Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 42

Canto 42

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Canto 41 Canto 43

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CANTO XLII



[1]

Q
Val duro ſreno o ql ferrigno nodo

     Qual (s’eſſer può) catena di Diamante?
     Fara che l’ira ſerui ordine e modo
     Che no traſcorra oltre al preferitto inante?
     Quando perſona che co ſaldo chiodo
     T’habbia giā ſiſſa Amor nel cor coſtate,
     Tu vegga o per violentia o per inganno
     Patire o dishonore o mortai danno?

[2]
E s’a crudel s’ad inhumano effetto
     Quell’impeto talhor l’animo ſuia:
     Merita eſcuſa, perche allhor del petto
     NO ha ragione imperio ne balia,
     Achille poi che ſotto il falſo elmetto
     Vide Patroclo inſanguinar la via
     D’uccider chi l’ucciſe no ſu ſatio
     Se noi trahea: ſé no ne facea ſtratio.

[3]
Inuitto Alſonſo ſimile ira acceſe
     La voſtra gente, il di che vi percoſſe
     La ſrOte il graue ſaſſo, e ſi v’oſſèſe
     Ch’ognun penſo che l’alma gita foſſe:
     l’acceſe in tal furor: che nò difeſe
     Voſtri inimici, argini, o mura, o foſſe
     Che no ſoſſino inſieme tutti morti
     Senza laſciar chi la nouella porti.

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[4]
Il vederui cader cauſo il dolore
     Che' i voſtri a furor molte e a crudeltade
     S’erauate in pie voi, ſorſè minore
     Licentia hauriano hauute le lor ſpade,
     Eraui assai che la Baſtia in manche hore
     V’haueſte ritornata in poteſtade,
     Che tolta in giorni a voi non era ſtata,
     Da gente Cordoueſe e di Granata,

[5]
Forſè ſu da Dio vindice permeſſo
     Che vi trouaſte a quel caſo impedito,
     Accio che’l crudo e federato ecceſſo
     Che dianzi fatto hauean, foſſe punito,
     Che poi ch’in lor man vinto ſi ſu meſſo
     11 miſer Veſtidel laſſo e ferito:
     Senz’arme ſu tra cento ſpade vcciſo
     Dal popul la piú parte circòcifo.

[6]
Ma perch’ io vo cócludere: vi dico
     Che neſſun’ altra quell’ira pareggia
     QuAdo Signor, parente, o ſotio antico
     Dinanzi a gliocchi ingiuriar ti veggia,
     Dunque e ben dritto per ſi caro amico
     Che fubit’ira il cor d’Orlando ſeggia:
     Che de l’horribil colpo che gli diede
     Il Re Gradaſſo, morto in terra il vede.

[7]
Qual Nomade paſtor che vedut’ habbia
     Fuggir ſtrifeiando l’horrido ſerpente
     Che il ſigliuol che giocaua ne la ſabbia
     Veciſo gli ha col venenoſo dente,
     Stringe il baſton co colera e co rabbia,
     Tal la ſpada d’ ognialtra piú tagliente
     Stringe co ira il cauallier d’ Anglante,
     Il primo che trouo fu’l Re Agramante,

[8]
Che ſanguinoſo e de la ſpada priuo
     Co mezo ſcudo: e co l’elmo diſciolto,
     E ferito in piú parti ch’io no ſcriuo
     S’era di man di Brandimarte tolto,
     Come di pie all’aſtor ſparuier mal viuo
     A cui laſcio alla coda inuido o ſtolto,
     Orlando giunſe e meſſe il colpo giuſto
     Oue il capo ſi termina col buſto.

[9]
Sciolto era l’elmo, e diſarmato il collo
     Si che lo taglio netto come vn giunco,
     Cadde, e die nel ſabbion l’ultimo crollo
     Del regnator di Lybia il graue trunco: ’
     Corſe lo ſpirto all’aque, onde tirollo
     CharO nel legno ſuo col graſſio adúco,
     Orlando fopra lui no ſi ritarda
     Ma troua il Serican co Baliſarda.

[10]
Come vide Gradaſſo d’ Agramante
     Cadere il buſto dal capo diuiſo,
     Quel ch’accaduto mai nò gliera inante
     Tremo nel core: e ſi ſmarri nel viſo,
     E all’arriuar del cauallier d’ Anglante
     Preſago del ſuo mal panie cOquiſo,
     Per ſchermo ſuo partito alcun no preſe
     Quando il colpo mortai fopra gli ſcefe.

[11]
Orlando lo feri nel deſtro ſianco
     Sotto l’ultima coſta, e il ferro immerſo
     Nel vètre vn palmo, vſci dal lato maco
     Di ſangue fin’ all’elſa tutto aſperfo,
     Moſtro bè che di man ſu del piú ſranco
     E del meglior guerrier de l’uniuerfo
     Il colpo, ch’un Signor coduffe a morte
     Di cui no era in Pagania il piú ſorte.

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[12]
Di tal vittoria no troppo gioioſo
     Pretto di fella il Paladin ſi getta,
     E col viſo turbato e lachrymoſo
     A Bradimarte ſuo corre a gran fretta,
     Gli vede intorno il capo ſanguinoſo
     l’elmo ch par ch’apto habbia vna accetta,
     Se foſſe ſtato fral piú che di ſcorza
     Difefo no l’hauria co minor ſorza.

[13]
Orlando l’elmo gli leuo dal viſo
     E ritrouo che’l capo ſino al naſo
     Fra l’uno e l’altro ciglio era diuiſo,
     Ma pur gli e tato ſpirto ancho rimaſo
     Che de ſuoi falli al Re del Paradiſo
     Può domandar pdono anzi l’occafo:
     E confortare il Conte, che le gote
     Sparge di pianto, a patientia puote.

[14]
E dirgli Orlando fa che ti raccordi
     Di me, ne l’oration tue grate a Dio:
     Ne men ti raccomando la mia Fiordi
     Ma dir nò potè ligi, e qui ſinio,
     E voci e ſuoni d’ angeli cócordi
     Toſto in aria s’udir che l’alma vſcio:
     Laqual diſciolta dal corporeo velo
     Fra dolce melodia ſali nel cielo.

[15]
Orlado áchor che far douea allegrezza
     Di ſi deuoto ſine, e ſapea certo
     Che Brandimarte alla ſuprema altezza
     Salito era, che’l ciel gli vide aperto,
     Pur da la humana volòtade auezza
     Co i ſragil ſenſi, male era foſſerto
     Ch’un tal piú che ſratel gli foſſe tolto,
     E no hauer di pianto humido il volto.
[16]
Sobrin che molto ſangue hauea pduto
     Che gli piouea fu’l ſianco e ſu le gote
     Riuerſo giá gra pezzo era caduto
     E hauer ne douea hormai le vene vote,
     Anchor giacea Oliuier, ne rihauuto
     Il piede hauea, ne rihauer lo puote
     Se no ifmoffo, e de lo ſtar che tanto
     Gli fece il deſtrier fopra, mezo infrato.

[17]
E fe’l Cognato no venia ad aitarlo
     (Si come lachrymoſo era e dolente)
     Per ſé medeſmo no potea ritrarlo:
     E tanta doglia e tal martir ne ſente
     Che ritratto che l’hebbe ne a mutarlo
     Ne afermaruifi fopra era poſſente,
     E ’ha inſieme la gamba ſi ſtordita
     Che muouer no ſi può ſé nò ſi aita.

[18]
De la vittoria poco rallegroſſe
     Orlado, e troppo gliera acerbo e duro
     Veder che morto Brandimarte foſſe
     Ne del Cognato molto eſſer ſicuro:
     Sobrin, che viuea anchora, ritrouoſſe
     Ma poco chiaro hauea co molto oſcuro,
     Che la ſua vita per l’ufeito ſangue
     Era vicina a rimanere eſangue,

[19]
Lo fece tor che tutto era ſanguigno
     Il còte, e medicar diſcretamente:
     E còfortollo co parlar benigno
     Come ſé ſtato gli foſſe parente,
     Che dopo il fatto nulla di maligno
     In ſé tenea, ma tutto era clemente,
     Fece de i morti arme e caualli torre
     Del reſto a ſerui lor laſcio diſporre.

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[20]
Qui de la hiſtoria mia che nò ſia vera
     Federigo ſulgoſo e in dubbio alquanto,
     Che co l’armata hauédo la riuiera
     Di Barberia traſcorfa in ogni canto
     Capito quiui, e l’Iſola ſi ſiera
     Motuoſa e inegual ritrouo tanto
     Che nò e (dice) in tutto il luogo ſtrano
     Oue vn ſol pie ſi poſſa metter piano.

[31]
Ne veriſimil tien che ne l’alpeſtre
     Scoglio: fei cauallieri il fior del mòdo
     Poteſſon far quella battaglia equeſtre,
     Allaquale obiettion coſi riſpòdo:
     di’ a quel tempo vna piazza de le deſtre
     Ch ſieno a qſto: hauea lo ſcoglio al ſòdo
     Ma poi ch’ú ſaſſo che’l tremuoto aperſe
     Le cadde fopra e tutta la coperte

[32]
Siche o chiaro ſulgor de la ſulgoſa
     Stirpe, o ſerena o ſempre viua luce
     Se mai mi riprendeſte in queſta coſa,
     E ſorſè inanti a quello inuitto Duce
     Per cui la voſtra patria hor ſi ripoſa:
     Laſcia ogni odio e in amor tutta s’ iduce
     Vi priego che nò ſiate a dirgli tardo
     Ch’ eſſer può ch nei qſto io ſia bugiardo.

[33]
In qſto tèpo alzando gliocchi al mare
     Vide Orlado venire a vela in fretta
     Vn nauilio leggier, che di calare
     Facea ſembiante (opra l’ifoletta:
     Di chi ſi foſſe io nò voglio hor còtare
     Pere’ ho piú d’ uno altroue che m’aſpetta
     Veggiamo i Fracia: poi ch ſpito n’hano
     I ſaracin: ſé meſti o lieti ſtanno.

[34]
Veggian che fa quella fedele amante
     Che vede il ſuo còtento ir ſi lòtano,
     Dico la trauagliata Bradamante
     Poi che ritroua il giuramento vano
     C hauea fatto Ruggier pochi di inante.
     Vdèdo il noſtro, e l’altro ſtuol pagano:
     Poi ch’in qſto anchor maca: nò le auaza
     In ch’ella debba piú metter ſperanza.

[35]
E ripetendo i pianti e le querele
     Che pur troppo domeſtiche le ſuro:
     Torno a ſua vſanza a nominar crudele
     Ruggiero, e’l ſuo deſtin ſpietato e duro:
     Indi ſciogliendo al gran dolor le vele
     Il ciel che còſentia tanto pergiuro
     Ne fatto n’ hauea anchor ſegno euidente
     Ingiuſto chiama debole e impotente.

[36]
Ad accuſar Meliſſa ſi còuerſe
     E maledir l’oracol de la grotta:
     Ch’a lor mendace ſuaſion s’immerfe
     Nel mar d’amore, ou’e a morir 9dotta,
     Poi co Marphiſa ritorno a dolerſe
     Del ſuo ſratel che le ha la fede rotta,
     Co lei grida e ſi sfoga: e le domanda
     Piangendo aiuto: e ſé le raccomanda.

[37]
Marphiſa ſi riſtringe ne le ſpalle
     E quel ſol che pò far, le da cOforto,
     Ne crede che Ruggier mai coſi falle
     Ch’ a lei nò debba ritornar di corto,
     E ſé non torna pur, ſua fede dalle
     Ch’ ella non patirá ſi graue torto,
     O che battaglia pigliera con eſſo,
     O gli fará oſſeruar ciò e’ ha promeſſo.

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[538]
ORLANDO FVRIOSO
     Coſi fa ch’ella vn poco il duol raffrena
     C hauèdo oue sfogarlo e meno acerbo,
     Hor e’ habbiamviſta Bradamate in pena
     Chiamar Ruggier pgiuro, èpio, eſupbo,
     Veggiamo anchor ſé miglior vita mena
     Il ſratel ſuo: che nò ha polſo o nerbo
     Oſſo o medolla, che non ſenta caldo
De le ſiame d’ Amor dico Rinaldo.

[29]
Dico Rinaldo, ilqual come ſapete
     Angelica la bella amaua tanto:
     Ne l’hauea tratto all’amorofa rete
     Si la beltá di lei, come l’incanto,
     Haueano glialtri Paladin quiete
     Eſſendo a i Mori ogni vigore affranto,
     Tra i vincitori era rimaſo ſolo
     Egli captiuo in amoroſo duolo.

[30]
Cento meſſi a cercar che di lei ſuſſe
     Hauea mandato, e cerconne egli ſteffo,
     Al ſine a Malagigi ſi riduſſe,
     Che nei biſogni ſuoi l’aiuto ſpeffo,
     A narrar il ſuo amor ſé gli conduſſe
     Col viſo roſſo e col ciglio demeſſo:
     Indi lo priega, che gli inſegni doue
     La deſiata Angelica ſi troue.

[31]
Gran marauiglia di ſi ſtrano caſo
     Va riuolgendo a Malagigi il petto,
     Sa che ſol per Rinaldo era rimaſo
     D’hauerla cento volte e piú nel letto:
     Et egli ſteffo, accio che perſuaſo
     Foſſe di qſto: hauea assai fatto e detto
     Co prieghi e con minaccie, perpiegarlo
     Ne mai hauuto hauea poter di farlo.

[32]
E tanto piú ch’allhor Rinaldo haurebbe
     Tratto ſuor Malagigi di prigione,
     Fare hor ſpontaneamente lo vorrebbe
     Che nulla gioua, e n’ha minor cagione,
     Poi priega lui, che ricordar ſi debbe
     Pur quato ha oſſeſo í qſto oltr’a ragióe,
     Che per negargli giá vi manco poco
     Di non farlo morire in ſcuro loco.

[33]
Ma quanto a Malagigi le domande
     Di Rinaldo importune piú pareano,
     Tanto che l’amor ſuo foſſe piú grande
     Inditio manifeſto gli faceano,
     I prieghi che con lui vani non ſpande
     Fan che ſubito immerge nel oceano
     Ogni memoria de la ingiuria vecchia,
     E che a dargli ſoccorſo s’apparecchia.

[34]
Termine tolſe alla riſpoſta, e ſpeme
     Gli die, che fauoreuol gli faria,
     E che gli ſapra dir la via che tiene
     Angelica, o ſia in Francia o doue ſia,
     E quindi Malagigi al luogo viene
     Oue i demoni ſcongiurar ſolia:
     Ch’era ſra monti inacceffibil grotta
     Apre il libro e li ſpirti chiama in ſrotta.

[35]
Poi ne ſceglie vn che de caſi d’ Amore
     Hauea notitia, e da lui ſaper volle
     Come ſia che Rinaldo e’ hauea il core
     Dianzi ſi duro, hor P habbia tanto molle,
     E di quelle due ſonti ode il tenore
     Di che l’una da il fuoco, e l’altra il tolle,
     E al mal che l’una fa nulla ſoccorre
     Se non P altra acqua che cetraria corre.

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[36]
Et ode come hauendo giá di quella
     Che P amor caccia, beuto Rinaldo,
     Ai lunghi prieghi d’ Angelica bella
     Si dimoſtro coli oſtinato e ſaldo,
     E che poi giunto per ſua iniqua ſtella
     A ber ne l’altra l’amoroſo caldo,
     Torno ad amar p ſorza di quelle acque
     Lei, ch pur diazi oltr’al douer gli ſpiacq.

[37]
Da iniqua ſtella, e ſier deſtin ſu giunto
     A ber la ſiamma in quel ghiacciato riuo,
     Perche Angelica venne quaſi a vn piito
     A ber ne l’altro di dolcezza priuo,
     Ch d’ogni amor le laſcio il cor ſi emuto
     Ch’indi hebbe lui piú che le ſerpi aſchiuo,
     Egli amo lei, e l’amor giuſe al ſegno
     In ch’era giá di lei Podio e lo ſdegno

[38]
Del caſo ſtrano di Rinaldo a pieno
     Fu Malagigi dal demonio inſtrutto,
     Che gli narro d’Angelica non meno
     Ch’a vn giouine Africa ſi dono in tutto:
     E come poi laſciato hauea il terreno
     Tutto d’Europa, e per l’inſtabil flutto
     Verſo India ſciolto hauea da i litiHiſpai
     Su l’audaci galee de Catallani.

[39]
Poi che venne il Cugin per la riſpoſta
     Molto gli diſuaſe Malagigi
     Di piú Angelica amar, che s’ era poſta
     D’un viliſſimo Barbaro a i ſeruigi,
     Et hora ſi da Francia ſi difeoſta
     Che mal ſeguir ſé ne potria i veſtigi:
     Ch’ era hoggi mai piú la ch’a meza ſtrada
     Per andar co Medoro in ſua 9trada.

[40]
La partita d’ Angelica non molto
     Sarebbe graue all’animoſo amante:
     Ne pur gli hauria turbato il ſono o tolto
     Il penſier di tornarſene in Leuante,
     Ma ſentédo e’ hauea del ſuo amor colto
     Vn Saracino le primitie inante,
     Tal paſſione: e tal cordoglio ſente
     Che non ſu in vita ſua mai piú dolente.

[41]
Non ha poter d’una riſpoſta ſola:
     Triema il cor détro, e triema ſuor le labbia
     No può la lingua diſnodar parola:
     La bocca ha amara, e par ch toſco v’ habbia
     Da Malagigi ſubito s’ inuol.i
     E come il caccia la geloſa rabbia
     Dopo gran piato, e gran ramaricarfi
     Verſo Leuante fa penſier tornarli.

[42]
Chiede licentia al figlio di Pipino:
     E troua ſcuſa che’l deſtrier Baiardo
     Che ne mena Gradaſſo ſaracino
     Contra il douer di cauallier gagliardo,
     Lo muoue p ſuo honore a quel camino:
     Accio che vieti al Serican bugiardo
     Di mai vantarli, che con ſpada o lancia
     l’habbia leuato a vn Paladin di Fracia.

[43]
Laſciollo andar co ſua licentia Carlo
     Ben che ne ſu con tutta Francia meſto.
     Ma ſinalmente nò ſeppe negarlo
     Tanto gli parue il deſiderio honeſto,
     Vuol Dudó, vuol Guidoe accOpagnarlo
     Ma lo niega Rinaldo a qllo e a queſto.
     Laſcia Parigi, e ſé ne va via ſolo
     Pien di ſoſpiri e d’ amoroſo duolo,

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[44]
Sèpre ha I memoria e mai no ſé gli tolle
     C hauerla mille volte hauea potuto,
     E mille volte hauea oſtinato e ſolle
     Di ſi rara beltá fatto riſiuto:
     E di tanto piacer e’ hauer non volle
     Si bello e ſi buon tépo era perduto:
     Et hora eleggerebbe vn giorno corto
     Hauerne ſolo, e rimaner poi morto.

[45]
Ha ſempre in mente: e mai no ſé ne parte
     Come eſſer puote ch’un pouero fante
     Habbia del cor di lei ſpinto da parte
     Merito e amor d’ognialtro primo amate,
     Co tal penſier che’l cor gli ſtraccia e parte
     Rinaldo ſé ne va verſo Leuante:
     E dritto al Rheno e a Baſilea ſi tiene
     Fin che d’Ardèna alla gran ſelua viene,

[46]
Poi che ſu détro a molte miglia andato
     Il Paladin pel boſco auéturoſo,
     Da ville e da cartella allontanato
     Oue aſpro era piú il luogo e periglioſo:
     Tutto in vn tratto vide il ciel turbato
     Sparito il Sol tra nuuoli naſcoſo:
     Et vſcir ſuor d’ una cauerna oſcura
     Vn ſtrano moſtro in feminil ſigura.

[47]
Mill’occhi í capo hauea ſenza palpebre
     Nò può ſerrarli e no credo che dorma,
     No me ch gliocchi hauea V orecchie crebre
     Hauea i loco d crin ſpi a gra torma
     Fuor de le diaboliche tenebre
     Nel mondo vſci la ſpauenteuol ſorma,
     Vn fiero e maggior ſerpe ha per la coda
     Che pel petto ſi gira e che l’annoda.

[48]
Quel ch’a Rinaldo i mille e mille impſe
     Piú non auuéne mai, quiui gli auuiene,
     Che come vede il moſtro ch’all’oſſeſe
     Se gli apparecchia, ech’ a trouar loviene
     Tanta paura, quanta mai non ſcefe
     In altri ſorſè: gli entra ne le vene:
     Ma pur l’ufato ardir ſimula e ſinge
     E con trepida man la ſpada ſtringe.

[49]
S’ accoda il moſtro Iguiſa al fiero aſſalto
     Che ſi può dir che ſia maſtro di guerra,
     Vibra il ſerpète venenoſo in alto
     E poi contra Rinaldo ſi diſſerra,
     Di qua, di la, gli vien fopra a gran ſalto:
     Rinaldo cétra lui vaneggia & erra:
     Colpi a dritto e a riuerſo tira assai
     Ma non ne tira alcun che ſera mai.

[50]
Il moſtro al petto il ſpe hora gli appicca
     Ch ſotto l’arme e ſin nel cor V agghiaccia
     Hora per la viſiera gliele ſicca
     E fa ch’erra pel collo e per la faccia:
     Rinaldo da l’impreſa ſi diſpicca
     E quato può co ſproni il deſtrier caccia:
     Ma la Furia inſernal giá non par zoppa
     Ch ſpicca vn ſalto e glie ſubito í groppa

[51]
Vada al trauerſo al dritto oue ſi voglia
     Sempre ha con lui la maledetta peſte,
     Ne fa modo trouar che ſé ne ſcioglia
     Ben che’l deſtrier di calcitrar non reſte:
     Triema a Rinaldo il cor eòe vna ſoglia
     Non ch’altrimente il ſerpe lo moleſte,
     ^la tanto horror ne ſente e tanto ſchiuo
     Ch ſtride e geme: e duolſi ch’egli eviuo.

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[52]
Nel piú triſto ſentier nel peggior calle
     Scorrendo va: nel piú intricato boſco:
     Oue ha piú aſpzza il balzo, oue la valle
     E piú ſpinofa, ou’e l’aer piú foſco,
     Coſi ſperando torli da le (palle
     Quel brutto abominoſo horrido toſco:
     E ne faria mal capitato ſorſè
     Se toſto non giungea chi lo ſoccorſe.

[53]
Ma lo ſoccorſe a tempo vn caualliero
     Di bello armato e lucido metallo:
     Che porta vn giogo rotto per cimiero,
     Di roſſe ſiamme ha pien lo ſcudo giallo:
     Coſi trapunto il ſuo veſtire altiero
     Coſi la fopraueſta del cauallo,
     La lacia hai pugno e la ſpada al ſuo loco
     E la mazza all’arcion che getta ſoco.

[54]
Piena d’ u ſoco eterno e quella mazza
     Che ſenza cóſumarſi ogn’hora auampa:
     Ne per buon ſcudo o tempra di corazza
     O per groſſezza d’elmo ſé ne ſcampa:
     Dunque ſi debbe il cauallier far piazza
     Giri oue vuol l’ineſtinguibil lampa:
     Ne manco biſognaua al guerrier noſtro
     Per leuarlo di man del crudel moſtro.

[55]
E come cauallier d’animo ſaldo
     Oue ha vdito il rumor corre e galoppa:
     Tanto che vede il moſtro che Rinaldo
     Col brutto ſerpe in mille nodi agroppa,
     E ſentir fagli a vn tèpo ſreddo e caldo
     Che non ha via di torloſi di groppa,
     Va il caualliero e fere il moſtro al ſianco
     E lo fa trabboccar dal lato manco.

[56]
Ma quello e a pena in terra che ſi rizza
     E il lungo ſerpe intorno aggira e vibra:
     Queſt’ altro piú con l’naſta non l’attiza
     Ma di farla col fuoco ſi delibra,
     La mazza ipugna, e doue il ſerpe guizza
     Speffí come tempeſta i colpi libra,
     Ne laſcia tempo a quel brutto animale
     Che poſſa farne vn ſolo o bene o male.

[57]
E métre a dietro il caccia o tiene a bada
     E lo percuote e vendica mille onte:
     Conſiglia il Paladin che ſé ne vada
     Per quella via che s’ alza verſo il mote:
     Quel s’ appiglia al còſiglio & alla ſtrada
     E ſenza dietro mai volger la ſronte,
     Non ceſſa che di viſta ſé gli tolle
     Benché molto aſpro era a ſalir ql colle.

[58]
Il cauallier poi ch’alla ſcura buca
     Fece tornare il moſtro da l’inſerno:
     Oue rode ſé ſteffo e ſi manuca
     E da mille occhi verta il pianto eterno,
     Per eſſer di Rinaldo guida e duca
     Gli ſali dietro: e fu’l giogo ſuperno
     Gli ſu alle ſpalle, e ſi miſe con lui
     Per trarlo ſuor de luoghi oſcuri e bui.

[59]
Come Rinaldo il vide ritornato
     Gli diſſe, che gli hauea graſia inſinita:
     E ch’era debitore in ogni lato
     Di porre a beneſicio ſuo la vita,
     Poi lo domanda come ſia nomato
     Accio dir ſappia chi gli ha dato aita,
     E tra guerrieri poſſa e inanzi a Carlo
     De l’alta ſua bota ſempre efal tarlo.

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[60]
Riſpoſe il cauallier non ti rincreſca
     Se’l nome mio ſcoprir non ti vogli’hora
     Ben tei diro prima ch’un patto creſea
     L’ombra: che ci fará poca dimora:
     Trouaro andado iſieme vn’ acqua ſreſca
     Che col ſuo mormorio facea tal’hora
     Paſtori e viandanti al chiaro rio
     Venire: e berne l’amorofo oblio.

[61]
Signor queſte eran quelle gelide acque
     Quelle che ſpengon l’amorofo caldo:
     Di cui beuendo ad Angelica nacque
     L’odio, e’ hebbe dipoi ſemp a Rinaldo,
     E s’ ella vn tempo a lui prima diſpiacque
     E ſé nel’odio il ritrouo ſi ſaldo
     Non deriuo Signor la cauſa altronde
     Se no d’hauer beuto di qſte onde.

[62]
Il cauallier che con Rinaldo viene
     Come ſi vede inanzi al chiaro riuo
     Caldo per la fatica il deſtrier tiene:
     E dice il poſar qui non ſia nociuo,
     Non ſia (diſſe Rinaldo) ſé non bene
     Ch’ oltre ch pma il mezo giorno eſtiuo:
     M’ha coſi il brutto moſtro trauagliato
     Che’l ripoſar mi ſia comodo e grato.

[63]
L’un e l’altro ſmonto del ſuo cauallo
     E paſcer lo laſcio per la foreſta,
     E nel fiorito verde a roſſo e a giallo
     Ambi ſi traſſon l’elmo de la teſta:
     Corſe Rinaldo al liquido chryſtallo
     Spinto da caldo e da ſete moleſta,
     E caccio a vn ſorſo del ſreddo liquore
     Dal petto ardente e la ſete e l’amore.

[64]
Quado lo vide l’altro caualliero
     La bocca ſolleuar de l’acqua molle:
     E ritrarne pentito ogni penderò
     Di quel deſir e’ hebbe d’amor ſi ſolle,
     Si leuo ritto, e con ſembiante altiero
     Gli diſſe quel che dianzi dir non volle:
     Sappi Rinaldo il nome mio e lo ſdegno
     Venuto ſol p ſciorti il giogo indegno.

[65]
Coſi dicedo, ſubito gli ſparue
     E ſparue inſieme il ſuo deſtrier con lui:
     Queſto a Rinaldo vn gra miracol parue
     S’ aggiro intorno, e diſſe oue e coſtui ?
     Stimar non fa ſé ſian magiche larue
     Che Malagigi vn de miniſtri ſui
     Gli habbia madato a ròper la cathena
     Che lungamente l’ha tenuto in pena.

[66]
O pur che Dio da l’alta hierarchia
     Gli habbia per ineſſabil ſua bontade
     Mandato come giá mando a Thobia
     Vn’ angelo a leuar di cecitade,
     Ma buono o rio demonio, o quel che ſia
     Che gli ha renduta la ſua libertade
     Ringratia e loda, e da lui ſol conoſce
     Che ſano ha il cor da l’amoroſe agofee.

[67]
Gli ſu nel primier’ odio ritornata
     Angelica, e gli parue troppo indegna
     D’ eſſer, non che ſi lungi ſeguitata:
     Ma che per lei pur meza lega vegna,
     Per Baiardo rihauer tutta ſiata
     Verſo India in Sericana andar diſegna
     Si perche l’honor ſuo lo ſtringe a farlo
     Si per hauerne giá parlato a Carlo

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[68]
Giunſe il giorno ſeguente a Baſilea
     Oue la nuoua era venuta inante,
     Che’l cote Orlado hauer pugna douea
     Cetra Gradano e gtra il Re Agramate,
     Ne queſto per auiſo ſi ſapea
     C’haueſſe dato il cauallier d’Anglante:
     Ma di Sicilia in fretta venut’ era
     Chi la nouella v’ apporto per vera.

[69]
Rinaldo vuol trouarſi con Orlando
     Alla battaglia: e ſé ne vede lunge,
     Di dieci in dieci miglia va mutando
     Caualli e guide, e corre, e sferza, e púge
     Paſſa il Rheno a Coſtaza, e í ſu volado
     Trauerſa l’alpe, & in Italia giunge:
     Verona a dietro, a dietro Mantua laſſa
     Su’l Po ſi troua, e con gran fretta il paſſa.

[70]
Giá s’ inchinaua il Sol molto alla ſera
     E giá apparia nel ciel la prima ſtella
     Quando Rinaldo in ripa alla riuiera
     Stando in pèſier: s’hauea da mutar fella
     O tanto ſoggiomar che P aria nera
     Fuggiſſe inanzi all’altra Aurora bella,
     Venir ſi vede vn caualliero inanti
     Corteſe ne l’aſpetto e nei ſembianti.

[71]
Coſtui dopo il ſaluto con bel modo
     Gli domado s’ aggiunto a moglie foſſe,
     Diſſe Rinaldo io ſon nel giugal nodo
     Ma di tal domandar marauiglioſſe,
     Soggi unſe quel, che ſia coſi ne godo
     Poi per chiarir perche tal detto moſſe
     Diſſe io ti priego che tu ſia contèto
     Ch’ io ti dia qſta ſera alloggiamento.

[72]
Che ti faro veder coſa che debbe
     Ben volètier veder chi ha moglie a lato
     Rinaldo, ſi perche poſar vorrebbe
     Hormai di correr tanto affaticato.
     Si pche di vedere e d’udire hebbe
     Sempre auenture vn deſiderio innato,
     Accetto l’offerir del caualliero:
     E dietro gli piglio nuouo ſentiero.

[73]
Vn tratto d’arco ſuor di ſtrada vſciro
     E inanzi vn gran palazzo ſi trouaro,
     Onde feudieri in gran ſrotta veniro
     Co torchi acceſi, e fero intorno chiaro,
     Entro Rinaldo, e volto gliocchi in giro
     E vide loco ilqual ſi vede raro:
     Di gran fabrica e bella e bene inteſa:
     Ne a priuato huom cóuenia tanta ſpefa.

[74]
Di ſerpentin di porphydo le dure
     Pietre, fan de la porta il ricco volto:
     Quel che chiude e di bronzo: con ſigure
     Che ſembrano ſpirar muouere il volto,
     Sotto vn’arco poi s’entra, oue miſture
     Di bel Muſaico inganan l’occhio molto
     Quid] ſi va í vn quadro ch’ogni faccia
     De le ſue loggie ha lunga cento braccia

[75]
La ſua porta ha per ſé ciaſcuna loggia
     E tra la porta e ſé ciaſcuna ha vn’arco:
     D’ ampiezza pari ſon: ma varia ſoggia
     Fé d’ornamenti il maſtro lor non parco,
     Da ciaſcuno arco s’ entra oue ſi poggia
     Si facil ch’un ſomier vi può gir carco,
     Vn’ altro arco di ſu troua ogni ſcala
     E s’entra per ogni arco in vna ſala.

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[76]
Gliarchi di fopra eſcono ſuor del ſegno
     Tanto che fan copchio alle gra porte:
     E ciaſcun due coione ha per foſtegno
     Altre di bronzo altre di pietra ſorte,
     Lungo fará ſé tutti vi diſegno
     Gli ornati alloggiamenti de la corte,
     E oltr’a quel ch’appar, quanti agi ſotto
     La caua terra il maſtro hauea ridotto.

[77]
l’alte colonne e i capitelli d’ oro
     Da che i gemmati palchi eran ſuſſulti
     I peregrini marmi che vi ſoro
     Da dotta mano in varie ſorme ſculti,
     Pitture, e getti, e tant’ altro lauoro:
     (Bè ch la notte a gliocchi il piú ne occulti)
     Moſtran che no baſtaro a tanta mole
     Di duo Re inſieme le ricchezze ſole,

[78]
Sopra glialtri ornamenti ricchi e belli
     Ch’ erano assai ne la gioconda ſtanza:
     V’era vna ſonte: che per piú ruſcelli
     Spargea freſchiſſime acque in abodáza,
     Poſte le menſe hauean quiui i donzelli
     Ch’era nel mezo per vgual diſtanza,
     Vedeua e parimente veduta era
     Da quattro porte de la caſa altiera.

[79]
Fatta da maſtro diligente e dotto
     La ſonte era con molta e ſuttil opra
     Di loggia a guiſa o padiglion, ch’in otto
     Faccie diſtito: intorno adombri e cuopra
     Vn ciel d’ oro che tutto era di ſotto
     Colorito di ſmalto le ſta fopra,
     Et otto ſtatue ſon di marmo bianco
     Che foſtégon ql ciel col braccio maco.

[60]
Ne la man deſtra il corno d’ Amalthea
     Sculto hauea lor l’ingenioſo maſtro,
     Onde con grato murmure cadea
     L’acqua di ſuore in vaſo d’alabaſtro,
     Et a ſembianza di gran donna hauea
     Ridutto co grande arte ogni pilaſtro,
     Son d’ habito e di faccia differente
     Ma gratia nano e beltá tutte vgualméte.

[81]
Fermaua il pie ciaſcun di qſti ſegni
     Sopra due belle imagini piú baſſe,
     Che con la bocca aperta facean ſegni
     Che’l cato e l’harmonia lor dilettaſſe,
     E quell’atto in che ſon par che diſegni
     Che l’opra e ſtudio lor tutto lodaſſe
     Le belle dòne che ſu gli homeri hanno,
     Se foſſer quei di cu’ in ſembianza ſtano.

[82]
I ſimulachri inſeriori, in mano
     Hauean lunghe & ampliſſime ſcritture:
     Oue facean con molta laude piano
     I nomi de le piú degne ſigure:
     E moſtrauano anchor poco lontano
     I propri loro in note non oſcure,
     Miro Rinaldo a lume di doppieri
     Le dòne ad vna ad vna e i cauallieri.

[83]
La pma iſcrittion ch’a gliocchi occorre
     CO lungo honor Lucretia Borgia noma,
     La cui bellezza & honeſta, preporre
     Debbe all’antiqua, la ſua patria Roma,
     I duo che voluto han fopra ſé torre
     Tanto eccellente & honorata ſoma
     Noma lo ſcritto, Antonio Thebaldeo
     Hercole Strozza, u Lino, & vno Orpheo

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[84]
No men gioconda ſtatua ne men bella
     Si vede appreſſo, e la ſcrittura dice
     Ecco la ſiglia d’ Hercole Iſlabella:
     Per cui Ferrara ſi terra felice
     Via piú perche in lei nata fará qlla,
     Che d’altro ben, che proſpera e fautrice
     E benigna Fortuna dar le deue
     Volgendo glianni nel ſuo corſo lieue.

[85]
I duo che moſtran diſioſi affetti
     Che la gloria di lei ſempre riſuone,
     Gian Iacobi vgualmente erano detti
     L’uno Calandra e l’altro Bardelone,
     Nel terzo e quarto loco oue per ſtretti
     Riui, l’acqua eſce ſuor del padiglione
     Due dòne ſon che patria, ſtirpe, honore
     Hanno di par, di par beltá e valore.

[86]
Heliſſabetta l’una, e Leonora
     Nominata era l’altra, e ſia per quanto
     Narraua il marmo ſculto d’eſſe anchora
     Si glorioſa la terra di Manto.
     Che di Vergilio che tanto l’honora
     Piú che di qſte non ſi dará vanto,
     Hauea la prima a pie del ſacro lembo
     Iacobo Sadoletto, e Pietro Bembo.

[87]
Vno elegante Caſtiglione, e vn culto
     Mutio Arelio de l’altra eran foſtegni,
     Di qſti nomi era il bel marmo ſculto
     Ignoti allhora, hor ſi famoſi e degni,
     Veggon poi qlla a cui dal cielo indulto
     Tanta virtú fará quanta ne regni
     O mai regnata in alcun tempo ſia
     Verfata da Fortuna hor buona hor ria.

[88]
Lo ſcritto d’ oro eſſer coſtei dichiara
     Lucretia Bentiuoglia, e ſra le lode
     Pone di lei: che’l Duca di Ferrara
     D’ eſſerle padre ſi rallegra e gode:
     Di coſtei canta con ſoaue e chiara
     Voce, vn Camil che’l Rheno e Felſina ode
     Co tata attètion tanto ſtupore
     Co qjta Amphryfo vdi giá il ſuo paſtof

[89]
Et vn per cui la terra oue l’Ifauro
     Le ſue dolci acqj í ſala in maggior vaſe:
     Nominata fará da l’Indo al Mauro
     E da l’Auſtrine all’Hyperboree caſe
     Via piú che per peſare il Romano auro
     Di che perpetuo nome le rimaſe,
     (’.nido Poſthumo a cui doppia corona
     Pallade quinci: e quindi Phebo dona.

[90]
L’altra che ſegue in ordine e Diana:
     NO guardar dice ilmarmo ſcritto, ch’ella
     Sia altiera in villa, che nel core humana
     Non fará perho men ch’in viſo bella,
     Il dotto Celio Calcagnin lontana
     Fara la gloria e’l bel nome di qlla
     Nel regno di Monefe: in ql di Iuba:
     In India e Spagna vdir co chiara Tuba.

[91]
Et vn Marco Cauallo che tal ſonte
     Fara di poeſia naſcer d’Ancona
     Qual ſé il cauallo alato vſcir del monte
     Non ſo ſé di Parnaſſo o d’Helicona:
     Beatrice appreſſo a queſto alza la ſronte
     Di cui lo ſcritto ſuo coſi ragiona
     Beatrice bea viuèdo il ſuo conſorte:
     E lo laſcia inſelice alla ſua morte.

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[92]
Anzi tutta l’Italia che con lei
     Fia triumphante, e ſenza lei captiua:
     Vn Signor di Coreggio di cortei
     Con alto ſtil par che cantando ſcriua,
     E Timotheo l’honor de Bèdedei:
     Ambi faran tra l’una e l’altra riua
     Fermar al ſuon de lor ſoaui plettri
     Il fiume oue ſudar gli antiqui elettri,

[93]
Tra queſto loco e quel de la colonna
     Che ſu ſculpita in Borgia com’è detto:
     Formata in alabaſtro vna gran donna
     Era di tanto e ſi ſublime aſpetto
     Che ſotto puro velo in nera gonna
     Senza oro e geme in vn veſtire ſchietto
     Tra le piú adorne non parea men bella
     Che ſia tra l’altre la Cyprigna ſtella.

[94]
Non ſi potea ben contemplando ſilo
     Conoſcer ſé piú graſia o piú beltade:
     O maggior maeſta foſſe nel viſo:
     O piú inditio d’ingegno: o d’ honeſtade
     Chi vorrá di coſtei (dicea l’inciſo
     Marmo) parlar quanto parlar n’ accade:
     Ben torra impreſa piú d’ ognaltra degna
     Ma no perho ch’a ſin mai ſé ne vegna.

[95]
Dolce quantunq; e pien di graſia tanto
     Foſſe il ſuo bello e ben ſormato ſegno:
     Parea ſdegnarſi, che con humil canto
     Ardiſſe lei lodar ſi rozo ingegno
     Com’era quel che ſol fenz’ altri a canto
     (No ſo perche) le ſu fatto foſtegno:
     Di tutto’l reſto erano i nomi ſculti
     Sol queſti duo l’artefice hauea occulti.

[96]
Fanno le ſtatue in mezo vn luogo tondo
     Che’l pauimento aſciutto ha di corallo,
     Dí ſreddo ſoauiſſimo giocondo
     Che rendea il puro e liquido chryſtallo
     Che di ſuor cade in vn canal fecondo:
     Che’l pratoverde, azurro, biáco, e giallo
     Rigando ſcorre per vari ruſcelli,
     Grato alle morbide herbe e a gli arbuſcelli

[97]
Col corteſe hoſte ragionando ſtaua
     Il Paladino a menſa, e ſpeffo ſpeffo
     Senza piú diſſerir, gli ricordaua,
     Che gli atteneſſe quanto hauea .pmeſſo:
     E adhor adhor mirandolo, oſſeruaua
     C hauea di grade affanno il cor oppſſo,
     Che nò può ſtar mometo che no habbia
     Vn cocente ſoſpiro in ſu le labbia.

[98]
Speſſo la voce dal diſio cacciata
     Viene a Rinaldo ſin preſſo alla bocca,
     Per domandarlo, e quiui raffrenata
     Da corteſe modeſtia ſuor non ſcocca,
     Hora eſſendo la cena terminata
     Ecco vn donzello a chi l’ufficio tocca:
     Pon ſu la menſa vn bel napo d’ or ſino
     Di ſuor di geme e dentro pien di vino.

[99]
Il Signor de la caſa allhora alquanto
     Sorridedo, a Rinaldo leuo il viſo,
     Ma chi ben lo notaua: piú di pianto
     Parea e’ haueſſe voglia che di riſo,
     Diſſe, hora a quel che mi ricordi tanto
     Che tempo ſia di ſodisſar m’e auiſo
     Moſtrarti vn paragon ch’eſſer de grato
     Di vedere a ciaſcun e’ ha moglie allato.

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[100]
Ciaſcun marito a mio giuditio deue
     Sempre ſpiar ſé la ſua donna l’ama:
     Saper s’honore o biaſmo ne riceue
     Se p lei beſtia, o ſé pur’huom ſi chiama,
     l’incarco de le corna, e lo piū lieue
     Ch’ai modo ſia, ſé bé l’huom tato inſama
     Lo vede quaſi tutta l’altra gente
     E chi l’ha in capo mai non ſé lo ſente,

[101]
Se tu fai che fedel la moglie ſia
     Hai di piū amarla e d’honorar ragione
     Che no ha quel che la conoſce ria
     ql che ne ſta in dubbio e in paſſione,
     Di molte n’hanno a torto geloſia
     1 lor mariti, che ſon caſte e buone,
     Molti di molte ancho ſicuri ſtanno
     Che co le corna in capo ſé ne vanno.

[102]
Se vuoi ſaper ſé la tua ſia pudica.
     Come io credo che credi, e creder dei
     Ch’altrimente far credere e fatica
     Se chiaro giā per proua no ne fei,
     Tu per te ſteffo ſenza ch’altri il dica
     Te n’auuedrai, s’in queſto vaſo bei
     Che per altra cagion no e qui meſſo
     Che p moſtrarti quato io t’ho pmeſſo.

[103]
Se bei co queſto vedrai grande effetto
     Che ſé porti il cimier di Cornouaglia
     Il vía ti ſpargerai tutto fu’l petto,
     Ne gocciola farā ch’in bocca faglia:
     Ma s’hai moglie fedel tu berai netto,
     Hor di veder tua ſorte ti trauaglia,
     Coſi dicendo per mirar tien gliocchi
     Ch’in ſeno il vin Rinaldo ſi trabbocchi.

[104]
Quaſi Rinaldo di cercar ſuaſo
     Quel che poi ritrouar no vorria ſorſè,
     Meſſa la mano inanzi, e preſo il vaſo
     Fu preſſo di voler in proua porſe,
     Poi quanto foſſe periglioſo il caſo
     A porui i labri col penſier diſcorfe,
     Ma laſciate Signor ch’io mi ripoſe
     Poi diro quel, che’l Paladin riſpofe.