Patria Esercito Re/Parte prima/1859

1859

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Parte prima - Vecchi fasti Parte prima - I Cavalleggeri di Monferrato
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1859


I.


Resurrecturis. — I primi scontri. — I Cavalleggeri Saluzzo. — Il sottotenente Fabio Longhi — I Cavalleggeri di Monferrato. — Il volontario Majnoni. — Il sergente Marmont. — Giulio Litta. — La burocrazia. — Il generale Valfrè. — Napoleone I.


L’anima italiana che freme sotto le catene della servitù di dieci anni, si prepara alla riscossa....

 
Fabio Longhi.

Un primo raggio di conforto giunge dalle rive della Dora. È la campagna di Crimea, il grande avvenimento che precedette e preluse al 1859, voluta dal genio di Cavour; dove i soldati piemontesi, per disciplina e valore, formarono la meraviglia e l’invidia dei loro alleati.

E, finalmente, l’Angelo della Resurrezione italica sfodera la sua spada radiosa; le trombe della riscossa fanno sussultare sotto la terra ove giacciono, o dentro gli Ossari ove sono pietosamente raccolti, i resti dei morti eroi del 48 e 49!

Eccoci alla campagna del 1859.

Questa si apre con due primi scontri fra la cavalleria italiana e quella austriaca. Uno il 29 aprile, per fatto del sottotenente Fabio Longhi; [p. 114 modifica]ora tenente generale nella riserva: l’altro, il 22 giugno, per opera del soldato volontario Luigi Mainoni d’Intignano, ora tenente generale comandante un Corpo d’Armata, e senatore del regno. E l’uno e l’altro, due diletti figli di quella Milano che di entrambi va orgogliosa.

La carica del 29 aprile 1859, che costituì il primo scontro di quella campagna di guerra, avvenne dunque tra un plotone di Cavalleggeri Saluzzo, comandato dal sottotenente Fabio Longhi, e due plotoni di Ussari Häller, comandati pure da un ufficiale.

Questo brillante fatto d’armi, appunto per la fortuna d’essere il primo, mise il fuoco dell’entusiasmo e dell’emulazione nelle vene di tutti i volontari di cavalleria, nobilmente invidiosi della gloria di un loro compagno.



Ed ecco come il Cenni lo descrive colla penna e colla matita:

“..... dietro i contadini fuggenti, alte e sfolgoranti appaiono alcune punte di ussari. È il momento solenne! Il nostro giovane ufficiale — il Longhi — s’appressa ai suoi uomini, li squadra con fermo contegno, li spiega in bell’ordine a traverso la strada a poche centinaia di metri davanti a Zinasco, presso il cimitero di Soirana; e ricorda loro che il Reggimento non si deve ritirare che a pezzi. Poi volta la fronte al nemico, e attende!

Gli ussari, dal canto loro, si fermano, si ordinano a traverso la strada in linea di battaglia, più profonda perchè più numerosa dei nostri, poi, dopo una breve concione in lingua incomprensibile del loro comandante, ecco l’ordine della carica; ecco lo squillo delle trombe da ambe le parti!

Lo spazio è già divorato, i due ufficiali, primi all’attacco, si urtano [p. 115 modifica]petto a petto; il cavallo dell’austriaco si ferma in tronco; quello dell’italiano, non scosso dall’urto, procede; l’austriaco mena un fendente sull’italiano, che lo para, rimanendo però offeso sulla spalla sinistra, difesa in parte dalla metallica spallina; le due schiere si urtano a lor volta, si confondono, e in breve tempo, i più sono scavalcati e si battono fra loro in singolar certame, a piedi e a cavallo.


Fabio Longhi, Generale.


Quand’ecco, uno squillo di tromba si fa sentire dal lato di Zinasco, seguito da un rapido scalpitio di cavalli, e dal grido ripetuto di: Savoja!... Savoja!..... È un altro plotone del quarto squadrone che, col capitano Corrado Colli ed il tenente Casimiro Balbo alla testa, galoppa alla riscossa. Gli ussari pesti e malmenati galoppano in ritirata; e i nostri bravi, non meno pesti e malmenati di quelli, li vedono fuggire e sorridono altieramente per la loro prima vittoria, augurio felice per il rimanente della campagna„.

Ed ora, eccoci al secondo scontro; a quello del Majnoni.


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Era la sera del 21; una pattuglia del reggimento Cavalleggeri di Monferrato, comandata dal sergente Cane del primo squadrone, spinta da Rivoltella a Pozzolengo per la via Lugana, vide fuggire alcuni ussari austriaci verso Monzambano. Al ritorno ne fu informato il comando; ma questo non si curò tampoco di accertare se quel paese fosse, o no, occupato dal nemico.

Solamente il 22 e 23, per merito dei cavalleggeri di Monferrato, la notizia che alcuni reparti austriaci stavano sulla destra del Mincio, pervenne al quartier generale di Napoleone. Ed ecco in qual modo.

Il primo squadrone di Monferrato era accantonato a Rivoltella fino dalla sera del 20. Il plotone comandato dal tenente De Michelis, destinato alla riserva di avamposto, serenava in un prato, poco lungi dal villaggio, verso Peschiera. Il volontario Luigi Majnoni, rientrato sull’imbrunire da Pozzolengo, dove era stato di pattuglia, fu subito posto di vedetta sullo stradone di Peschiera, oltre la linea della ferrovia. Rilevato più tardi anche di lì, riprese anch’egli il suo posto nel prato, dove il plotone fu sorpreso da un uragano, così violento, quale da quelle parti non si ricordava l’uguale.

Alle ore 3 del mattino del giorno 22, ancora fradicio dell’acquazzone della sera, il plotone lasciava il prato e si avvicinava alla strada maestra di Pozzolengo, insieme a una compagnia di bersaglieri comandata dal capitano Caldellary, e sotto la guida del tenente Perrone di S. Martino, ufficiale dello Stato Maggiore, il quale vestiva ancora l’uniforme dei granatieri.

Il plotone Monferrato costituiva l’avanguardia.

Il volontario Majnoni, offertosi spontaneamente al tenente De Michelis, fu inviato di punta, insieme all’appuntato Peiroun savoiardo. L’uno e l’altro conoscevano a menadito la strada, avendola percorsa e riconosciuta il dì innanzi. Abbandonata la maestra di Peschiera, presero a destra per la via Lugana, conducente a Pozzolengo, e, spiando qua e là, giunsero poco oltre la intersezione della ferrovia Peschiera-Lonato, presso le pendici di S. Martino, al sorgere dei primi albori. Quand’ecco, allo scantonare della via, presentarsi ai loro occhi due ussari austriaci, facilmente rivelati dal tradizionale loro mantello bianco.

Vuotato senza frutto il proprio moschetto — que’ famosi moschetti, senza mira nè direzione — il Majnoni, vedendo che i due dal mantello [p. 117 modifica]bianco restavano là, fra il sì e il no, propose al compagno d’attaccarli addirittura; senza riflettere, che così facendo, lasciavano il resto del plotone troppo da loro lontano, e perciò senza possibilità d’averne l’aiuto.

Detto fatto, partono dunque al galoppo; ma d’improvviso si trovano, non più contro i due cavalieri veduti dianzi, ma contro un grosso manipolo ivi sopraggiunto in un batter di ciglio, e guidato da un ufficiale che spingeva i soldati all’assalto.

Che cosa fare?

La superiorità degli avversari aveva ormai resa inefficace l’offesa...... dunque non rimaneva che un’uscita sola: difendersi alla meglio, e tentare di cavarsela....

Eccoli accerchiati! Il tenente investe vigorosamente il Majnoni dal fianco destro; questi, bene o male, riesce a parare le botte e a rispondere; ma intanto viene da altri cavalieri assalito al fianco sinistro; e può ringraziare il vecchio keppy ferrato — altro arnese da arsenale — la carabina e il mantello ad armacollo, se nessuna delle tante sciabolate era riuscita a spaccargli il cranio o ad aprirgli il petto.

Guai se quei cavalieri avessero adoperato un sistema, tanto diletto al nostro capitano Avogadro, quello delle puntate; perchè qualche parte indifesa e vulnerabile del giovane cavalleggero, l’avrebbero certamente trovata; e il volontario Majnoni forse non porterebbe oggi, con tanto onore suo e dell’Esercito, la divisa di tenente generale.

Il momento era brusco. La difesa non poteva durare a lungo! Nessuna speranza nell’aiuto del plotone; il quale già lontano, aveva per di più ricevuto l’ordine di ritirarsi lentamente, allo scopo di attirare gli ussari sotto il fuoco di una compagnia di bersaglieri, mascherata dietro la siepe della strada....

Uno soltanto, il sergente Marmont, un valoroso savoiardo, si accorse delle strette in cui si dibatteva da solo il Majnoni, essendo l’appuntato Peiroun riuscito a svignarsela. Egli, staccandosi solo dal plotone, raggiunse il volontario alla carica, e da valente sciabolatore com’era, gli fece largo intorno, e seco lo trasse al galoppo, sempre incalzati da presso.

Intanto, la finta ritirata del plotone aveva raggiunto il suo effetto. Il tenente degli ussari, nel rincorrere i nostri due cavalieri, cadde il primo sotto il fuoco mascherato dei bersaglieri....

Il povero giovane, spinto anch’esso dalla smania di farsi onore, incappò ad occhi chiusi nell’agguato, e rimase fulminato in mezzo alla strada.

Si seppe poi ch’egli era un Toussaint de-la-Motte, rampollo di una nobile e antica famiglia leggittimista francese, rifugiata in Austria fin dal tempo della rivoluzione, ed entrato, egli e un altro suo fratello, nell’esercito Imperiale, ch’era in quei giorni di guarnigione a Mantova. [p. 118 modifica]Il povero corpo rimase sulla strada alcune ore, circondato dal suo giovane sangue; e chi vide tanta fiorente gioventù spenta al servizio di uno straniero, e corse col pensiero alla madre desolata, alla fidanzata che, forse, lo attendeva vincitore all’abbraccio, non potè a meno di sentirsi una stretta al cuore e, dimenticando per un momento l’ufficiale nemico, versare una lagrima su una fine tanto immatura.

Là dove cadde, venne poi eretta dalla madre una cappella consacrata alla sua memoria; e una delle vicine parocchie, fino a poco tempo fa, nel giorno dei morti, celebrava una messa in suffragio della sua povera anima.



Compiuto dai nostri l’inseguimento degli ussari fuggenti, fino in vista di altre forze austriache composte di cavalleria e d’artiglieria; raccolti i trofei di guerra — due prigionieri, cioè, e due cavalli bardati — il plotone si costituì in retroguardia e riprese la strada di Rivoltella, preceduto dalle penne dei bersaglieri allegramente svolazzanti all’aria.

Venne però deciso di non proseguire su Pozzolengo, perchè il plotone di ussari Imperatore, nel quale ci si scontrò prima, non era che il tentacolo di una forte ricognizione, comandata dal maggiore Appel, il quale disponeva di tutto uno squadrone di ussari, di un altro di ulani, e di due pezzi di artiglieria.

Il maggiore Appel, a quanto pare, aveva il giorno 21 ricevuto ordine dal Quartier Generale dell’Imperatore, di riconoscere la fronte degli Alleati, percorrendo tutto il terreno fra Medole e il Garda.

Egli aveva perciò iniziate le sue operazioni fino dal dì innanzi, partendo da Goito e percorrendo la ruota dell’arco rientrante, occupato dagli avamposti nemici; sui quali faceva cadere, a quando a quando, i suoi colpi di sonda.

Fu da questo corpo in perlustrazione che il giovane tenente de-la-Motte, come vedemmo, s’era staccato e aveva assalite, e poi rincorse, le due vedette volanti dei Cavalleggeri di Monferrato, col sacrificio della propria vita.

[p. 119 modifica]Ma, intanto, lo stesso maggiore Appel potè il giorno dopo, cioè il 22, riferire: non esservi dubbio che il nemico si trovasse fra Carpenedolo, Castiglione, Montechiari e Lonato, la sinistra innanzi, accampata fra Desenzano e Rivoltella. E più tardi: che tutte le forze vedute da Castelgoffredo a Castiglione, appartenevano ai francesi; mentre tutto il resto, fino a Rivoltella, faceva parte dell’esercito piemontese.

Eravamo noi in grado di riferire, con altrettanta precisione, quale fosse la situazione dell’esercito austriaco?

Manco per sogno!

Non sarebbe stato possibile e opportuno, spingere a tale scopo, quella stessa mattina, una nostra colonna fino al Mincio?

Certamente sì!

La fucilata, mortale per il de-la-Motte, aveva però dato l’allarme, non solamente al resto del primo squadrone ch’era più vicino, ma altresì ai plotoni del secondo, i quali accorsero pronti da Rivoltella; e, certo, con quei due squadroni freschi, con un battaglione di bersaglieri, e con una batteria a nostra disposizione, si sarebbe potuto facilmente arrivare, non solo a Pozzolengo, ma anche a Monzambano, fortemente occupato dal nemico.

Nessuno invece ci pensò... e così si rientrò a Rivoltella, dove trovammo tutta la Divisione sotto le armi, e il generale Mollard a cavallo.

Fu allora che, informato questi dal capitano del primo squadrone Felice Brunetta dei conti d’Usseaux — brillante e ardito ufficiale di cavalleria morto da qualche tempo — dello scontro avuto dal volontario Majnoni, non che del nobile atto del sergente Marmont, fece chiamare l’uno e l’altro; visitò le loro sciabole — diventate addirittura una sega — prese in mano il keppy del Majnoni — chè quello del Marmont era stato portato via di netto da una sciabolata — esaminò una leggera ferita toccata dal Majnoni alla mano destra, e li accommiatò dicendo loro che sarebbero stati entrambi ricompensati.

E lo furono: uno, il Majnoni, colla promozione ad ufficiale sul campo; l’altro, il sergente, colla Medaglia d’argento al valor militare.

Anzi al Majnoni, se non erro, venne allora offerta la scelta fra la medaglia e le spalline d’ufficiale. Egli preferì le spalline; e rammento che, saputa io allora la cosa dal conte Giulio Litta Modignani — ufficiale d’ordinanza di S. M. Vittorio Emanuele, valoroso soldato reduce dalla Crimea, patrizio milanese amico nostro — potei annunciarlo al Majnoni, il quale, alla bella notizia, teneramente mi abbracciava.

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Majnoni
Majnoni
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Il conte Giulio Litta Modignani fu a Torino la vera provvidenza di noi emigrati suoi concittadini. Bello nella sua robusta virilità, sotto l’elmo piumato gli si leggeva in viso la nobiltà del cuore.

A lui, alla sua memoria, la nostra riconoscenza; e specialmente la riconoscenza di colui che scrive, il quale deve a Giulio Litta d’essere stato accettato, come abile, in un reggimento di cavalleria.

Ed ecco come. Presentatomi all’ufficio di leva, smunto, quasi sfinito per il valico disastroso del dì innanzi,
Giulio Litta Modignani.
i preposti alla visita, mi guardarono in faccia pietosamente, quasi dicessero:

— Soldato in cavalleria?.... Costui non camperebbe un mese!

E fui scartato per gracilità!

Pensi il lettore quale colpo l’inaspettata sentenza dovette portare al mio cuore, il quale, pieno d’entusiasmo durante i palpiti e le peripezie della fuga, non sognava che armi, battaglie, cariche, gloria.... e spalline!.... Trovarmi a un tratto, solo fra tutti i miei fortunati compagni, come suol dirsi in terra, e in terra d’esilio! E sentirmi dire:

— Tu il soldato non lo potrai fare mai!... Torna da dove sei venuto!... Non ci pensar più!

Tornare!.... Dove?.... a Milano?.... per essere o imprigionato, o deriso?... Scoppiai in un pianto dirotto.

Ma il nome di Giulio Litta Modignani, brillò al mio pensiero!.... Volai a casa sua. Egli si alzò dal letto, benchè indisposto, per ricevermi. Al mio racconto sorrise. — Dio! quel sorriso come mi fece bene al cuore! — E si pose a scrivere.

Buttò giù due righe in fretta. In fretta tracciò l’indirizzo; piegò il foglietto e me lo consegnò:

— Portalo al Ministero della Guerra.... fallo passare in mio nome al generale Valfrè. Se ti strapazza non ispaventarti. È un burbero benefico. — In giornata sarai arruolato.

Impennai l’ali. Eccomi al Ministero della Guerra. Lì, mando avanti la [p. 122 modifica]lettera del Litta... Un minuto dopo il generale Valfrè mi riceve. — Aveva in mano lo scritto:

— Che mestiere fai?

Veramente non facevo nessun mestiere, ma rispondere si doveva, e rispondo:

— Il letterato.

— Brutto mestiere!.... Come ti chiami?

— Leopoldo.

— Oh! il mio nome! — Andò al tavolino; aggiunse due righe a quelle del Litta, mi ridiede il foglietto, e disse:

— Porta questa lettera all’Accademia Militare: consegnala al generale Pettinengo.... poi procura di fare onore al tuo nome, ch’è pure il mio!

Mezzora dopo la gracilità era sparita!..... Ma la riconoscenza che io
serbo in cuore per la cara memoria di Giulio Litta, non isvanirà che colla vita mia!


Tornando al volontario Majnoni, egli dovette aspettare le spalline d’ufficiale fino verso la metà d’agosto — circa due mesi dopo! — Quando, cioè, dal Ministero della Guerra, faticosamente ponzato, il pulcino delle ricompense — il Bollettino Ufficiale — ruppe il guscio!

Non sappiamo se il volontario Majnoni — nel suo intimo, abbia allora pensato che così non sarebbero andate le cose ai tempi eroici del Primo Napoleone... Ma se non lo pensò lui, lo pensiamo e lo diciamo noi; senza per questo credere di far torto a nessuno. Come non crediamo di recare a nessuno offesa, invocando, per le cose di questa maltrattata Italia, un lampo solo di quelli che i nostri avi videro scaturire fulminei dalla fronte pensosa di quel genio immortale.