Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 28

Canto 28

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Canto 27 Canto 29

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CANTO XXVIII



[1]

D
Onne, e voi che le donne hauete in pregio

     Per Dio nò date a qſta hiſtoria orecchia
     A qſta che l’hoſtier dire in diſpregio
     E in voſtra inſamia e biaſmo s’apparecchia
     Ben che ne macchia vi può dar ne ſregio
     Lingua ſi vile, e ſia l’ufanza vecchia
     Che’l volgare ignorante ognun riprenda
     E parli piū di quel che meno intenda.

[2]
Laſciate queſto canto che ſenza eſſo
     Può ſtar l’hiſtoria, e nò farā men chiara:
     Mettèdolo Turpino anch’io l’ho meſſo
     Non per maliuolentia ne per gara:
     Ch’iov’ami, oltre mia ligua chi’ ha eſpffo
     Che mai non ſu di celebrami auara
     N’ho fatto mille proue, e v’ho dimoſtro
     Ch’io ſon ne potrei eſſer ſé non voſtro.

[3]
Paſſi chi vuol tre charte o quattro, ſenza
     Leggerne verſo, e chi pur legger vuole
     Gli dia quella medeſima credenza
     Che ſi ſuol dare a ſintioni, e a ſole,
     Ma tornado al dir noſtro, poi ch’udièza
     Apparecchiata vide a ſue parole
     E darſi luogo incontra al caualliero
     Coſi l’hiſtoria incomincio l’hoſtiero.

[4]
Aſtolfo, Re de Longobardi, quello
     A cui laſcio il ſratel Monacho il regno:
     Fu ne la giouinezza ſua ſi bello
     Che mai poch’altri giuſero a quel ſegno,
     N’hauria a fatica vn tal fatto a penello
     Apelle, o Zeuſi, o ſé v’e alcū piū degno:
     Bello era, & a ciaſcun coſi parea
     Ma di molto egli anchor piū ſi tenea.

[5]
Non ſtimaua egli tanto per l’altezza
     Del grado ſuo d’hauere ognun minore,
     Ne tanto che di genti e di ricchezea
     Di tutti i Re vicini era il maggiore,
     Quato che di preſentia e di bellezza
     Hauea p tutto’l mondo il primo honore:
     Godea di queſto, vdendofi dar loda
     Quanto di coſa volentier piū s’oda.

[6]
Tra glialtri di ſua corte hauea assai grato
     Fauſto latini vn cauallier Romano,
     Con cui ſouente eſſendoſi lodato
     Hor del bel viſo, hor de la bella mano,
     Et hauendolo vn giorno domandato
     Se mai veduto hauea preſſo o lontano
     Altro huom di ſorma coſi bè comporto,
     Contra quel che credea gli ſu riſpoſto.

[7]
Dico (riſpoſe Fauſto) che fecondo
     Ch’io veggo, e ch parlarne odo a ciaſcuo
     Ne la bellezza hai pochi pari al mondor
     E queſti pochi io li reſtringo in vno,
     Queſt’uno e vn ſratel mio detto Iocòdo:
     (Eccetto lui) ben crederò ch’ognuno
     Di beltā molto a dietro tu ti laſſi
     Ma queſto ſol credo t’adegui e paſſi.

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[8]
Al Re parue impoſſibil coſa vdire
     Che ſua la palma infin’ allhora tenne:
     E d’ hauer conoſcenza alto delire
     Di ſi lodato giouene gli venne,
     Fé ſi con Fauſto, che di far venire
     Quiui il ſratel prometter gli conuenne.
     Ben ch’a poterlo indur che ci veniſſe
     Saria fatica, e la cagion gli diſſe.

[9]
Che’l ſuo fratello era huo ch moſſo il piede
     Mai no hauea di Roma alla ſua vita,
     Che del ben che Fortuna gli concede
     Traquilla e ſenza affanni hauea notrita,
     La roba, di che’l padre il laſcio herede,
     Ne mai creſciuta hauea ne minuita,
     E che parrebbe a lui Pauia lontana
     Piú ch no parria a vn’ altro ire alla Tana,

[10]
E la difficulta faria maggiore
     A poterlo ſpiccar da la mogliere,
     Con cui legato era di tanto amore
     Che non volendo lei, non può volere:
     Pur per vbbidir lui che gli e Signore,
     Diſſe d’ andare, e fare oltre il potere
     Giunſe il Re a prieghi tali oſſerte e doni
     Che di negar non gli laſcio ragioni.

[11]
Partiſſe, e in pochi giorni ritrouoſſe
     Dentro di Roma alle paterne caſe,
     Quiui tanto prego, che’l ſratel moſſe
     Si ch’a venire al Re gli perſuaſe
     E fece anchor (ben che diffidi foſſe)
     Che la cognata tacita rimaſe,
     Proponendole il ben che n’ ufeiria,
     Oltre ch’obligo ſempre egli l’hauria.

[12]
Fiſſe Iocondo alla partita il giorno,
     Trouo caualli, e ſeruitori intanto,
     Veſti ſé far per comparire adorno:
     Che talhor creſce vna beltá vn bel mato
     La notte a lato, e’l di la moglie intorno
     Co gliocchi adhor adhor pgni di pianto
     Gli dice, che non fa come patire
     Potrá tal lontananza e non morire.

[13]
Che penſandoui ſol, da la radice
     Sueller ſi ſente il cor nel lato manco,
     Deh vita mia, non piagnere (le dice
     Iocódo) e ſeco piagne egli non manco,
     Coſi mi ſia queſto camin felice
     Come tornar vo ſra duo meli al manco,
     Ne mi faria paſſar d’un giorno il ſegno
     Se mi donaſſe il Re mezo il ſuo regno.

[14]
Ne la Donna perciò ſi riconforta,
     Dice, che troppo termine ſi piglia,
     E s’ al ritorno non la troua morta
     Eſſer non può ſé non gran marauiglia,
     No laſcia il duol che giorni e notte porta
     Che guſtar cibo e chiudere poſſa ciglia:
     Tal che per la pietá Iocondo ſpeffo
     Si pente, ch’al fratello habbia promeſſo.

[15]
Dal collo vn ſuo monile ella ſi ſciolſe
     Ch’una crocetta hauea ricca di gemme
     E di fante reliquie, che raccolſe
     In molti luoghi vn peregrin Boemme,
     Et il padre di lei ch’in caſa il tolſe
     Tornando inſermo di Hieruſalemme,
     Venendo a morte poi ne laſcio herede
     Queſta leuoſſi, & al marito diede.

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[16]
E che la porti per ſuo amore al collo
     Lo prega, ſiche ogn’hor gli ne ſouenga,
     Piacqj il dono al marito, & accettollo
     Non perche dar ricordo gli conuenga:
     Che ne tempo ne abſentia mai dar crollo
     Ne buona o ria fortuna che gli auenga
     Potrá a quella memoria ſalda e ſorte
     C ha di lei ſemp e haura dopo la morte.

[17]
La notte ch’andò inanzi a quella Aurora
     Che ſu il termine eſtremo alla partenza,
     Al ſuo Iocondo par ch’in braccio muora
     La moglie, che n’ ha toſto da ſtar ſenza,
     Mai nò ſi dorme, e inázi al giorno ú hora
     Viene il marito all’ultima licenza,
     Monto a cauallo e ſi parti in effetto
     E la moglier ſi ricorco nel letto.

[18]
Iocondo anchor duo miglia ito non era
     Che gli venne la croce raccordata,
     C hauea ſotto il guancial meſſo la ſera,
     Poi per obliuion l’hauea laſciata,
     Laſſo (dicea tra ſé) di che maniera
     Trouero ſcuſa che mi ſia accettata?
     Che mia moglie non creda che gradito
     Poco da me ſia l’amor luo infinito?

[19]
Penſa la ſcuſa, e poi gli cade in mente
     Che non fará accettabile ne buona
     Mandi famigli mandiui altra gente
     S’ egli medeſmo non vi va in perſona,
     Si ferma, e al ſratel dice, hor pianamente
     Fin’ a Baccano al primo albergo ſprona,
     Che dentro a Roma e ſorza ch’io riuada
     E credo ancho di giugnerti per ſtrada.

[20]
Non potria fare altri il biſogno mio
     Ne dubitar ch’io faro toſto teco:
     Volto il ronzin di trotto, e diſſe a dio
     Ne de famigli ſuoi volſe alcun ſeco,
     Giá cominciaua quando paſſo il rio
     Dinanzi al Sole a ſuggir l’aer cieco,
     Smonta in caſa, va al letto, e la conſorte
     Quiui ritroua addormentata ſorte.

[21]
La cortina leuo ſenza far motto
     E vide quel che men veder credea,
     Che la ſu a caſta e fedel moglie, ſotto
     La coltre i braccio a vn giouene giacea,
     Riconobbe l’adultero dibotto
     Per la pratica lunga che n’ hauea,
     Ch’ era de la famiglia ſua vn garzone
     Alleuato da lui d’humil natione.

[22]
S’ attonito reſtaffe e mal contento
     Meglio e penſarlo, e farne fede altrui
     Ch’efferne mai per far l’eſperimento
     Che con ſuo gran dolor ne ſé coſtui,
     Da lo ſdegno aſſalito hebbe talento
     Di trar la ſpada, e vccidergli ambedui,
     Ma da l’amor che porta al ſuo diſpetto
     All’ingrata moglier, gli ſu interdetto,

[23]
Ne lo laſcio queſto ribaldo Amore
     (Vedi ſé ſi l’hauea fatto vaſallo)
     Deſtarla pur, per non le dar dolore
     Che foſſe da lui colta in ſi gran fallo,
     Quanto potè piú tacito vſci ſuore
     Sceſe le ſcale, e rimonto a cauallo,
     E punto egli d’Amor coſi lo punſe
     Ch’ali’ albergo non ſu che’l ſratel giuſe.

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[24]
Cambiato a tutti parue eſſer nel volto
     Vider tutti che’l cor non hauea lieto:
     Ma non v’e chi s’apponga giá di molto
     E porta penetrar nel ſuo ſecreto,
     Credeano che da lor ſi foſſe tolto
     Per gire a Roma, e gito era a Corneto.
     Ch’Amor ſia del mal cauſa ognú s’auifa
     Ma non e giá chi dir ſappia in che guiſa.

[25]
Eſtimafi il ſratel che dolor habbia
     D’ hauer la moglie ſua ſola laſciata,
     E pel contrario duolſi egli & arrabbia
     Che rimaſa era troppo accompagnata,
     Con ſronte creſpa e con gonſiate labbia
     Sta l’infelice, e ſol la terra guata,
     Fauſto ch’a confortarlo vſa ogni proua
     Perche non fa la cauſa, poco gioita.

[26]
Di contrario liquor la piaga gli vnge
     E doue tor douria, gli accreſce doglie,
     Doue douria ſaldar, piú l’apre e punge
     Queſto gli fa col ricordar la moglie.
     Ne poſa di ne notte, il ſonno lunge
     Fugge col guſto, e mai non ſi raccoglie:
     E la faccia che dianzi era ſi bella
     Si cangia ſi, che piú non ſembra quella.

[27]
Par che gliocchi ſé aſcondin ne la teſta:
     Creſciuto il naſo par nel viſo ſcarno,
     De la beltá ſi poca gli ne reſta
     Che ne potrá far paragone indarno,
     Col duol venne vna febbre ſi moleſta
     Ch lo ſé ſoggiornar All’arma e all’Amo
     E ſé di bello hauea ferbata coſa
     Torto reſto come al Sol coltarofa.

[28]
Oltre ch’a Fauſto increſca del fratello
     Che veggia a ſimil termine condutto.
     Via piú glincreſce che bugiardo a qllo
     Principe, a chi lodollo parrá in tutto,
     Moſtrar di tutti gli huomini il piú bello
     Gli hauea pmeſſo, e moſtrera il piú brutto
     Ma pur continuando la ſua via
     Seco lo traſſe al ſin dentro a Pauia.

[29]
Giá nò vuol che lo vegga il Re iprouiſo
     Per non moſtrarfi di giudicio priuo.
     Ma per lettere inanzi gli da auiſo
     Che’l ſuo ſratel ne viene a pena viuo,
     Et ch’era ſtato all’aria del bel viſo
     Vn’ affanno di cor tanto nociuo
     Accompagnato da una febbre ria
     Che piú non parea quel ch’eſſer ſolia.

[30]
Grata hebbe la venuta di Iocondo
     Quanto poteſſe il Re d’amico hauere:
     Che non hauea deſiderato al mondo
     Coſa altretanto, che di lui vedere,
     Ne gli ſpiace vedertelo fecondo
     E di bellezza dietro rimanere:
     Ben che conoſca, ſé non ſorte il male
     Che gli faria ſuperiore o vguale.

[31]
Giunto lo fa alloggiar nel ſuo palagio:
     Lo viſita ogni giorno, ognihora n’ode,
     Fa gran prouiſion che ſtia con agio,
     E d’honorarlo assai ſi ſtudia e gode,
     Langue Iocondo, che’l penſier maluagio
     C ha de la ria moglier, ſempre lo rode,
     Ne’l ueder giochi ne mufici vdire
     Dramma del ſuo dolor può minuire.

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[32]
Le ſtanze ſue che ſono appreſſo al tetto
     l’ultime, inanzi hanno vna ſala antica:
     Quiui ſolingo (perche ogni diletto
     Perdi’ ogni compagnia proua nimica)
     Si ritrahea, Tempre aggiungédo al petto
     Di piú graui penſier nuoua fatica:
     E trouo quiui (hor chi lo crederla?)
     Chi lo ſano de la ſua piaga ria.

[33]
In capo de la ſala, oue e piú ſcuro
     Che non vi s’ uſa le fineſtre aprire:
     Vede che’l palco mal ſi giunge al muro
     Et fa d’ aria piú chiara vn raggio vſcire:
     Pon l’occhio quindi, e vede ql che duro
     A creder ſora a chi l’udiſſe dire:
     No l’ode egli d’altrui, ma ſé lo vede
     Et ancho a gli occhi ſuoi pprii no crede.

[34]
Quindi ſcopria de la Regina tutta
     La piú ſecreta ſtanza e la piú bella:
     Oue perſona non verria introdutta
     Se per molto fedel non l’haueſſe ella,
     Quindi mirando vide in ſtrana lutta
     Ch’ un Nano auiticchiato era co quella,
     Et era quel piccin ſtato ſi dotto
     Che la Regina hauea mena di ſotto.

[35]
Attonito Iocondo e ſtupefatto
     E credendo ſognarſi, vn pezzo ſtette,
     E quando vide pur che gli era in fatto
     E non in ſogno, a ſé ſteffo credette,
     A vno ſgrignuto moſtro e contrafatto
     Dunque diſſe coſtei ſi ſottomette?
     Che’l maggior Re del modo ha p marito
     Piú bello e piú corteſe, o che appetito.

[36]
E de la moglie ſua, che coſi ſpeffo
Piú d’ ognaltra biaſmaua, ricordoſſe,
Perche’l ragazzo s’ hauea tolto appreſſo
Et hor gli parue che eſcufabil ſotte:
Non era colpa ſua piú che del feſſo
Che d’ un ſolo huomo mai non cotétoſſe,
E s’ha tutte vna macchia d’uno ichioſtro
Almen la ſua nò s’ hauea tolto vn moſtro

[37]
Il di ſeguente alla medeſima hora
     Al medeſimo loco fa ritorno
     E la Regina e il Nano vede anchora
     Che ſano al Re pur il medeſmo ſcorno
     Troua l’altro di anchor che ſi lauora
     E l’altro, e al ſin non ſi fa feſta giorno,
     E la Regina, che gli par piú ſtrano:
     Sempre ſi duol che poco l’ami il Nano.

[38]
Stette ſra glialtrivn giorno a veder ch’ella
     Era turbata, e in gran malenconia,
     Che due volte chiamar per la donzella
     Il Nano fatto hauea, n’ anchor venia:
     Mando la terza volta, & vdi quella
     Che, Madonna egli giuoca, riferia
     E per non ſtare in perdita d’un ſoldo
     A voi niega venire il manigoldo.

[39]
A ſi ſtrano ſpettacolo Iocondo
     Raſerena la ſronte, e gliocchi, e il viſo:
     E quale in nome, diuento giocondo
     D’effetto anchora, e torno il piato in riſo,
     Allegro torna e graſſo e rubicondo
     Che ſembra vn Cherubin del Paradiſo,
     Che’l Re, il fratello, e tutta la famiglia
     Di tal mutation ſi marauiglia.

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[40]
Se da Iocondo il Re bramaua vdire
     Onde veniſſe il ſubito conſorto,
     Non men Iocondo lo bramaua dire
     E fare il Re di tanta ingiuria accorto,
     Ma non vorria che piú di ſé punire
     Voleſſe il Re la moglie di quel torto,
     Si che per dirlo e non far danno a lei
     Il Re fece giurar ſu PAgnufdei.

[41]
Giurar lo ſé, che ne per coſa detta
     Ne che gli ſia moſtrata che gli ſpiaccia:
     Anchor ch’egli conoſca che diretta-
     Mente a ſua maeſta danno ſi faccia,
     Tardi o per tempo mai fará vendetta,
     E di piú vuole anchor che ſé ne taccia
     Si che ne il malſattor giamai comprenda
     In fatto o in detto, che’l Re il caſo inteda.

[42]
Il Re ch’ognaltra coſa ſé non queſta
     Creder potria, gli giuro largamente,
     Iocondo la cagion gli manifeſta
     Ond’era molti di ſtato dolente,
     Perche trouata hauea la dishoneſta
     Sua moglie, I braccio d’u ſuo vii ſergète:
     E che tal pena al ſin l’haurebbe morto
     Se tardato a venir foſſe il conſorto.

[43]
Ma in caſa di ſua altezza hauea veduto
     Coſa, che molto gli ſcemaua il duolo:
     Che ſé bene in obbrobrio era caduto
     Era almen certo di non v’ eſſer ſolo:
     Coſi dicendo, e al bucolin venuto
     Gli dimoſtro il bruttiſſimo homiciuolo
     Che la giumenta altrui ſotto ſi tiene
     Tocca di ſproni e fa giuocar di ſchene.

[44]
Se panie al Re vituperoso l’atto
Lo crederete ben ſenza ch’io’l giuri,
Ne ſu per arrabbiar, per venir matto
Ne ſu per dar del capo in tutti i muri,
Fu per gridar, ſu per non ſtare al patto,
Ma ſorza e che la bocca al ſin ſi turi,
E che l’ira trangugi amara & aera
Poi che giurato hauea ſu l’hoſtia ſacra.

[45]
Che debbo far che mi conſigli ſrate?
     (Diſſe a Iocondo) poi che tu mi tolli
     Che con degna vendetta e crudeltade
     Queſta giuſtiffima ira io non ſatolli ?
     Laſcian (diſſe Iocondo) queſte ingrate
     E punii. ini ſé ſon l’altre coſi molli:
     Faccian de le lor femine ad altrui
     Quel ch’altri de le noſtre han fatto a nui

[46]
Ambi gioueni ſiamo, e di bellezza
     Che facilmente non trouiamo pari,
     Qual femina fará che n’ufi aſprezza
     Se cètra i brutti anchor non han ripari?
     Se beltá non varrá ne giouinezza:
     Varrane almen l’hauer con noi danari,
     Non vo che torni che non babbi prima
     Di mille moglie altrui la ſpoglia opima.

[47]
I.a lunga abſentia, il veder vari luoghi
     Praticare altre femine di ſuore,
     Par che ſouente diſacerbi e sfoghi
     De l’amoroſe paſſioni, il core,
     Lauda il parer, ne vuol che ſi proroghi
     Il Re l’andata, e ſra pochiſſime hore
     Co duo feudieri oltre alla compagnia
     Del cauallier Roman, ſi mette in via.

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[48]
Traueſtiti cercaro, Italia,, Francia
     Le terre de Fiaminghi, e de l’Ingleſi:
     E quante ne vedean di bella guancia
     Trouauan tutte a i prieghi lor corteſi,
     Dauano e dato loro era la mancia,
     E ſpeffo rimetteano i danar ſpefi
     Da lor pregate ſoro molte, e ſoro
     Anch’ altretante che pregaron loro.

[49]
In queſta terra vn meſe, in quella dui
     Soggiornando, accertarſi a vera proua
     Che non men ne le lor, che ne l’altrui
     Femine, Fede e Caſtita ſi troua:
     Dopo alcu tépo increbbe ad ambedui
     Di ſempre procacciar di coſa nuoua:
     Che mal poteano entrar ne l’altrui porte
     Senza metterli a riſchio de la morte.

[50]
Glie meglio vna trouarne che di faccia
     E di coſtumi ad ambi grata ſia,
     Che lor communemente ſodisſaccia
     E non n’habbin d’ hauer mai geloſia,
     E pche (dicea il Re) vo che mi ſpiaccia
     Hauer piú te ch’un’ altro in compagnia?
     So ben ch’in tutto il gran femineo ſtuolo
     Vna non e, che ſtia contenta a vn ſolo.

[51]
Vna, ſenza sforzar noſtro potere
     Ma quando il naturai biſogno inuiti:
     In feſta goderemoci e in piacere,
     Che mai conteſe non hauren ne liti,
     Ne credo che ſi debba ella dolere
     Che s’acho ogn’ altra haueſſe duo mariti
     Piú ch’ad vn ſolo a duo faria fedele
     Ne ſorſè s’ udirian tante querele.

[52]
Di quel che diſſe il Re, molto contento
     Rimaner parue il giouine Romano,
     Dunqj fermati in tal proponimento
     Cercar molte montagne e molto piano,
     Trouaro al ſin fecondo il loro intento
     Vna ſigliuola d’ uno hoſtiero Hiſpano,
     Che tenea albergo al porto di Valenza
     Bella di modi, e bella di preſenza.

[53]
Era anchor fu’l fiorir di primauera
     Sua tenerella e quaſi acerba etade,
     Di molti ſigli il padre aggrauat’ era
     E nimico mortai di pouertade,
     Si ch’a diſporlo ſu coſa leggiera
     Che deſſe lor la ſiglia in poteſtade,
     Ch’oue piaceſſe lor, poteſſon trarla
     Poi che pmeſſo hauean di bé trattarla.

[54]
Pigliano la fanciulla, e piacer n’hano
     Hor lun’hor l’altro í charitade e í pace,
     Come a vicenda i mantici che danno
     Hor l’uno hor l’altro ſiato alla ſornace,
     Per veder tutta Spagna indi ne vanno
     E paſſar poi nel regno di Siphace,
     E’l di che da Valenza ſi partirò
     Ad albergare a Zattiua veniro,

[55]
I patroni a veder ſtrade e palazzi
     Ne vano, e lochi publici e diuini:
     Ch’ufanza han di pigliar ſimil ſolazzi
     In ogni terra oue entran peregrini,
     E la fanciulla reſta co i ragazzi
     Altri i letti: altri acconciano i ronzini:
     Altri hanno cura che ſia alla tornata
     De i Signor lor, la cena apparecchiata.

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[56]
Ne l’albergo vn garzon ſtaua per fante
Ch’in caſa de la giouene giá Mette
A ſeruigi del padre, e d’effa amante
Fu da primi anni, e del ſuo amor godettt-,
Bè s’ adocchiar, ma non ne ſer ſembiante
Ch’effer notato ognun di lor temette,
Ma toſto ch’i patroni, e la famiglia
Lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.

[57]
Il fante domando doue ella giſſe
     E qual de i duo Signor l’haueſſe ſeco,
     A punto la Fiammetta il fatto diſſe
     (Coſi hauea nome, e ql garzOe il Greco)
     Quado ſperai che’l tèpo ohimè veniſſe
     (Il Greco le dicea) di viuer teco
     Fiammetta anima mia, tu te ne vai
     E non ſo piú di riuederti mai.

[58]
Fatinoli i dolci miei diſegni amari,
     Poi che fei d’altri, e tanto mi ti ſcoſti.
     Io diſegnaua, hauendo alcun danari
     Con gran fatica, e gran ſudor riporti,
     Ch’auanzato m’hauea de miei ſalari
     E de le bene andate di molti hoſti:
     Di tornare a Valenza, e domandarti
     Al padre tuo per moglie, e di ſpofarti.

[59]
La fanciulla ne gli homeri ſi ſtringe
     E riſponde che ſu tardo a venire,
     Piange il Greco e ſoſpira, e parte ſinge
     Vuommi (dice) laſciar coſi morire?
     Co le tuo braccia i ſianchi alme mi cinge
     Laſciami disfogar tanto deſire,
     Ch’ inanzi che tu parta ogni momento
     Che teco io ſtia mi fa morir contento.
[60]
La pietoſa fanciulla riſpondendo
     Credi dicea, che men di te noi bramo,
     Ma ne luogo ne tempo ci comprendo
     Qui doue in mezo di tanti occhi ſiamo,
     Il Greco ſoggiungea, certo mi rendo
     Che s’ un terzo ami me, di ql ch’io t’ amo
     In queſta notte almen trouerai loco
     Che ci potren godere inſieme vn poco.

[62]
Come potrò (diceagli la fanciulla)
     Che ſemp in mezo a duo la notte giaccio
     E meco hor l’uno hor l’altro ſi traſtulla
     E ſemp a l’un di lor mi trouo in braccio:
     Queſto ti ſia ^fuggiunfe il Greco) nulla
     Che ben ti ſaprai tor di qſto impaccio:
     E vſcir di mezo lor pur che tu voglia
     E dei voler quando di me ti doglia.

[63]
Penſa ella alquato, e poi dice che vegna
     (Juado creder potrá ch’ognuno dorma
     E pianamente come far conuegna
     E de l’andare e del tornar l’informa
     Il Greco, ſi come ella gli diſegna,
     Quando ſente dormir tutta la torma,
     Viene all’ufeio, e lo ſpige, e quel gli cede
     Entra pian piano, e va a tenton col piede.

[63]
Fa lunghi i paſſi, e ſempre in ql di dietro
     Tutto ſi ferma, e l’altro par che muoua
     A guiſa che di dar tema nel vetro
     NO che’l terreno habbia a calcar, ma l’uoua
     E tien la mano inanzi ſimil metro
     Va brancolando in ſin che’l letto troua,
     E di la doue glialtri hauean le piante
     Tacito ſi caccio col capo inante.

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[64]
Fra l’una e l’altra gamba di Fiammetta
Che ſupina giacea, diritto venne,
E quando le ſu a par l’abbraccio ſtretta
E fopra lei ſin preſſo al di ſi tenne,
Caualco ſorte, e non andò a ſtaffetta
Che mai beſtia mutar non gli conuenne,
Che queſta pare a lui che ſi ben trotte
Che ſcender non ne vuol per tutta notte.

[65]
Hauea Iocondo & hauea il Re ſentito
     Il calpeſtio che ſempre il letto ſcoffe,
     E l’uno e l’altro d’uno error ſchernito
     S’ hauea creduto che’l compagno foſſe,
     Poi e’ hebbe il Greco il ſuo camin ſornito
     Si come era venuto ancho tornoſſe:
     Saetto il Sol dal Orizonte i raggi
     Sorfe Fiámetta, e fece entrare i paggi.

[66]
Il Re diſſe al compagno mottegiando
     Frate molto camin fatto hauer dei,
     E tempo e ben che ti ripoſi, quando
     Stato a cauallo tutta notte fei,
     Iocondo a lui riſpoſe di rimando
     E diſſe, tu di quel ch’io a dire haurei
     A te tocca pofare, e prò ti faccia
     Che tutta notte hai caualcato a caccia.

[67]
Anch’io (ſuggiuſe il Re) ſéza alcu fallo
     Laſciato hauria il mio can correr u tratto
     Se m’haueſſi preſtato vn pò il cauallo
     Tanto che’l mio biſogno haueſſi fatto:
     Iocondo replico, ſon tuo vaſallo
     Epuoi far meco e rompere ogni patto:
     Si che non conuenia tal cenni vſare
     Ben mi poteui dir laſciala ſtare.

[68]
Tanto replica l’un, tanto ſoggiunge
     L’altro, che ſono a grane lite inſieme,
     Vengon da motti ad vn parlar che punge
     Ch’ad amenduo l’effer beffato preme,
     Chiaman Fiammetta che non era lunge
     E de la ſraude eſſer ſcoperta teme:
     Per fare in viſo l’uno all’altro dire
     Quel che negado ambi parean métire.

[69]
Dimmi (le diſſe il Re co fiero ſguardo)
     E non temer di me ne di coſtui,
     Chi tutta notte ſu quel ſi gagliardo
     Che ti gode ſenza far parte altrui?
     Credendo l’un prouar l’altro bugiardo
     La riſpoſta aſpettauano ambedui,
     Fiammetta a piedi lor ſi gitto, incerta
     Di viuer piú vedendoli ſcoperta.

[70]
Domando lor perdono, che d’amore
     Ch’a vn giouinetto hauea portato, ſpinta
     E da pietá d’un tormentato core
     Che molto hauea per lei patito, vinta:
     Caduta era la notte in quello errore,
     E ſeguito ſenza dir coſa ſinta:
     Come tra lor con ſpeme ſi conduſſe
     Ch’ ambi credeffon che’l copagno ſuſſe

[71]
Il Re e Iocondo ſi guardaro in viſo
     Di marauiglia e di ſtupor confuſi,
     Ne d’ hauer ancho vdito lor ſu auiſo
     Ch’altri duo ſuſſon mai coſi deluſi,
     Poi ſcoppiaro vgualmente in tanto riſo
     Che co la bocca aperta e gli occhi chiuſi
     Potédo apena il ſiato hauer del petto
     A dietro ſi laſciar cader fu’l letto.

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[72]
Poi e’ hebbon tanto riſo che dolere
Se ne ſentiano il petto, e piáger gliocchi
Diſſon tra lor, come potremo hauere
Guardia ch la moglier no ne l’accocchi?
Se non gioua tra duo queſta tenere
E ſtretta ſi, che l’uno e l’altro tocchi,
Se piú che crini haueſſe occhi il marito
Non potria far che non foſſe tradito.

[73]
Prouate mille riabbiamo, e tutte belle:
     Ne di tate vna e anchor che ne cótraſte,
     Se prouian l’altre, ſian ſimili anch’elle
     Ma per vltima proua coſtei baſte,
     Dunque poſſiamo creder che piú ſelle
     Non ſien le noſtre o men de l’altre caſte,
     E ſé ſon, come tutte l’altre ſono:
     Che torniamo a godercile ſia buono.

[74]
Conchiuſo e’ hebbon qſto, chiamar fero
     Per Fiammetta medeſima il ſuo amante:
     E in preſentia di molti gli la diero
     Per moglie, e dote che gli ſu baſtante,
     Poi montaro a cauallo, e il lor ſentiero
     Ch’era a Ponente: volſero a Leuante,
     Et alle mogli lor ſé ne tornaro
     Di ch’affanno mai piú non ſi pigliaro.

[75]
l’hoſtier qui ſine alla ſua hiſtoria poſe
     Che ſu con molta attentione vdita:
     Vdilla il Saracin, ne gli riſpofe
     Parola mai, ſin che non ſu ſinita,
     Poi diſſe, io credo bè che de l’aſcofe
     Feminil ſrode ſia copia inſinita:
     Ne ſi potria de la millefma parte
     Tener memoria con tutte le charte.

[76]
Quiui era ú’ huom d’etá, e’ hauea piú retta
     Opinion de glialtri, e ingegno, e ardire,
     E non potendo hormai, che ſi negletta
     Ogni femina foſſe, piú patire,
     Si volſe a quel e’ hauea l’hiſtoria detta
     E gli diſſe, assai coſe vdimo dire
     Che veritade in ſé non hanno alcuna:
     E ben di queſte e la tua fauola vna.

[77]
A chi te la narro non do credenza
     S’Euangeliſta ben foſſe nel reſto,
     Ch’opinione piú ch’eſperienza
     C habbia di donne, lo facea dir queſto,
     l’hauere ad vna o due maliuolenza
     Fa ch’odia e biaſma l’altre oltre all’honeſto
     Ma ſé gli paſſa l’ira, io vo tu P oda
     Piú c’hora biaſmo, acho dar lor gra loda

[78]
E ſé vorrá lodarne, haura maggiore
     Il capo assai, ch’a dirne mal non hebbe,
     Di cento potrá dir degne d’honore
     Verſo vna triſta che biaſmar ſi debbe,
     Non biaſmar tutte, ma ſerbarne ſuore
     La bontá d’ inſinite ſi dourebbe,
     Et fe’l Valerio tuo diſſe altrimente
     Diſſe per ira, e non per quel che ſente.

[79]
Ditemi vn poco, e di voi ſorſè alcuno
     C habbia ſeruato alla ſua moglie fede?
     Che nieghi andar quado gli ſia oportuo
     All’altrui dona, e darle anchor mercede?
     Credete in tutto’l mondo trouarne vno?
     Ch’il dice, mente, e ſolle e ben chil crede
     Trouatene vo’ alcuna che vi chiami ?
     (Non parlo de le publiche & inſami)

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[80]
Conoſcete alcun voi, che non laſciaffe
     La moglie ſola, anchor che foſſe bella:
     Per ſeguire altra donna, ſé ſperaffe
     In breue e facilmente ottener quella?
     Che farebbe egli quando lo pregaſſe
     O deſſe premio a lui donna o donzella?
     Credo per compiacere hor qſte hor qlle
     Che tutti laſciaremmoui la pelle.

[81]
Quelle che i lor mariti hanno laſciati
     Le piú volte cagione hauuta n’hanno,
     Del ſuo di caſa li veggon ſuogliati
     E che ſuor de l’altrui bramoſi vanno,
     Douriano amar volendo eſſere amati
     E tor con la miſura ch’allor danno,
     Io farei (ſé a me ſteſſe il darla e torre)
     Tal legge, e’ huo nò vi potrebbe opporre

[82]
Saria la legge ch’ogni donna colta
     In adulterio, foſſe meſſa a morte,
     Se prouar non poteſſe ch’una volta
     Haueſſe adulterato il ſuo conſorte,
     Se puar lo poteſſe, andrebbe aſciolta:
     Ne temeria il marito ne la corte,
     Chriſto ha laſciato ne i precetti ſuoi
     NO far altrui quel che patir non vuoi.

[83]
La incontinenza e quanto mal ſi puote
     Imputar lor, non giá a tutto lo ſtuolo
     Ma in qſto chi ha di noi piú brutte note i
     Che continente non ſi troua vn ſolo:
     E molto piú n’ ha ad arroſſir le gote
     Quado beſtemmia, ladroneccio, dolo
     Vfura, & homicidio, e ſé v’ e peggio
     Raro ſé non da gli huomini far veggio.

[84]
Appretto alle ragioni hauea il lincerò
     E giuſto vecchio in proto alcúo eſempio
     Di donne, che ne in fatto ne in penderò
     Mai di lor caſtita patiron ſcempio,
     Ma il Saracin che ſuggia vdire il vero
     Lo minaccio con viſo crudo & empio
     Si che lo fece per timor tacere:
     Ma giá non lo muto di ſuo parere.

[85]
Poſto c’hebbe alle liti e alle conteſe
     Termine il Re Pagan, laſcio la menſa,
     Indi nel letto per dormir ſi ſtefe
     Fin’ al partir de l’aria ſcura e denſa,
     Ma de la notte a ſoſpirar l’offefe
     Piú de la donna, ch’a dormir diſpenfa:
     Quindi parte all’uſcir del nuouo raggio
     E far diſegna in naue il ſuo viaggio.

[86]
Perho e’ hauendo tutto quel riſpetto
     Ch’ a buon cauallo dee buon caualliero
     A quel ſuo bello e buono, ch’a diſpetto
     Tenea di Sacripante e di Ruggiero,
     Vedendo per duo giorni hauerlo ſtretto
     Piú che non ſi douria ſi buon deſtriero,
     Lo pon per ripofarlo: e lo raffetta
     In vna barca, e per andar piú in fretta.

[87]
Senza idugio al Nocchier varar la barca
     E dar fa i remi all’acqua da la ſponda.
     Quella non molto grande: e poco carca
     Se ne va per la Sonna giú a feconda,
     Non ſugge il ſuo penſier: ne ſé ne ſcarca
     Rodomonte per terra ne per onda:
     Lo troua in ſu la proda, e in ſu la poppa:
     E ſé caualca il porta dietro in groppa.

[p. 373 modifica]


[88]
Anzi nel capo, o ſia nel cor gli ſiede:
     E di ſuor caccia ogni conſorto e ferra,
     Di ripararli il miſero non vede
     Da poi che gli nimici ha ne la terra,
     Non fa da chi ſperar poſſa mercede
     Se gli fanno i domeſtici ſuoi guerra:
     La notte, e’l giorno, e femp, e cObattuto
     Da quel crudel che douria dargli aiuto.

[89]
Nauiga il giorno e la notte ſeguente
     Rodomonte col cor d’affanni graue:
     E non ſi può l’ingiuria tor di mente
     Ch da la dona e dal ſuo Re hauuto haue:
     E la pena e il dolor medeſmo ſente
     Che fendila a cauallo achora in naue:
     Ne ſpegner può per ſtar ne l’acqua il fuoco
     Ne può ſtato mutar per mutar loco.

[90]
Come l’infermo che dirotto e ſtanco
     Di febbre ardente, va cangiando lato,
     O ſia ſu l’uno o ſia ſu l’altro ſianco
     Spera hauer, ſé ſi volge, miglior ſtato,
     Ne fu’l deſtro ripoſa, ne fu’l manco:
     E per tutto vgualmente e trauagliato:
     Coſi il Pagano al male ond’era inſermo
     Mal troua in terra e male í aqua ſchermo

[91]
Non puote in naue hauer piú patienza
     E ſi fa porre in terra Rodomonte
     Lion paſſa e Vienna, indi Valenza,
     E vede in Auignone il ricco ponte,
     Che queſte terre & altre vbidienza,
     Che ſon tra il fiume e’l Celtibero monte:
     Rédea al re Agramate, e al re di Spagna
     Dal di che fur Signor de la campagna.

[92]
Verſo Acquamorta a man dritta ſi tenne
     Con animo in Algier paſſare in fretta:
     E fopra vn fiume ad vna villa venne
     E da Baccho e da Cerere diletta,
     Che per le ſpeſſe ingiurie che ſoſtenne
     Da i ſoldati a votarli ſu conſtretta,
     Quinci il gra mare, e quidi ne l’apriche
     Valli, vede ondeggiar le bionde ſpiche.

[93]
Quiui ritroua vna piccola chieſa
     Di nuouo fopra vn monticel murata,
     Che poi ch’intorno era la guerra acceſa
     I ſacerdoti vota hauean laſciata:
     Ter ſtanza ſu da Rodomonte preſa
     Che pel ſito, e perch’era fequeſtrata
     Da i capi, onde hauea í odiovdir nouella
     Gli piacque ſi, che muto Algieri in qlla.

[94]
Muto d’andare in Africa penderò
     si commodo gli parne il luogo e bello,
     Famigli e carriaggi e il ſuo deſtriero
     Seco alloggiar ſé nel medeſmo hoſtello,
     Vicino a poche leghe a Mompoliero
     E ad alcun’ altro ricco e buon cartello
     Siede il villagio, allato alla riuiera,
     Si che d’hauerui ogn’agio il modo v’era.

[95]
Standoui vn giorno il Saracin penſoſo
     (Come pur era il piú del tempo vſato)
     Vide venir per mezo vn prato herboſo
     Che d’ un piccol ſentiero era ſegnato,
     Vna donzella di viſo amoroſo,
     In compagnia d’un monacho barbata
     E ſi traheano dietro vn gran deſtriero
     Sotto vna ſoma coperta di nero.

[p. 374 modifica]


[96]
Chi la donzella, chi’l monacho ſia,
     Chi portin ſeco, vi debbe eſſer chiaro,
     Conoſcere Iſſabella ſi douria
     Che’l corpo hauea del ſuo Zerbío caro:
     Laſciai che ver Prouenza ne venia
     Sotto la ſcorta del vecchio preclaro,
     Che le hauea perſuaſo tutto il reſto
     Dicare a Dio del ſuo viuere honeſto.

[97]
Come ch’in viſo pallida e ſmarrita
     Sia la donzella, & habbia i crini inconti,
     E facciano i ſoſpir continua vſcita
     Del petto acceſo, e gliocchi ſie duo ſonti
     Et altri teſtimoni d’una vita
     Mifera e graue in lei ſi veggan pronti:
     Tanto perho di bello ancho le auanza
     Ch co le Gratie Amor vi può hauer ſtaza

[98]
Toſto che’l Saracin vide la bella
     Donna apparir, meſſe il péſiero al fondo,
     C hauea di biaſmar ſempre e d’odiar qlla
     Schiera gentil che pur adorna il mondo,
     E ben gli par digniſſima Iſſabella
     In cui locar debba il ſuo amor fecondo.
     E ſpenger totalmente il primo, a modo
     Che da l’affe ſi trahe chiodo con chiodo.

[99]
Incontra ſé le fece, e col piú molle
     Parlar ch ſeppe, e col miglior ſembiate:
     Di ſua conditione domandolle:
     Et ella ogni penſier gli ſpiego inante:
     Come era per laſciare il mondo ſolle
     E farſi amica a Dio con opre fante:
     Ride il Pagao altier, ch’in Dio no crede
     D’ogni legge nimico e d’ogni fede.

[100]
E chiama intentione erronea e lieue:
     E dice che per certo ella troppo erra,
     Ne men biaſmar che V auaro ſi deue
     Che’l ſuo ricco theſor metta ſotterra,
     Alcuno vtil per ſé non ne riceue
     E da l’ufo de glialtri huomini il ferra,
     Chiuder leon ſi denno, orſi, e ſerpenti
     E non le coſe belle & innocenti.

[101]
Il Monacho ch’a qſto hauea l’orecchia
     E per ſoccorrer la giouane incauta
     Che ritratta non ſia per la via vecchia:
     Sedea al gouerno qual pratico nauta,
     Quiui di ſpiritual cibo apparecchia
     Torto vna menſa ſontuoſa e lauta:
     Ma il Saracin che con mal guſto nacque
     Non pur la faporo che gli diſpiacque.

[102]
E poi ch’in vano il Monacho interroppe
     E non potè mai far ſi che taceſſe,
     E che di patienza il ſreno roppe
     Le mani adoſſo con furor gli meſſe,
     Ma le parole mie parerui troppe
     Potriano homai ſé piú ſé ne diceſſe,
     Si che finirò il canto, e mi ſia ſpecchio
     Quel ch p troppo dire accade alvecchio.