Lugrezia romana in Costantinopoli/Atto II

Atto II

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Atto I Atto III
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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Camera.

Lugrezia con bollettino sopra un occhio.

Oh me meschina, ohimè!

Con una sgraffignatanota
Mirmicaina crudel m’ha mezza orbata.
Mi spiace per il mondo:
Se taluno mi vede,
Sa il Ciel cosa si crede.

SCENA II.

Collatino, e detta.

Collatino. Lugrezia!

Lugrezia.   Collatino!
Collatino. Laticino del Lazio!
Lugrezia. Talpone del Tarpeonota!
Collatino. Gloria del Campidoglio!
Lugrezia.   Onor del Culiseo!
Collatino. Qual nuvola importuna
Copre in una pupilla
La metà di quel sol ch’in te scintilla?.
Lugrezia. Caro il mio Collatino,
Temo che non mi venga un cancherino.
Collatino. Lascia veder, mio bene.
Lugrezia. Ahimè, non mi toccar.
Collatino.   Farò pian piano.
(gli leva il bollettino
Allegra, anima mia, che l’occhio è sano.

1
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Lucrezia. Grazie al Cielo, ci vedo.

Ma dimmi, anima mia, nelle sventure
Come vieni sì grasso?
Collatino.   Io grasso! oh bella!
Tu sì, cara consorte,
Sei un pan di butirro.
Lugrezia.   Io certamente
Non ho sulla mia pelle alcuna rappa3,
Son bella, tonda, e grossa, e non son fiappa4.
Collatino. Si vede ben...
Lugrezia.   Ma dimmi
Dal naufragio comun come sortisti?
Collatino. A un timon di galera io m’attaccai,
Onde... ma viene il re.
Lugrezia.   Salvati, presto.
Collatino. Dove!
Lugrezia.   Cieli, non so.
Colà dentro: ma no.
Vanne di qua: nemmeno.
Vien con me: non va bene.
Entra là: non conviene.
Presto, non v’è altro caso:
Nasconditi, ben mio,
Là dove sta delle immondizie il vaso.
Collatino. Tremo da capo a piè per il timore;
Guai se no5 avessi di Romano il core! (si ritira

SCENA III.

Lugrezia, poi Albumazar; e Collatino ritirato.

Lugrezia. Serberò a Collatino

La mia fede sincera,
S’io credessi per lui gir in galera.

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Albumazar. Mia diletta Lugrezia,

Ormai per il tuo bello
Questo core divenne un Mongibello.
Dammi la destra in pegno,
Ed io ti dono con la destra il regno.
Lugrezia. E il consorte?
Albumazar. Lo dissi6: o parta, o eunuco.
Lugrezia. Dimmi, fra questi due consigli estremi,
Un consiglio miglior non puoi trovare?
Albumazar. Sì, vita mia.
Lugrezia.   Qual è?
Albumazar.   Farlo impalare.
Lugrezia. Una zìzola7 e mezza!
Misera, che farò?
Collatino.   (Eh, ehm, Lugrezia;
Mi raccomando a te).
Lugrezia.   (Non paventare;
Un pretesto badial8 convien trovare).
Albumazar. Risolvesti?
Lugrezia.   Dirò: nacqui romana,
E non sanno i Romani
Senza il consiglio degli Dei risolvere.
Lascia ch’io vada nel romano idioma
I Numi a consigliar.
Albumazar.   Ma dove?
Lugrezia.   In Roma.
Albumazar. Per fuggir, neh9, caretta! Oh che gran birba!
(Vuò deluder anch’io l’arte con l’arte).
Credi tu che in Bisanzio
Non vi siano deità?
Lugrezia.   Ciò non m’è noto.
Albumazar. Ancor noi veneriam Veneri e Giovi,

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E sopra i nostri altari

Il foco abbiam per arrostire i bovi.
(Giovimi l’invenzion).
Lugrezia. Quando dunque è così,
Andiam davanti il Nume;
Quello ch’egli dirà, dirò ancor io.
Albumazar. (Farò parlar il Nume a modo mio).
Va dunque a prepararti,
Indi al tempio t’aspetto.
Lugrezia. (Ah voglia il Cielo,
Ch’abbia a incontrar la morte,
Prima d’esser infida al mio consorte).
  No, che lasciar non posso
  Il caro mio tesoro;
  Per lui languisco e moro,
  Fedele ognor sarò.
  L’idolo mio diletto
  Che m’ha ferito il petto,
  Lasciar d’amar non vuò. (parte

SCENA IV.

Albumazar, e Collatino nascosto.

Albumazar. Se posso far a meno,

Non voglio usar contro costei la forza.
Alle cotante deità sognate
Dai gentili Romani,
Una ne aggiungerò con le mie mani.
Ma ohimè, mi par sentire10
Le budelle11 in tumulto;
Più resister non posso,
I fagiuoli m’han fatto il ventre grosso.
Io so ch’in questa stanza

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Vi è un ripostiglio... è questo.

Affé, che l’ho trovato! (apre, e trova Collatino
Ahimè! M’ho quasi mezzo spiritato.
Che diavolo (ai qui?
Collatino.   (Finger conviene).
Al licet, o signor, io era andato,
E mi son colà dentro addormentato.
Presto, vanne ancor tu: la dilazione
Ti potrebbe causar qualche gran doglia.
Albumazar. M’hai fatto pel timor scappar la voglia.
Odi: al tempio anderai,
E colà il tuo destin tu saperai.
Collatino. (Ahi, preveggo il mio danno.
La beltà della moglie è un gran malanno).
  Che crude fiere doglie
  Lasciar la cara moglie
  In man di genti ingrate.
  Mariti, se ’l provate,
  Ditelo voi per me.
  Di questo fier dolore
  Non v’è duolo maggiore,
  Pena maggior non v’è. (parte

SCENA V.

Albumazar, poi Mirmicaina e Ruscamar.

Albumazar. Dica pur ciò che vuole,

Questa volta Lugrezia non mi scappa.
Ruscamar. Ehi segnur.
Mirmicaina.   Mio patron.
Ruscamar.   Custìa.
Mirmicaina.   Costù.
Ruscamar. No voler12 esser mia.
Mirmicaina.   Me vuol per lu.

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Ruscamar. Ti me l’aver donada.

Mirmicaina. Son per el vostro letto destinada.
Ruscamar. Donca mi la voler.
Mirmicaina.   Vu sè patron.
Ruscamar. No parlar!
Mirmicaina.   Vu tasè co fa un minchion?
Albumazar. Si vederà, se il mio dovere adempio:
Venite entrambi a ritrovarmi al tempio.
Mirmicaina. Cossa gh’entra13 le tempie?
Ruscamar. Cossa star questo tempio?
No saver che ghe sia
Altro tempio in Turchia,
Che le sole moschee de Maumetto.
Albumazar. Un altro tempio vederete eretto.
Colà dunque venite,
E per or fra di voi cessi la lite.
  Come in mar galere armate
  Non vi state - a cannonar.
  Fate triegua per un poco,
  Ed il foco
  Cominciate ad ammorzar. (parte

SCENA VI.

Mirmicaina e Ruscamar.

Ruscamar. Oh cari occhietti bei!

Mirmicaina. Per sta volta ti pol licarte i déi14.
Ruscamar. Ma star mi tanto brutto,
Che no ti me voler?
Mirmicaina.   Per dir el vero.
No ti xe gnanca el diavolo.
Mi gh’ò grinzoli e gringola15
De deventar regina,

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Per altro, tanto no ti me despiasi:

Spera.
Ruscamar.   E intanto, ben mio?
Mirmicaina.   Sopporta, e tasi.
Ruscamar.   Tasér? Sopportar?
  Intendo, tiranna,
  Voler mi crepar.
  Se aver da morir,
  Davanti to occhi
  Volerme mazzar. (parte

SCENA VII.

Mirmicaina, poi Maimut.

Mirmicaina. Son tanto di natura tenerina,

Che sto Turco meschin me fa peccà.
Se mi podesse far tutti contenti,
No ghe saria nissun desconsolà.
Maimut. Uhi, star ti Mirmicaina?
Mirmicaina.   Patron sì.
Quella giusto son mi.
Maimut. E ti pretender deventar sultana?
Mirmicaina. Sior sì, l’hala savesto?
Son quella, patron sì.
Maimut.   Tiò, chiapar questo.
Mirmicaina. Ghe son molto obbligada,
Accetto per finezza
Questa soa petizada.
Maimut. Star matta se creder
Sultana deventar.
Mirmicaina. Come! me l’ha promesso Albumazar.
Maimut. Questo star un inganno.
Ti no lo cognoscér;
Finger con quella e questa,
E po a tutte colù far taggiar testa.

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Mirmicaina. Cazza dall’acqua!16 a tutte taggiar testa?

Che brustega17 xe questa?
Mi però no lo credo:
El m’ha dito ch’al tempio
Vaga, che saverò la sorte mia.
Maimut. Al tempio? No ghe star tempio in Turchia.
Mirmicaina. E via, sior mustachiera18,
Che no ve credo un bezzo.
Maimut. Albumazar star quello che t’inganna;
Se no creder a mi,
Presto ti vederà se star così.
  El traditor simioto
  Saltar, parer che rida,
  Ma se patron se fida,
  Mostrar i denti,
  L’ongie19 W menar.
  Donca creder a mi,
  Che te farà così
  Ancora Albumazar. (parte

SCENA VIII.

Mirmicaina sola.

Coss’oggio mo da far?

Se me fido, ho paura;
Se no me fido, tremo;
Se vago, posso deventar regina,
Ma posso anca morir.
Se resto, ho perso
Tutta la mia speranza.

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Voggio pensarghe suso;

Proprio me sento in petto el cuor confuso.
  Mi me trovo in sto momento
  Tra l’ancuzene e ’l martello;
  Vorrìa esser un osello
  Per svolar de qua e de là.
  Povera grama, son qua mi sola,
  Nissun mi trovo20, che me consola.
  Chi me conseggia per carità? (parte

SCENA IX.

Sala del Divano preparata ad uso di tempio, con idolo in mezzo.

Albumazar, Ruscamar, Lugrezia e Collatino.

POPOLO.

CORO.

  Dupraiasche21 aclà aclà

  Stocamathe22 fatakà.
  Uzcha, Muzcha,
  Scialla àcbe23 aclà aclà.
Lugrezia. Che musica arrabbiata è mai cotesta?
Albumazar. Lugrezia, e tu non canti?
Perchè non seguitar nostro costume?
Sciogli le voci in riverenza al Nume.
Lugrezia. Signor, io lo farei,
Ma se deggio imitar il tuo parlare,
Certo mi sembrerà di bestemmiare.
Albumazar. Piglia dunque, mia cara,
La carta ove stan scritte a chiare note
Le mie preci divote. In questo foglio
Uno stil leggerai che l’alme incanta;
Lugrezina, mio ben, prendilo e canta.

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Lugrezia. Basta, m’ingegnerò; dammi quel foglio.

Oh che gran scarabotti! Oimè, che imbroglio!
Albumazar. Tu quella sei, per cui
Deve il Nume parlar; tu prima dunque
Intona il dolce metro,
Ch’indi noi tutti ti verremo dietro.
Collatino. (Ah Lugrezia, che fai con questi riti?
Giove superno e i nostri Numi irriti).
Lugrezia. (Questo è Nume, o non è: se non è Nume,
Secondare costui poco mi costa;
E s’è Nume davvero,
Com’è nostro desio darà risposta).
Albumazar. Via Lugrezia, che24 stiamo ad ascoltarti.
(Oggi con la pietà voglio ingannarti).
Lugrezia. Orsù, mi proverò.
  Dupra... Dupra...
Adagio un poco.
Ch’io non l’intendo bene.
  Dupraiosche aclà aclà
  Stocramatche fatakà25.
Tutti.   Dupraiosche aclà aclà
  Stocramatche fatakà.
Lugrezia.   Uzcha, Muzcha...

SCENA X.

Mirmicaina e detti.

Mirmicaina. Cossa xe sto zigar? Coss’è sti urli?

Siori, son qua anca mi:
Anca’ mi la me preme.
Quando volè cantar, cantemo insieme.
Albumazar. Sì sì, quel ti par.

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Lugrezia. Io torno a seguitar:

  Uzcha, Muzcha,
  Scialla àcbe aclà aclà.
Tutti.   Uzcha, Muzcha,
  Scialla àcbe aclà aclà.
Albumazar. Ora ognuno s’acqueti:
Spero, se non s’oppone un qualche ostacolo,
La risposta ottener dal nuovo oracolo.
Lugrezia. (Che mai sarà!)
Collatino.   (Pavento il fato estremo).
Mirmicaina. Dall’angossa che gh’ò, tutta mi tremo.
Albumazar. Nume, non so s’io dica
Del cielo, o della terra, o dell’inferno,
Poiché incognito a noi
Tu nascondi il tuo nome e i pregi tuoi,
Dimmi qual esser deve
D’Albumazar la sposa...
Mirmicaina. Mirmicaina sarà...
Albumazar.   Taci, orgogliosa.
Umil ti porgo le mie preci in voto,
Piacciati il tuo voler di farmi noto.
Oracolo.   La voce sovrana
  Risposta ti dà.
  Lugrezia Romana
  La sposa sarà.
Lugrezia. (Infelice, che intesi!)
Collatino.   (Ahimè, che sento!
Chi parlò? Dove sono?)
Mirmicaina. (Schiavo siora maestà, schiavo sior trono).
Albumazar. Udiste? Io già non posso
Cambiar gli affetti miei
Contro il giusto voler de’ sommi Dei.
Lugrezia. Signor, mal intendesti
Dell’oracolo i sensi.
Quest’è la vera spiegazione sua:

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Lugrezia sarà sposa,

Sposa di Collatino, ma non tua.
Collatino. Brava, da cavalier.
Mirmicaina.   Brava sul sodo.
Sì, da donna d’onor, questa la godo.
Albumazar. Eh, tu procuri invano
Dall’impegno sottrarti;
Chiari udisti testè del Nume i sensi:
Se ti spiace tal modo,
Fa che il Nume medemo ti dispensi.
Lugrezia. Nume, che non ha nome,
Se della tua risposta
Mi spieghi il senso buono,
Io ti prometto i miei capelli in dono.

SCENA XI.

Maimut colla spada alla mano.

Maimut. Chi star Nume? chi star questo oracùlo?

Albumazar. Scellerato, cotanto
S’avanza l’ardir tuo? Giungi superbo
A profanare i Dei?
Maimut. Kalamà Dobrair, sciulà26 falcai.
(Dà una botta colla sciabla all’oracolo, il quale si spezza e sorte fuori un Turco, che resta spaventalo, e nel vederlo tutti fanno un atto d’ammirazione, e Maimut parte
Albumazar. (Oh.).
Ruscamar.   (Uh.).
Lugrezia.   (Ih.). (tutti assieme
Collatino.   (Eh.)
Mirmicaina.   (Ah.)

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Oracolo.   Lugrezia Romana

  La sposa sarà. (parte
Mirmicaina. Cossa xe sto negozio?
Lugrezia. Forse qualche portento?
Collatino. Questo d’Albumazare è un tradimento.
Albumazar. Sì, temerarii, è vero,
Questa è una mia invenzion; per ingannarvi
Questo Nume inventai;
Finsi, ma nel mio cor non l’adorai.
Vuò Lugrezia per moglie,
Mirmicaina non curo,
Collatino sen vada,
Maimut mi tema; io già di sdegno abbondo;
Oggi farò tremar Bisanzio e il mondo.
  Tremate, felloni,
  Io voglio così.
Collatino.   Costanza, mia vita. (a Lugrezia
Lugrezia.   Per tanto dolore
  Mi giubila27 il cor.
Mirmicaina.   Se ti m’abbandoni,
  Ti è un can traditor.
Ruscamar.   Mi pol, se ti vol,
  Fenir to dolor.
Mirmicaina.   Ti è matto.
Albumazar.   Sei stolta.
Lugrezia.   Crudele.
Collatino.   Spietato.
Lugrezia. (a due    Rispondi una volta.
Collatino.
Lugrezia.
Collatino. (a tre    Mi tratti così.
Mirmicaina.
Albumazar. La voglio così.

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Collatino. Ahimè, che gran pena! (piange tutti assieme
Ruscamar. Che gusto provar! (ride
Mirmicaina. Vardè che bel sesto! (scherza
Lucrezia. Che brutto trattar! (sgrida
Albumazar. Tremate, felloni, (minaccia
Io voglio così.
Tutti. Tiranno, sì, sì.


Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Voce dialettale.
  2. Valvas.: Torpeo.
  3. Voce dialettale: grinza, ruga. V. Patriarchi E Boerio.
  4. Dialettale: floscia, vizza. V. Patriarchi e Boerio.
  5. Guibert e Zatta: non.
  6. Zatta: (Lug. Ed il consorte? Alb. Il dissi ecc.".
  7. Giuggiola.
  8. Badial dicesi anche nel dialetto veneziano, e significa stupendo, squisito: v. Patriarchi e Boerio. Qui grosso pretesto.
  9. Nell’edd. Tevernin, Guibert, Zatta ecc.: per fuggirne.
  10. Valvas. e Tev.: sentir.
  11. Zatta: budella.
  12. Nell’ed. Valvasense è spesso stampato: voller. Zatta: vuoler.
  13. Zatta: gh’intra.
  14. Puoi leccarti invano le dita.
  15. Capricci (grizzoli) e gran voglia: come spiega l’amico C. Musatti. V, Boerio.
  16. "Quell’arnese, per lo più di rame, con cui si prende l’acqua dalle secchie”. Ma usasi quale esclamazione di meraviglia, in luogo d’altra voce poco onesta. V. Boerio.
  17. Vocabolo ignoto. L’amico C. Musatti sospetta qualche analogia con bruseghin, gelosia, cruccio.
  18. Così si dicevano i Levantini, per i lunghi mustacchi: v. Pettegolezzi delle donne, vol. VI, 475. Manca nel Boerio.
  19. Così Valvasense. Nelle edd. Tev. e Zatta, per errore: L’onghe.
  20. Così Valvas. Tevernin: me; Zatta no.
  21. Tevernin e Zatta: Duprajosche.
  22. Tev.: Stocra mathe; Zatta: Otocamathe.
  23. Così Valvasense. Tev. e Zatta: Scialla à che.
  24. Così l’ed. Valvasense. Manca questo che, per errore, nelle edizioni Tev. e Zatta.
  25. Zatta: fatkà.
  26. Così Valvasense. Edd. Tev., Guibert e Zatta: feiulà.
  27. L’ed. Zatta corregge: palpita.