Morgante maggiore/Canto secondo

Canto secondo

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Canto primo Canto terzo
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CANTO SECONDO.




ARGOMENTO.

     Ad Orlando e a Morgante il padre abate
Dà ’l buon viaggio e la benedizione:
Trovan ’n un bosco vivande incantate
Entro un palagio, e son presi al boccone:
Morgante a suon di molte battagliate
Un demonio aggavigna, e in tomba il pone;
Di Manfredonio Re nel campo giostra
Orlando, e Lionetto a terra prostra.


1 O giusto, o santo, o eterno monarca,
     O sommo Giove1 per noi crocifisso,
     Che chiudesti la porta, ove si varca
     Per ire al fondo dello scuro abisso;
     Tu che al principio movesti mia barca,
     Tu sia il nocchier intento sempre e fisso
     Alla tua stella, e la tua calamita;
     Che questa istoria sia per te finita.

2 L’abate, quando vide lagrimare
     Orlando, e diventar le ciglia rosse,
     E per pietà le luci imbambolare2,
     E’ domandava, perchè questo fosse:
     E poi che vide Orlando pur chetare,
     Ancor più oltre le parole mosse:
     Non so se ammirazion forse t’ha vinto
     Di quel che in questa camera è dipinto.

3 Io fui della gran gesta naturale:
     Credo ch’io sia nipote, o consobrino
     Di quel Rinaldo uom tanto principale,
     Che fu nel mondo sì gran paladino;
     Benchè il mio padre non fu madornale3,
     Perchè e’ non piacque all’alto Dio divino,
     Ansuigi chiamossi in piano e in monte,
     E ’l nome mio diritto è Chiaramonte.

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4 Così ci fussi il figliuol di Milone,
     Che fu fratel del mio padre perfetto:
     Deh dimmi il nome tuo, gentil barone,
     Se così piace a Gesù benedetto.
     Orlando s’accendea d’affezione,
     Bagnando tutto di lagrime il petto;
     Poi disse: Abate mio caro parente,
     Sappi ch’Orlando tuo t’è qui presente.

5 Per tenerezza corsono abbracciarsi;
     Ognun piangeva di superchio amore,
     Che non poteva ad un tratto sfogarsi,
     E per dolcezza trabocca nel core;
     L’abate non potea tanto saziarsi
     D’abbracciar questo, quanto è il suo fervore.
     Diceva Orlando: Qual grazia o ventura
     Fa ch’io vi truovi in questa parte scura!

6 Ditemi un poco, caro padre mio,
     Per che cagion voi vi facesti frate,
     E non prendesti la lancia com’io,
     E tante gente che di noi son nate?
     Perchè e’ fu volontà così di Dio,
     Rispose presto ad Orlando l’abate,
     che ci dimostra per diverse strade
     Donde si vadi nella sua cittade,

7 Chi colla spada, chi col pastorale:
     Poi la natura fa diversi ingegni,
     E però son diverse queste scale:
     Basta che in porto salvo si pervegni,
     E tanto il primo, quanto il sezzo4 vale:
     Tutti siam peregrin per molti regni:
     A Roma tutti andar vogliamo, Orlando,
     Ma per molti sentier n’andiam cercando.

8 Così sempre s’affanna il corpo e l’ombra5,
     Per quel peccato dell’antico pome:
     Io sto col libro in man qui il giorno e l’ombra,
     Tu colla spada tua tra l’elsa e ’l pome
     Cavalchi, e spesso sudi al sole e all’ombra;
     Ma di tornare a bomba6 è il fin del pome.
     Dico che ognun qui s’affatica, e spera
     Di ritornarsi alla sua antica spera.

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9 Morgante avea con loro insieme pianto,
     Sentendo queste cose ragionare,
     E pur cercava d’armadure; e ’ntanto
     Un gran cappel d’acciaio usa trovare,
     Che rugginoso si dormia in un canto.
     Orlando, quando gliel vide provare,
     Disse: Morgante, tu pari un bel fungo;
     Ma il gambo a quel cappello è troppo lungo.

10 Una spadaccia ancor Morgante truova:
     Cinsela, e poi sen’andava soletto
     Là dove rotta una campana cova,
     Ch’era caduta, e stava sotto un tetto,
     E spiccane un battaglio a tutta pruova,
     Ed a Orlando il mostrava in effetto:
     Di questo che di’ tu, signor d’Anglante?
     Dico che è tal, qual conviensi a Morgante.

11 Disse il gigante: Con questo battaglio,
     Che vedi com’è grave, e lungo, e grosso,
     Non credi tu ch’io schiacciassi un sonaglio?
     Io vo’ schiacciare il ferro, e tritar l’osso:
     Parmi mill’anni or d’essere al berzaglio7.
     Orlando a Chiaramonte ha così mosso:
     Or vi vorrei pregar, mio santo abate,
     Che di trovar ventura c’insegniate.

12 Qualche battaglia, qualche torniamento
     Trovar vorremmo, se piacessi a Dio.
     Disse l’abate: Io ne son ben contento,
     E credo satisfare al tuo disio;
     Sappi che qua verso Levante sento,
     Che in una gran città, parente mio,
     Un re pagan vi fa drento dimoro,
     Il qual si fa chiamar re Caradoro.

13 Ed ha una sua figlia molto bella,
     Onesta, savia, nobile, e gentile;
     E non è uom che la muova di sella,
     E ciascun cavalier reputa vile;
     S’ella non fussi Saracina quella,
     Non fu mai donna tanto signorile:
     Dintorno alla città sopra a’ confini
     Sono accampati molti Saracini.

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14 Ed evvi un re di molta gagliardia,
     Manfredonio appellato dalla gente;
     Costui si muor per la dama giulia8,
     E fa gran cose, come amor consente,
     Ed ha con seco tutta Pagania,
     Per acquistar questa donna piacente:
     Dicon che v’è di paesi lontani
     Cenquaranta migliaia di pagani.

15 E quel re Carador n’ha forse ottanta
     Di gente Saracina, ardita e forte,
     E Manfredonio ogni giorno si vanta
     D’aver questa donzella, o d’aver morte;
     Ed or trabocchi, ed or bombarde9 pianta;
     Ogni dì corre insino in sulle porte.
     Il conte Orlando, quando questo intese,
     Non domandar quanto desio l’accese.

16 E dopo molte cose ragionate,
     Di nuovo la licenzia ridomanda,
     Dicendo nuovamente al santo abate,
     Ch’alle sue orazion si raccomanda;
     Che vuol trovarsi fra le gente armate
     In quel paese là, ov’e’ lo manda;
     Che li lassassi andar colla sua pace.
     Disse l’abate: Sia come a voi piace.

17 Contento son, se tanto v’è in piacere;
     Voi avete apparata la magione,
     Sarò sempre fidato, e buon ostiere;
     Ciò che c’è, è del figliuol di Milone,
     Ma non bisogna tra noi profferere;
     A tutti do la mia benedizione:
     Così da Chiaramonte lacrimando
     Si dipartirno Morgante ed Orlando.

18 Per lo deserto vanno alla ventura:
     L’uno era a piede, e l’altro era a cavallo;
     Cavalcon per la selva e per pianura,
     Sanza trovar ricetto o intervallo10:
     Cominciava a venir la notte oscura:
     Morgante parea lieto sanza fallo,
     E con Orlando ridendo dicia:
     E’ par ch’io vegga appresso un’osteria.

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19 E 'n questo ragionando hanno veduto
     Un bel palagio in mezzo del deserto:
     Orlando, poi ch’a questo fu venuto,
     Dismonta, perchè l’uscio vide aperto:
     Quivi non è chi risponda al saluto.
     Vannone in sala, per esser piú certo:
     Le mense riccamente son parate,
     E tutte le vivande accomodate.

20 Le camere eran tutte ornate e belle,
     Istoriate con sottil lavoro,
     E letti molto ricchi erano in quelle
     Coperti tutti quanti a drappi d’oro:
     I palchi erano azzurri, pien di stelle,
     Ornati sì, che valieno un tesoro:
     Le porte eran di bronzo, e qual d’argento,
     E molto vario e lieto è il pavimento.

21 Dicea Morgante: Non è qui persona
     A guardar questo sì ricco palagio?
     Orlando, questa stanza mi par buona,
     Noi ci staremo un giorno con grand'agio.
     Orlando nella mente sua ragiona:
     O qualche Saracin molto malvagio
     Vorrà che qualche trappola ci scocchi11,
     Per pigliarci al boccon come i ranocchi;

22 O veramente e’ c’è sotto altro inganno;
     Questo non par che sia conveniente.
     Disse Morgante: Questo è poco danno;
     E cominciava a ragionar col dente12,
     Dicendo: All’oste rimarrà il malanno;
     Mangiam pur molto ben per al presente;
     Quel che ci resta, farem poi fardello13,
     Ch’io porterei, quand’io rubo, un castello.

23 Rispose Orlando: Questa medicina
     Forse potrebbe il palagio purgare.
     Hanno cercato insino alla cucina,
     Nè cuoco, nè vassallo usan trovare:
     Adunque ognuno alla mensa cammina,
     Comincian le mascella adoperare;
     Ch’un giorno già mangiato avean in sogno,
     Tal che di vettovaglia era bisogno.

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24 Quivi è vivande di molte ragioni,
     Pavoni, e starne, e leprette, e fagiani,
     Cervi, e conigli, e di grassi capponi,
     E vino, ed acqua, per bere, e per mani.
     Morgante badigliava a gran bocconi,
     E furno al bere infermi, al mangiar sani;
     E poi che sono stati a lor diletto,
     Si riposorno entro a un ricco letto.

25 Com'e’ fu l’alba ciascun si levava,
     E credonsene andar come ermellini14,
     Né per far conto l’oste si chiamava,
     Che lo volean pagar di bagattini15;
     Morgante in qua e in là per casa andava,
     E non ritrova dell’uscio i confini.
     Diceva Orlando: Saremo noi mezzi
     Di vin, che l’uscio non si raccapezzi!

26 Questa è, s’io non m’inganno, pur la sala,
     Ma le vivande e le mense sparite
     Veggo che son; quivi era pur la scala,
     Qui son gente stanotte comparite,
     Che come noi aranno fatto gala16:
     Le cose, che avanzorno, ove sono ite?
     E ’n questo error un gran pezzo soggiornano;
     Dovunque e’ vanno, in sulla sala tornano.

27 Non riconoscon uscio, né finestra.
     Dicea Morgante: Ove siam noi entrati?
     Noi smaltiremo, Orlando, la minestra,
     Chè noi ci siam rinchiusi, e ’nviluppati
     Come fa il bruco su per la ginestra.
     Rispose Orlando: Anzi ci siam murati.
     Disse Morgante: A voler il ver dirti,
     Questa mi pare una stanza da spirti.

28 Questo palagio, Orlando, fia incantato,
     Come far si soleva anticamente.
     Orlando mille volte s’è segnato,
     E non poteva a sè ritrar la mente;
     Fra sè dicendo: aremol noi sognato?
     Morgante dello scotto non si pente,
     E disse: Io so ch’al mangiare ero desto,
     Or non mi curo s’egli è sogno il resto.

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29 Basta che le vivande non sognai;
     E s’elle fussin ben di Satanasso,
     Arrechimene pure innanzi assai.
     Tre giorni in questo error s’andorno a spasso,
     Senza trovare ond’egli uscissin mai;
     E ’l terzo giorno scesi giù da basso,
     'N una loggia arrivorno per ventura
     Donde un suono esce d’una sepoltura.

30 E dice: Cavalieri, errati siete:
     Voi non potresti di qui mai partire,
     Se meco prima non v’azzufferete:
     Venite questa lapida a scoprire,
     Se non che qui in eterno vi starete.
     Per che Morgante cominciò a dire:
     Non senti tu, Orlando, in quella tomba
     Quelle parole che colui rimbomba?

31 Io voglio andar a scoprir quello avello,
     Là dove e’ par che quella voce s’oda;
     Ed escane Cagnazzo, e Farfarello,
     O Libicocco, col suo Malacoda:
     E finalmente s’accostava a quello,
     Però che Orlando questa impresa loda,
     E disse: Scuopri, se vi fussi dentro
     Quanti ne piovvon mai dal ciel nel centro17.

32 Allor Morgante la pietra su alza,
     Ecco un diavol più ch’un carbon nero,
     Che della tomba fuor subito balza
     In un carcame18 di morto assai fiero,
     Ch’avea la carne secca, ignuda, e scalza.
     Diceva Orlando: E’ fia pur daddovero:
     Questo è il diavol, ch’io ’l conosco in faccia:
     E finalmente addosso se gli caccia.

33 E questo diavol con lui s’abbracciòe:
     Ognuno scuote; e Morgante diceva:
     Aspetta, Orlando, ch’io t’aiuteròe;
     Orlando aiuto da lui non voleva;
     Pure il diavolo tanto lo sforzòe,
     Ch’Orlando ginocchion quasi cadeva;
     Poi si riebbe, e con lui si rappicca:
     Allor Morgante più oltre si ficca.

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34 E gli parea mill’anni d’appiccare
     La zuffa; e come Orlando così vide,
     Comincia il gran battaglio a scaricare,
     E disse: A questo modo si divide.
     Ma quel demon lo facea disperare;
     Però che i denti digrignava, e ride.
     Morgante il prese alle gavigne19 istretto
     E missel nella tomba a suo dispetto.

35 Come e’ fu dentro, gridò: Non serrare,
     Che se tu serri, mai non uscirai.
     Diceva Orlando: Che dobbiam noi fare?
     E’ gli rispose: Tu lo sentirai:
     Convienti quel gigante battezzare,
     Poi a tua posta andar te ne potrai:
     Fallo Cristiano, e come e’ sarà fatto,
     A tuo cammin ne va sicuro e ratto.

36 Se tu mi lasci questa tomba aperta,
     Non vi farò piú noia, o increscimento:
     Ciò ch’io ti dico, abbi per cosa certa.
     Orlando disse: Di ciò son contento,
     Benchè tua villania questo non merta;
     Ma, per partirmi di qui, ci consento:
     Poi tolse l’acqua, e battezò il gigante,
     Ed uscì fuor con Rondello e Morgante.

37 E come e’ fu fuor del palagio uscito,
     Sentì drento alle mura un gran romore,
     Onde e’ si volse, e ’l palagio è sparito:
     Allor conobbe piú certo l’errore:
     Non si rivede nè mura, nè il sito.
     Dicea Morgante: E’ mi darebbe il cuore,
     Che noi potremo or nell’inferno andare,
     E farne tutti i diavoli sbucare;

38 Se si potessi entrar di qualche loco,
     Chè nel mondo è certe buche20, si dice,
     Donde e’ si va, che di fuor gittan fuoco,
     E non so chi v’andò per Euridice21;
     Io stimerei tutt’i diavol poco:
     Noi ne trarremo l’anime infelice,
     E taglierei la coda a quel Minosse22,
     Se come questo ogni diavol fosse.

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39 E pelerò la barba a quel Caron23,
     E leverò della sedia Plutone:
     Un sorso mi vo’ far di Flegeton,
     E inghiottir quel Fregiàs 'n un boccone:
     Tesifo, Aletto, Megera, e Eriton,
     E Cerbero ammazzar con un punzone:
     E Belzebù farò fuggir più via,
     Ch’un dromedario non andre’ in Soria.

40 Non si potrebbe trovar qualche buca?
     Tu ne vedresti il più bello spulezzo24,
     Pur che questo battaglio vi conduca,
     E mettimi a’ diavoli poi in mezzo.
     Rispose Orlando: E’ non vi si manuca,
     Morgante mio, noi vi faremo lezzo,
     E nell’entrar ci potremo anco cuocere;
     Dunque l’andata starebbe per nuocere.

41 Quando tu puoi, Morgante, ir per la piana25,
     Non cercar mai nè l’erta nè la scesa,
     O di cacciare il capo in buca o in tana:
     Andian pur per la via nostra distesa.
     E così ragionando, una fontana
     Trovoron, dove due fan gran contesa;
     Eron corrier con lettere mandati,
     E come micci26 si son bastonati.

42 Orlando, com' e’ giunse, gli domanda:
     Ditemi un poco perchè v’azzuffate?
     Voi mi parete corrier: chi vi manda?
     O che imbasciate, o lettere portate?
     Venite voi di Francia, o di qual banda?
     Lasciate un poco star le bastonate:
     Ditemi ancor se voi siete Cristiani,
     Se Dio vi salvi e bastoni e le mani.

43 Rispose l’un di loro: Io son Cristiano,
     E poco tempo è ch’io venni abitare
     A un castel chiamato Montalbano:
     Rinaldo il mio signor mi fa cercare
     D’un suo cugino; e ’l traditor di Gano
     Lo seguita, per far male arrivare:
     Manda costui, che tu vedi, cercando
     Di questo suo cugin, c’ha nome Orlando.

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44 A questa fonte a caso ci trovammo,
     E com’egli è de’ nostri pari usanza
     Di domandar l’un l’altro, domandammo:
     Che lettera, o imbasciata hai d’importanza?
     E come stracchi un poco ci posammo:
     Costui mi dice, che Gan di Maganza
     Per far morire Orlando lo mandava,
     E che per Pagania27 di lui cercava.

45 E perch’io presi la parte d’Orlando,
     Alzò la mazza sanza dir niente;
     Così si venne la zuffa appiccando.
     Orlando quando le parole sente,
     Diceva: O Dio, a te mi raccomando;
     Da questo traditore e frodolente
     Io pur non truovo, ovunque i’ mi dilegui,
     Luogo, che ’l traditor non mi persegui.

46 Quando Morgante vede il suo signore,
     Che si doleva, e contro a Gano sbuffa;
     Tanto gli venne sdegno, e pietà al core,
     Che per la gola il corrier tosto ciuffa28,
     Cioè quel che mandava il traditore;
     E nella fonte sott’acqua lo tuffa,
     Calpesta, e pigia, e per ira si sfoga,
     Tanto che tutto lo ’nfragne ed affoga.

47 Orlando disse a quell’altro corriere:
     Io son colui per chi tu se’ mandato;
     Dì a Rinaldo, che in questo sentiere,
     Come tu vedi, il cugino hai trovato:
     Io son Orlando, e poi ch’egli è in piacere
     Di Carlo, vo pel mondo disperato.
     Quando il corrier sentì ch’Orlando è questo,
     Maravigliossi, e inginocchiossi presto.

48 Dimmi a Carlo, diceva ancora Orlando,
     Che si consigli col suo Gano antico;
     Ed io pel mondo vo peregrinando,
     Come s’io fussi qualche suo nimico;
     Digli dove trovato, e come, e quando
     Tu m’hai qui solo, e povero, e mendico29:
     E quel ch’i’ ho fatto, corrier, per costui,
     Credo che ’l sappi ognun, salvo che lui.

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49 Che non sa quel che beneficio sia,
     Non si ricorda ch’io sia suo nipote,
     O ch’in in sua corte in Francia stessi, o stia;
     Basta che Gan, ciò che vuol, con lui puote,
     Tanto ch’io me ne vado in Pagania,
     Pur come voglion le volubil ruote:
     E dì, ch’ i’ ho sol con meco un gigante,
     Ch’è battezato, appellato Morgante.

50 Il caval che tu vedi, e questa spada,
     Altro non ho, se non questa armadura;
     E ch’io non so io stesso ov’io mi vada,
     O dove ancor mi guidi la ventura:
     Ma inverso Barberia tengo la strada.
     Andrò dove mi porta mia sciagura,
     Poi ch’e’ consente a cercar la mia morte;
     E che mai più non tornerò in sua corte.

51 Dimmi a Rinaldo mio, figliuol d’Amone,
     Che la mia compagnia, ch’io vi lasciai,
     Gli raccomando con affezione;
     Ch’io penso in Pagania morire omai:
     Saluta Astolfo, Namo, e Salamone,
     E Berlinghier che sempre molto amai:
     A Ulivier dì che la sua sorella
     Gli raccomando, e mia sposa Alda bella.

52 Dimmi al Danese, caro imbasciadore,
     Che in Francia a questi tempi non m’aspetti:
     E dì ch’ i’ ho Cortana, e ’l corridore,
     Acciò che forse di ciò ignun sospetti:
     Della mia sopravvesta il suo colore
     Vedi come è dipinta a Macometti:
     Che si ricordi del suo caro Orlando,
     Che va pel mondo sperso or tapinando.

53 Dimmi il tuo nome or, se t’ è in piacimento.
     Ond’ e’ rispose: Questo è ben dovere,
     O signor mio; chiamar mi fo Chimento:
     Cristo ti muti di sì stran pensiere,
     Chè tua risposta mi dà gran tormento:
     Questo non è quel che ’l signor mio chiere30:
     Io voglio, Orlando mio, mi perdoniate,
     E che alquante parole m’ascoltiate.

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54 Quand’io da Montalban feci partita,
     Io fui a Parigi, dond’io vengo adesso:
     La corte pare una cosa smarrita,
     Lo ’mperador non pareva più desso:
     Vedovo il regno, e la gente stordita.
     Gli orecchi debbon cornarvi qua spesso31,
     Ch’ognun ragiona della vostra fama,
     E ’l popol tutto ad un grido vi chiama.

55 Il mio signor con gran disio v’aspetta:
     Parigi, e Francia, ogni cosa si duole.
     Or vi vo’ dire una mia novelletta,
     Chè spesso la ragion l’esemplo vuole.
     Un tratto a spasso anco la formichetta
     Andò pel mondo, come far si suole,
     E trovò infine un teschio di cavallo,
     E semplicetta cominciò a cercallo.

56 Quand’ella giunse ove il cervello stava,
     Questa gli parve una stanza sì bella,
     Che nel suo cor tutta si rallegrava;
     E dicea seco questa meschinella:
     Qualche signor per certo ci abitava;
     Ma finalmente, cercando ogni cella,
     Non vi trovava da mangiar niente,
     E di sua impresa alla fine si pente.

57 E ritornossi nel suo bucolino.
     Perdonimi, s’io fallo, chi m’ascolta,
     E intenda il mio vulgar col suo latino:
     Io vo’ che a me crediate questa volta,
     E ritorniate al vostro car cugino,
     Se non ch’ogni speranza gli fia tolta;
     Disse, che mai a lui non ritornassi,
     Se meco in Francia non vi rimenassi.

58 Il grande amor mi sforza a quel ch’i’ dico:
     Riconoscete e gli amici, e’ parenti;
     L’andar così pel mondo è pure ostico32.
     Orlando udendo i suo’ ragionamenti,
     Disse: Chimento, tu se’ buono amico;
     E gittò fuor molti sospir dolenti:
     E da costui al fin s’accomiatava,
     Sanza altro dir; chè piangendo n’andava.

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59 Orlando, poi che partì da Chimento,
     Tutto quel giorno seco ha sospirato;
     Così il messaggio ne va malcontento,
     Non sa come a Rinaldo sia tornato.
     Morgante ne va appiè di buon talento,
     Con quel battaglio che è duro e granato33:
     E in su ’n un poggio le pagane schiere
     Di Manfredon cominciono a vedere,

60 Padiglioni, trabacche, e pennoncelli;
     E sentono stormenti oltramisura,
     Nacchere, e corni, e trombe, e tamburelli;
     E cavalier coperti d’armadura
     Vedean cogli elmi rilucenti e belli:
     Orlando guarda inverso la pianura,
     E vede tanti Pagani attendati,
     Come l’abate gli avea numerati.

61 Di questo molto se ne rallegròe,
     Così Morgante; e poi che ’l poggio scese,
     Dinanzi a Manfredon s’appresentòe,
     Ch’era gentil, magnanimo e cortese:
     E di Morgante si maravigliòe;
     Il conte Orlando per la briglia prese,
     E disse: Benvenuto sia34, barone;
     Dismonta, e poi verrai nel padiglione.

62 Orlando lascia a Morgante Rondello
     E va nel padiglion col re pagano;
     E Manfredon così diceva a quello:
     Chi tu ti sia, Saracino o Cristiano,
     Ti tratterò come gentil fratello;
     E perchè il tuo venir non sia qui invano,
     Soldo darotti, se t’è in piacimento,
     Tanto che tu sarai, baron, contento.

63 Rispose alle parole grate Orlando:
     Preso m’avete col vostro parlare;
     Soldo niente da voi non domando,
     Se non vedete l’arme adoperare.
     E così molte cose ragionando,
     Disse il pagano: Io vi vo’ ragguagliare
     Di quel che forse per voi non sapete,
     Chè cavalier discreti mi parete.

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64 Io vi dirò la mia disavventura,
     S’alcun rimedio sapessi trovarmi;
     Io ardo tutto, per la mia sciagura,
     D’una fanciulla, e non so più che farmi;
     Due volte abbiam provato l’armadura,
     Ogni volta ha potuto superarmi,
     Sì che da lei vituperato sono,
     E messo ho la speranza in abbandono.

65 Egli è ben, vero ch’i' ho qui tanta gente,
     Che mi darebbe il cuor di superarla:
     Ma non sarebbe onor certanamente35;
     Chè colla lancia intendo d’acquistarla:
     S’alcun di voi sarà tanto potente,
     Ch’a corpo a corpo credessi atterrarla,
     Ricomperrollo36 ciò ch’i' ho nel mondo;
     Chè basta a me sol lei, poi son giocondo.

66 Orlando disse: Noi ci proveremo,
     Ognun ci adoperrà tutta sua possa;
     E credo pure al fin noi vinceremo,
     Se femina sarà di carne e d’ossa.
     Disse il pagano: Ogni cosa diremo;
     Prima che la fanciulla facci mossa,
     Manda in sul campo sempre un suo fratello,
     Molto gagliardo e gentil damigello.

67 E per nome si chiama Lionetto,
     Ed è figliuol del gran re Caradoro,
     E non adora alcun più Macometto,
     Che sia sì forte per più mio martoro:
     E la sorella, ch’io v’ho prima detto,
     Per cui sol ardo, mi distruggo e moro,
     Gentile, onesta, anzi cruda e villana,
     Sappi che chiamata è Meridiana.

68 E veramente è come ella si chiama,
     Perchè di mezzodi par proprio un sole.
     Io innamorai di questa gentil dama,
     Non per vista, per atti o per parole;
     Ma per le sue virtù, ch’udi’ per fama,
     O ver che ’l mio destin pur così vuole:
     E da quel giorno in qua ch’amor m’accese,
     Per lei son fatto e gentile e cortese.

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69 Or vo’ pregarvi, famosi baroni,
     Che ’l nome mi diciate in cortesia.
     Orlando disse con grati sermoni:
     Io vel dirò, perchè in piacer vi sia,
     Benchè far vi vorremo maggior doni:
     Pur negar questo fare’ villania.
     Più tempo ho fatto in Levante dimoro,
     E son chiamato da ciascun Brunoro.

70 E questo mio compagno, ch’è gigante,
     Veder potrete quanto è valoroso;
     Fassi chiamare il feroce Morgante,
     Ed è più che non mostra poderoso.
     In Macometto crede, e Trevigante.
     Il re, sentendol molto grazioso
     Rispose: Per mia fè, che voi sarete
     Da me trattati come voi vorrete.

71 E quanto può Manfredon gli onorava,
     E nel suo padiglion sempre gli tenne,
     E molte cose con lor ragionava.
     Ma finalmente un dì per caso avvenne,
     Che Lionetto quel campo assaltava,
     E ’nverso il padiglion, come e’ suol, venne;
     E Manfredon chiamava con un corno
     Alla battaglia per più beffe e scorno.

72 E cominciò per modo a muover guerra,
     Che molta gente faceva fuggire:
     Parea quando alle pecore si serra
     Il lupo, onde il pastor si fa sentire:
     E qual ferisce, e qual trabocca in terra,
     E molti il dì ne faceva morire;
     E chi fuggir non può ne va prigione,
     Onde fuggivan tutti al padiglione.

73 Il conte Orlando udì che Lionetto
     Aveva il campo in tal modo assalito,
     Ch’ognun fuggia dinanzi al giovinetto;
     Subito sopra Rondel fu salito,
     E disse: Vienne, Morgante, io t’aspetto:
     Di Lionetto non hai tu sentito?
     Tu vedrai or di Macon la possanza,
     E del tuo Cristo, in chi tu hai speranza.

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74 Dicea Morgante: Io non ho mai veduto
     Provare Orlando, io lo vedrò pur ora:
     Ringrazio Iddio che mi sarò abbattuto:
     Orlando sprona il suo cavallo allora,
     E sparì via com’uno stral pennuto:
     Per che Morgante s’avviava ancora,
     E col battaglio si viene assettando37,
     E guarda pur quel che faceva Orlando.

75 Orlando nella pressa si mettea,
     E pur Morgante guarda dove e’ vada,
     E sempre drieto a Rondel gli tenea,
     Dove vedeva e’ pigliassi la strada;
     E Lionetto in quel tempo giugnea,
     Ch’aveva in man sanguinosa la spada:
     Orlando il vide, e la lancia abbassava;
     Ma Lionetto un’altra ne pigliava.

76 Volse il cavallo, e ’nverso Orlando abbassa,
     E vannosi a ferir con gran furore,
     E l’una e l’altra lancia si fracassa;
     Ma Lionetto uscì del corridore,
     E Rondel via come il suo nome passa.
     Morgante guata drieto al suo signore,
     E dice: Orlando è pur baron perfetto;
     E Cristo è vero, e falso è Macometto.

77 Ma Lionetto pur si rilevoe,
     E sopra il suo cavallo è rimontato,
     E Macometto a gran voce chiamoe.
     Dicendo: Traditor, ch’i’ ho adorato
     A torto sempre, io ti rinegheroe,
     Poi ch’a tal punto tu m’hai abbandonato;
     L’anima mia piú non ti raccomando,
     Chè non are’ quel colpo fatto Orlando.

78 Poi si rivolse a Orlando, dicendo:
     Nota, che e’ fu del mio destriere il fallo;
     Orlando gli rispose sorridendo:
     E’ si vorre’ co’ buffetti38 ammazzallo.
     Disse Morgante: Così non la intendo:
     Or che tu se’ rimontato a cavallo,
     Mi par che sia tuo debito, Pagano,
     Di ritrovarsi colle spade in mano.

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79 Rispose Lionetto: A ogni modo
     Vo’ che col brando terminian la zuffa.
     Disse Morgante: Per Dio, ch’io la lodo,
     Chè tu vedrai che ’l caval non fe truffa.
     Or tu, Signore, a cui servir sol godo,
     Per cui la terra e l’aria si rabbuffa,
     Guardaci e salva, e ’nsino al fine insegna,
     Tanto ch’io canti questa storia degna.

Note

  1. [p. 57 modifica]O giusto, o santo. Vedi quello che è detto nella nota al Canto I, St. 1 e 35. Anche l’Autore del Buovo d’Antona chiama G. C. sommo Giove: «Io prego il sommo Giove che m’aiuti ec.» Ed era comune in quei tempi, e massime presso i poeti, il dare a Dio il nome di Giove, come quello di Plutone, o di Dite al Diavolo.
  2. [p. 57 modifica]imbambolare. Dicesi degli occhi quando l’uomo li ricuopre di lacrime, senza mandarle fuora, come fanno appunto i bambini quando dan segno di voler piangere.
  3. [p. 57 modifica]madornale. Madornale, e madernale sono adiettivi, che vogliono, in senso proprio, di madre, da parte di madre; onde si legge in Guido Guinicelli: «Acesto suo madornal bisavolo.» S’appropria anche a figlio non nato di legittimo matrimonio, γνήσιος; e il Poeta lo adopera appunto in questo senso, nel quale però, come pure nel primo, ora non si userebbe. Si adopera comunemente in senso di grande, principale.
  4. [p. 57 modifica]sezzo. Ultimo.
  5. [p. 57 modifica]ombra. Anima, spirito.
  6. [p. 57 modifica]Ma di tornare a bomba. Vale: ma il fine del pome, cioè delle nostre fatiche e desiderii, è di tornare al luogo onde partimmo, che è il Cielo.
  7. [p. 57 modifica]d’esser al berzaglio. Bersaglio, e mettere o essere al bersaglio vale: al cimento, al pericolo.
  8. [p. 57 modifica]la dama giulia. Giulio vale lo stesso che allegro, ilare; qui sta per bella, piacente, che rallegra in vederla.
  9. [p. 57 modifica]trabocchi, ed or bombarde. Macchine da guerra usate dalla antica milizia colle quali lanciavansi grossi sassi. Bombarda chiamasi ora una sorte d’artiglieria.
  10. [p. 57 modifica]intervallo. Spazio fra due termini di tempo o di luogo; senza trovare intervallo significa qui: senza trovar cosa che gli trattenesse, o che lor desse motivo d’indugio.
  11. [p. 57 modifica]che qualche trappola ci scocchi. I Latini e i Greci appellavano questo arnese notissimo da pigliar topi con voce esprimente l’uso che se ne faceva, chiamandola muscipola, e μιάγρα. Noi usiamo tal voce ambo per trama, onde scoccare una trappola val quanto tendere un’insidia, tratta la figura dallo scoccare, o scattare che fa la trappola quando il topo v’è entrato. Generalmente dicesi trappola ogni artifizio atto a prendere animali sì di terra, che d’aria o d’acqua. Chiamansi trappole da quattrini le cose poste in mostra per allettare, e gli artifizii per fare spendere.
  12. [p. 57 modifica]ragionar col dente. Mangiare. Modo proverbiale.
  13. [p. 57 modifica]farem poi fardello. Far fardello vale morire, che i Latini dicevano vasa colligere. S’usa anche per pigliarsi le cose che uno ha fra mano, e andarsene con esse, il sarcinulas colligere di [p. 58 modifica]Giovenale, che i Greci dicevano ἀποσκενάρια λέγειν.
  14. [p. 58 modifica]come ermellini. Cioè senza impedimento, liberi e franchi. L’Ermellino è animale molto snello, simile quasi alla Donnola, per cui i Greci lo chiamarono γαλῆ λευκή, cioè Donnola bianca.
  15. [p. 58 modifica]bagattini. Moneta antica veneziana, e corrispondeva nel valore al picciolo fiorentino, cioè alla quarta parte di un quattrino.
  16. [p. 58 modifica]aranno fatto gala. Far gala significa sguazzare, stare allegramente; indulgere genio.
  17. [p. 58 modifica]dal ciel nel centro. Nell’Inferno, che secondo Papia, San Gregorio e altri, è posto nel centro della massa terrestre; onde gli antichi crederono che i vulcani fossero gole o specie di pozzi che comunicassero coll’Inferno, e che le eruzioni di quelli fosser come un traboccamento del fuoco di quello.
  18. [p. 58 modifica]carcame. Scheletro. Si dava questo nome anche a un ornamento d’oro e di gioie che le donne portavano in capo a guisa di ghirlanda, ed era una specie di ciò che chiamasi ora francescamente Bandeau.
  19. [p. 58 modifica]gavigne. Son quelle parti del collo fra il ceppo dell’orecchie e i confini delle mascelle. Da gavigne, aggavignare, pigliar per le gavigne, che volgarmente dicesi pigliar per il collo.
  20. [p. 58 modifica]Che nel mondo è certe buche. I crateri appunto de’ vulcani, come ho di sopra accennato.
  21. [p. 58 modifica]E non so chi v’andò per Euridice. La favola d’Orfeo e d’Euridice è notissima, nè fa mestieri ripeterla.
  22. [p. 58 modifica]Minosse. Re di Creta, che celebrato in vita per somma giustizia, fu dopo morte finto giudice nell’Inferno, e assegnatore delle pene alle anime, secondo il grado di loro colpe. Finge Dante che egli dia i suoi giudizii coi movimenti della coda, avvolgendosela intorno alla persona tante volte quante bolge vuole che le anime cadan giù:

    Giudica, e manda seconda che avvinghia.

  23. [p. 58 modifica]Caron. Ha Voluto il Poeta dare a questa Stanza un suono aspro e rude, per imitare il linguaggio infernale; ma quanto non sta ella al di sotto della inimitabile ottava del Tasso:

    Chiama gli abitator dell’ombra eterne cc.

  24. [p. 58 modifica]spulezzo. Spulezzare vale fuggir con grandissima fretta; e spulezzo è l’atto dello spulezzare, præceps fuga.
  25. [p. 58 modifica]ir per la piana. Figuratamente, e vale: non cercar mai del pericolo, quando puoi cansarlo. E certo non è coraggio, ma sventataggine l’esporsi volontariamente e senza necessità ad alcun pericolo; quant’è poi bello il non temerlo per giusta cagione:

    Chè un bel morir tutta la vita onora.

  26. [p. 58 modifica]come micci. Miccio significa lo stesso che Asino, e si suole anche comunemente dire: «Si son picchiati come ciuchi.»
  27. [p. 58 modifica]Pagania. Vale Paganesimo in generale, e anche, siccome in questo luogo, paese abitato da Pagani.
  28. [p. 58 modifica]ciuffa. Acciuffa, acchiappa.
  29. [p. 58 modifica]mendico. Che va cercando il sostentamento uscio per uscio. Mendicare vale durar fatica a conseguire una cosa, onde chi dura fatica a parlare si dice che mendica le parole; ma il suo significato più comune è andare elemosinando, ostiatim sibi victum quærere; onde Dante disse:

    Mendicando la vita a frusto a frusto.
                                  Parad., Canto VI.

  30. [p. 58 modifica]chiere. Per chere, dal verbo antico cherere, cercare.
  31. [p. 58 modifica]Gli orecchi debbon cornarvi qua spesso. Cornare significa suonare il corno; e cornar gli orecchi vale sentirvi dentro alcuno zufolamento, o fischio; il che dicesi, per baia, accadere quando taluno è rammentato, e si parla di lui in luogo lontano.
  32. [p. 59 modifica]ostico. Di sapore ingrato e spiacente. In senso translato vale, come qui, strano, difficile a tollerarsi, malagevole, e simili.
  33. [p. 59 modifica]granato. Che ha fatto il granello, e dicesi comunemente granito. Qui figuratamente vale duro, forte.
  34. [p. 59 modifica]sia. Invece di sii.
  35. [p. 59 modifica]certanamente. Per certamente; ma è voce antica.
  36. [p. 59 modifica]Ricomperrollo. Cioè, ricompenserollo di ciò.
  37. [p. 59 modifica]si viene assettando. Stava pronto, stava preparato per accorrere al bisogno.
  38. [p. 59 modifica]co’ buffetti. Buffetto dicesi quel colpo che si dà con un dito facendolo scoccare di sotto l’altro. Questa voce significa anche piccola tavola, tavolino, e aggiunto a pane s’intende pan fine.