Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 13

Canto 13

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Canto 12 Canto 14

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CANTO TERZODECIMO



[1]

B
En ſuro auenturoſi i cauallieri

     Ch’erano a qlla etā: che nei valloni
     Ne le ſcure ſpelòche e boſchi ſieri,
     Tane di Serpi: d’Orfi, e di Leoni
     Trouauan quel che ne i palazzi altieri
     A pena hor trouar puon giudici buoni,
     Donne che ne la lor piū ſreſca etade
     Sien degne d’hauer titol di beltade.

[2]
Di fopra vi narrai, che ne la grotta
     Hauea trouato Orlando vna donzella
     E che le dimando ch’iui condotta
     l’haueffe, hor ſeguitando dico ch’ella
     Poi ch piū d’un ſigniozzo l’ha íterrotta:
     Con dolce e ſuauiſſima fauella
     Al Conte fa le ſue ſciagure note,
     Con quella breuita che meglio puote.

[3]
Ben che io ſia certa (dice) o Caualliero
     Ch’io porterò del mio parlar ſupplitio,
     Perche a colui che q m’ha chiuſa: ſpero
     Che coſtei ne darā ſubito inditio,
     Pur ſon diſpoſta non celarti il vero,
     E vada la mia vita in precipitio,
     E ch’aſpettar pofs’io da lui piū gioia?
     Che’l ſi diſpoga u di voler ch’io muoia?

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[4]
Iſabella ſono io, che ſiglia ſui
     Del Re mal fortunato di Gallitia,
     Ben diſſi ſui, e’ hor non ſon piú di lui,
     Ma di dolor, d’affanno, e di meſtitia:
     Colpa d’amor, c’hio non ſaprei di cui
     Dolermi piú, che de la ſua nequitia,
     Che dolceméte ne i principii applaude
     E teſſe di nafeoſto inganno e ſraude.

[5]
Giá mi viuea di mia ſorte felice
     Gentil, giouane, ricca, honeſta, e bella:
     Vile e pouera hor ſono, hor inſelice
     E s’ altra e peggior ſorte io ſono in qlla:
     Ma voglio ſappi la prima radice
     Che produſſe quel mal che mi flagella,
     E ben ch’aiuto poi da te non eſca
     Poco non mi parrá che te n’ increſca.

[6]
Mio patre ſé in Baiona alcune gioſtre
     (Eſſer denno hoggimai dodici meſi)
     Traſſe la fama ne le terre noſtre
     Cauallieri a gioſtrar di piú paeſi,
     Fra glialtri, oſia ch’Amor coli mi moſtre
     O che virtú pur ſé ſteffa paleſi:
     Mi parue da lodar Zerbino ſolo
     Che del gran Re di Scotia era ſigliuolo.

[7]
Ilqual poi che far pruoue in campo vidi
     Miracoloſe di caualleria
     Fui preſa del ſuo amore, e non m’auidi
     Ch’io mi conobbi piú non eſſer mia
     E pur, ben che’l ſuo amor coſi mi guidi:
     Mi gioua ſempre hauere in fantaſia
     Ch’ io no mifi il mio core í luogo ímódo
     Ma nel piú dgno e bel e’ hoggi ſia al mòdo.

[8]
Zerbino di bellezza e di valore
     Sopra tutti i Signori era eminente,
     Moſtrómi, e credo mi portaſſe amore,
     E che di me non foſſe meno ardente,
     Non ci manco chi del comune ardore
     Interprete ſra noi foſſe ſouente,
     Poi che di viſta anchor ſummo diſgiuti
     Che gli animi reſtar ſempre congiunti.

[9]
Perho che dato ſine alla gran feſta
     Il mio Zerbino in Scotia ſé ritorno,
     Se fai che coſa e Amor, be fai che meſta
     Reſtai di lui penſando notte e giorno,
     Et era certa che non men moleſta
     Fiama, Uomo il ſuo cor facea ſoggiorno
     Egli non fece al ſuo diſio piú ſchermi,
     Se non che cerco via di ſeco hauermi.

[10]
E perche vieta la diuerſa fede,
     Eſſendo egli chriſtiano: io ſaracina,
     Ch’ al mio padre p moglie no mi chiede
     Per ſurto indi leuarmi ſi deſtina,
     Fuor de la ricca mia patria, che ſiede
     Tra verdi campi allato alla marina,
     Haueua vn bel giardin fopra vna riua
     Che colli Storno e tutto il mar ſcopriua.

[11]
Gli parue il luogo, a ſornir ciò diſpoſto
     Che la diuerſa religion ci vieta,
     E mi fa ſaper l’ordine che poſto
     Hauea di far la noſtra vita lieta,
     Appreſſo a Santa Marta hauea nafeoſto
     Con gente armata vna Galea ſecreta,
     In guardia d’ Odorico di Biſcaglia
     In mare e in terra maſtro di battaglia.

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[138]
ORLANDO FVRIOSO
     
[12]
     Ne potendo in perſona far l’effetto
     Perdi’ egli allhora era dal padre antico
     A dar ſoccorſo al Re di Fracia affretto,
     Manderia in vece ſua queſto Odorico,
     Che ſra tutti i fedeli amici eletto
     S’hauea pe’l piú fedele, e pe’l piú amico
E bene eſſer douea: ſé i beneſici
Semp háno ſorza d’acquiſtar gli amici.

[13]
Verria coſtui fopra vn nauilio armato
     Al terminato tempo indi a leuarmi,
     E coſi venne il giorno diſiato
     Ch détro il mio giardin laſciai trouarmi
     Odorico la notte accompagnato
     Di gente valoroſa all’acqua e all’armi
     Smonto ad vn fiume alla citta vicino:
     E venne chetamente al mio giardino.

[14]
Quindi ſui tratta alla Galea ſpalmata:
     Prima che la citta n’ haueſſe auiſi
     De la famiglia ignuda, e diſarmata,
     Altri ſuggirò, altri reſtaro ucciſi:
     Parte captiua meco ſu menata:
     Coſi da la mia terra io mi diuiſi,
     Con quanto gaudio non ti potrei dire,
     Sperado in breue il mio Zerbin ſruire.

[15]
Voltati fopra Mongia eramo a pena
     Quando ci aſſalſe alla finiſtra ſponda
     Vn vento che turbo l’aria ſerena
     E turbo il mare, e al ciel gli leuo l’onda,
     Salta vn maeſtro ch’a trauerſo mena
     E creſce adhora adhora, e foprabonda
     E creſce, e foprabonda con tal ſorza
     Che vai poco alternar poggia con orza.

[16]
Non gioua calar vele, e l’arbor fopra
     Corſia legar, ne minar cartella,
     Che ci veggia (mal grado) portar fopra
     Acuti ſcogli, appreſſo alla Rocella,
     Se non ci aiuta quel che ſta di fopra
     Ci ſpinge in terra la crudel procella:
     Il vento rio ne caccia in maggior fretta.
     Che d’arco mai non ſi auento ſaetta.

[17]
Vide il periglio il Biſcaglino, e a qllo
     Vſo vn rimedio che fallir ſuol ſpeffo,
     Hebbe ricorſo ſubito al battello:
     Caloſſi, e me calar fece con eſſo,
     Sceſer dui altri, e ne ſcèdea vn drapello
     Se i primi ſcefi l’haueffer conceſſo
     Ma con le ſpade li tenner difeoſto
     Tagliar la ſune, e ci allargamo toſto.

[18]
Fummo gittati a ſaluamento al lito
     Noi che nel paliſchermo eramo ſcefi,
     Periron glialtri col legno ſdrucito:
     In preda al mare andar tutti gli arneſi,
     All’eterna bontade, all’infinito
     Amor, rendendo graſie le man ſtefi,
     Che non m’haueſſi dal furor marino
     Laſciato tor di riueder Zerbino.

[19]
Come ch’io haueſſi fopra il legno, e veſti
     Laſciato e gioie, e l’altre coſe care
     Pur che la ſpeme di Zerbin mi reſti:
     Contèta ſon che s’ habbi il reſto il mare:
     Non ſono oue ſcendemo, i liti peſti
     D’ alcu ſentier, ne itorno albergo appare
     Ma ſolo il monte, alqual mai ſemp ſiede,
     L’òbrofo capo il vèto, e’l mare il piede.

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[20]
Quiui il crudo tyrano Amor: che femp
     D’ ogni promeſſa ſua ſu c’ideale,
     E ſempre guarda come inuolua e ſtépre
     Ogni noſtro diſegno rationale,
     Muto con triſte e dishoneſte tempre
     Mio còforto in dolor, mio bene in male:
     Che quell’amico in chi Zerbin ſi crede,
     Di delire arſe, & agghiaccio di fede.

[21]
O ch m’haueſſe í mar bramata anchora
     Ne foſſe ſtato a dimoſtrarlo ardito,
     O cominciarli il deſiderio allhora
     Che l’agio v’ hebbe dal ſolingo lito,
     Diſegno quiui ſenza piú dimora
     Condurre a ſin l’ingordo ſuo appetito,
     Ma prima da ſé torre vn de li dui
     Che nel battei campati eran con nui.

[22]
Quell’era homo di Scotia Almoio detto
     Che moſtraua a Zerbin portar gra fede
     E cómendato per guerrier perfetto
     Da lui ſu, quando ad Odorico il diede,
     Diſſe a coſtui che biaſmo era e difetto,
     Se mi traheano alla Rocella a piede,
     E lo prego ch’inanti voleſſe ire
     A farmi incontra alcun ronzin venire.

[23]
Almonio che di ciò nulla temea
     Immantinente inanzi il camin piglia
     Alla citta ch’el boſco ci aſcondea:
     E non era lontana oltra fei miglia,
     Odorico ſcoprir ſua voglia rea
     All’altro ſinalmente ſi conſiglia:
     Si perche tor non ſé lo fa d’appreffo,
     Si pche hauea gran confidentia in eſſo.

[24]
Era Corebo di Bilbao nomato
     Quel di ch’io parlo, che co noi rimaſe:
     Che da fanciullo picciolo allenato
     S’era con lui ne le medeſme caſe,
     Poter con lui comunicar l’ingrato
     Penſiero, il Traditor ſi perſuaſe,
     Sperando ch’ad amar faria piú preſto
     Il piacer de l’amico, che l’honeſto.

[25]
Corebo che gentile era e corteſe,
     Non lo potè aſcoltar ſenza gra ſdegno:
     Lo chiamo traditore, e gli conteſe
     Con parole e con fatti il rio diſegno,
     Grade ira all’úo e all’altro il core acceſe
     E con le ſpade nude ne ſer ſegno,
     Al trar de ferri, io ſui da la. paura
     Volta a ſuggir per l’alta ſelua oſcura.

[26]
Odorico che maſtro era di guerra
     In pochi colpi a tal vantaggio venne,
     Che per morto laſcio Corebo in terra,
     E per le mie veſtigie il camin tenne,
     Preſtogli Amor (ſel mio creder no erra)
     Accio poteſſe giungermi le penne,
     E gl’inſegno molte luſinghe, e prieghi,
     Con ch ad amarlo e còpiacer mi pieghi.

[27]
Ma tutto e indarno, che fermata e certa
     Piú toſto era a morir ch’a ſatisfarli
     Poi ch’ogni priego, ogni luſinga eſperta
     Hebbe e minaccie, e nò potean giouarli,
     Si riduſſe alla ſorza a faccia aperta:
     Nulla mi vai che ſupplicando parli
     De la ſé e’ hauea in lui Zerbino hauuta,
     E ch’io ne le ſu e man m’era creduta.

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[28]
Poi che gittar mi vidi i prieghi in vano
     Ne mi ſperare altronde altro ſoccorſo:
     E che piú ſempre Cupido e villano
     A me venia come famelico Orſo,
     Io mi difeſi con piedi e con mano
     Et adopraui fin’ a lugne e il morſo
     Pelagli il mento, e gli graſſiai la pelle
     Con ſtridi che n’ andauano alle ſtelle.

[29]
Non ſo ſé foſſe caſo, o li miei gridi
     Che ſi doueano vdir lungi vna lega,
     O pur ch’uſati ſian correre a i lidi
     Qſi nauilio alcun ſi rompe o anniega,
     Sopra il monte vna turba apparir vidi:
     E queſta al mare, e verſo noi ſi piega,
     Come la vede il Biſcaglin venire
     Laſcia l’impreſa, e voltaſi a ſuggire.

[30]
Contra quel diſleal mi ſu adiutrice
     Queſta turba Signor, ma a qlla image
     Che ſouente in prouerbio il vulgo dice,
     Cader de la padella ne le brage,
     Glie ver ch’io non ſon ſtata ſi inſelice
     Ne le lor menti anchor tanto maluage:
     C habbino violata mia perſona:
     Non che ſia in lor virtú ne coſa buona.

[31]
Ma perche ſé mi ſerban come io ſono
     Vergine, ſperan vedermi piú molto,
     Finito e il meſe ottauo, e viene il nono
     Che ſu il mio viuo corpo qui ſepolto,
     Del mio Zerbio ogni ſpeme abbadono:
     Ch giá, p quato ho da lor detti accolto:
     M’ha pmeſſa e veduta a vn mercadante
     Che portare al Soldan mi de in Leuate.

[32]
Coſi parlaua la gentil Donzella,
     E ſpeffo con ſignozzi, e con ſoſpiri,
     Interrompea l’angelica fauella,
     Da muouere a pietade Aſpidi e Tiri:
     Mentre ſua doglia coſi rinouella,
     O ſorſè diſacerba i ſuoi martiri,
     Da vèti huomini entrar ne la ſpelonca
     Armati chi di Spiedo e chi di Ronca.

[33]
Il primo d’effi, huom di ſpietato viſo
     Ha ſolo vn’ occhio, e ſguardo ſcuro e bieco
     l’altro d’ un colpo ch glihaueareciſo
     Il naſo e la maſcella, e fatto cieco,
     Coſtui vedendo il caualliero affifo
     Con la vergine bella entro allo ſpeco
     Volto a 9pagni diſſe, ecco augel nuouo
     A cui non teſi, e ne la rete il truouo.

[34]
Poi diſſe al Conte, huomo nò vidi mai
     Piú còmodo di te, ne piú oportuno,
     Non ſo ſé ti fé’ appoſto, o ſé lo fai
     Perche te l’habbia ſorſè detto alcuno,
     Che ſi bell’arme io deſiaua assai,
     E qſto tuo leggiadro habito bruno
     Venuto a tempo veramente fei
     Per riparare a gli biſogni miei.

[35]
Sorriſe amaramente, in pie ſalito
     Orlando, e ſé riſpoſta al maſcalzone,
     Io ti venderò l’arme ad vn partito
     Che non ha mercadante in ſua ragione,
     Del fuoco e’ hauea appreſſo indi rapito
     Pien di fuoco e di ſumo vno ſtizone
     Traſſe e peoſſe il Malandrino a caſo,
     Doue confina con le ciglia il naſo.

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[36]
Lo ſtizone ambe le palpebre colſe
     Ma maggior danno ſé ne la finiſtra,
     Che quella parte miſera gli tolſe
     Che de la luce ſola era miniſtra,
     Ne d’acciecarlo contentar ſi volſe
     Il colpo ſier, s’ anchor non lo regiſtra
     Tra qlli ſpirti che con ſuoi compagni
     Fa ſtar Chiron dentro ai bollenti ſtagni.

[37]
Ne la ſpelonca vna gran menſa ſiede
     Graſſa duo palmi, e ſpatiofa in quadro,
     Che fopra vn mal pulito e graſſo piede,
     Cape con tutta la famiglia il ladro,
     Con quell’ageuolezza che ſi vede
     Gittar la canna lo Spagnuol leggiadro:
     Orlando il graue deſco da ſé ſcaglia
     Doue riſtretta inſieme e la canaglia.

[38]
A ch’il petto, a ch’il vétre, a chi la teſta:
     A chi rompe le gambe, a chi le braccia:
     Di ch’altri muore: altri ſtorpiato reſta:
     Chi meno e oſſeſo di ſuggir procaccia:
     Coſi 1. dunita vn graue ſaſſo peſta
     E ſiachi e lobi, e ſpezza capi e ſchiaccia,
     Gittato fopra vn gran drapel di bifeie
     Ch dopo il verno al Sol ſi goda e lifeie.

[39]
Naſcono caſi: e non ſaprei dir quanti:
     Vna muore, vna parte ſenza coda:
     Vn’ altra non ſi può muouer d’ auanti:
     E’l deretano indarno aggira e ſnoda:
     Vn’ altra c’hebbe piú propitii i fanti
     Striſcia ſra l’herbe, e va ſerpédo a pda
     Il colpo horribil ſu, ma non mirando,
     Poi che lo fece il valoroſo Orlando.

[40]
Quei che la menſa, o nulla o poco ofi’efe
     (E Turpin ſcriue apunto che fur fette)
     A i piedi raccomandan ſue difeſe:
     Ma ne l’uſcita il Paladin ſi mette:
     E poi che preſi gli ha ſenza conteſe:
     Le man lor lega con la ſune iſtrette,
     Con vna ſune al ſuo biſogno deſtra
     Che ritrouo ne la caſa filueſtra.

[41]
Poi li ſtrafeina ſuor de la ſpelonca
     Doue facea gráde óbra u vecchio ſorbo
     Orlando con la ſpada i rami tronca:
     E quelli attacca per viuanda al Corbo:
     Non biſogno cathena in capo adonca:
     Che p purgare il modo di quel morbo:
     L’arbor medeſmo gli vncini preſtolli:
     Co che pe’l mento Orlando iui attacolli,

[42]
La donna vecchia amica a Malandrini
     Poi che reſtar tutti li vide eſtinti:
     Fuggi piagendo e co le mani a i crini
     Per ſelue e boſcherecci labyrinthi,
     Dopo aſpri e malageuoli camini
     A graui palli e dal timor foſpinti:
     In ripa vn fiume i vn guerrier ſcótroffe,
     Ma diferiſco a ricontar chi foſſe.

[43]
E torno all’altra che ſi raccomanda
     Al Paladin, che non la laſci ſola,
     E dice di ſeguirlo in ogni banda,
     Corteſemente Orlando la conſola,
     E quindi poi ch’ufei con la ghirlanda
     Di roſe adorna, e di purpurea ſtola
     La bianca Aurora al ſolito camino,
     Parti con Iſabella il Paladino.

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[44]
Senza trouar coſa che degna ſia
     D’ hiſtoria molti giorni inſieme andaro,
     E ſinalmente vn cauallier per via
     Che prigione era tratto, riſcontraro,
     Chi foſſe diro poi, c’hor me ne ſuia
     Tal: di chi vdir non vi fará men caro,
     La ſigliuola d’ Amon laqual laſciai
     Languida dianzi in amoroſi guai.

[45]
La bella donna diſiando in vano
     Ch’a lei faceſſe il ſuo Ruggier ritorno,
     Staua a Marſilia, oue allo ſtuol pagano
     Daua da trauagliar quali ogni giorno:
     Ilqual ſcorrea rubado in mote e I piano,
     Per Linguadoca, e p Prouenza intorno,
     Et ella ben facea l’ufficio vero
     Di ſauio Duca e d’ ottimo guerriero.

[46]
Stadoſi quiui, e di gran ſpatio eſſendo
     Paſſato il tempo che tornare a lei
     Il ſuo Ruggier douea, ne Io vedendo
     Viuea in timor di mille caſi rei,
     Vn di ſra glialtri, che di ciò piangendo
     Staua ſolinga, le arriuo colei,
     Che porto ne l’annel la medicina
     Che ſano il cor e’ hauea ferito Alcina.

[47]
Come a ſé ritornar ſenza il ſuo amante
     Dopo ſi lungo termine, la vede,
     Reſta pallida e ſmorta, e ſi tremante
     Che non ha ſorza di tenerſi in piede,
     Ma la Maga gentil le va dauante
     Ridendo (poi che del timor s’ auede)
     E con viſo giocondo la conforta
     QuaPhauer ſuol, chi buòe nuoue apporta.

[48]
Non temer diſſe di Ruggier Donzella
     Ch’ e viuo e ſano, e come ſuol t’ adora,
     Ma non e giá in ſua liberta, che quella
     Pur gli ha leuata il tuo nemico anchora,
     Et e biſogno che tu monti in fella
     Se brami hauerlo, e ch mi ſegui hor hora,
     Che ſé mi ſegui io t’ aprirò la via
     D’ onde per te Ruggier libero ſia.

[49]
E ſeguito narrandole di quello
     Magico error, ch gli hauea ordito Atlate
     Che ſimulando d’effa il viſo bello
     Che captiua parea del rio Gigante:
     Tratto l’hauea nel’incantato hoſtello
     Doue ſparito poi gliera dauante:
     E come tarda con ſimile inganno
     Le Donne e i cauallier che di la vanno.

[50]
A tutti par V incantator mirando
     Mirar quel che per ſé brama ciaſcuno,
     Dona, feudier, còpagno, amico, quando
     Il deſiderio human non e tutto vno,
     Quindi il Palagio van tutti cercando
     Co lungo affanno e ſenza ſrutto alcuno,
     E tanta e la ſperanza e il gran diſire
     Del ritrouar, che non ne fan partire.

[51]
Come tu giungi (diſſe) in quella parte
     Che giace preſſo all’incantata ſtanza,
     Verrá V incantatore a ritrouarte
     Che terra di Ruggiero ogni ſembianza
     E ti fará parer con ſua mal’arte
     Ch’iui lo vinca alcun di piú poſſanza,
     Accio che tu per aiutarlo vada
     Doue con gli altri poi ti tenga a bada.

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[52]
Accio 1* inganni in che ſon tanti e tanti
     Caduti non ti colga, ſie auertita
     Che ſé ben di Ruggier viſo e ſembianti
     Ti parrá di veder che chieggia aita
     Non gli dar fede tu, ma come alianti
     Ti vien, fagli laſciar l’indegna vita
     Ne dubitar perciò che Ruggier muoia
     Ma ben colui che ti da tanta noia.

[53]
Ti parrá duro assai, ben lo conoſco,
     Vccidere vn ch ſembri il tuo Ruggiero,
     Pur no dar fede all’occhio tuo, ch loſco
     Fara l’incanto, e celeragli il vero,
     Fermati pria ch’io ti conduca al boſco,
     Si che poi non ſi cangi il tuo penſiero,
     Che ſempre di Ruggier rimarrai priua,
     Se laſci per viltá, che’l Mago villa.

[54]
La valoroſa giouane con queſta
     Intention, che’l ſraudolente vecida:
     A pigliar l’arme, & a ſeguire e preſta
     Meliſſa, che fa ben quanto l’è ſida,
     Quella hor p terren culto, hor p foreſta
     A gran giornate e in gra fretta la guida,
     Cercando alleuiarle tuttauia
     Con parlar grato la noioſa via.

[55]
E piú di tutti i bei ragionamenti
     Speſſo le repetea, ch’uſcir di lei
     Et di Ruggier doueano gli eccellenti
     Principi e glorioſi Semidei,
     Come a Meliſſa ſoſſino preſenti
     Tutti i ſecreti de gli eterni dei,
     Tutte le coſe ella ſapea predire
     C’hauean per molti ſeculi a venire.

[56]
Deh come o prudentiſſima mia ſcorta
     (Dicea alla Maga l’inclyta Donzella)
     Molti anni prima tu m’hai fatto accorta
     Hi tanta mia vini progenie bella,
     Coſi d’ alcuna donna mi conforta
     Che di mia ſtirpe ſia, s’ alcuna in quella
     Metter ſi può tra belle e virtuoſe:
     E la corteſe Maga le riſpofe.

[57]
Da te vſcir veggio le pudiche donne
     Madri d’Imperatori e di gran Regi,
     Reparatrici e v ſolide colonne
     1 )r caſe illuſtri e di domini egregi
     Che meo degne non ſon ne le lor gonne
     Ch’ in arme i cauallier di Commi pregi:
     Di pietá di gra cor di gran prudenza
     Di ſomma e incomparabil continenza.

[58]
E s’ io hauro da narrarti di ciaſcuna
     Che ne la ſtirpe tua ſia d’ honor degna,
     Troppo fará, ch’io non ne veggio alcua
     Che paſſar con ſilentio mi conuegna,
     Ma ti faro tra mille, ſcelta d’una
     O di due coppie, accio ch’a ſin ne vegna
     Ne la ſpelonca perche noi diceſti ?
     Che l’imagini anchor vedute haureſti.

[59]
De la tua chiara ſtirpe vſcira quella
     D’opere illuſtri e di bei ſtudii amica,
     Ch’ io no ſo ben, ſé piú leggiadra e bella
     Mi debba dire, o piú ſaggia e pudica,
     Liberale e magnanima Iſabella,
     Che del bel lume ſuo di e notte aprica
     Fara la terra che fu’l Menzo ſiede,
     A cui la madre d’Ocno il nome diede.

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[60]
Doue honorato e ſplendido certame
     Haura col ſuo digniſſimo conſorte,
     Chi di lor piú le virtú prezzi & ame,
     E chi meglio apra a corteſia le porte,
     S’ un narrerá ch’al Taro e nel Reame
     Fu a liberar da Galli Italia ſorte,
     l’altra dira, ſol perche caſta viſſe
     Penelope, non ſu minor d’Vliffe.

[61]
Gran coſe e molte in breui detti accolgo
     Di queſta donna, e piú dietro ne laſſo,
     Che in qlli di ch’io mi leuai da’l volgo
     Mi ſé chiare Merlin dal cauo ſaſſo,
     E s’in queſto gran mar la vela ſciolgo
     Di lunga Tiphy in nauigar trapaſſo,
     Cochiudo i sòma, ch’ella haura p dono
     De la virtú e del ciel, ciò ch’e di buono.

[62]
Seco haura la ſorella Beatrice,
     A cui ſi conuerra tal nome apunto
     Ch’effa no ſol del ben che qua giú lice
     Per quel che viuera, toccherá il punto,
     Ma haura ſorza di far ſeco felice
     Fra tutti i ricchi Duci, il ſuo congiunto,
     Ilqual, come ella poi laſciera il mondo
     Coſi de l’infelici andrá nel fondo.

[63]
E Moro e Sforza, e Viſcontei colubri
     (Lei viua) ſormidabili faranno
     Da l’Hyperboree nieui a i lidi Rubri
     Da l’Indo ai moti ch’ai tuo mar via dáno
     (Lei morta) adra col regno d gl’Inſubri
     E con graue di tutta Italia danno
     In ſeruitute, e ſia ſtimata, ſenza
     Coſtei, ventura la ſomma prudenza.

[64]
Vi farano altre achor e’ haurano il nome
     Medeſmo, e naſceran molt’anni prima,
     Di ch’una s’ornerá le ſacre chiome
     De la corona di Pannonia opima,
     Vn’ altra poi che le terrene ſome
     Laſciate haura, ſia ne l’Aufonio clima
     Collocata nel numer de le Diue,
     Et haura incenfi e imagini votiue.

[65]
De l’altre tacerò, che come ho detto
     Lungo farebbe a ragionar di tante,
     Ben che per ſé ciafeúa habbia ſuggetto
     Degno, ch’Heroica e chiara tuba cante,
     Le Bianche le Lucretie io terrò in petto
     E le Coſtanze, e l’altre che di quante
     Splendide caſe Italia reggeranno
     Reparatrici e madri ad eſſer hanno.

[66]
Piú ch’altre foſſer mai le tue famiglie
     Saran ne le lor donne auenturoſe:
     Non dico in qlla piú de le lor ſiglie
     Che ne l’alta honeſta de le lor ſpofe,
     E accio da te notitia ancho ſi piglie
     Di queſta parte, che Merlin mi eſpofe
     Forſè perch’ iol doueſſi a te ridire,
     Ho di parlarne non poco delire.

[67]
E diro prima di Ricciarda degno
     Eſempio di ſortezza, e d’honeſtade:
     Vedoua rimarra giouane, aſdegno
     Di Fortua, ilche ſpeffo ai buoni accade:
     I ſigli priui del paterno regno
     Eſuli andar vedrá in ſtrane contrade,
     Fanciulli in man de gli auerſari loro
     Ma i ſine haura il ſuo male ápio riſtoro.

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[68]
De l’alta ſtirpe d’ Aragone antica
     Non tacerò la ſplendida Regina,
     Di cui ne ſaggia ſi: ne ſi pudica
     Veggio hiſtoria lodar greca o latina,
     Ne a cui Fortuna piú ſi moſtri amica:
     Poi che fará da la bontá diuina
     Elletta madre a parturir la bella
     Progenie Alſonſo Hippolyto e Iſabella

[69]
Coſtei fará la ſaggia Leonora
     Che nel tuo felice arbore s’ ineſta,
     Che ti diro de la feconda nuora
     Succeditrice proſſima di queſta?
     Lucretia Borgia, di cui d’ hora in hora
     La beltá, la virtú, la fama honeſta?
     E la fortuna, creſcera non meno
     Che giouin pianta in morbido terreno.

[70]
Qual lo ſtagno all’argéto, il rame all’Oro,
     Il campeſtre papauere alla roſa,
     Pallido falce al ſempre verde alloro,
     Dipinto vetro a gemma pretioſa,
     Tal’a coſtei ch’anchor non nata honoro
     Sara ciaſcuna inſino a qui famoſa
     Di ſingular beltá, di gran prudentia,
     E d’ ogni altra lodeuole eccellentia.

[71]
E fopra tutti gli altri inclyti pregi
     Che le faranno e a viua e a morta dati:
     Si loderá che di coſtumi regi
     Hercole e glialtri ſigli haura dotati,
     E dato gran principio a i ricchi ſreisi
     Di che poi s’ ornerano in toga e armati:
     Perche V odor non ſé ne va ſi infretta,
     Ch’i nuouo vaſo o buono o rio, ſi metta.

[72]
Non voglio ch’in ſilètio ancho Renata
     Di Francia, nuora di coſtei rimagna:
     Di Luigi il duodecimo Re nata,
     E de l’eterna gloria di Bretagna:
     Ogni virtú ch’in donna mai ſia ſtata
     Di poi che’l fuoco ſcalda e l’acq bagna,
     E gira intorno il cielo: inſieme tutta
     Per Renata adornar veggio ridutta.

[73]
Lungo fará che d’Alda di Sanfogna
     Narri, o de la Conteſſa di Celano,
     O di Bianca Maria di Catalogna,
     O de la Figlia del Re Sicigliano,
     O de la bella Lippa da Bologna,
     E d’ altre che s’ io vo di mano in mano
     Venirtene dicendo le gran lode
     Entro in vn’alto mar che non ha prode.

[74]
Poi che le raconto la magior parte
     De la ſutura ſtirpe a ſuo grand’ agio,
     Piú volte e piú le replico de l’arte
     C’hauea tratto Ruggier détro al palagio
     Meliſſa ſi fermo, poi che ſu in parte
     Vicina al luogo del vecchio maluagio,
     E non le panie di venir piú inante
     Accio veduta non foſſe da Atlante.

[75]
E la Donzella di nuouo conſiglia
     Di ql che mille volte hormai l’ha detto,
     La laſcia ſola, e quella oltre a dua miglia
     Non caualco per vn ſentiero iſtretto,
     Clí vide ql ch’al ſuo Ruggier ſimiglia:
     E dui Giganti di crudele aſpetto
     Intorno hauea, che lo ſtringean ſi ſorte
     Ch’era vicino eſſer condotto a morte.

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[76]
Come la donna in tal periglio vede
     Colui che di Ruggiero ha tutti i ſegni
     Subito cangia in foſpition la fede
     Subito oblia tutti i ſuoi bei diſegni,
     Che ſia I odio a Meliſſa Ruggier crede
     Per nuoua ingiuria, e non inteſi ſdegni,
     E cerchi far con diſuſata trama
     Che ſia morto da lei che coſi l’ama.

[77]
Seco dicea non e Ruggier coſtui ?
     Ch col cor ſemp & hor co gliocchi veggio?
     E s’ hor no veggio e nò conoſco lui
     Che mai veder o mai conoſcer deggio?
     Perche voglio io de la credenza altrui
     Che la veduta mia giudichi peggio?
     Ch ſenza gliocchi anchor, ſol p ſé ſteffo
     Può il cor ſentir ſé glie lotano o appſſo.

[78]
Mentre che coſi penſa, ode la voce
     Ch le par di Ruggier, chieder ſoccorſo,
     E vede quello a vn tempo che veloce
     Sprona il cauallo, e gli ralenta il morſo,
     E P un nemico e P altro ſuo feroce
     Che lo ſegue e lo caccia a tutto corſo,
     Di lor ſeguir la Donna non rimaſe
     Che ſi conduſſe all’incantate caſe.

[79]
Dele quai non piú toſto entro le porte
     Che ſu ſommerſa nel comune errore:
     Lo cerco tutto per vie dritte e torte
     In van di ſu e di giú dentro e di ſuore:
     Ne ceſſa notte o di, tanto era ſorte
     l’incanto, e fatto hauea P incantatore
     Che Ruggier vede ſempre egli fauella,
     Ne Ruggier lei, ne lui riconoſce ella.

[80]
Ma laſcian BradamSte, e no v’ increſca
     Vdir che coſi reſti in quello incanto,
     Che quando fará il tépo ch’ella n’ eſca
     La faro vſcire, e Ruggiero altretanto,
     Come raccende il guſto il mutar eſca
     Coſi mi par, che la mia hiſtoria, quanto
     Hor qua hor la piú variata ſia
     Meno a chi l’udirá noioſa ſia.

[81]
Di molte ſila eſſer biſogno parme
     A condur la gran tela ch’io lauoro:
     E perho non vi ſpiaccia d’ aſcoltarme
     Come ſuor de le ſtanze il popul Moro
     Dauanti al Re Agramáte ha pſo P arme,
     Che molto minacciando a i gigli d’oro
     Lo fa aſſembrare ad vna moſtra nuoua
     Per ſaper quáta gente ſi ritruoua.

[82]
Perch’ oltre i cauallieri oltre i pedoni
     Ch’ al numero ſottratti erano in copia
     Mancauan Capitani, e pur de buoni
     E di Spagna, e di Lybia, e d’Ethiopia:
     E le diuerſe ſquadre e le nationi
     Giuano errando ſenza guida propia:
     Per dare e capo & ordine a ciaſcuna
     Tutto il campo alla moſtra ſi raguna.

[83]
In ſupplimento de le turbe vcciſe
     Ne le battaglie e ne ſieri conflitti
     l’un Signore in Hiſpagna, e l’altro miſe
     In Africa oue molti n’eran ſcritti,
     E tutti alli lor’ ordini diuiſe
     E ſotto i Duci lor gli hebbe diritti:
     Differirò Signor con gratia voſtra
     Ne l’altro canto l’ordine, e la moſtra.