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Introduzione liii


E la disgrazia venne. Da questo momento (1876) incominciano purtroppo le dolenti note che l’accompagneranno, quasi una marcia funebre di sempre più profonda tristezza, fino alla morte.

Caduto il gabinetto Maiorescu e venuti al potere i liberali, si trovò una scusa qualsiasi per allontanare Eminescu dal suo posto d’ispettore scolastico, e si giunse persino a intentare un processo contro il Maiorescu, accusandolo, tra l’altre, d’essersi servito del danaro dello Stato per far dei prestiti graziosi a suoi amici privati, quali l’Eminescu e lo Slávici.

Il colpo, per quanto non del tutto inatteso dati i costumi politici dell’epoca, piombò il poeta nella più cupa delle disperazioni.

«Ho letto», — scrive a Veronica Micle, — «la Sua lettera piena di nobile compassione per la mia disgrazia. La canaglia liberale ha distrutto in un attimo tutte le idee che mi ero fatte sulla vita! Da ora in poi, rimasto senza una posizione materiale assicurata, portando nell’anima il colpo morale come una ferita che non potrà mai guarire, sarò obbligato a riprendere il bordone dell’esilio, senza più meta, senza più ideale. Mi creda, gentile Signora; da oggi in poi io sono un uomo perduto per la società. Una sola grande felicità potrebbe ancora illuminarmi l’anima, e cioè se potessi riuscire a nasconder quest’ingiustizia che mi si è fatta. Non voglio che i posteri sappiano che io ho sofferto la fame per colpa de’ miei contemporanei. Son troppo fiero nella mia povertà. Li ho disprezzati e questo è anche troppo per uno spirito che non ha mai voluto macchiarsi del fango dell’epoca presente»1.

Dopo esser rimasto qualche tempo redattore al Cu-



  1. Octav Minar, op. cit., pp. 52-53- La lettera è dell’8 giugno 1876.