Poesie (Eminescu)/Introduzione

Introduzione

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Mihai Eminescu - Poesie (1927)
Traduzione dal rumeno di Ramiro Ortiz (1927)
Introduzione
Dedica Nota bibliografica
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INTRODUZIONE


EMINESCU:

IL POETA RUMENO DELLA FORESTA E DELLA POLLA



— Ora possiamo dire d’essere davvero in Bucovina! — mi disse il collega e amico Sextil Pușcariu, additandomi il succedersi delle dolci collinette che si profilavano all’orizzonte, sfavillanti nel verde smeraldo dei lor boschi di faggi; le praterie costellate di fiori gialli, bianchi, violetti, sì da sembrar giardini incantati; il fiumicello che si rompeva in mille canore cascatelle, sulle quali il treno passava e ripassava, quasi non avesse coraggio di abbandonarle definitivamente.

A Sextil Pușcariu ridevano gli occhi, dicendomi quelle parole, e non certo perchè pensasse all’etimologia della parola Bucovina (che vuol dir terra dei faggi) o alla giustezza di un tale appellativo. No. Sextil Pușcariu è quel dotto filologo che tutti sanno in Rumania e altrove, giacchè da un pezzo la sua fama è uscita dagli angusti limiti della terra che gli ha dato i natali; ma è anche — e soprattutto — una nobile e cara anima, un uomo dalla vita affettiva ricca e profonda, un cuore per nulla secco dalla polvere degli archivi e dei calepini; sì che posso assicurarvi che non pensava in quel momento a nessuna etimologia (e neppur semasiologia) per quanto poetica ella potesse sembrare. [p. viii modifica]

Pensava invece al paese, in cui, ancora sotto il dominio austriaco, aveva incominciato il suo insegnamento universitario, pensava che tra poco avrebbe rivista la sua Cernauți (prego, non più Czernovitz!) che per tanti anni aveva ospitato i suoi sogni, dove tanta preziosa attività scientifica e nazionale aveva esplicato per tanti anni, e gli occhi gli ridevano dicendomi:

— Ora possiamo dire d’esser davvero in Bucovina! —

Anche a me gli occhi ridevano, ma per una ragione diversa. Io sono — ahimè — letterato, incorreggibilmente letterato (se volete, anche un po’ poeta) e mi frullavan per la mente dei.... versi.

Quei versi erano di Eminescu:

Non dimenticherò mai, o bella Bucovina,
il genio tuo romantico, i monti tra la luce,
                                le valli tra i fiori,
i fiumi rimbalzanti fra picchi dirupati,
le acque che risplendono qual freschi diamanti
                                oltre i campi, lontano.

Ero affacciato al finestrino, avevo accanto un amico degno di questo carissimo nome, dall’interno del vagone veniva fino a noi un allegro rumore festivo fatto di esclamazioni virili di meraviglia, di acute risa di donne e di bimbi, e il mio pensiero riandava con dolcezza i primi anni del mio soggiorno in Rumania, la dolce casetta dal giardino pieno di lilas e di passerotti, nella quale avevo letto per la prima volta e cominciato a tradurre Eminescu; pensavo inoltre ai primi anni felici trascorsi fra quei boschi e quelle praterie favolose dall’infelice e grande poeta, e ripetevo fra me e me.... altri versi:

Vorrei vedere adesso la nativa mia valletta
    bagnata nel cristallo del ruscelletto argenteo,
veder ciò che sì forte amavo un tempo:
    la tenebrìa del bosco, poetico labirinto;

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salutar solo una volta le capanne della valle
     dormenti con espressioni di pace; cari aspetti sereni
che spiravano in segreto piaceri così puri,
     sogni misteriosi, poetici susurri.

Vorrei avere una casa, silenziosa, piccolina
     nella valle nativa che tra i fiori ondeggia,
vorrei guardar come una volta la montagna che s’erge
     e nasconde la fronte tra la nebbia e le nuvole.

Vorrei ancora una volta poter mirare la pianura in fiore
     che gli anni miei giovanili e candidi tessè,
che ascoltò un giorno il balbettar mio infantile,
     che vide i giuochi miei di fanciullo e le mie folli corse.

Il susurro armonioso del ruscello che geme,
    l’inno che il coro degli augelli intona,
la canzone delle fronde che stormiscono in cadenza
    destarono allora nel mio petto un arcano disio.


Se non che a Cernăuți ci recavamo ad un Congresso della nostra Associazione Universitaria, e, se ci fu dato di fare il nostro pellegrinaggio votivo al monastero di Putna, dove riposano le spoglie di Stefano il Grande; non mi fu possibile fare una scappata a Călinești luogo d’origine della famiglia Eminovici e neppure fermarmi ad Ipotești per visitare la casa paterna del poeta. Una fotografia però son riuscito a procurarmela.... Eccola qui dunque, almeno in immagine, davanti agli occhi miei quella casetta, molto più importante per la biografia del poeta di quella di Botoșani, in cui pare ormai assodato ch’egli nacque il 20 decembre del 18491. [p. x modifica]

È una casetta rustica, di quelle così caratteristicamente rumene, con davanti il cerdàc di legno fiancheggiato da due alberi fruttiferi; una casetta, che, piuttosto che a un bojaro (e sia pure, come direbbero i nostri cronisti del trecento, di piccola nobiltà) qual era il caminar2 Gheorghe Eminovici, parrebbe appartenere a un proprietario di campagna o a un contadino agiato3.

Non è questa forse la «casa silenziosa, piccolina, «nella valle nativa che ondeggia fra i fiori», cui vola dall’estero la fantasia e il nostalgico pensiero del poeta? Ad ogni modo è questa la casa, dove visse i primi anni della fanciullezza col babbo e colla mamma. Ma.... chi eran costoro?

«Nostro padre», c’informa il capitano Matei Eminescu4 fratello del poeta, «aveva gli occhi azzurri, [p. xi modifica] carattere violento, ma era assai buono di cuore. Possedeva una forza erculea, e parlava correntemente il ruteno e il russo. Aveva una memoria miracolosa, sì che per il solo contatto che ebbe con i boiari Balș e Hurmuzachi, finì coll’apprendere abbastanza bene anche il francese e il tedesco».

Pare fosse di origine rutena, cosa alla quale mi sembra essersi data troppo poca importanza e che varrebbe a spiegare certi elementi fantastici d’indole prettamente slava che si riscontrano nelle poesie di Eminescu specie del periodo giovanile e che potrebbero trovare un riscontro nelle leggende e nella poesia popolare rutena. Ricerche in questa direzione non si son fatte e non è detto che approderebbero a qualche cosa, ma bisogna farle per aver l’animo in pace su questo punto. Ad ogni modo a me sembra di vedere in certi motivi lirici e soprattutto leggendarii5 della poesia di Eminescu, pur così profondamente e rappresentativamente rumena nelle sue linee generali, in certe immagini, nel modo di sentir la natura; qualcosa che rumeno non è, [p. xii modifica] e si avvicina al modo di sentire dei poeti slavi, p. es. di Pushkin. Ma su ciò non è ora il caso d’insistere. Noto questa mia impressione e passo innanzi.

Anche la mamma di Eminescu aveva nelle vene sangue slavo: russo questa volta. «La mamma», c’informa sempre il medesimo capitano Matei Eminescu, era la quarta figliuola dello stolnic6 Vasile Iurașca, del villaggio Soldești, e di Paraschiva Iurașca, nata Dontzu. Questo Dontzu era un russo e forse un cosacco. Il suo vero nome era Alexa Potlof, fuggito non ricordo più per qual motivo politico dalla Russia, e stabilitosi sulle rive del Sireth non lontano dal villaggio Serafinești, dove, camuffato in abiti di contadino, si occupava di apicultura. Era venuto dalla Russia con molto danaro e parlava correntemente il tedesco, il francese e il polacco, ma non faceva saper nulla de’ fatti suoi e viveva ritiratissimo. Prese con sè come governante una ragazza di Serafinești, figlia di contadini, dalla quale, vivendo con lei in concubinaggio, generò mia nonna. Qualche tempo dopo, Vasile Iurașca affittò dei terreni da quelle parti, conobbe la figliuola di Dontzu, se ne innamorò e la prese in moglie.

Non siamo portati a dar molta importanza alla razza in questioni d’arte e di letteratura. Il sangue però si sa che non è acqua, e, d’altra parte, ciò che può influire sull’artista ben altrimenti che la discendenza è la cultura, e, più ancora, l’ambiente, specie familiare, in cui la sua personalità si viene formando. Orbene non è azzardato supporre che leggende e canti ruteni, russi e polacchi Eminescu dovesse udire dalla bocca de’ suoi genitori7, e ciò potrebbe valere a spiegare [p. xiii modifica] quell’elemento non rumeno che a me par proprio di vedere in certe poesie di Eminescu.8

Ma lasciamo andar queste considerazioni e parliamo piuttosto di Eminescu fanciullo.

Non era un fanciullo come tutti gli altri. Spesso fuggiva di casa senza una ragione al mondo e per una settimana non si avevan più notizie di lui. Lo riportavano a casa i contadini, dicendo d’averlo trovato [p. xiv modifica] assai lontano dal villaggio, errante attraverso i boschi, rotto dalla stanchezza, coi vestiti e le scarpe a brandelli, senza che sapesse dire perchè e come si trovasse così lontano da casa.

Non gli piaceva di giocar con gli altri fanciulli del villaggio. Camminava sempre solo e a piedi. Quando incontrava qualcuno dei fratelli che si divertivano a percorrere in lungo e in largo la tenuta a cavallo, rideva e li metteva in ridicolo. Nelle sue passeggiate prendeva sempre con sè qualche libro, camminava alla ventura percorrendo chilometri e chilometri senza ricordarsi di mangiare. Due o tre ciambelle del resto gli bastavano per giorni interi. Amava soprattutto i boschi, e l’estate non dormiva mai a casa, ma nei fienili, sotto le tettoie delle case dei contadini, e, spesso, nei boschi dei dintorni, che percorreva in lungo e in largo.

Fu, si può dir tutta la sua vita, un cattivo scolaro, o, per dir meglio, uno scolaro insofferente della disciplina; intelligente sì, studioso, ma ineguale e soprattutto irregolare.

A otto anni fuggì la prima volta dalla scuola di Cernăuți. Nulla di strano, visto che la padrona di casa gli faceva mancar da mangiare e che soffriva, così piccolo com’era, di star lontano dalla mamma.

Non c’è ragione perciò di pensar come fa lo Zaharia9 ad un automatismo ambulatorio e tanto meno ad [p. xv modifica] una inadattabilità precoce, che preluderebbero alla pazzia, di cui l’infelice poeta morì. Anche il Duprè, che non fu mai nè nevrastenico nè pazzo, fuggì da Siena, malcontento del suo principale che lo aveva ingiustamente maltrattato, e se n’andò a Firenze a rivedere la mamma. Eminescu era, fin dall’infanzia, una natura poetica, melanconica, fantastica.... ecco tutto! Un mondo di sogni gli bolliva fin d’allora nel cervello e tutto ciò che vedeva lo interessava in sommo grado. Il che equivale a dire che vedeva il mondo con altri occhi dalla comune dei mortali, e che cioè fin d’allora era un poeta. Perciò si sprofondava nei boschi ed ascoltava le voci delle sorgenti, delle foglie, del vento, degli uccelli. Senza quelle sue passeggiate nei boschi avremmo noi quel magnifico squarcio poetico ch’è l’VIII parte di Călin? Avremmo «il poeta della foresta e della polla», come a me piace di chiamar Eminescu? No, certo! E, allora, benedette passeggiate nel bosco, benedette fughe dalla scuola, benedetta quella nobile pazzia ch’è la divina, dolcissima, immortale Poesia!

Non ho l’intenzione di fare una biografia minuta di tutti i fatti esterni della vita di Eminescu. Con questo volumetto non ho neppure la prosunzione di assolvere del tutto il voto che ho fatto di far conoscere in Italia questo poeta caro al mio cuore. Se Iddio mi darà tempo, forza e serenità, conto scriver su lui uno studio che illumini tutta la sua opera di poeta. Per ora concentrerò in poche pagine le notizie necessarie e le esporrò in uno stile quasi telegrafico.

Il piccino fu a sei anni allontanato dalla mamma e mandato a Cernăuți a far le classi elementari alla scuola [p. xvi modifica] greco-orientale, chiamata allora National-Hauptschule, dove da principio si trovò, naturalmente, maluccio, date le sue limitate conoscenze di tedesco, lingua ufficiale persin nelle scuole confessionali di altra religione e nazionalità nella Bucovina, divenuta austriaca dopo l’iniquo ratto del 1775, che sottraeva per più d’un secolo e mezzo10 alla Moldavia questa sua bella provincia. A poco a poco fece tuttavia progressi importanti, tanto che, alla fine dell’anno scolastico (1858-1859) fu classificato 15º su 72 scolari. L’anno seguente andò anche meglio e risultò il 5º su 82. Nel dicembre dell’anno 1860, Eminescu fu ammesso all’i. r. liceo di Cernăuți, dove lo troviamo fino all’aprile del 1863. Durante questo periodo, il nostro scolaro andò di male in peggio, e, solo durante l’ultimo anno (1863), riuscì ad occupar di nuovo un posto eminente nella classificazione di fin d’anno, riuscendo il 7º su 59. Ma, improvvisamente, eccolo che abbandona gli studi. Tornato a casa per le vacanze di Pasqua, vi rimane. Pare che il passaggio di III in IV ginnasiale l’abbia ottenuto a Sibiiu come esterno. E, come esterno, lo troviamo di nuovo a Cernăuți tra la fine del 1864 e il principio del 1865, occupato a prepararsi da privatista ad un esame che non sappiamo neppur bene qual fosse. Ma una compagnia teatrale dà alcune rappresentazioni a Cernăuți, il suo professore I. G. Sbiera ha la buona idea di regalare ad Eminescu alcuni biglietti di entrata, il ragazzo perde la testa per un’attrice, e, quando la compagnia parte da Cernăuți, Eminescu la segue nella sua tournée in Moldavia, finchè suo padre non riesce a riacchiapparlo e non lo manda di nuovo a Cernăuți a continuarvi gli studi interrotti.

Siamo al 1866. Il 12 gennaio di quest’anno muore a Cernăuți un uomo che a’ suoi tempi godè di una fama [p. xvii modifica] non comune: Aron Pumnul, una specie del nostro Puoti e cioè gran purista al cospetto di Dio, e, per di più, professore titolare di rumeno al ginnasio di Cernăuți, gran protettore di Eminescu che aveva nominato suo bibliotecario11 e idolatrato dagli studenti rumeni come colui ch’era solo a parlar loro la voce della patria in quella scuola straniera. Eminescu compone allora e stampa (in una pubblicazione occasionale intitolata: Lagrimucce degli studenti ginnasiali di Cernăuți sulla tomba dell’amatissimo loro professore Arune Pumnul) la sua prima poesia. Aveva sedici anni. Era un bel giovanetto dai lunghi capelli neri, dai grandi occhi a mandorla pieni di una melanconica vivacità, occhi espressivi, parlanti e tuttavia misteriori, «occhi quanto mai pericolosi per gli animi inesperti delle fanciulle, occhi pieni di passione e di voluttà come quelli che sognano le donne esperte del mistero della vita e dell’amore. In fronte a quel giovinetto di media statura, ma dalle membra armoniose davan l’impressione di appartenere a un uomo predestinato, a un uomo fatale. Eran degli occhi simili a quelli che l’olimpico Alexandrì definiva: occhi grandi, senza fortuna»12.

Così apparve Eminescu nella primavera del 1865 a Ieronim G. Baritiu allora studente al Ginnasio di Sibiiu, e più tardi gran purista anche lui al cospetto di Dio. [p. xviii modifica]

Una piccola fama (provinciale per allora, e ristretta al campo scolaresco) circondò presto come d’un nimbo la testa del giovine poeta.

Si pubblicava allora in rumeno a Budapest una di quelle riviste di letteratura borghese, destinate ad occupar le veglie familiari attorno alla lampada a petrolio, che sono una specialità della stampa letteraria tedesca, e corrispondono a quel senso e a quel bisogno del gemüthlich, che noi latini non sempre comprendiamo e siamo perciò portati naturalmente a prendere bonariamente in giro. La dirigeva un brav’uomo di non grande levatura d’ingegno e letterato men che mediocre, ma animato da buoni propositi e conscio di far opera patriottica nel fornire a’ suoi connazionali gementi sotto l’oppressione austro-ungherese l’occasione di coltivarsi leggendo, accanto alle troppe tedesche e magiare, una rivista scritta nella lingua dei loro padri. Si chiamava I. Vulcan e la rivista che dirigeva (sulla cui testata un bravo papà ancora seduto a tavola era figurato nell’atto di fare alla sua famigliuola la lettura serale di rito)13 s’intitolava Familia. Fu [p. xix modifica] questa la prima rivista a cui Eminescu collaborò (1866-1871) e dove videro la luce le sue prime poesie. Nel 1871 cominciò con Venere e Madonna la sua collaborazione alle Convorbiri Literare (Conversazioni Letterarie) organo del cenacolo Junimea (La Gioventù) di Iassy presieduto dall’Alexandrì e poi dal Maiorescu e a questa rivista rimase fedele fino alla morte. Tutta l’opera poetica di Eminescu comparve nelle colonne di questa gloriosa rivista che oggi agonizza miseramente, sopravvivendo quasi a sè stessa.

Ma torniamo ai tempi della prima collaborazione di Eminescu alla Familia del buon Vulcan.

Il quale, vent’anni dopo (1885), in un numero della sua tenace rivista (senza questa commovente tenacia de’ suoi intellettuali la Transilvania, la Bucovina e il Banato non avrebbero mai trovato la forza di poter conservare sotto l’oppressione straniera la loro fisionomia nazionale!); in un numero dunque della sua tenace rivista rievocava il giorno che per la prima volta fu gradevolmente sorpreso dalla novità e dalla bellezza di certe poesie ricevute per la posta da parte dell’ignoto giovinetto, che sarebbe poi stato il più gran poeta della Rumania ed uno dei più affascinanti della letteratura universale!

«Vent’anni or sono, in una mattina di febbraio dell’anno 1866, la nostra redazione ricevette una lettera dalla Bucovina. La lettera conteneva delle poesie, primi tentativi di un giovinetto che si firmava Mihail [p. xx modifica] Eminovich. La commissione delle poesie c’informò anche che il loro autore non contava più di sedici anni.

Pubblicammo con piacere quelle prime ispirazioni giovanili; la prima poesia apparve nel n. 6 della Familia di quell’anno.

Il redattore si permise però un piccolo cambiamento: il nome di Eminovich non gli sonava bene all’orecchio per via di quella sua desinenza slava; gli rumenizzò dunque il nome modificandone la desinenza, e così le poesie apparvero nella nostra rivista sotto il nome di Eminescu.

L’autore non protestò, anzi adottò egli stesso questa forma, e, d’allora in poi, firmò sempre Eminescu tutte le sue poesie e gli altri suoi scritti.

Così fu introdotto nella nostra letteratura il nome di Eminescu.

Lo scrittore di queste righe gli fece da padrino.14

Apparvero così in Familia le poesie: Se avessi.... (II, 68; 25 febbraio 1866); Viaggio al regno dei sogni mattinali (II, 158; 15 maggio 1866); Dall’estero (II, 248; 17 luglio 1866); Alla Bucovina (II, 292; 14 agosto 1866); La Speranza (II, 337; 11 settembre 1866).

Cinto dell’aureola discreta di queste sue prime poesie (in cui a me pare che, pur tra le necessarie ridondanze, inesperienze e ingenuità — vedi soprattutto La Speranza — ci sia già tutto Eminescu, con quel suo vivo e fresco senso della natura, quella sua spiccata simpatia per le cose minuscole e graziose, quella sua musicalità fantastica, che avvolge la parola e il verso come in un velo d’armonia); apparve egli dunque ai giovani studenti di Sibiiu e di Blaj, dove si recò in quell’anno quasi a cogliere i lauri dell’ammirazione e della simpatia dei giovani connazionali. [p. xxi modifica] Niculae Densușianu15 allora (1865-1870) studente in legge all’Università di Sibiiu ci ha lasciato alcune pagine, in cui ha fissato il ricordo di quella prima conoscenza giovanile:

Un giorno d’autunno — l’anno preciso non mi riesce di ricordarmelo — mentre passavo per Via de’ Beccai mi venne incontro, un po’ più giù della Posta, un giovine dell’Istituto teologico-pedagogico e mi presentò un altro giovine dal viso bruno, dai grandi occhi aperti in un’espressione tra di sogno e di meraviglia, con un dolce sorriso sulle labbra, e mi disse che quel giovine era Eminescu, Eminescu che desiderava conoscermi. Fino a quel giorno tra me ed Eminescu non era intervenuta alcuna conoscenza personale; ma egli aveva «pubblicato nella Familia del sig. Vulcan i suoi primi tentativi poetici, sicchè lo conoscevo di nome per quelle poesie che avevan destata tutta la mia ammirazione.

Un brivido mi corse per le ossa, un brivido che allora mi parve inesplicabile, quando mi vidi davanti questo giovine scrittore in un costume quanto mai singolare.

Non certo per mancanza di rispetto alla sua memoria, ma a testimonio della sua sorte infelice, debbo dire che i suoi abiti erano alla lettera degli stracci, che cadevano a brandelli dalla sua persona. A mala pena gli restava al collo un resto insignificante di camicia; il petto appariva completamente nudo, malgrado gli sforzi sovrumani che il disgraziato faceva per coprirselo con una giacchetta tutta logora e lacera alle maniche dalle spalle ai gomiti; laceri e sfrangiati aveva anche i pantaloni. Malgrado però i suoi abiti facessero supporre in lui le più crudeli sofferenze, egli [p. xxii modifica] sorrideva di continuo a tutti, con tanta serenità e soddisfazione da sembrar che tutto il mondo fosse suo.

Non diversa impressione fece a Blaj:

Il giorno dopo il suo arrivo, la notizia correva sulla bocca di tutti gli studenti e da per tutto si sentiva ripetere: — È arrivato Eminescu! È arrivato Eminescu! — S’era nel 1866, verso la fine di maggio.

Eminescu era allora un giovinetto fra i 16 e i 17 anni, di media statura, d’aspetto bello e florido.

Aveva una giacca di lustrino nero consumata e lacera, corta di maniche e rotta ai gomiti, e dei pantaloni d’altro colore (gialli, mi pare) così corti che si vedevano benissimo i gambali degli stivaletti scalcagnati e polverosi. In capo portava, malgrado facesse già caldo, un berretto nero di pelle d’agnello, unto e bisunto.

Eminescu era allora sano come un pesce, di ottimo appetito, pronto sempre a mangiar di ogni cosa senza perder tempo a scegliere; dormiva a lungo e senza pensieri; la mattina si levava per tempo, si lavava, si passava più volte le dita attraverso la chioma ricca e lunga che portava rigettata all’indietro ed era bell’e pettinato. Avendogli io offerto un pettine, mi disse: — Bravo, amico! ecco che hai avuto una bella idea, chè io sembro, in fede mia, fuggito dall’assedio di Troja, e non posseggo un simile arnese! — Dopo esserci vestiti, mangiavamo insieme quello che c’era in casa da mangiare, dopo di che Eminescu andava a fare un bagno nella Târnava, nei pressi del mulino, un po’ più giù della gora, e, fino a mezzogiorno, non la finiva più di bagnarsi e ribagnarsi. A mezzogiorno tornava dal bagno, dove faceva meravigliar tutti per l’abilità che aveva nel nuoto. Malgrado però questa turba di ammiratori, gli piaceva di bagnarsi solo, in disparte da tutti gli altri e senz’attaccar discorso coi vicini. Gli piaceva ancora di frequentar la piazza del mercato, ricca di ogni specie di frutta. S’empiva di [p. xxiii modifica] mele il berrettone di pelle d’agnello e poi si sedeva in disparte a mangiarle e a rider delle monellerie degli studenti che infestavan la piazza, ma senza mai prender parte a nessuna di esse. L’unico suo eccesso era di restar troppo tempo nell’acqua, quando andava a bagnarsi; in tutto il resto era la moderazione in persona. Non beveva, non giocava, non fumava: pareva una signorina.16

In Transilvania (a Sibiiu e a Blaj) Eminescu si sarebbe recato per volere del padre a continuare gli studii, dopo un breve periodo (febbraio 1864-5 marzo 1865) in cui aveva occupato un impiego al Comitato Permanente di Botoşani.

Il babbo, racconta il capitano Eminescu, benché e convinto anche lui dell’intelligenza di Michele, di cui tutti gli dicevan meraviglie, quand’ebbe terminate le tre classi del ginnasio, si era rassegnato a non fargli continuare gli studii, e gli aveva procurato un impiego al Comitato Permanente di Botoşani. Quivi, per la sua diligenza e il modo intelligente con cui disimpegnava le attribuzioni del suo ufficio, aveva presto attirato su di sé l’attenzione di tutte le personalità più spiccate della città. Ma un talento come il suo non poteva restar seppellito fra le pratiche noiose di una prefettura di provincia, specialmente in quell’epoca; in cui simili talenti erano tanto rari. Avvenne dunque che, tornato a casa nostro fratello maggiore Serban, che faceva allora il secondo anno di medicina all’Università di Erlangen, rimproverò il babbo di far perdere a Michele, il cui ingegno faceva concepir la speranza di un brillante avvenire, un tempo prezioso fra le carte d’ufficio d’una prefettura di provincia. Le sue parole non furono dette al vento, e [p. xxiv modifica] Michele fu mandato nel 186417, in Transilvania a continuare i suoi studii. Ma non vi rimase che tre mesi. Un bel giorno, il babbo si vide tornare indietro i denari che gli mandava ogni mese, giacchè suo figlio non frequentava più la scuola. Michele era sparito senza che nessuno potesse dire dove fosse andato»18.

Gli anni che vanno dalla primavera del 1866 all’autunno del 1869 sono tra i più oscuri della vita di Eminescu. Quello ch’è ormai fuori dubbio, è che colla compagnia Tardini rimase poco e cioè dalla primavera del 1865 all’autunno del medesimo anno, quando ricompare a Cernăuţi coll’intenzione di proseguirvi gli studii. Nella primavera del 1866 lo troviamo a Blaj (fine di maggio), nell’autunno a Sibiiu, poi.... non sappiamo più nulla.

Probabilmente s’incontrò di nuovo colla compagnia Tardini e non potè resistere alla tentazione di seguirla. Certo che, quando nel luglio 1869 Eminescu tornò a Cernăuți, vi tornò colla compagnia di Mihail Pascali, dopo aver fatto parte della compagnia di Iorgu Carageale.

Che cosa fece Eminescu durante i tre anni che mancò da Cernăuți? [p. xxv modifica]

Ce lo racconta il gran commediografo e novelliere rumeno I. L. Caragiale in quel capolavoro di concisa e colorata eleganza che s’intitola: Nel Nirvana:

«Son passati molti anni da quel giorno!

Abitavo in una casa, dove era venuto a stare a pigione un attore drammatico19 che l’estate funzionava da direttore di un teatro di provincia. La stagione migratoria degli attori era finita; s’era d’autunno e questi uccelli di passaggio tornavano ai loro nidi.

Vedendomi legger di continuo, l’attore mi disse con una specie di fierezza:

— Vedo che lei s’occupa con piacere di letteratura. Ho anch’io, nella mia compagnia, un ragazzo che legge sempre; è molto istruito, sa il tedesco ed ha a molto ingegno. Si figuri che scrive persino delle poesie, ed una sera per una rappresentazione di gala mi ha composte delle strofette bellissime. Credo che le farebbe piacere di conoscerlo. — E mi raccontò come avesse trovato quel ragazzo in un albergo di Giurgiu, in qualità di servo addetto al cortile e alle stalle, che, steso bocconi su d’un mucchio di fieno, leggeva ad alta voce un volume di Schiller.

Nella mangiatoia della stalla giaceva in un angolo abbandonato una valigia (la biblioteca del piccolo avventuriero) piena zeppa di libri tedeschi.

Il ragazzo era assai docile; buono, rispettoso, e non aveva vizi di sorta. Si vedeva che doveva esser di buona famiglia, e s’era ridotto in quello stato chi sa per quali disgraziate circostanze.

L’attore gli aveva proposto di prenderlo con sè [p. xxvi modifica] come suggeritore, a cinque ducati al mese, ed il ragazzo aveva accettato con gioia.

Quella sera sarebbe dovuto venire da lui a prender degli ordini, e avrei potuto conoscerlo.

Ero assai curioso di veder questo piccolo genio, di cui tante meraviglie mi aveva raccontate il mio coinquilino. Non so perchè me lo figuravo un essere straordinario, un eroe, un futuro grand’uomo.

Nella mia immaginazione, vedendolo ribelle alla pratica della vita comune, ritenevo che il suo disprezzo per la disciplina sociale fosse una prova che un tal uomo dovesse essere uscito fuori da una forma di lusso, non da quella solita da cui si estraggono a migliaia di esemplari le edizioni stereotipe.

Malgrado che la teoria dalla quale la mia argomentazione prendeva le mosse — che cioè un grand’uomo debba in ogni cosa comportarsi come un non-uomo — fosse assai discutibile, e, con ogni probabilità, completamente errata; debbo dire però che questa volta fu luminosamente confermata dai fatti.

Il giovine venne.

Era un amore! Un volto classico incorniciato da ciocche di capelli neri e ondeggianti; una fronte alta e serena; degli occhi grandissimi che mostravan chiaramente come a quelle finestre dell’anima stesse affacciata una personalità non comune; un sorriso dolce e profondamente malinconico. Aveva l’apparenza d’un santo giovinetto, disceso da un’icone antica, di un fanciullo predestinato al dolore, sulla cui fronte si leggesse scritto a chiare note il racconto degli strazii venturi.

— Mi presento da me: Michele Eminescu. —

Così l’ho conosciuto io.

Prima di entrare come mozzo di stalla a servizio dell’albergo, dove fu trovato dall’attore (probabilmente Iorgu Carageale) Eminescu pare avesse fatto il facchino nel porto di Giurgiu. [p. xxvii modifica]

«L’ho visto», raccontava a D. Teleor20 un fratello del prof. Găvanescu, col raschiatoio di ferro in mano, che livellava i moggi pieni di grano, come è uso di fare quando si caricano a bordo i cereali. Mi fermai a guardarlo. Faceva proprio compassione. Era vestito sommariamente con dei calzoni di tela azzurra e una giacchetta di stoffa ordinaria. Nè camicia, nè calze, nulla! Questo facchino che sapeva leggere non era altri che Michele Eminescu. Iorgu Carageale21 lo prese con sè come suggeritore. Era un ragazzo molto intelligente, Eminescu; forse più intelligente del necessario! Dopo aver finita la nostra serie di rappresentazioni a Giurgiu, partimmo per Bucarest, dove Eminescu entrò come suggeritore al Teatro Nazionale e cominciò a scriver poesie22».

Come vivesse a Bucarest Eminescu durante il tempo che fu suggeritore al Teatro Nazionale sappiamo da un articolo (Eminescu a Bucarest) pubblicato nel Luceafărul dal sig. St. Cacoveanu:

Quasi alle spalle dell’albergo Hugues sorgeva la casa dove abitava l’attore Pascali, proprio dirimpetto al Ginnasio Michele il Bravo. In quel medesimo edificio, al piano superiore, dopo esser passati per un corridoio stretto ed oscuro, si giungeva alla stanza di Eminescu accanto a quella d’un fratello di Pascali, impiegato a Bucarest. La stanza di Eminescu, fornita d’una sola finestra, misurava non più di quattro passi in larghezza e cinque in lunghezza. Entrando in essa dal corridoio, vedevi subito la finestra nel fondo, dirimpetto alla porta. A sinistra, in un angolo, una stufa di mattoni. A due palmi di distanza dalla stufa, lungo la parete [p. xxviii modifica] di sinistra, un piccolo canapè che gli serviva di letto, e sul quale dormiva coi piedi rivolti verso il fuoco, senza nè materasso nè coperta. Il canapè era stato una volta rosso, ma allora appariva del tutto scolorito. Davanti al canapè sorgeva un tavolino d’abete, e, accanto al tavolino, dalla parte opposta, una sedia anch’essa d’abete greggio non dipinto, come il tavolino. Questo era tutto l’ammobiliamento della stanza. I libri Eminescu li teneva gittati alla rinfusa sul pavimento ed occupavano tutto lo spazio libero dalla finestra al tavolino. Nella stanza non si spazzava, e non si spolverava, sicchè negli angoli e sotto il soffitto i ragni avevan tessuto le loro tele, così come egli ci descrive nella poesia intitolata Solitudine».

A Bucarest Eminescu non restò molto tempo. Nel luglio del 1869, quando Mihail Pascali dette colla sua compagnia nove rappresentazioni a Cernăuți, corse voce tra gli studenti che Eminescu facesse parte della compagnia come suggeritore. I suoi colleghi però non riuscirono ad accostarlo, malgrado facessero di tutto per rivederlo. Si vede però che da parte sua, lui faceva di tutto per non incontrarsi co’ suoi amici d’un tempo. Faceva parte di questa compagnia una giovine artista Eufrosina Popescu, una giovinetta di rara bellezza, che, quasi senza volere, attirava su di sè tutta l’attenzione del pubblico. Questa ragazza che poteva avere allora poco più di diciassett’anni, benchè non fosse un’artista di prima qualità, era divenuta, grazie alla sua bellezza e alla grazia de’ suoi gesti, la favorita del pubblico di Cernăuți e specialmente degli studenti. Si diceva che il Pascali la tenesse sotto la sua speciale protezione e che tutti gli attori le fossero affezionati come a una figliuola della loro compagnia. Gli studenti che misero in giro la voce che Eminescu si trovasse nella compagnia, giuravano che Eminescu fosse innamorato di lei, e che per lei avesse interrotto gli studii e scelta la carriera dell’artista drammatico, seguendo [p. xxix modifica] la compagnia nella Transilvania e nel Banato. Nessuno», continua a raccontar lo Stefanelli23, «dette allora troppa importanza a queste chiacchiere, e, dopo la partenza della compagnia Pascali, si cessò anche di parlare di Eufrosina e di Eminescu. Ma, nell’autunno del 1870, trovandomi a Vienna con Eminescu, che da poco era venuto a studiarvi filosofia, alla trattoria Bischoff nella Wipplingsstrasse dove ci eravamo trattenuti a discorrere fino ad ora tarda, e disponendoci a tornare a casa — abitavamo allora tutti nella Dianagasse — facemmo la triste constatazione che nessuno di noi possedeva i dieci centesimi da dare al portinaio perchè ci aprisse la porta di casa. Eminescu era quella sera molto ben disposto, mi s’era attaccato al braccio e cantava, declamava, raccontava una quantità di storielle allegre, l’una più gustosa dell’altra. A un tratto però divenne sentimentale e lo udii esclamare: — O Eufrosina, Eufrosina! — Conoscendo bene il debole di Eminescu per le figure mitologiche, credetti che volesse dire d’una delle tre Grazie, e gli domandai per qual mai strana associazione d’idee fosse arrivato dai canti e dalla declamazione a una figura mitologica.

— Guarda che per me non è stata punto una figura mitologica, ma bene un essere reale, la mia Eufrosina! Eufrosina Popescu! —

Solo allora mi ricordai di questo nome da tanto tempo dimenticato e gli domandai se questa Eufrosina Popescu non fosse per caso un’artista della compagnia Pascali a Cernăuți.

— Come? l’hai conosciuta?

— Mi ricordo benissimo di lei. Era assai carina.

— Sì — rispose lui sospirando — era assai carino quel diavoletto incarnato! Sono stato innamorato di [p. xxx modifica] lei alla follia, e non riesco ancora a dimenticarla! Ho anche scritto delle poesie per lei. —

Avrei voluto conoscere altri particolari più precisi di questo amore; ma s’era fatto giorno, la porta s’aperse e ci separammo. Eminescu infatti abitava un po’ più lontano, nella medesima Dianagasse.

— Ne parleremo un’altra volta! — mi disse allontanandosi, ma ogni volta che, dopo quella sera, ho cercato riprender la conversazione su quest’argomento, non ha voluto più dirmene nulla e mi ha risposto:

— Eh, sciocchezze! —».

Ed eccoci abbastanza informati intorno a questo giovanile e zingaresco amore di Eminescu per la giovanissima attrice, amore che si riflette in tante delle sue poesie giovanili!24

Passando la compagnia per Botoșani, Eminescu potè essere riacchiappato dalla famiglia e, dopo molte insistenze, il vecchio Eminovici riuscì a persuadere il figliuolo a recarsi con lui ad Ipotești, dove giunto, non riuscì più a sfuggire alla sorveglianza paterna e a tornare al suo posto di suggeritore. Fu sequestrato formalmente, gli furono nascosti gli abiti, lasciandolo in camicia e in mutande, finchè la compagnia Pascali non fu partita da Botoșani. I rimproveri e le persuasioni che gli cadevano addosso da ogni parte dai membri della sua famiglia lo fecero decidere finalmente a rinunziare alla vita di attore e a partire per Vienna coll’intenzione di studiarvi filosofia25.

A Vienna Eminescu ritrovò molti de’ suoi compagni di ginnasio di Cernăuți fra cui lo Stefanelli, Samuele Isopescu, Ioan Luța e Iancu Cociaschi che furon tutti lietissimi che Eminescu si fosse finalmente deciso a prender la licenza liceale (Maturitätssprung). Poi che il [p. xxxi modifica] suo arrivo a Vienna coincideva con quello degli ex suoi compagni di corso, la cosa parve la più naturale del mondo e nessuno sospettò che la licenza liceale Eminescu non l’avesse presa. Oramai era nello stesso anno di studii universitarii degli altri suoi colleghi e nessuno poteva più dire che fosse rimasto indietro. Se però qualcuno gli domandava dove avesse finiti gli studii liceali, rispondeva evasivamente di averli finiti in Transilvania; ma il suo diploma di licenza nessuno di noi l’ha mai visto e del resto nessuno ha mai insistito per farselo mostrare»26.

Fatto sta che Eminescu non era riuscito a prender quella benedetta licenza neppure in Transilvania. Sappiamo infatti che a Blaj si era bensì presentato agli esami, ma era caduto nella prova scritta di greco, dopo il quale insuccesso non aveva più ritentato la prova ed aveva perduto gli anni che seguirono nel modo come abbiamo mostrato.

All’Università di Vienna lo troviamo infatti iscritto come uditore straordinario (ausserordentliche Hörer) non, come i suoi colleghi, come studente ordinario, il che mostra chiaramente che gli esami di licenza, o di maturità (come si diceva allora in Austria) egli non li avesse superati.

Ci spieghiamo così il programma, piuttosto ecclettico che no, de’ suoi studii universitarii, durante i quali ascoltò i corsi di filosofia pratica (praktische Philosophie) del prof. Zimmerman, di filosofia del diritto (Rechtsphilosophie), economia politica (Nationalökonomie), scienza delle finanze (Finanzwissenschaft) e diritto amministrativo (Verwaltungslehre) del celebre professor dr. Lorenz Stein, e di diritto internazionale del professor dr. Louis Neumann. Frequentò inoltre con molto interesse, senza però esservi iscritto, il corso di medicina [p. xxxii modifica] legale del dr. Gatscher che faceva le sue lezioni sul cadavere, spiegando minutamente le funzioni di ciascun organo, e quello di filologia romanza del nostro grande Mussafia.

Ma, più ancora di questi corsi, contribuirono ad aumentar la sua cultura e a svolgere in lui quel senso del bello che fin da fanciullo gli faceva guardare il mondo con occhi nuovi; le sue visite frequenti ai musei e alle gallerie ricche di tanti capolavori della capitale dell’Austria, e il frequentar ch’egli fece quasi ininterrottamente il Teatro di Corte, sulle cui scene recitavano allora i più grandi artisti dell’epoca. Si contentava di un buon posticino al loggione, che era capace di conquistarsi aspettando ore ed ore davanti alla porta del teatro, incurante del freddo che lo faceva tremare a verga a verga. Una volta, per assistere a una rappresentazione del Re Lear fu capace di aspettare alle porte del Burgtheater sei ore di continuo con un freddo del diavolo, ridendosi dei colleghi, che, intirizziti e battendo i denti, finirono col rinunziare allo spettacolo e tornarsene a casa al calduccio. «Eminescu invece rimase fino all’ultimo, assistè alla rappresentazione e il giorno dopo ci rimproverò della nostra vigliaccheria di esserci lasciati vincere dal freddo e di aver rinunziato a un posto così buono»27.

Grazie al bel volumetto dello Stefanelli, preciso e colorato, siamo in grado di conoscer nei più minuti particolari la vita che Eminescu menò a Vienna. Simpatica vita di goliardo fra altri goliardi non meno scapati di lui, ma che, forniti di un più pratico senso della realtà, finivano col rappresentare verso Eminescu la parte di protettori paternamente indulgenti, coll’obbligarlo p. es., appena riceveva da casa i quattrini, ad assicurarsi l’alloggio e il vitto, pagando il mese antecipato. Peccato che non sempre riuscissero a saper la data in cui [p. xxxiii modifica] Eminescu aveva ricevuto da casa la mesata! Del resto, come tutti gli studenti passati presenti e futuri, anch’essi facevano baldoria la prima metà del mese, e passavan poi la seconda ad aspettar con sottili economie l’arrivo della mesata ventura. Nessuno di essi però si riduceva al verde come Eminescu, il quale era capace di vivere delle settimane intere quasi esclusivamente di pane e di caffè. Caffè e tabacco non gli mancavano mai. Se ne approvvigionava al principio del mese e solo assai di rado la provvista finiva prima che il nuovo stipendio fosse arrivato. In questo caso ricorreva a Jean, il fido cameriere del Caffè Troidl, che gliene prestava. Per mangiare poi dava in pegno all’oste antichi libri rumeni stampati in caratteri cirillici, che faceva passare per preziosi cimelii orientali, o portava al Monte di Pietà tutti gli abiti non strettamente necessarii e qualche volta persino i calzoni degli amici, che non mancava poi d’invitare a pranzo perchè almeno godessero anche loro dei denari che s’era procurati col mettere in pegno i loro abiti. Frequentava molto la compagnia degli artisti dell’Opera Imperiale e del Teatro di Corte, nella quale era stato introdotto dalla celebre Boguar, con cui aveva fatto conoscenza; ma, quasi tutto il giorno se ne stava rinchiuso nella sua cameretta della Dianagasse, felice quando gli altri studenti che abitavano con lui lo lasciavano solo, e scriveva, scriveva di continuo.

Appena infatti tornato a casa dall’Università, si spogliava, indossava un vecchio tabarro tutto sdruci e rammendi, accendeva la macchinetta a spirito, sorbiva una buona tazza di caffè turco che sapeva preparare a meraviglia, arrotolava una sigaretta, e si metteva al lavoro. Scriveva così per ore intere. Se intoppava in qualche difficoltà, s’alzava dal tavolino, si faceva un’altra tazza di caffè, arrotolava un’altra sigaretta, passeggiava un po’ di tempo su e giù per la stanza, e poi si rimetteva a scrivere. Se una parola gli veniva a mancare o la frase non gli si presentava subito, non perdeva [p. xxxiv modifica]tempo a cercarla, ma lasciava uno spazio vuoto e procedeva innanzi. Quando il lavoro era finito, lo rileggeva infinite volte, e cominciava poi lentamente a correggerlo e a limarlo, cesellandone minuziosamente la forma, finchè arrivava ad ottenere quell’espressione concisa e lapidaria che oggi ammiriamo in tutte le sue poesie e che disgraziatamente la traduzione non può sempre ridare in tutta la sua musicalità. Dopo, chiudeva il lavoro nel cassetto e non lo mostrava a nessuno finchè non fosse pubblicato. Spesso si sprofondava a tal punto nella composizione, da scrivere fino a notte avanzata; e non usciva neppure per recarsi a cena. Mandava qualcuno a comperargli del pane, del formaggio e una bottiglia di birra dal salumaio più vicino e seguitava a scrivere. Quando i suoi compagni tornavano a casa, trovavano nelle stanze un’aria addirittura irrespirabile, viziata dal fumo delle innumerevoli sigarette, dalle esalazioni del fornellino a spirito e della lampada a petrolio, ed Eminescu che a mala pena si vedeva, avvolto com’era in una densa nuvola di fumo, che scriveva col capo chino quasi sotto il lume, sopra un largo foglio di carta. Aprivano allora tutte le finestre ed anche Eminescu, che fin’allora non s’era accorto dell’aria cattiva che c’era nella stanza, respirava finalmente, sollevato. Quando non scriveva, leggeva di continuo ogni sorta di libri, disteso su di un sofà o addirittura a letto. Il suo tavolino era pieno zeppo di libri rumeni e tedeschi. In rumeno gli piaceva di leggere e rileggere gli antichi cronisti dal saporito stile arcaico e le Convorbiri Literare, alle quali aveva cominciato da poco a collaborare e che riceveva perciò regolarmente. In tedesco leggeva i classici, le opere di Schopenhauer che gli aveva regalate il Direttore delle Convorbiri Iacob Negruzzi28. Accanto ai volumi di [p. xxxv modifica]Schopenhauer, che sul suo tavolino occupavano il posto d’onore, non mancava mai qualche volume delle poesie del Lenau, il poeta preferito di Eminescu. Non bisogna però credere che solo la letteratura tedesca originale lo interessasse. Tutti sanno come poche letterature possano come la tedesca vantare un’altrettale ricchezza di ottime traduzioni da ogni sorta di lingue ed Eminescu ne approfittò per informarsi intorno ai capolavori, soprattutto poetici, delle letterature più disparate. Lesse soprattutto moltissime traduzioni dal persiano e dal sanscrito (il Râmâyana, il Mahâbhârata, Çakuntalâ, le poesie del poeta persiano Hafis), si appassionò al Buddismo, sì che in un certo periodo della sua vita non la finiva mai di tesser le lodi di Buddha Sakiamuni e del Nirvana.

Esistevano a quell’epoca in Vienna due Società studentesche rumene che rivaleggiavano tra loro e si davano un gran da fare per accaparrarsi gli elementi migliori: la «Rumania» e la «Società Scientifico-Letteraria.» Eminescu e il gran novelliere Slavici, furono iscritti nella seconda di esse a loro insaputa. Vi rimasero perchè vi si trovarono bene ed anche perchè gli amici avevan già pagata per loro la tassa d’iscrizione. Col [p. xxxvi modifica]tempo le due Società si fusero, per opera del patriota bucovinese Alecu Hurmuzachi, in una nuova Società, che, probabilmente per un ricordo della Giovine Italia (o della Giovine Europa) del Mazzini, si chiamò la Giovine Rumania. Gli studenti che vi appartenevano si riunivano quasi sempre in un restaurant. Si passava il tempo fra amici, si parlava rumeno, si recitavan poesie di classici rumeni, e, soprattutto, si facevano interminabili discussioni ortografiche sulle novità introdotte (contro l’esagerato latinismo dei «transilvani» e l’«italianismo» di Eliade e di Asachi) dalla Junimea e dalle Convorbiri Literare, e che Eminescu, membro della prima e collaboratore delle seconde, sosteneva naturalmente a spada tratta. Ma in genere a queste riunioni Eminescu prendeva parte di rado. Domandato perchè non venisse più spesso, rispondeva: — Peccato per il tempo che vi si perde! Mi ci annoio. I membri non producono nulla d’originale. Fan la scimmia agli studenti tedeschi, senza riflettere che le loro abitudini hanno la loro ragione di essere in una tradizione storica secolare, ma non si confanno con gli usi rumeni e perciò non potranno mai attecchire fra noi. — Parole importantissime che mostrano già in germe in Eminescu studente quella tendenza sanamente conservatrice, tradizionalista e nazionalista che si affermerà più tardi nei meravigliosi articoli che scrisse all’epoca della sua maturità e pubblicò nel giornale conservatore Il Tempo.

Senza dunque cessar di far parte ufficialmente della Giovine Rumania, fondò con pochi intimi un gruppetto a parte, in cui ognuno di essi occupava una delle antiche cariche rumene di corte attorno a un Voivoda, Pamfil Dan, che prese il nome di Dan-Voda. Le lettere patenti o diplomi voivodali erano scritte nella più antica lingua rumena e finivan tutte colla formula di rito: «E se avvenisse che tu non rendessi onore ai Nostri ordini o non li eseguissi e ti ridessi di loro; sii tu allora maledetto e bandito dalla Nostra Corte e scomunicato da [p. xxxvii modifica] tutti i CCCXXXV Padri del Concilio di Nicea, e la bocca dell’Inferno t’inghiotta, e la sete della Gehenna ti tormenti, e il fuoco dell’amore ti bruci, e il vino ti si cambi in aceto, e la birra in acqua, e possa tu avere la sorte di Ario, l’eretico nemico di Dio che brucia nel fuoco eterno e brucerà fino alla fine dei secoli. Amen».

Inutile dire se la parodia ottenesse successo! Gli studenti si buttavan via dalle risa, ed Eminescu esclamava:

— «A maraviglia! Così piace anche a me! Questo si chiama divertirsi davvero alla rumena, secondo le più sane e storiche tradizioni del nostro popolo! Avanti dunque!».

L’uso rimase ancora in vigore per molti anni dopo la partenza di Eminescu da Vienna, e, quando nel 1875 il poeta rivide a Cernăuți lo Stefanelli, gli domandò ridendo se fosse ancora Gran Logotheta del Regno e se seguitasse a scriver lettere patenti!

A Vienna Eminescu conobbe personalmente Iacob Negruzzi che gli aveva pubblicato per la prima volta una poesia (Venere e la Madonna) nelle Convorbiri Literare e Veronica Micle, la donna ch’egli avrebbe amata tutta la vita e il cui nome sarebbe rimasto nella letteratura rumena indivisibile dal suo.

Probabilmente per seguire a Iassy la dolce figura apparsagli come una visione di felicità, Eminescu interruppe bruscamente i suoi studii a Vienna, e, dopo un breve soggiorno in patria (affermato dagli uni, negato dagli altri, e del quale ad ogni modo non abbiamo nessun documento), lo ritroviamo il 18 decembre del 1872 a Berlino regolarmente iscritto alla facoltà di Filosofia. Che cosa Eminescu abbia fatto nel periodo di tempo che corre dall’8 aprile 1872 (data dell’ultima lettera spedita da Vienna alla famiglia per sollecitar l’invio dei soliti otto ducati per potersi comprare — par di sentire il Leopardi — un soprabito di cui aveva urgente bisogno) al 18 dicembre di quell’anno; non sappiamo [p. xxxviii modifica] e forse non sapremo mai. Pare che nel frattempo si recasse a Iena per continuarvi i suoi studi filosofici e solo più tardi si decidesse per Berlino.

Ad ogni modo è certo che nel semestre invernale dell’anno 1872-73 Eminescu frequentava in quest’ultima Università i corsi di Logica e fondamenti della filosofia (prof. Dühring), Filosofia della Storia (prof. Dühring), Storia generale della Filosofia (prof. Zeller), Storia dell’Egitto (prof. Lepsius), Principii logici delle scienze sperimentali (prof. Halmholtz), Nuovi resultati delle scienze naturali (prof. Du Bois-Reymond), e, nel secondo semestre estivo 1873, i corsi di: Storia moderna (prof. Droysen), Usi e costumi egiziani (prof. Lepsius), Sviluppo e critica della filosofia hegeliana (prof. Althaus), Ottimismo e pessimismo filosofico e politico (professor Dühring)29.

Come visse Eminescu a Berlino, durante il tempo che vi stette? Probabilmente un po’ meglio che a Vienna. Sappiamo infatti che ottenne, grazie alla sua profonda conoscenza di tedesco che parlava e scriveva alla perfezione, di esser preso come segretario particolare dell’agente diplomatico rumeno Theodor Rosetti e che le medesime funzioni continuò ad esercitare presso il successore di questo N. Kretzulescu.

Intanto il partito conservatore si rafforzava e uno de’ suoi capi, Titu Maiorescu, sentendo prossimo il suo avvento al potere, scriveva nel gennaio del 1874 una lettera molto affettuosa al nostro studente in filosofia, chiedendogli se, dopo ottenuto il diploma di dottore, sarebbe stato disposto ad accettar la cattedra di Storia della Filosofia rimasta vacante all’Università di Iassy. Con lettera del 5 febbraio Eminescu risponde al Maiorescu (bei tempi, in cui s’ignorava persino il nome [p. xxxix modifica] dell’arrivismo!) di non sentirsi abbastanza preparato per un così alto insegnamento e lo pregava di dargli ancora un semestre di tempo per poter prendere il suo diploma di Dottore, e intanto, nel caso che fosse nominato Ministro dell’Istruzione, gli volesse accordare un sussidio che gli permettesse di rinunziare al posto che occupava nell’Agenzia Diplomatica Rumena che gli rubava il tempo che avrebbe dovuto consacrare agli studii. Il Maiorescu gli rispose domandandogli quanto tempo e qual somma di denaro gli fossero necessari per presentarsi agli esami di dottorato; ma Eminescu rispose evasivamente domandando a sua volta quanto tempo e qual somma di denaro gli si potevano accordare. Intanto (19 aprile 1874) i conservatori eran chiamati al potere e il Maiorescu, nominato ministro dell’Istruzione, si affrettava a scrivere ad Eminescu essere assolutamente necessario perchè potesse esser nominato incaricato dell’insegnamento di Storia della Filosofìa all’Università di Iassy, che egli ottenesse al più presto il diploma di Dottore. Il giorno stesso in cui gli avrebbe comunicato la bella notizia, lo avrebbe nominato incaricato, restando inteso che si sarebbe poi presentato al concorso quando, di lì ad un anno, la cattedra sarebbe stata dichiarata ufficialmente vacante. Gli rispondesse perciò francamente quanto tempo e qual somma gli sarebbe necessaria a tale scopo. Non facesse cerimonie perchè, tanto, la somma che gli sarebbe accordata avrebbe dovuto poi restituirla a rate al Ministero sul suo stipendio di professore. Poteva dunque accettar liberamente, non essendovi nella proposta che gli faceva nulla che potesse offender il suo decoro. Eminescu rispose che sperava (o meglio che non sperava, perchè lui non sapeva sperar mai nulla, ma che avrebbe tentato) di addottorarsi a Iena nell’agosto di quell’anno, e che riteneva che 300 talleri gli sarebbero bastati a sostenere le spese. Con decreto del 26 aprile 1874 il Maiorescu accordava «100 ducati allo studente [p. xl modifica] Michele Eminescu iscritto presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Berlino perchè potesse presentarsi agli esami di dottorato e stampare la tesi, colla condizione che in seguito avrebbe restituito questa somma al Ministero».

Ma Eminescu, per cui prendere una decisione era una vera tortura, non si risolse mai a presentarsi agli esami e a redigere la tesi. Allora il Maiorescu lo nominò Direttore della Biblioteca Universitaria di Iassy (1 settembre 1874-1 luglio 1875) e poi ispettore scolastico (1 luglio 1875-1 giugno 1876).

Furon quelli gli anni più sereni della vita del nostro infelice poeta. Membro importante della Junimea, collaboratore assiduo delle Convorbiri Literare, stimato e carezzato da tutti, segretamente amato dalle donne, confortato dall’amicizia fraterna di Ion Creanga, il gran prosatore popolare rumeno, e dall’amore discreto, materiato di tenera adorazione e di timido rispetto, di Veronica Micle, una dolce creatura che fu per lui un po’ quello che la Donna Gentile fu per il Foscolo: amante, amica, madre, sorella, tutto ciò ch’egli volle; in questo breve periodo (1874-1876) Eminescu dovè sentirsi quasi felice.

Riportiamo, perchè il lettore possa farsi un’idea di ciò che era la Junimea ai tempi in cui ne faceva parte Eminescu, un brano dei vivaci Ricordi della «Junimea» di George Panu (Bucarest, «Adevărul», 1908). Scelgo naturalmente un brano in cui Eminescu appare in primo piano e cioè quello in cui si parla della lettura fatta dal poeta della sua novella: Il povero Dionisio:

«Una sera vado alla Junimea ed il Pogor mi dice:

— Stasera abbiamo una lettura. Eminescu ci farà sentire una novella. Maiorescu che l’ha letta, dice che si tratta d’un capolavoro. —

Eminescu, sprofondato in una poltrona, se ne stava annoiato e indifferente a quanto avveniva intorno a lui. Maiorescu arrivò. [p. xli modifica]

«— Coraggio, Eminescu! — disse Iacob Negruzzi — fatti avanti e comincia. —

Eminescu avvicinò la sedia al tavolino, tirò fuori della tasca il manoscritto, e cominciò a leggere:

— .... e similmente, se chiudo un occhio, vedo la mia mano più piccola di quando la guardo con tutti e due. Se avessi tre occhi, la vedrei anche più grande, e, quanti più occhi avessi, di tanto più grandi mi sembrerebbero le cose che mi circondano. Tuttavia, facendo il caso che io fossi nato con migliaia d’occhi in un mondo pieno di cose colossali, queste, mantenendo in rapporto con me le loro proporzioni, non mi sembrerebbero nè più piccole nè più grandi di quanto mi sembrano ora. Ammettiamo che il mondo....—

E via di seguito, sempre su questo tono. Noi ci guardavamo l’un l’altro, e gli otto30 eran divenuti trenta, nessuno potendo indovinare di che diavolo si trattasse e dove Eminescu sarebbe andato a parare. Solo molto più tardi eccolo che incomincia a darci qualche spiegazione di tutta quella sua metafisica, facendoci saper finalmente che il suo eroe era un giovinetto imbevuto di teorie metafisico-astrologiche, che abitava una casa abbandonata e possedeva per tutto ricordo de’ suoi genitori un ritratto d’una figura mezza virile e mezza muliebre, ma insomma più virile che muliebre, visto ch’era il ritratto di suo padre, morto giovane ancora.

Respirammo tutti. — Eccoci finalmente — ci dicevamo — tornati sulla terra; d’ora innanzi la novella sarà novella e non avremo che da seguirne l’intreccio, giacchè l’eroe ormai lo conosciamo. — [p. xlii modifica]

I trenta erano divenuti di nuovo otto ed anche gli otto eran per ceder le armi; lo stesso Nicu Gane, presidente del gruppetto bellicoso, s’era rasserenato ed il volpone31 che era rimasto schiacciato dalla filosofia di Eminescu, incominciava a tossire, facendo colla sedia movimenti impercettibili per accostarsi al lettore. Mirmilik32 dimenticava persino di tirarsi i baffi.

Ma che! Non era che un momento di tregua. Era deciso che quella sera gli otto dovessero avere buon giuoco.

Eminescu riprese a leggere. Il povero Dionisio, entrando nella sua povera stanza, prende in mano un libro di astrologia, e comincia a meditare, guardando i segni cabalistici delle costellazioni: “Chi sa che in questo libro non si trovi il segno che ha il potere di trasportarci in un mondo ideale conforme in tutto ai nostri desiderii, ecc. ecc.”.

— Ahi! — fece sottovoce Nicu Gane, — eccoci di nuovo in piena metafisica! —

Per fortuna Eminescu cominciò a leggere che, dirimpetto alla casa del povero Dionisio, c’era una villa signorile e che dalla finestra aperta s’udiva il suono d’un pianoforte, una voce melodiosa e argentina che cantava e s’intravvedeva persino la figura di una bella signorina.

Incominciate a sperare? Disingannatevi! Come la bella signorina dispare dalla finestra, il povero Dionisio si sprofonda di nuovo nella contemplazione delle rosse linee cabalistiche, queste cominciano a muoversi ed a girare con velocità vertiginosa, la mente del povero Dionisio è attratta in quel movimento, una mano invisibile lo trascina nel vortice di quella danza [p. xliii modifica] e a un tratto eccolo che vede dei Voivodi con ricchi abiti di broccato d’oro guarniti di zibellino, seduti sui loro troni antichi di puro stile bizantino, vede vecchi bojardi raccolti a consiglio e una gran folla di popolo che entra nel cortile della reggia. Le linee rosse interrompono le loro danze e una voce misteriosa domanda al giovane:

— In qual’epoca desideri trovarti?

— Sotto il regno di Alessandro il Buono, — risponde il povero Dionisio.

Ed ecco che, da un momento all’altro, Dionisio si vede trasformato in un monaco Dan, steso beatamente su d’un mucchio di fieno falciato di fresco, mentre il sole tramonta.

— .... Va bene, — disse Vasile Pogor — ma spieghiamoci chiaro. Tutte queste belle cose Dionisio le vede, naturalmente, in sogno!

— Sì e no — rispose Eminescu. — Si tratta di una teoria filosofica che non è alla portata di chiunque! — Gli otto, che eran divenuti trentacinque, cominciarono a ridere con ostentata indulgenza.

La novella prendeva, ad ogni pagina che Eminescu voltava, un andamento sempre più strano. Iacob Negruzzi che di solito, malgrado il suo sorriso ironico, approvava le teorie di Eminescu, cominciò a tossir forte e a far cogli occhi e colle mani segni disperati che non ci capiva un’acca, e, curvandosi all’orecchio dello Xenopol33 che gli sedeva accanto, disse:

— Come me la sbroglierò coi lettori delle Convorbiri? Quando leggeranno questa novella, mi rimanderanno tutti indietro la rivista! —

Ma Eminescu, sereno, olimpicamente sereno, continuava la lettura come se non fosse fatto suo. [p. xliv modifica]

A un certo punto, in cui uno dei protagonisti si trasforma in un diavolo circondato da una folla di diavoletti, le proteste presero un carattere apertamente ostile.

— Qui non è più il caso — si diceva — di parlar di fantasia, ma di pura e semplice puerilità. Siamo ai diavoli delle novelline popolari, alle case dove ci si sente e ad altre balordaggini di simil genere! —

Ma Eminescu, che sembrava non accorgersi punto di quanto avveniva intorno a lui, continuava con una calma che aveva dell’esasperante:

....il monaco Dan uscì dalla casa e si mise per una stradetta deserta....”.

Qui altre proteste. Eminescu, infischiandosi della storia, descriveva una città rumena dei tempi di Alessandro il Buono come se fosse una qualunque città....turca!

— Piano! Piano! che le cose stanno alquanto diversamente! Lei ci descrive una città turca, o, al più, rumena ma del secolo scorso! Ora, ai tempi di Alessandro il Buono, i Rumeni non erano ancora venuti a contatto coi Turchi!

Eminescu fece spallucce e continuò a leggere. Che importava a lui, pur così profondo conoscitore della storia rumena, della verità storica in un’opera di pura immaginazione? Ne’ suoi scritti non troverete mai neppur l’ombra di una simile preoccupazione. Egli credeva in buona fede che, nonchè i Rumeni, l’umanità intera fosse vissuta nel medioevo come a lui faceva comodo d’immaginare.

Ed Eminescu continuava, continuava a leggere in mezzo alla noia universale.

Finalmente, come tutte le cose di questo mondo finiscono, anche quella lettura finì.

Era durata quasi due ore e bisognò prendere il thè, che la mezzanotte era passata.

Non ricordo bene la critica che il Maiorescu fece [p. xlv modifica] del povero Dionisio, ma ricordo benissimo che una critica la fece. Quanto agli altri, eran tutti d’accordo che la novella fosse di una stravaganza imperdonabile.

Il Negruzzi non faceva che ripetere:

— Che diranno i lettori delle Convorbiri? —

Il che non gl’impedì, naturalmente, di chiedere ad Eminescu il manoscritto e di cacciarselo in tasca.

Eminescu non intervenne nella discussione. La lettura lo aveva spossato. Si vedeva che in quelle due ore aveva vissuto della vita del povero Dionisio, e, del resto, aveva sempre un po’ l’aria di non trovarsi troppo a posto suo nella Junimea.

Ci separammo ad ora assai tarda, continuando a discutere sulla strana novella.

Eminescu ci lasciò subito e se n’andò a casa solo. Raramente si accompagnava con noi, e più raramente ancora con me, di cui non poteva soffrire la tendenza allo scherzo e alla caricatura. Malgrado, nei rari momenti in cui era ben disposto, fosse anche lui comunicativo e scherzoso (benchè sempre con un’ombra di malinconia!); non permetteva però che si scherzasse su ciò ch’egli credeva la verità e di cui era convinto. E, poi che proprio quelle sue opinioni e convinzioni davano occasione ai miei scherzi, faceva di tutto per evitarmi, malgrado la stima reciproca che nutrivamo l’uno per l’altro. Non ricordo infatti di aver avuto mai con lui neppur l’ombra d’una discussione men che amichevole, ed anzi, quando era ben disposto, acconsentiva persino a prender con noi un aperitivo prima di colazione.

Non posso dire però che trattasse anche gli altri con egual deferenza. Era assai aspro con molti della Junimea e gli appellativi di stupido e d’ignorante li dispensava con molta facilità. Malgrado ciò, tutti lasciavan correre, senza dare alle cose troppa importanza. [p. xlvi modifica]Non so, ma pareva che tutti avessimo il presentimento che dovesse accadergli fra poco qualche terribile disgrazia......

Ed ora diciamo qualcosa - almeno qualcosa - della sua amicizia per Creanga.

Creanga è uno dei più grandi - e forse il più grande tra i prosatori rumeni dell’ottocento. La sua prosa, che qua e là ricorda quella del Celini, ha tutto il profumo e la vivacità del linguaggio popolare, ma del linguaggio popolare passato attraverso una grande anima d’artista.

Prete dapprima, finì col buttar la tonaca alle ortiche, quando s’accorse che lo impacciava e gl’impediva p. es. di attendere al suo divertimento preferito ch’era di dar la caccia col fucile ai corvi che s’appollaiavano sulle croci della sua chiesa parrocchiale, occupazione invero non troppo adatta a un prete in cui fu una volta sorpreso con grande scandalo dal vescovo, ai rimproveri del quale rispose di non credere che un prete abbia il dovere di aver paura del fucile come un ebreo. Nominato maestro elementare e poi ispettore scolastico dai conservatori, passò il resto della sua vita a studiare il linguaggio e i racconti popolari e a scrivere quei capolavori che sono i suoi Aneddoti, le sue Novelline e soprattutto gl’indimenticabili suoi Ricordi d’infanzia.

Eminescu lo conobbe per ragioni d’ufficio ai tempi in cui Creanga era maestro elementare e lui ispettore scolastico, e cioè verso il 1874. Trovando in Creanga proprio quello, che mancava a lui: la semplicità e la spontaneità popolare, finì col legare con lui una di quelle amicizie che duran tutta la vita e che solo la morte può troncare.

Fra i due, - ci fa sapere il Panu, - si stabilì una così intima comunione di sentimenti e di aspirazioni che d’allora in poi nessuno vide più Eminescu senza Creanga o Creanga senza Eminescu. Insieme venivano alla Junimea, insieme ne partivano, insieme pranzavano, insieme andavano a passeggio, insieme talvolta [p. xlvii modifica] dormivano durante le escursioni che facevano nei dintorni di Iassy. Noi altri ci recavamo di solito, dopo le riunioni della Junimea, in qualcuno dei più eleganti caffè della città ed Eminescu talvolta ci accompagnava, ma senza troppo entusiasmo. Appena ebbe fatta la conoscenza di Creanga, non venne più con noi e non fu più visto che in compagnia di lui.

Che facevano? dove andavano? che si dicevano giorni e notti intere?

Che facevano e dove andavano, lo sappiamo. Uscivano insieme di casa e sparivano in una delle tante osterie di campagna: di Tatarasci, Păcurari o Nicolina o di qualche altro sobborgo della città. In queste osterie non si mettevano a bere — come i maligni pretendevan di sapere e come anche oggi qualcuno continua ad affermare, aggiungendo che questo tenore di vita abbia rovinato la salute così di Eminescu che di Creanga —; ma vivevano semplicemente quella vita naturale e primitiva che aveva per loro una particolare attrattiva. Per i due amici il più gran piacere era di sedersi su dei trespoli di rozzo legno in fondo a una stanza appartata dell’osteria, davanti a una rustica tavola d’abete imbandita di povere vivande e di farsi servire da un contadinello ingenuo.

Che facevano? Per tutto pranzo e colazione si facevano arrostire un po’ di carne di capra salata e conservata (păstrama), si facevano portare un boccale di vino del primo che trovavano, mangiavano nei giorni di ribotta un piatto di salsicce cucinate — e Dio sa come! — coll’aglio, e, dopo aver mangiato la carne di capra e le salsicce, restavano a parlare a lungo davanti a un bicchiere di vino. Restavano così a lungo che, quando l’oste ne dava loro il permesso, non si separavano che all’alba. Quando l’oste voleva chiudere ad ogni patto, se n’andavano in qualche altra osteria che sapevano rimaneva aperta tutta la notte e parlavano, parlavano, e bevevano anche, ma con misura. [p. xlviii modifica]

Che si dicevano? Questo non lo sappiamo. Eminescu e Creanga solo di rado accettavano la compagnia di un terzo; ma è facile immaginarsi di che parlasserò. Creanga raccontava come sapeva raccontar lui leggende antiche e popolari, Eminescu costruiva teorie metafisiche e sognava ad occhi aperti come era stato il popolo rumeno a’ suoi bei tempi e come sarebbe per essere nell’avvenire. S’intendevan fra loro, come dice il proverbio rumeno, come l’anatra con l’oca e le medesime aspirazioni li tenevano uniti.

Talvolta domandavo ad Eminescu:

— Di che diavolo parlate mai tutta la notte insieme, tu e Creanga? — Eminescu sorrideva, e, con quel suo sguardo vago e lontano che gli era abituale, rispondeva evasivamente:

— Parliamo anche noi, come tutti gli altri uomini, di quel che ci passa per la testa

— E non era possibile cavargli altro di bocca.

Talvolta cercavamo di attirarli in una delle nostre bottiglierie eleganti. Ma non c’era verso: rifiutavano quasi sempre.

— No, non veniamo; preferiamo andarcene dal Sor Costantino, l’oste di Nicolina. Vedessi che osteria! Mi faccio portare, — aggiungeva Creanga — due o tre carboni in un coperchio di coccio e mi arrostisco colle mie mani la carne di capra. E poi c’è Ghizza, un ragazzo che serve a tavola, che è un diavoletto in carne e ossa! Il vino è un po’ acretto, non c’è che dire, ma buono. Non è vero, Eminescu? —

Eminescu, raggiante di felicità, sorrideva.

Poi se n’andavano insieme come i più felici uomini di questo mondo»34. [p. xlix modifica]

Ma Creanga, da quell’uomo sano e pieno di buon senso che era, non si limitava a tener compagnia all’amico davanti a un bicchiere di vino: gli dava anche degli ottimi consigli, che Eminescu seguiva scrupolosamente.

Ci fu un momento a Iassy che tutte le signore più o meno aristocratiche e intellettuali erano innamorate del poeta alla moda e lo assediavano di lettere e di bigliettini profumati.

Eminescu leggeva quelle lettere e Creanga, poi, le buttava nel fuoco e tutti e due ridevano delle frasi esagerate che contenevano e del rumeno infranciosato in cui erano scritte. A un tratto s’udiva Creanga gridare:

— Moglie, apri le finestre, chè esca il fumo del profumo, poi che credo d’essere in paradiso senza riso, all’inferno senza Derno35, a letto senza tetto! Vorrei che ardessero tutti i vizii dei boieri come ardono queste lettere! Bravo Michele! Dammene delle altre se ne hai, chè faranno la stessa fine! —

E, con allegria quasi fanciullesca, guardavano insieme arder nel camino le lettere delle eleganti ammiratrici.

Fra queste ce n’era però una che non era dell’ultima ora e che l’amava e l’ammirava senza ch’egli lo sapesse, fin da quando, sedicenne, pubblicava le sue prime poesie nella Familia del buon Vulcan. Dolce anima femminile piena di devozione e d’abbandono, Veronica Micle scriveva nel miglior rumeno di questo mondo, e le sue lettere Eminescu nè le leggeva a Creanga nè le buttava sul fuoco.

Queste lettere le abbiamo e ci fan sapere tante cose interessanti, fra cui come i due amanti si conobbero personalmente la prima volta a Vienna. [p. l modifica]

«Fin d’allora» — scrive Veronica Micle — «la tua figura conquistò la povera anima mia solitaria e triste.

Quando per la prima volta ti conobbi a Vienna, la tua modestia e l’arte con cui raccontavi certi fatti della vita dei grandi pensatori, fecero nascere in me quel sentimento di stima e di rispetto che ho sempre nutrito verso di te.

I sei mesi che son rimasta nella capitale dell’Austria mi parvero sei giorni.

Ti ricordi quando ti conobbi la prima volta dalla signora Löwenbach, la mia padrona di casa, e mi fosti presentato da Micle, che aveva fatto la tua conoscenza spinto da me?

Eri timido, e avevi sempre gli occhi chinati a terra; se non che le lodi ch’io ti feci per le belle poesie pubblicate nella Familia sembrarono lusingarti, ed allora mi rivolgesti uno sguardo che mi parve interrogativo. Divenimmo amici e discutemmo per ore intere di estetica e di poesia. Poi venisti a Iassy sempre modesto e brillante.

Incominciasti a scriver poesie sempre più geniali.

Quelle poesie io, nella follia della mia passione, le imparavo a memoria.

Quando ero sola, m’inebbriavo del profumo che emanava da esse.

Che tempi felici!36».

Ma, prima ancora di conoscerlo, Veronica Micle s’era innamorata di lui vedendo, dopo aver letto Venere e Madonna, un ritratto del poeta a casa di Maiorescu.

Compose allora questa poesiola che fu una delle prime della delicata poetessa che entrò più tardi anche lei a far parte della Junimea e divenne collaboratrice assidua delle Convorbiri Literare: [p. li modifica]

AL RITRATTO DI UN POETA.

Guardandoti nel volto ammaliatore,
di luce un raggio nel mio sen piombò;
ma crudele e maligno fu quel raggio
e un sospiro dal petto mi strappò.

Pur quel sospiro fu come un fantasma
e col vento svanì che allor soffiò,
ma non svanì dal triste petto mio
quel sentimento ch’esso vi destò.

Or mi domando: «Passion profonda
per un ritratto come nascer può?»
Poi che ignoravo allor gli occhi tuoi belli:
che tu eri poeta sapevo io sol!

Veronica Micle, sposata a diciassett’anni con un uomo di quaranta ch’era stato il suo professore di tedesco alla Scuola Centrale Femminile, fu la prima, come ella stessa confessa, a innamorarsi di Eminescu di un amore tutto ideale, fatto di letteratura, d’ammirazione e di tenerezza quasi materna, un po’ come quello della Bulgarelli per il Metastasio. Poi che teneva di quei tempi a Iassy un salotto frequentato fra gli altri dal Maiorescu, dal Burla, dal Pompiliu, dallo Slávici e da altri del cenacolo delle Convorbiri, invitò anche Eminescu, che da principio si mostrò refrattario, poi fini coll’accettare.

La prima lettera di Eminescu a Veronica riguarda appunto quest’invito:

«Stimata Signora,

Ieri l’ho vista nel suo palco alla rappresentazione di beneficenza nella sala della Società Drammatica.

Mi son ricordato allora dell’invito ricevuto di venire un giovedì, alle Sue serate letterarie.

Non merito le Sue lodi per la poesia Gli Epigoni37. [p. lii modifica]

È una fantasia ch’ebbi a Vienna in uno slancio di patriottismo.

Il passato mi ha sempre affascinato. Le cronache e le leggende popolari rappresentano per me in questo momento le sole fonti alle quali attingo le mie ispirazioni.

Credo poter leggere nel suo salotto una poesia, il cui argomento mi è stato suggerito dalla lettura di un antico cronista.

La prego di accettare i miei rispetti.

Michele Eminescu».


Di Veronica Micle dovremo riparlare. Crudelmente calunniata da una insopportabile bas bleu, il cui salotto letterario non riuscì mai a competer di splendore con quello della rivale e che non potè mai perdonarle l’ingegno, la cultura e soprattutto l’affascinante bellezza e la grazia che spirava da ogni suo gesto; questa gentile figura muliebre, malgrado la coraggiosa e cavalleresca difesa di Octav Minar, giace ancora del colpo che invidia le diede. A noi basterà per ora accennare che a un certo punto (in Rumania esiste il divorzio) Eminescu pensò di sposarla; ma gli amici della Junimea e Creanga stesso tanto fecero che riuscirono a dissuaderlo.

— Lascia andare! — gli diceva Creanga che era sempre in vena di motteggiare. — Se tu l’ami, come dici, spiritualmente e idealmente, puoi seguitarla ad amare anche senza sposarla. Se no, aspetta almeno che il Metropolita mi abbia ridato la messa, e vi sposerò io nella mia parrocchia! —

Eminescu sorrideva, poi usciva coll’amico per la solita passeggiata nei dintorni di Iassy. Pieno di scrupoli romantici e sentendo bene di non aver nessuna posizione assicurata, Eminescu finì per rinunziare al suo progetto, e forse fece male. Ma era un carattere perennemente indeciso e forse presentiva anche lui, come gli amici, che era per succedergli una disgrazia. [p. liii modifica]

E la disgrazia venne. Da questo momento (1876) incominciano purtroppo le dolenti note che l’accompagneranno, quasi una marcia funebre di sempre più profonda tristezza, fino alla morte.

Caduto il gabinetto Maiorescu e venuti al potere i liberali, si trovò una scusa qualsiasi per allontanare Eminescu dal suo posto d’ispettore scolastico, e si giunse persino a intentare un processo contro il Maiorescu, accusandolo, tra l’altre, d’essersi servito del danaro dello Stato per far dei prestiti graziosi a suoi amici privati, quali l’Eminescu e lo Slávici.

Il colpo, per quanto non del tutto inatteso dati i costumi politici dell’epoca, piombò il poeta nella più cupa delle disperazioni.

«Ho letto», — scrive a Veronica Micle, — «la Sua lettera piena di nobile compassione per la mia disgrazia. La canaglia liberale ha distrutto in un attimo tutte le idee che mi ero fatte sulla vita! Da ora in poi, rimasto senza una posizione materiale assicurata, portando nell’anima il colpo morale come una ferita che non potrà mai guarire, sarò obbligato a riprendere il bordone dell’esilio, senza più meta, senza più ideale. Mi creda, gentile Signora; da oggi in poi io sono un uomo perduto per la società. Una sola grande felicità potrebbe ancora illuminarmi l’anima, e cioè se potessi riuscire a nasconder quest’ingiustizia che mi si è fatta. Non voglio che i posteri sappiano che io ho sofferto la fame per colpa de’ miei contemporanei. Son troppo fiero nella mia povertà. Li ho disprezzati e questo è anche troppo per uno spirito che non ha mai voluto macchiarsi del fango dell’epoca presente»38.

Dopo esser rimasto qualche tempo redattore al [p. liv modifica] Curierul din Iași, organo del partito conservatore moldavo, nell’autunno del 1877, dopo un conflitto avuto col direttore che voleva obbligarlo a far le lodi di persona che Eminescu aveva tutte le ragioni di non ritenere un galantuomo, il nostro poeta parte per Bucarest, dove, grazie alle raccomandazioni dei suoi amici della Junimea, entra a far parte della redazione del Timpul, giornale conservatore di Bucarest, cui collaborava a quell’epoca anche Carageale, il gran novelliere e commediografo rumeno.

Come Eminescu vivesse a quel tempo a Bucarest e qual fosse la redazione del Timpul ce lo fa sapere lo Stefanelli nelle sue Amintiri despre Eminescu.

«Ci recammo39 all’Hotel Dacia, dove si trovava allora la redazione del Timpul. Nella prima stanza vedemmo un signore (Carageale), a cavalcioni di una specie di cavallo di legno che gli serviva da sedia, che scriveva su di una tavola molto alta, simile a quelle usate dagl’ingegneri, e che ci disse che Eminescu lavorava nella stanza seguente. Entrammo e [p. lv modifica] trovammo Eminescu occupato a scrivere a una tavola molto lunga tutta piena di giornali. Era in maniche di camicia, aveva buttato lontano in un angolo del tavolino la cravatta e il colletto ed aveva davanti un piatto colmo di frutta, che mangiava mentre scriveva il suo articolo.

Fu assai lieto di vederci, tanto più che eran passati molti anni dall’ultima volta che c’eravamo incontrati, e cioè dal 1875, quando egli era venuto a Cernauți a protestare a suo modo (introducendo e diffondendo clandestinamente un opuscolo patriottico sul Ratto della Bucovina) contro le feste per l’inaugurazione dell’Università tedesca di Cernăuți fatte coincidere a bella posta coll’odioso anniversario dell’indegna usurpazione.

— Come te la passi, amico? — gli domandammo.

— Miseria, ragazzi! — ci rispose — sempre miseria! Eccomi ridotto giornalista, il che val quanto dire pezzente. Guardate qui...! — e, con un gesto della mano, c’indicò, sorridendo, il piatto di frutta che gli era davanti.

Non arrivammo a capire se parlasse sul serio o avesse intenzione di scherzare, visto che non cessò mai di sorridere dicendo quelle tristi parole. Eminescu sorrideva sempre come a’ bei tempi, e noi, che credevamo di conoscere quel suo sorriso, scoppiammo a ridere, vedendolo in quella situazione tragicomica. Non era punto cambiato da quando l’avevo riveduto l’ultima volta. Solo il modo di vestire mi parve anche più trascurato del solito. Portava i capelli lunghi rigettati all’indietro e si morsicchiava i baffi, secondo l’antica sua abitudine. Gli dicemmo lo scopo della nostra venuta a Bucarest e che altri nove ex-colleghi all’Università di Vienna sarebbero arrivati fra poco a festeggiare il fausto anniversario della laurea:

— A meraviglia, ragazzi! a meraviglia!... ciò vuol dire che avete.... — e, secondo l’antica abitudine di [p. lvi modifica] Vienna, ci mostrò l’indice. Noi che conoscevamo quel gesto che voleva dire una lira e cioè danaro da spendere, rispondemmo ridendo:

— Certo che ce l’abbiamo!

— Alla buonora, dunque! Vedrete come ci divertiremo! Vengo subito con voi, pianto in asso il mio articolo e lo lascio a terminare al fiero cavallerizzo della stanza accanto! —

Eminescu cominciò a vestirsi. Nell’uscire disse allegramente all’uomo che scriveva a cavallo del cavalletto di legno:

— Addio, collega! Ci rivedremo a Filippi! — e, senza presentarci, uscì con noi dalla redazione del Tempo.

Per istrada ci disse che il fiero cavallerizzo era Caragiale. Noi lo rimproverammo di non averci procurato la conoscenza di un così valoroso letterato, ma egli ci rispose che non aveva voluto perder tempo, perchè aveva appetito e non vedeva l’ora di restar solo con noi.

Pranzammo in un restaurant fuori di porta, intitolato All’Idea, dove la polenta si chiamava la specialità nazionale, il coltello Bismark e il caffè la chiacchiera col turbante40».

Dopo pranzo, lo Stefanelli rimase qualche momento solo con Eminescu e ne approfittò per domandargli sul serio come andassero le sue cose.

Eminescu sorrise e gli rispose con due versi tedeschi:

Arm am Beutel, Krank am Herzen,
schlepp’ich meine langen Tage;

e cioè: «Col portafoglio vuoto e il cuore malato, trascino i miei lunghi giorni».

[p. lvii modifica]

Per quanto quei versi fossero pronunziati sorridendo e con tono scherzoso, lo Stefanelli capì subito che purtroppo corrispondevano alla realtà, e ne fu molto afflitto.

Fu questa l’ultima volta che i due amici si rividero.

Bucarest fu fatale ad Eminescu. Inclinato per natura alla vita di bohème, circondato da amici che facevan di notte giorno e di giorno notte, come si dice in rumeno, oppresso dal lavoro facchinesco che compiva al Tempo; la sua salute non tardò a risentirsene. Un’allusione piena di tenera preoccupazione a questa sua vita disordinata la troviamo in una lettera di Veronica Micle del 18 febbraio 1882:

«Ma, scusa, che razza di vita disordinata è quella che tu meni? Come? Alle cinque del mattino tu non sei andato ancora a letto? E come puoi pretendere di parlare con me ad un’ora in cui io, di solito, dormo il sonno dei giusti? Sa lei, signor mio, che simili eccessi la tua suocera — come tu mi chiami — non può assolutamente permetterteli? E sai che se il suo Micio41 non sarà saggio, anche la sua Micia farà delle sciocchezze, e non si sentirà più legata dalla promessa di non andar più a teatro?»42.

Ed il Vlahutza:

«Coscienzioso e amante del lavoro, Eminescu sopportava tutto lui il peso del giornale. Quante notti passate a tavolino colla penna in mano! E il giorno dopo, pallido, sparuto, coi capelli in disordine, colle dita tutte sudice d’inchiostro, lo vedevi entrare in tipografia con un gran fascio di manoscritti, e, ancora lì, dopo aver lavorato alla paginazione del giornale, redigere le informazioni, tagliare, aggiustare, aggiungere secondo le esigenze dello spazio, correggere le bozze, e finalmente la sera, quando il giornale era in [p. lviii modifica] macchina e la ruota cominciava a girare vertiginosamente, si ricordava d’essere stanco morto e di non aver mangiato dalla sera prima»43.

Del resto il poeta stesso in una lettera a Veronica Micle descrive con accenti strazianti la vita di facchinaggio intellettuale che menava in questo torno di tempo.

«Tu devi figurarti» — le scrive — «che io presento l’aspetto di un uomo mortalmente stanco, visto e considerato che son solo a codesto maledetto mestiere di negoziante di principii, ed oltre a ciò malato al punto che avrei bisogno di sei mesi almeno di riposo assoluto per rimettermi un poco in forze. Invece sono ormai sei anni che lavoro come un cane, e, quel che è peggio, senza alcun utile nè materiale nè morale; da sei anni mi dibatto in un circolo vizioso, dal quale non mi riesce di liberarmi; da sei anni non ho più un minuto di pace, nè di riposo, nè di serenità che io possa dedicare a qualcosa di meglio che la politica. Sento che non è possibile andar più avanti così. Avrei bisogno di un lungo riposo, e, tuttavia, come gli operai delle fabbriche, questo riposo non posso concedermelo. Sono come schiacciato sotto il peso sempre più grave del mio lavoro; non ritrovo più me stesso e non mi riconosco più. Aspetto i telegrammi Havas per rimettermi a scrivere, a scrivere ancora, a scrivere per mestiere. Oh mi scrivano una buona volta il nome sulla tomba, e che sia finita per sempre»44.

Il 28 giugno del 1883 Eminescu impazziva.

Alle cinque di mattina di quel giorno il Maiorescu riceveva dalla signora Catinca Slávici, presso cui Eminescu abitava, il seguente biglietto: [p. lix modifica]

«Il sig. Eminescu è impazzito. La prego di voler far di tutto per liberarmene, giacchè è pericoloso».

Eminescu accumulava l’una sull’altra parole senza senso, sforzandosi di aggrupparle in esametri e pentametri e di farle rimare. Non riconosceva gli amici corsi a vederlo. Calmatosi alquanto e domandato se fosse in collera con qualcuno, rispose di no. A chi per consolarlo lo assicurava che presto l’accesso gli sarebbe passato e sarebbe guarito, rispondeva con profonda tristezza che quella era una malattia dalla quale sentiva che non sarebbe guarito mai; che aveva dimenticato tutte le lingue straniere che conosceva e non sapeva più nulla di nulla. Dopo di che, ricadde nel suo stato penoso d’incoscienza e ricominciò a recitar pentametri ed esametri senza senso.

Il Maiorescu gli venne in soccorso colla sua solita generosità e lo fece internare a Döbling (Austria) nella casa di salute del dott. Obersteiner, dove si rimise presto, ma non fu più l’Eminescu di prima.

Dopo un viaggio di piacere in Italia, tornò in patria e fu nominato sottobibliotecario alla Biblioteca Universitaria di Iassy. Ma il male gli serpeggiava sempre nelle vene e nel 1886 gli amici furono costretti a internarlo nell’Ospizio del Monastero di Neamtz. Ne uscì poco dopo, ma ridotto un’ombra, senza più volontà nè iniziativa. Fisicamente, coi baffi e la barba rasi, pareva ringiovanito. Rideva, era allegro, fumava con molto gusto un mozzicone di sigaro e si mostrava gentile con tutti e sensibile alle dimostrazioni d’affetto, cui a Botosciani, dove la sorella Enrichetta lo aveva accolto, tutti lo facevano segno. Ma, moralmente, era ormai l’ombra di sè stesso. I. Păun che lo vide in quei giorni racconta di averlo visto errare in luoghi fuori di mano, perdersi tra i viali del giardino Vârnav, fermarsi di botto ad ascoltare i canti degli uccelli, restar ore intere come incantato a guardare un maggiolino, poi chinarsi a raccoglierlo, metterlo sulla palma della mano e starlo a [p. lx modifica] guardare finchè non prendeva il volo, mentre dall’alto dei rami i fiori bianchi del ciliegio, i fiori che egli aveva tanto amati, cadevan mollemente su di lui, quasi lagrime della Primavera.

Tornato a Bucarest nel maggio del 1889, Eminescu impazzì per la terza volta e fu internato nella casa di salute del dott. Sutzu. Commoventissime son le parole con cui il poeta Vlahutza descrive la sua ultima visita ad Eminescu in quel luogo di dolore:

«Lo trovai che declamava dei versi assolutamente privi d’ogni senso45, e, quando, stanco di quell’onda sonora e vana, lasciava cadere a terra lo sguardo e taceva, il suo volto rivestiva quell’aspetto di tristezza vaga, ombra di quel doloroso tramonto della sua coscienza, che gli dava in quel momento l’apparenza di un dio debellato, privato della sua forza e umiliato. Io lo guardavo; mi si spezzava il cuore e non sapevo che dirgli. Dopo qualche minuto di silenzio, giunse le mani, e, alzando gli occhi al cielo, sospirò profondamente e ripetè più volte con un accento straziante: “Oh, Dio! Dio!” C’era in quel sospiro e in quelle parole la sintesi di tutta la sua vita, e forse, in quel momento, un ultimo barlume di coscienza illuminò tutta la sua lunga catena di sofferenze, dall’infanzia fino a quel dolorosissimo istante. Mi vennero le lagrime agli occhi e m’allontanai perchè non se n’accorgesse»46. [p. lxi modifica]

Il 15 giugno 1889, un accidente che anche noi saremmo tentati di dir, con lo Zaharia, fortunato, fece sì che Eminescu finisse finalmente di soffrire.

Un altro pazzo, un tal Petrea Poenariu, gli fracassò il cranio con una pietra.


Così moriva Eminescu, il più grande poeta rumeno, in un’epoca, in cui, malgrado il generale compianto che la sua morte suscitò, la sua fama era ben lungi dall’esser, non che europea, neppur nazionale, e il suo valore era ancor contestato dagli scettici e dagli invidiosi. Solo più tardi la giovane generazione, che, all’epoca della morte del poeta, era ancora sui banchi della scuola elementare, si riconobbe in lui co’ suoi dolorosi dissidii, colle sue generose aspirazioni nazionali, e l’apoteosi cominciò. Allora come allora, pochi, e sia pur scelti, lo accompagnarono al cimitero, dove oggi riposa all’ombra di un tiglio, sotto una stele marmorea nobile e discreta come fu tutta la sua vita, e sulla stele sono scolpiti i versi:

Lieve passi nel vento
  l’Onniscïente,47
e il sacro tiglio versi
  fiori su me.

Poi che non sarò più ramingo
  da quel giorno in poi,
e pietosi mi seppelliranno
  i miei ricordi.

Anche oggi che tutti gli riconoscono, insieme coll’innegabile sua genialità, il merito di una musicalità non più raggiunta in seguito da nessun altro poeta rumeno e quello di aver, per così dire, creata dal nulla, o quasi, la lingua poetica rumena; si direbbe che i critici abbiano paura di abbordarne l’opera. Nè il [p. lxii modifica] Maiorescu, nè il Dobrogeanu-Gherea (per parlar solo di quelli che ne han trattato di proposito) ci hanno dato alcuna pagina conclusiva sull’arte di questo indubbiamente grande poeta; ma che, appunto perchè grande, non si presta ad esser costretto in nessuna delle comode caselle di certa critica. Eminescu ha bisogno di un’anima di critico-poeta che ne riecheggi e ne ricrei la poesia infinitamente dolce e suggestiva, delicata, aerea, il cui fascino consiste più nei sentimenti che suggerisce il verso incredibilmente armonioso e musicale, che in quello che realmente dice. Solo un De Sanctis o un Renato Serra (più forse un Renato Serra che un De Sanctis, essendo quistione di strappargli il segreto tecnico di quella sua musicalità così suggestiva!) potrebbero provarcisi. Si è troppo parlato dell’Eminescu filosofo, s’è troppo trascurato l’Eminescu puro artista e puro poeta. Si parla troppo dell’Astro e delle Epistole, troppo poco di quei puri capolavori che sono: Fiore azzurro, Desiderio, Il Lago, Solitudine, Nel mondo degli uccelli, Frammento, Uccellini assonnati, E se i rami battono..., Oltre la vetta, Diana, Così fresca..., Lascia il tuo vecchio mondo, La sera sulla collina, Per la medesima stradetta, Oh, restai, Fremito di selva, Ritorno, Nel più fitto del bosco, Perchè sempre batte il vento, ecc., dove Eminescu è più Eminescu che altrove, dove l’elemento allotrio della filosofia, del patriottismo, della storia (e sia pure fantasticamente rivissuta!) non entra a turbare il flusso melodioso dell’ispirazione lirica pura, la serenità e la freschezza del paesaggio rumeno, per cui a me piace definir Eminescu il poeta della selva e della polla e che trova il suo riscontro solo nella pittura del Grigorescu. La quale è anch’essa difficile a capire da chi in quei toni stanchi, aerei, discreti, in quel paesaggio dolcemente melanconico, visto come attraverso una nebbia o un velo di lagrime, non sappia veder riflesso quel lampo dolce di malinconia discreta, di rassegnazione e d’abbandono confidente, che uno [p. lxiii modifica] straniero vede subito negli occhi di tante donne rumene e di tanti vecchi contadini, e trova il suo riscontro più significativo nelle note tristi, lente e rassegnate della dóina popolare, il dolce canto d’amore, di lontananza e di morte, che nessuno può più dimenticare quando l’ha udito una volta di notte in un ovile di pastori sulle vette boscose che sembra tocchino il cielo, mentre in alto scintillano le stelle e le fonti mormorano soavemente fra lo stormir degli abeti.

Oh recatevi sui Carpazi rumeni, restate qualche giorno soli a colloquio colle grandi ispiratrici di Eminescu: la selva verde e solenne e la sorgente cristallina, ascoltate il suono del cavalu e l’argentino tinnir dei campani delle greggi, studiate la storia piena di sofferenze inaudite e di eroismi leggendarii di questo popolo latino alle porte dell’oriente, imparate a leggere nella musica della dóina, nella pittura di Grigorescu, nei colori discreti e armoniosi dei tappeti e dei ricami popolari e soprattutto nel portamento serenamente tristo e rassegnato, ma nobile e direi quasi signorile, di qualche vecchio contadino rumeno, la tenacia serena, confidente e modesta di questo popolo, che, aggrappandosi alla terra dei suoi avi, ha potuto resistere al torrente di tante invasioni barbariche senza lasciarsene rapire e staccare; e capirete anche là poesia di Eminescu, che sembra dire anch’essa, come il proverbio popolare rumeno, che l’acqua passa, ma le pietre restano!

Bucarest, Natale ortodosso del 1922.
Balme (Valli di Lanzo), estate 1927.



  1. «Oggi 20 decembre dell’anno 1849, alle ore quattro e quindici minuti europei, è nato il nostro figliuolo Michele». Così annotava sul foglio di guardia di un antico salterio la nascita dell’immortale figliuolo il căminar Gheorghe Eminovici suo padre, e nessun registro ufficiale può esser considerato miglior documento di questa notiziola affettuosa, in cui si tien conto persin dei minuti, scritta sui fogli di un vecchio salterio. Ritenere che il poeta sia nato a Botoșani il 15 gennaio del 1860 come fanno il Maiorescu e molti altri contro l’attestazione del poeta stesso e solo perchè la nascita si trova registrata più tardi, equivale a non avere alcuna idea della critica storica e del valore che hanno i documenti.
  2. Boiaro incaricato della riscossione dell’imposta sulle bevande alcooliche, che, con termine derivato dallo slavo camenĭ, si diceva in Moldavia camina.
  3. Cfr. Eminescu comemorativ. Album artistic-literar întocmit de Octav Minar. Iași, 1909, passim. Non mi è possibile citar la pagina, perchè, per una curiosa particolarità, quest’album è privo di qualsiasi numerazione.
  4. Nel citato album artistico-letterario: Eminescu comemorativ, prezioso documento, e non soltanto iconografico, della venerazione affettuosa di una intera generazione verso la memoria del più grande poeta rumeno, dal quale le artificiose e iridescenti nebbie del simbolismo francese hanno allontanato i giovani poeti, prima che avessero il tempo di far tesoro della gran lezione d’arte che la sua opera poetica racchiude. Non sarò io a negare qual benefico influsso il movimento simbolista abbia esercitato, per ciò che riguarda l’arricchimento e il raffinamento della lingua, e, in genere, della forma poetica; ma non per questo è stato meno una deviazione intempestiva dalla tradizione nazionale. La poesia di Eminescu è ancora ricca di germi e di fermenti importantissimi, che torneranno ad esercitare una considerevole azione sulla letteratura rumena non appena sarà passata la moda del versilibrismo che ora imperversa. Ed allora si apprezzeranno nel loro giusto valore anche la poesia del Vlahuta e quella del Cerna, svoltesi e l’una e l’altra nel solco della poesia di Eminescu. Tornando al nostro album, fa piacere il rilevare con quanto amore e quanto affettuosa cura il suo compilatore Octav Minar (un modesto e valoroso pubblicista) abbia raccolto in esso ogni sorta di notizie e di testimonianze intorno al suo poeta prediletto, di cui ha anche per la prima volta pubblicato parte dell’epistolario (le lettere d’amore a Veronica Micle) col titolo: Come ha amato Eminescu. Bucarest, Libraria Nouă, s. d. ma 1912. Sarebbe tempo che qualcuno raccogliesse in un volume anche le altre lettere di Eminescu che altrimenti finiranno coll’andare irremissibilmente perdute.
  5. Cfr. Viaggio ai regni dei sogni mattinali, I misteri della notte, Principe-Azzurro dei Tigli, ecc., e soprattutto Călin.
  6. Boiaro addetto alla mensa del Voda, dal quale dipendevano le cucine, gli orti e le piscine della Corte; qualcosa insomma di simile allo scalco delle antiche corti medievali, e al gentiluomo di bocca di quelle moderne.
  7. Sappiamo infatti che suo padre «possedeva una così grande abilità nel raccontare, che giorno e notte non ti saresti stancato dall’ascoltarlo». Cfr. Corneliu Botez, Viața poetului Mihail Eminescu in Omagiu lui Eminescu. București, 1909, pp. 33-35 e G. Bogdan-Duica, Eminescu, Eliade, Gutzkow in Convorbiri Literare, 1904.
  8. Non vorrei esser frainteso. Eminescu è un poeta rumeno non solo, ma rappresentativamente rumeno. La poesia popolare rumena, le fantastiche leggende, le antiche cronache rumene (di cui egli era assiduo lettore) trasfondon ne’ suoi versi una così profonda intelligenza della tradizione rumena, una così, direi, stanca delicatezza di toni, una così dolce e poetica malinconia; che trovan solo il loro riscontro nelle note appassionate e tristi della «doina» e nei colori discreti, armoniosi dei ricami e dei tappeti, che si ammirano nelle case dei contadini rumeni, e sono l’espressione più pura della razza. L’elemento non rumeno di cui parlo è assolutamente eccezionale ed accessorio: tedesco qua e là in seguito alle sue letture di poeti appartenenti a questa letteratura, slavo per via di ricordi di canti e di leggende uditi nella sua fanciullezza. Ad ogni modo rappresentano quanto c’è di men bello e di meno spontaneo nella poesia di Eminescu, e l’averli notati non implica punto da parte nostra un giudizio di poca rumenità della poesia del nostro autore. Chi dicesse p. es. che nella poesia del Foscolo c’è un elemento greco (antico e moderno) e in quella del Fogazzaro e del Graf un elemento nordico, non penserebbe neppur da lontano, ciò dicendo, a negar la profonda italianità della poesia e del Foscolo e del Fogazzaro e del Graf; ma solo a mettere in rilievo un possibile influsso di quelle letterature sull’opera di questi poeti. In questo senso dunque van prese le mie parole, chè, se dovessimo fondarci sull’origine e sul cognome, io pel primo, col mio sonoro nome e cognome spagnuolo, dovrei considerarmi conterraneo del Cid e di Cervantes, il che non mi dispiacerebbe punto; ma... non è!
  9. N. Zaharia, Mihail Eminescu, Vieața și opera sa. București, Ionescu, 1912, pp. 51 sgg. Malgrado ciò, il volume dello Zaharia rimane pur sempre l’unico tentativo di monografia completa sul grande poeta rumeno, ed è una fonte preziosa d’informazione anche per l’accurata bibliografia di cui l’ha corredato. È proprio un peccato che le teorie lombrosiane lo abbiano troppo spesso tratto fuori di strada! Sappiamo che ne prepara una nuova edizione notevolmente accresciuta e migliorata e colla bibliografia messa al corrente degli ultimi studi. [L’ha poi pubblicata (București, Socec, 1923) e ad essa — vedi la Nota Bibliografica — ci riferiamo. Ma, ahimè, il mite e caro sottobibliotecario dell’Accademia Rumena che tanto bene mi voleva e tanto m’aiutava ne’ miei studii, non è più! Alla cara memoria dell’amico scomparso, mando qui un affettuoso e commosso saluto!].
  10. 1775-1918
  11. Nel 1875 Eminescu visitò in compagnia di un amico la tomba di Aron Pumnul e poi la casa del suo indimenticabile maestro. Davanti a quella casa che gli ricordava tante cose della sua giovinezza, il poeta rimase qualche tempo pensoso, poi disse: — «Vedi? in questa casetta ho abitato anch’io. Qui era la biblioteca degli studenti rumeni, di cui sono stato anch’io bibliotecario. — Dopo aver proferito queste parole, non parlò più, e, sempre pensoso, s’avviò verso la sua abitazione, dove si mise a far le valige per partire la sera stessa per Bucarest». Cfr. Adĕvărul del 23 giugno 1909 e Zaharia, op. cit., p. 25.
  12. I. Barițiu, Amintiri despre Eminescu in Sămănătorul, 1903.
  13. Ai tempi di Eminescu la testata rappresenta, a ver dire, una scena un po’ diversa. Attorno a un tavolino tondo siedono il babbo, la mamma, una bambinetta e un ragazzetto più grande. Il babbo legge il giornale, la mamma e la bimbetta ricamano, il ragazzetto legge un libro. A sinistra la figliuola più grande suona al piano.... qualcosa, ma possiamo giurare che quel.... qualcosa debba essere di Liszt, giacchè dalla medesima rivista sappiamo che proprio in quei giorni aveva dato dei concerti in Transilvania. A destra un giovanotto troppo serio e pallido per l’età sua, dipinge una statua di donna con una corona in mano, che copia da un modello in gesso, o in marmo che sorge li accanto. Nella rivista si pubblicavano poesie ultraromantiche del direttore, intitolate: Una sera in giardino, Canti d’amore, Corona di violette, ecc., novelle che finiscono: Piuttosto che disonorata, meglio morta!, biografie di uomini illustri, relazioni di viaggio, articoli morali Sulla pietà e la modestia o di varietà sulle Donne nel medioevo o sulla Schiavitù in Turchia, e poi, fra modelli di ricamo, sciarade, scacchi, ecc., la Posta della Redazione, cui sovrasta l’immancabile colomba coll’immancabile lettera suggellata nel becco! Una buona, insomma, provinciale rivista romantica che sarebbe piaciuta assai a Guido Gozzano, se avesse avuto la fortuna che ho avuta io di poterla sfogliare e centellinare. È vergogna confessare, che, sfogliandola, mi sono lasciato sfuggire anch’io un sospiro di rimpianto? Non credo. Ad ogni modo, che cara, brava e onesta gente erano quei nostri babbi romantici!
  14. I. Vulcan, Mihail Eminescu in Familia; 13 gennaio 1885, pp. 14 sgg.
  15. N. Densușianu, Scrisoare in Anuarul al III al Societății pentru crearea unui fond de teatru român pe anii 1899-1900. Brașov, 1900, p. 14.,
  16. St. Cacoveanu Eminescu în Blaj in Luceafărul, 1 febbraio 1904, pp. 71-72.
  17. Secondo altri dopo il 5 marzo 1865 e non in Transilvania, ma in Bucovina, di nuovo a Cernăuți, dove infatti si trovava il 12 gennaio 1866 alla morte di Aron Pumnul. Probabilmente la morte dell’unico suo protettore all’i. r. ginnasio di Cernăuți dovette finirlo di scoraggiare, sicchè decise di seguir la Tardini nelle sue peregrinazioni per la Transilvania e i principati rumeni, colla speranza di occupare un posto d’attore, o magari di suggeritore, nella sua compagnia.
  18. Cfr. Th. V. Stefanelli, Amintiri despre Eminescu, București, Sfetea, 1914, p. 44: «Dopo la morte di Aron Pumnul, Eminescu non restò a lungo a Cernăuți e abbandonò la Bucovina nella primavera del 1866. Nessuno dei colleghi seppe mai quando fosse partito e dove si fosse recato, ma più tardi corse voce tra gli studenti che fosse andato in Transilvania.
  19. Iorgu Carageale? Così pare da quanto concordemente dicono tutti gli altri. Perchè dunque I. L. Caragiale non dice chiaramente che quell’attore era suo fratello Iorgu? Mistero! Pare impossibile che tutto concorra a render poco chiara la biografia di Eminescu durante questi tre enigmatici anni!
  20. D. Teleor, Eminescu intim. București, «Lumen», 1910.
  21. Dunque l’attore di cui parla I. L. Carageale nel brano precedentemente citato era proprio suo fratello Iorgu!
  22. Inesatto. Abbiam visto che Eminescu aveva cominciato a pubblicar le sue poesie fin dal 1866.
  23. Op. cit., pp. 45-47.
  24. Cfr. soprattutto: Ad un’artista e L’amore di un marmo.
  25. Cfr. Memoriul redatto su testimonianza del cap. Eminescu in Zaharia, op. cit., p. 24.
  26. Stefanelli, op. cit., p. 50.
  27. Stefanelli, op. cit., p. 56.
  28. Oggi membro dell’Accademia Rumena ed autore di certi interessanti Ricordi della «Junimea», il famoso cenacolo letterario, orientato verso la letteratura, e, in genere la cultura tedesca, il cui organo erano le Convorbiri Literare (Conversazioni Letterarie), ed anima il Maiorescu poi professore di storia della filosofia all’Università di Bucarest, celebre critico ed uomo di Stato, morto durante la guerra. Sulla «Junimea» possediamo anche i Ricordi di Gh. Panu, molto più coloriti e vivaci, ma qua e là troppo personali. Così le due opere si completano a vicenda e rendono possibile una storia di quella corrente di cultura, levata al cielo dagli uni, acerbamente criticata dagli altri, ma che indubbiamente introdusse una certa serietà nella critica letteraria, se pure, a conti fatti, fu un tentativo fallito di acclimatare in Rumania la cultura tedesca, interrompendo lo sviluppo naturale di quella nazionale e contribuendo, per reazione, a far si che si desse anima e corpo in braccio a quella francese, dopo averla violentemente allontanata dalla cultura classica, che ancor giace del colpo che il Maiorescu le diede.
  29. Cfr. I. Scurtu, Mihail Eminescu’s Leben und Prosaschriften. Inaugural-Dissertation. Leipzig, 1905, p. 27 e Zaharia, op. cit., pag. 30.
  30. Un gruppetto di frondeurs capitanato da Nicu Gane, lo squisito novelliere rumeno e traduttore dell’Inferno dantesco, che non potevano mandar giù la nuova tendenza filosofica e meno ancora la pretesa del Maiorescu di trovare un profondo senso filosofico anche a quegli scritti che non ne avevano uno al mondo, come per esempio le poesie del Bodnarescu.
  31. Soprannome di Miron Pompiliu.
  32. Altro soprannome di un professore di matematica chiamato Melik.
  33. Il celebre storico rumeno, autore di studi molto interessanti sulla teoria della storia, membro dell’Istituto di Francia, morto da poco, carico d’anni e di meritati onori.
  34. George Panu, Eminescu și Creanga in Eminescu. Album artistic-literar. Iași, Tip. «Dacia», 1909, passim.
  35. Un servitore che faceva disperare il povero Creanga. Ho cercato di ridare alla meglio i bisticci.
  36. Octav Minar, Cum a iubit Eminescu, cit., p. 36.
  37. Non compresa da noi fra quelle, che abbiamo tradotte, essendo in realtà una delle più deboli e confuse di Eminescu.
  38. Octav Minar, op. cit., pp. 52-53- La lettera è dell’8 giugno 1876.
  39. Lo Stefanelli, Eminescu ed altri ex-colleghi all’Università di Vienna avevan giurato di passare ogni cinque anni una serata insieme a Bucarest. Il primo tentativo riuscì però abbastanza sfortunato. Uno era morto, altri si scusarono di non poter venire per gravi ragioni familiari o professionali. Gli altri, dopo il convegno di cui parla qui lo Stefanelli, scoraggiati, si slegarono dal giuramento prestato e le simpatiche riunioni non si tennero più. L’uso però dura ancora in Rumania e di dieci in dieci anni i compagni di corso si riuniscono anche ora a festeggiar l’anniversario della licenza liceale, invitando al fraterno banchetto i loro professori e rivivendo nel ricordo gli anni felici della loro vita di studenti. A qualcuno di questi banchetti ho preso parte anch’io e mi è sempre parso che la bella usanza potrebbe attecchire anche in Italia, dove in genere la vita studentesca è poco sviluppata, e, una volta usciti dal liceo, spesso non ci si rivede più o solo di sfuggita, il che è proprio un peccato quando si pensi che le amicizie più intime e più sincere son proprio quelle che si contraggono sui banchi della scuola.
  40. Il turbante allude al caimác e cioè a quella specie di spuma che fa il caffè turco quando è preparato da mani sapienti, come erano quelle di Eminescu fin dai tempi di Vienna.
  41. Ho reso alla meglio il bisticcio fra Mițu, diminutivo di Mihai e Mâța che in rumeno vuol dir gatta.
  42. Octav Minar, op. cit., p. 144.
  43. A. Vlahutza, Din goana vieții, vol. III, pp. 79-80.
  44. Da un frammento di lettera a Veronica Micle, citato da Edoardo Gruber nel suo discorso per lo scoprimento del monumento innalzato ad Eminescu a Botoșiani.
  45. Non tutti. Fra quelli che il Vlahutza ritenne a memoria ce ne son quattro bellissimi:

    Tanto fuoco, tanto oro,
    tante cose sante,
    sull’oscurità della vita,
    Padre, hai sparso!

  46. Vlahutza, Curentul Eminescu și o poezie nouă. București, Tip. Luptă, 1892, pp. 4-5.
  47. La Morte.