cano.
Traduzione libera. — Lettore, se
     non è più giovinetto, m’incresce,
     ma il mio racconto non è per lei.



Il nonno era stato farmacista in una piccola città della Lombardia. Sua figlia, il cui marito era succeduto a lui nell’esercizio della sua professione, come egli stesso tanti anni innanzi era succeduto al suo babbo, sua figlia aveva obbedito fedelmente al precetto delle sacre scritture, che dice alla sposa: «Sarai feconda come una vite... senza crittogama».

E però la casa paterna in cui vivevano alla patriarcale tre generazioni, riboccava di bimbi, di giovinetti, di fanciulle, e ciascuno aveva amici del suo sesso e della sua età, che si riunivano poi tutti in un’amicizia ed in un chiasso comuni.

Maria, la figlia primogenita dell’esercente farmacista, e quindi la maggiore fra le nipotine del nonno, s’era fatta da qualche tempo palliduccia [p. 180 modifica]ed imbronciata. Mangiava poco, lavorava meno, non rideva affatto, piangeva spessissimo. Ed in conseguenza di questo trattamento poco igienico, si andava assottigliando fino alla trasparenza. E tutto questo a diciotto anni. Come mai Dio buono? E perchè?

Il perchè non s’aveva che a domandarlo al primo venuto. Nei piccoli paesi non vi sono segreti. La vita è regolata come un orario di collegio.

C’è un luogo di passeggio alla moda, dove convengono in certi giorni stabiliti tutti i giovinotti e tutte le signore e signorine della città, ad udire una musica come Dio vuole, che fissa loro le ore di uscita e misura loro il passo. C’è una messa alla moda pei giorni di festa. Di quando in quando c’è uno spettacolo teatrale: e dappertutto sono sempre le stesse persone che si trovano, si ritrovano si guardano, si conoscono, si studiano, si sanno a memoria a vicenda, e vedono nell’interno delle famiglie e dei cuori come in un guanto rovesciato.

Il tale corteggia la tale. Così cominciano tutti i pettegolezzi nei piccoli paesi. Un primo sguardo appassionato che ha fatto palpitare un povero cuore di fanciulla, corre tutte le bocche come il listino di borsa. Profanazione!

Poi si va innanzi. [p. 181 modifica]

Quei due sono in sentimento.

È il gergo del pettegolezzo.

— Oggi al passeggio egli l’ha seguita. Allo svoltar del viale l’ha salutata.

La giovinetta ripensa quel saluto nel segreto della sua stanza; si copre gli occhi per dimenticare dov’è, e trasportarsi coll’immaginazione a quel momento, e riprovarne la sensazione commovente e soave.

Poi, quando l’immaginazione è stanca e l’impressione, a forza di ripetersi ogni sera, è esaurita, la giovinetta innamorata la confida all’orecchio d’un’amica, per ravvivarla col suono della propria voce.

Ed intanto nel caffè della piazza la cosa è già stata detta e ridetta a sazietà, e si sta già tutt’occhi aspettando la farsa d’un biglietto furtivo, che non può mancare di passare la prossima domenica all’uscir di chiesa, tra la folla, dalla mano del giovine in quella della ragazza.

Così tutti i segreti, nelle piccole città, sono segreti di Pulcinella. E così pur troppo era passato fase a fase, sotto la revisione ed i commenti di un piccolo pubblico scimunito, il segretuccio palpitante della povera Maria.

Si trattava di un giovinotto ricco, bello, elegante; ma poco studioso, sfaccendato e di costumi non molto esemplari. [p. 182 modifica]

Erano proprio arrivati fino all’episodio del bigliettino, episodio ripetuto fedelmente tutte le domeniche ed altre feste comandate, con una moltiplicazione di bigliettini che inondava tutte le scatole e scatoline e scrignetti di cui erano adorni i cassetti della fanciulla; un vero studio epistolare, che faceva molto onore all’assiduità dei due studenti.

Poi Roberto aveva cominciato ad accorgersi di avere la tosse. Una tosse misteriosa per verità, che sentiva lui solo, e soltanto di notte; ma egli accertava che di notte la sentiva.

E quanto bene gli facevano le pastiglie di altheae officinalis! Non gli guarivano la tosse lì per lì. No, era una cura da continuare all’infinito; ma una buona, buona cura.

E perchè gli giovasse, bisognava che andasse in persona a comperare le pastiglie d’altea alla farmacia ogni mattina alle undici; poi alle tre, prima del pranzo; poi ancora alla sera. Bisognava provvederle di volta in volta per misurar le dosi; e continuare; sopratutto continuare.

E Maria era sempre in farmacia in quelle ore. Era ben naturale, dacchè egli ci andava ad ore fisse, e tutte le fanciulle ordinate hanno pure la loro giornata regolata ad ore fisse. Così, imbroccato l’incontro una volta, era imbroccato per la vita eterna. [p. 183 modifica]

— Quante ne vuole? domandava Maria.

— Cinquanta grammi. Fresche come lei, signorina..

— Oooh!... (rossore, confusione). E lei ha sempre la sua tosse?

— Sempre, finchè potrò venire da lei a prendere le pastiglie d’altea.

Questo dialogo si ripeteva con pochissime varianti, tutte le volte che il farmacista era assente, e Maria, che sapeva benissimo spedire le ricette, lo suppliva.

Ella trovava tanto spirito in quelle due risposte di Roberto, e tanta passione! Le commentava come si commenta il Paradiso di Dante, e, come in quello, vi trovava sempre nuove bellezze.

Ma quando le imposte della farmacia si chiudevano alle undici di sera, e Maria si ritirava nella sua cameretta a ripensare, e poi a sognare baffetti nascenti e pastiglie d’altea, Roberto non si ritirava, non pensava nulla, non sognava nulla. Andava a zonzo, beveva, giocava: faceva una brutta vita di notte; — brutta vita! Neppure l’ingenuo amore che gli azzurreggiava al pensiero durante il giorno, riesciva a purificarlo. Era come le pastiglie d’altea per la tosse. Gli faceva bene, ma non lo guariva.

E la gente parlava, parlava a sproposito al so[p. 184 modifica]lito. Trovava che tutti i torti di lui si riverberavano sulla fanciulla, che non li conosceva nemmanco:

— Amare un giovine come Roberto! Con quella vita che fa! Chi la vorrà più sposare quella ragazza? Egli l’abbandonerà; ne piglierà un’altra più ricca, più bella, e lei resterà zitellona.

Così si suol ragionare. Egli, perchè era un discolo, avrebbe trovata una sposa, ricca, bella, conveniente sotto ogni rapporto. Lei, perchè buona, fiduciosa, e per disgrazia illusa da uno scostumato, avrebbe dovuto portar la pena delle colpe di lui. Oh, giustizia! Che hai lasciato pigliar la ruggine alle tue bilancie?

Ma il farmacista non istette a cercare il pelo nell’ovo. Seppe che correvano ciarle sul conto della figliola, e volle farle tacere.

Prese a parte Roberto durante una delle sue provviste di pastiglie, e gli fece uno speech, sulla riputazione delle fanciulle, infiorato di tutti i paragoni colla fragilità del vetro, e la neve, e la sensitiva, ch’egli ripetè con enfasi come se li stesse inventando lui freschi freschi: «e se le sue intenzioni erano buone, si svelasse a lui, il babbo; ma non stesse a compromettere la figliola, ed allontanarne gli altri partiti..., ecc., ecc.

Pare che la bontà di quelle intenzioni non fos[p. 185 modifica]se tanta come voleva il babbo; perchè in conseguenza del suo discorsetto, il grande smercio dell'althaea officinalis cessò, ed incominciò l’affilarsi del viso, ed il gonfiarsi ripetuto degli occhi di Maria.

Era passato più d’un mese. Una sera che c’erano in casa Dio sa quanti ragazzi, tra quelli della famiglia ed i vicini e gli amici, ed il rumore della brigata giovanile era diventato insopportabile, e la mamma aveva ammonito inutilmente ed il babbo era montato inutilmente sulle furie, il nonno entrò di mezzo come paciere. Chiamò a sè i nepoti ed i compagni dei nepoti, se li fece schierare intorno alla poltrona fuori della farmacia, e si dispose a raccontar loro una fola. Era il grande ripiego a cui si finiva per ricorrere quasi ogni giorno.

Quella sera Roberto capitò a passar di là appunto in quel momento; e vedendo che quei ragazzi, fra cui c’erano pure delle fanciulle, ed anche Maria, aspettavano la fola del nonno, si fermò anch’egli a qualche passo dalla poltrona venerabile. Era stato congedato dal negozio; ma là fuori era sulla strada, area municipale, ed, a rigor di termini, nessuno poteva impedirgli di rimanervi.

Il nonno, che lo vide colla coda dell’occhio, narrò: [p. 186 modifica]

— C’era a’ miei tempi un giovinotto che si chiamava Leonardo Valle. Non era punto nobile, ma i suoi genitori avevano ammassati quattrini assai, tenevano un andamento di casa coi fiocchi, ed il ragazzo era avvezzo a mancare soltanto del sole nei giorni di pioggia.

Teatri, serate in casa, pranzi, lezioni d’equitazione, velocipede, pattinaggio, nuoto... era una benedizione! Figurarsi il gusto che poteva trovare alle ore passate sui banchi del liceo un omettino avvezzo a quel po’ po’ di movimento. Non s’aveva che a parlargliene per venirgli in uggia e farsi dar del pedante.

Tuttavia i genitori, cui sapevano male che venisse proprio su il signor nessuno, ed avrebbero voluto udirlo chiamare il signor avvocato o il signor dottore, battevano e ribattevano il chiodo dello studio. Allora Leonardo, che aveva ormai diciotto anni, ed era dotato d’una volontà energica, accampò il Codice che gli dava diritto ad essere emancipato. Si prese il fatto suo, e fece come il podestà di Sinigaglia, e come il figliuol prodigo. Ed allora, viva l’allegria! Non c’era più nè giorno nè notte; era lui il padrone del mondo, e se gli avessero detto che quella vasta proprietà potrebbe trovarlo un giorno a borsello vuoto, e venirgli contestata, avrebbe fatto spalluccie. [p. 187 modifica]

Ma «Vedi giudizio uman come spesso s’erra» il borsello vuoto gli capitò in tasca più presto assai che non lo credessero neppure gli invidiosi, i quali per altro hanno sempre il tempo dell’oriolo girato sull’avanzo.

— Gli amici mi aiuteranno, pensò, hanno tanto fatto il chiasso alle mie spese...

— Ma sì, eh? Uno aveva finito appunto allora l’ultimo scudo. L’altro era figlio di famiglia; quell’altro aveva un amministratore taccagno che gli teneva conto fin delle frazioni infinitesimali... e così via.

Amici da starnuti

Il più che tu ne cavi è un Dio t’aiuti!

Fu tutto quello che ne cavò Leonardo. Il proverbio dice «chi s’aiuta Iddio l’aiuta.»

Bisognava dunque che cominciasse dall’aiutarsi da sè; e non era facile con quella sorta di passato, che gli aveva lasciato il cervello vuoto come una casa nuova.

Un momento pensò le rivoltelle, ed i bracieri di carbone, ed i tonfi nel Po, ed i salti mortali giù dai campanili, proprio mortali davvero quelli, e non so che altre reminiscenze bislacche di cronache di giornali. [p. 188 modifica]

Ma, per fortuna, se il povero babbo era morto, gli restava la mamma. E quando si ha una mamma che piangerebbe tutte le lacrime de’ suoi occhi, e si struggerebbe la vita di cruccio, certi spropositi non si fanno.

Tirò la somma del dare e dell’avere. Questo era assolutamente nulla; ed il dare invece era parecchio. Finchè aveva creduto di poterli pagare da un’ora all’altra, quei debitucci non gli erano sembrati nulla. Ma dal momento che non si sentiva sicuro di metterci il saldo, ne ebbe una vergogna tremenda. Se la sua mamma avesse saputo che aveva dei debiti... Madonna Santa! E corse da lei, che non aveva più veduta dopo la sua emancipazione e le giurò sui suoi capelli bianchi che vivrebbe delle proprie fatiche, e sarebbe un galantuomo.

— Non offrirmi nulla, soggiunse. Non dirmi che mi perdoni. Non lo merito ancora, mamma; e non mi permetterò di rivederti finchè non mi senta degno della tua benedizione.

E vendette tutti i gioielli, i mobili di lusso, un mondo di inutilità che aveva comperate; e con quei denari pagò fin l’ultimo soldo da’ suoi debiti. Allora si sentì tolto un peso dal cuore; e cominciò ad esaminare le sue capacità.

Misericordia! [p. 189 modifica]

Aveva avute da piccino delle governanti tedesche e francesi, ed aveva imparato a balbettare quelle due lingue; ma malamente e senza conoscerle a fondo. Del resto sonava La Stella confidente sul pianoforte, ballava a perfezione e dirigeva le quadriglie come un generale d’armata. E null’altro.

Però sì; aveva una bella mano di scritto, chiara, elegante. Era pochino; ma, non avendo di meglio, pensò di cavare partito da quella sola capacità.

Non gli riuscì subito, nè facilmente. Ma domanda e ridomanda, venne a capo di scoprire una benedizione di notaio, che aveva bisogno di uno scrivano, e che lo prese nel suo studio per sessanta lire al mese.

Lui, che non trovava mai nulla abbastanza buono pel suo palato guasto, si prefisse di vivere con una lira al giorno. A colazione un pane da due soldi con una tazza di latte. Poi andava a desinare in una trattoria dove mangiava una minestra con un pezzo di carne, senza ber vino. La sua salute non fu meno florida per questo. Prese in affitto un abbaino che mobigliò con un lettuccio, una tavola, una catinella e due sedie. Pagava dieci lire al mese di pigione. Gli rimanevano venti lire. Dieci le destinò a pagare un maestro [p. 190 modifica] di contabilità, dal quale andava a scuola ogni giorno nel solo tempo che aveva libero, da mezzodì ad un’ora. Le dieci lire rimanenti le mise a parte per vestirsi.

E la sera, che altre volte era costretto a disputare alla noia a forza di divertimenti costosi e strambi, la passava solo nella sua cameretta a studiare le due lingue che conosceva imperfettamente.

Ci mise tutta la sua volontà energica, e perseverò in quella vita con coraggio. In capo ad un anno poteva parlare e scrivere speditamente il francese ed il tedesco. E l’aritmetica e l’algebra non avevano più segreti per lui. Una casa di commercio molto accreditata ricercava un commesso. Egli si presentò. Fu provato al concorso con sei altri aspiranti, ed ottenne quell’impiego con tre mila lire all’anno. Allora andò dalla mamma, e le disse:

— Ho voluto essere ancora degno del tuo amore e del nome del babbo. Ora puoi benedirmi, mamma, perchè la stessa volontà energica di cui m’ero valso per far il male, mi ha giovato per ricondurmi a te, che sei il bene. [p. 191 modifica]

* * *

Il nonno aveva parlato serio serio e concitato; e però la piccola brigata trovò che la fola di quel giorno non era punto dilettevole, e si disperse, brontolando un pochino. Ma Maria che aveva indovinato a chi la dedicasse il nonno, gli strinse la mano in silenzio; e tutti e due tennero dietro collo sguardo a Roberto, che cacciate le mani in tasca, e col capo chino sul petto, si allontanò lento e pensoso, e scomparve senza voltarsi.

Due giorni dopo giunse alla farmacia una lettera dalla posta coi bolli di Milano. Era diretta a Maria; ma, naturalmente, la ricevette e la lesse il babbo, poi la comunicò alla mamma, al nonno; li consultò tutti e due, si fece un gran discutere se convenisse o no di parlarne a Maria; e finalmente considerato l’aspetto sofferente e la malinconia della ragazza, ed i buoni propositi dichiarati nella lettera, fu deciso alla unanimità di comunicare a Maria quell’epistola. Era di Roberto e diceva così:

«Signorina,

«Io non ho, come quel Leonardo della fola, una mamma per giurare sui suoi capelli bianchi [p. 192 modifica] di mutar vita. Ma sento che se l’avessi avuta, sarei stato migliore di lui; perchè ieri, appena vidi lei cogli occhi arrossati, ed udii le parole del suo nonno, ho provato un rimescolamento nel cuore, ed ho giurato di mettermi al sodo.

«Quello là aveva di mira il compenso di farsi benedire e voler bene dalla sua mamma. Ed io sono venuto qui a studiare ed a farmi una posizione per farmi benedire e voler bene da lei.

«Quando sarò medico e verrò in farmacia per domandarle... le pastiglie d’altea, il suo babbo, non mi metterà più fuori, spero. Saprò stendere la mia brava ricetta, in latino anche, e, se avrà da mettermi fuori, dovrà mettermici colla sua figliola.

«Glielo dica, signorina, per vedere se volesse permetterle di scrivermi una parolina di tanto in tanto per darmi coraggio.

«Roberto.»


E ne scrissero tante di paroline: e poi venne un giorno in cui non ne scrissero più, perchè potevano dirsele.