L'isola misteriosa/Parte seconda/Capitolo XVII

Parte seconda - Capitolo XVII

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
Parte seconda - Capitolo XVII
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CAPITOLO XVII.


Sempre in disparte — Una domanda dell’incognito — La fattoria costrutta nel ricinto — Dodici anni fa! — Il terzo ufficiale del Britannia — Abbandono nell’isola Tabor — La mano di Cyrus Smith — Il documento misterioso.

Quest’ultime parole davano ragione ai presentimenti dei coloni. Vi era nella vita di quel disgraziato qualche funesto passato, espiato forse agli occhi degli uomini, ma di cui la sua coscienza non l’aveva ancora assolto. In ogni caso, il colpevole aveva dei rimorsi, si pentiva, e quella mano che gli domandavano, i nuovi amici l’avrebbero stretta cordialmente; ma egli non si sentiva degno di porgerla a gente onesta. Peraltro, dopo la scena dello jaguaro, egli non tornò nella foresta, e da quel giorno non lasciò più il ricinto del Palazzo di Granito.

Qual era il mistero di quella esistenza L’incognito, parlerebbe egli, un giorno o l’altro? Questo doveva apprendere l’avvenire. In ogni caso, fu convenuto di non chiedergli mai il suo segreto e di vivere con lui come se non si avesse sospettato di nulla. [p. 79 modifica]

Per alcuni giorni la vita comune continuò dunque ad essere quella che era stata. Cyrus Smith e Gedeone Spilett lavoravano insieme, ora chimici, ora fisici. Il reporter non lasciava l’ingegnere se non per andar alla caccia con Harbert, giacchè non sarebbe stato prudente che il giovinetto vagasse solo per la foresta, e bisognava tenersi in guardia. Quanto a Nab e Pencroff, un giorno nelle stalle o nel cortile, un altro nel ricinto, senza contare i lavori al Palazzo di Granito, non avevano da stare in ozio.

L’incognito lavorava in disparte ed aveva ripreso la sua esistenza abituale, non pigliando parte ai pasti, coricandosi sotto gli alberi dell’altipiano, non mischiandosi mai ai compagni. Pareva invero che la compagnia di coloro che lo avevano salvato gli riuscisse insopportabile.

— Ma allora, faceva osservare Pencroff, perchè ha egli reclamato il soccorso dei suoi simili, perchè ha egli gettato quel documento in mare?

— Ce lo dirà, rispondeva invariabilmente Cyrus Smith.

— Quando?

— Forse più presto che non crediate, Pencroff.

Infatti il giorno delle confessioni era vicino. Il 10 dicembre, una settimana dopo il suo ritorno al Palazzo di Granito, Cyrus Smith vide venirgli incontro l’incognito, il quale con voce pacata ed in tono umile gli disse:

— Signore, avrei una domanda da farvi.

— Parlate, rispose l’ingegnere; ma prima lasciate che vi faccia io una domanda.

A queste parole l’incognito si fece rosso, e fu lì lì per andarsene. Cyrus Smith comprese quanto accadeva nell’anima del colpevole, il quale temeva, senza dubbio, che l’ingegnere l’interrogasse sul suo passato.

Lo trattenne colla mano e gli disse: [p. 80 modifica]

— Camerata, non solamente siamo per voi compagni, ma amici — ed ora vi ascolto.

L’incognito passò la mano sugli occhi, era preso da una specie di tremito e stette alcuni istanti senza poter proferire parola.

— Signore, diss’egli finalmente, vengo a pregarvi d’accordarmi una grazia.

— Quale?

— Voi avete, a quattro o cinque miglia di qui, a piedi della montagna, un ricinto per i vostri animali domestici. Codesti animali hanno bisogno di essere curati; mi volete permettere di vivere laggiù con essi?

Cyrus Smith guardò per alcuni istanti il disgraziato con un sentimento di profonda commiserazione, poi disse:

— Amico mio, il ricinto non ha che delle stalle buone appena per gli animali.

— Sarà abbastanza per me.

— Amico, soggiunse Cyrus Smith, non vi contrasteremo in nulla. Vi piace vivere al ricinto? sia pure. D’altra parte, sarete sempre il benvenuto al Palazzo di Granito. Ma postochè volete vivere al ricinto, piglieremo le disposizioni necessarie perchè vi abbiate a star bene.

— Non serve, ci starò sempre bene comunque sia.

— Amico mio, aggiunge l’ingegnere, il quale insisteva a bell’a posta in questo appellativo cordiale, voi ci lascerete giudici di quanto dobbiamo fare.

— Grazie, disse l’incognito andandosene.

L’ingegnere fece subito conoscere ai compagni la proposta che gli era stata fatta; fu deciso di costrurre nel ricinto una casa di legno e di renderla comoda il più possibile.

Il giorno medesimo i coloni si recarono al ricinto cogli utensili necessari, e non era scorsa una settimana che la casa era pronta a ricevere l’ospite suo.

Era stata rizzata ad una ventina di passi dalle stalle, [p. 81 modifica]d’onde doveva essere facile sorvegliare il greggie di mufloni che contava allora circa 80 capi.

Alcuni mobili, lettuccio, panca, tavola, forziere, furono fabbricati e trasportati al ricinto, come pure armi, munizioni ed utensili.

Del resto, l’incognito non era stato a vedere la sua nuova casa, aveva lasciato che i coloni vi lavorassero senza di lui, intanto che egli si occupava sull’altipiano volendo senza dubbio dar l’ultima mano alla propria bisogna.

Infatti, in grazia sua, tutte le terre erano dissodate e pronte a ricevere le sementi non appena fosse giunto il momento.

Era il 20 dicembre che gli adattamenti erano stati fatti al ricinto; l’ingegnere annunziò all’incognito che la sua abitazione era pronta a riceverlo, e costui rispose che v’andrebbe a coricarsi la sera medesima.

In quella sera i coloni erano raccolti nel Palazzo di Granito.

Erano le otto, ora in cui il loro compagno doveva lasciarli. Non volendo dargli noja, imponendogli colla loro presenza addii, che lo avrebbero forse infastidito, lo avevano lasciato solo, ed erano saliti al Palazzo di Granito.

Cianciavano essi nella gran sala da alcuni istanti, quando fu battuto all’uscio un colpo leggiero; quasi subito l’incognito entrò, e senza alcun altro preambolo disse:

— Signori, innanzi che vi lasci, è necessario che vi narri la mia storia; eccola.

Queste parole impressionarono vivamente Cyrus Smith ed i compagni. L’ingegnere si era levato.

— Non vi domandiamo nulla, diss’egli, siete in diritto di tacervi.

— È mio dovere di parlare.

— Sedete dunque.

— Resterò in piedi. [p. 82 modifica]

— Vi ascoltiamo.

L’incognito se ne stava in un cantuccio della sala, protetto dalla penombra, colla testa nuda e le braccia incrociate sul petto; ed in tale positura, con voce sorda, quasi facendosi forza, fece il racconto che segue, senz’essere interrotto mai dai suoi ascoltatori.

«Il 20 dicembre 1854, un yacht a vapore, il Duncan, appartenente a lord Glenarvan, gettava l’ancora sulla costa australiana, all’altezza del trentasettesimo parallelo.

«A bordo di quello yacht erano lord Glenarvan, sua moglie, un maggiore dell’armata inglese, un geografo francese, una fanciulla ed un giovanetto. Questi due ultimi erano i figli del capitano Grant, la cui nave, Britannia, era colata a fondo un anno prima. Il Duncan era comandato dal capitano John Mangles e montato da un equipaggio di quindici uomini.

«Ecco perchè codesto yacht si trovava a quel capo sulle coste dell’Australia.

«Sei mesi prima, una bottiglia contenente un documento scritto in inglese, in tedesco ed in francese, era stata trovata nei mari d’Irlanda e raccolta dal Duncan. Codesto documento diceva esistere ancora tre superstiti del naufragio del Britannia, e questi essere il capitano Grant e due dei suoi uomini; aver essi trovato rifugio in una terra, di cui dava la latitudine, ma la cui longitudine, cancellata dall’acqua del mare, non era più leggibile. Codesta latitudine era di 37° 11, australe; onde essendo incognita la longitudine, se si seguitava il trentasettesimo parallelo, si era certi arrivare alla terra abitata dal capitano Grant e dai suoi compagni.

«Avendo l’ammiragliato inglese esitato ad intraprendere questa ricerca, lord Glenarvan risolvette di tentare ogni cosa per ritrovare il capitano Grant. Mary e Robert Grant erano stati messi in rapporto con lui. [p. 83 modifica]

«Lo yacht fu equipaggiato per un lungo viaggio, a cui la moglie del lord ed i figli del capitano Grant vollero prender parte.

«La nave, lasciando Glasgow, si diresse verso l’Atlantico, doppiò lo stretto di Magellano e risalì per il Pacifico fino alla Patagonia, dove, secondo una prima interpretazione del documento, si poteva immaginare che il capitano Grant fosse prigioniero degli indigeni.

«Il Duncan sbarcò i passeggieri sulla costa occidentale della Patagonia e ripartì per ripigliarli alla costa orientale, al capo Corrientes. Lord Glenarvan attraversò la Patagonia seguendo il trentasettesimo parallelo, e non avendo trovato alcuna traccia del capitano, s’imbarcò novellamente il 13 novembre per proseguire le sue ricerche a traverso l’Oceania.

«Dopo aver visitato senza successo le isole Tristam d’Acunha ed Amsterdam poste nel suo cammino, il Duncan, come ho detto, giunse al capo Bernouilli il 20 dicembre 1854. Era intenzione di lord Glenarvan di attraversare l’Australia, come aveva attraversato l’America, e sbarcò; a poche miglia dalla spiaggia era la fattoria di un Irlandese, il quale offrì ospitalità ai viaggiatori. Lord Glenarvan fece conoscere all’Irlandese le ragioni che l’avevano tratto in quei paraggi, e gli domandò se avesse notizia che un tre alberi inglese, il Britannia, si fosse perduto da meno di due anni sulla costa ovest dell’Australia. L’Irlandese non aveva mai inteso parlare di tal naufragio, ma, con gran maraviglia di tutti, uno dei servitori dell’Irlandese entrò a dire:

«Milord, ringraziate Dio; se il capitano Grant è ancora vivo, egli vive nella terra australiana.

«E chi siete voi? domandò lord Glenarvan.

«Uno scozzese al par di voi, milord, uno dei compagni del capitano Grant, uno dei naufraghi del Britannia. [p. 84 modifica]

«Quest’uomo si chiamava Ayrton. Era infatti il terzo ufficiale del Britannia, come testimoniavano le sue carte, ma, separato dal capitano Grant al momento in cui la nave si frangeva sugli scogli, egli aveva creduto che il suo capo fosse perito e che unico superstite fosse lui, Ayrton.

«Solo, soggiunse, non è sulla costa ovest, ma sulla costa est dell’Australia che la nave colò a fondo, e se il capitano Grant è vivo ancora, come indica il documento, egli è prigioniero degl’indigeni australiani, ed è sull’altra costa che bisogna cercarlo.

«Quell’uomo, così dicendo aveva la voce schietta e lo sguardo determinato; non si poteva dubitare delle sue parole.

«L’Irlandese, che l’aveva al proprio servizio da oltre un anno, rispondeva di lui. Lord Glenarvan si fidò ai suoi consigli e risolvette di attraversare l’Australia, seguendo il trentasettesimo parallelo. Lord Glenarvan, sua moglie, i due figli del capitano Grant, il maggiore, il francese, il capitano Mangles ed alcuni marinaj dovevano comporre il piccolo drappello guidato dal capitano, mentre il Duncan, comandato dal secondo, Tom Austin, si sarebbe recato a Melbourne per attendervi le istruzioni di lord Glenarvan.

«Partirono il 25 dicembre 1854.

«È tempo di dire che codesto Ayrton era un traditore. Era egli veramente il terzo ufficiale del Britannia, ma, in seguito a discussioni col capitano, egli aveva cercato d’indurre l’equipaggio alla rivolta e d’impadronirsi della nave, onde il capitano Grant lo aveva sbarcato il 28 aprile 1852, poi era ripartito abbandonandolo, — il che non era altro che giustizia.

«Così codesto miserabile nulla sapeva del naufragio del Britannia, ma l’aveva appreso dal racconto di Glenarvan! Dopo il suo abbandono egli era divenuto, col nome di Ben Joyce, il capo dei deportati evasi, [p. 85 modifica]e se affermò impudentemente che il naufragio era avvenuto sulla costa est, se indusse lord Glenarvan a lanciarsi in quella direzione, egli è che sperava di separarlo dalla sua nave, di rendersi egli padrone del Duncan e di farne un pirata del Pacifico.»

A questo punto l’incognito s’interruppe un istante, gli tremava la voce; ma tosto ripigliò a dire:

«La spedizione partì e si diresse a traverso la terra australiana. Fu naturalmente disgraziata, giacchè Ayrton o Ben Joyce, come si voglia chiamarlo, la dirigeva, ora preceduto, ora seguito dalla sua banda di deportati che era stata avvertita del colpo da fare. Frattanto il Duncan era stato mandato a Melbourne per riparare alcune avarie. Si trattava dunque di indurre lord Glenaryan e dargli l’ordine di lasciare Melbourne e di recarsi sulla costa est dell’Australia, dove sarebbe facile impadronirsene. Dopo d’aver guidato la spedizione molto presso a quella costa, in mezzo a vaste foreste dove mancava ogni cosa, Ayrton ottenne una lettera che si era incaricato di portare al secondo del Duncan, lettera che conteneva l’ordine di recarsi sulla costa est, alla baja di Twofold, vale a dire a poche giornate da dove si era fermata la spedizione. Era là che Ayrton aveva dato convegno ai suoi complici.

«Nel momento che stava per essergli consegnata questa lettera, il traditore fu smascherato, e non ebbe altro scampo che la fuga. Ma la lettera, che doveva dargli il Duncan, bisognava averla ad ogni costo. Ayrton riuscì ad impadronirsene, e due giorni dopo era à Melbourne.

«Fin allora il colpevole era riuscito nel suo disegno. Egli aveva speranza di condurre i deportati nella baja di Twofold; colà doveva essergli facile impadronirsi della nave. Dio doveva arrestarlo allo scioglimento del suo funesto disegno. Ayrton, giunto a Melbourne, consegnò la lettera al secondo, Tom Austin, [p. 86 modifica]il quale la lesse, e spiegò subito la vela; ma pensate il dispetto e la collera di Ayrton quando il domani egli apprese che il secondo conduceva la nave non già alla costa est dell’Australia, alla baja di Twofold, ma bensì alla costa est della Nuova Zelanda. Volle opporsi. Tom Austin gli mostrò la lettera. Ed infatti, per un errore provvidenziale del geografo francese, la costa est della Nuova Zelanda era designata come luogo di destinazione.

«Tutti i disegni di Ayrton crollavano. Volle ribellarsi; venne chiuso. Fu egli dunque tratto sulla costa della Nuova Zelanda, non sapendo più che sarebbe dei suoi complici e di lorò Glenarvan.

«Il Duncan stette in crociera sulla costa fino al 3 marzo. In quel giorno Ayrton intese degli spari. Erano i cannoni del Duncan che facevano fuoco, e poco dopo lord Glenarvan ed il suo equipaggio giungevano al porto. Ecco che cosa era accaduto.

«Dopo mille stenti, mille pericoli, lord Glenarvan aveva potuto compiere il suo viaggio ed arrivare alla costa est dell’Australia, sulla baja Twofold. Il Duncan non vi era! Telegrafò à Melbourne; gli fu risposto: «Duncan partito dal 18 corrente per destinazione ignota.»

«Lord Glenarvan non potè più pensare se non una cosa, cioè che l’onesto yacht fosse caduto nelle mani di Ben Joyce, e che il Duncan fosse divenuto una nave di pirati.

«Pure egli non volle abbandonare la partita. Era uomo intrepido e generoso. S’imbarcò sopra una nave mercantile, si fece condurre alla costa ovest della Nuova Zelanda; la traversò sul trentasettesimo parallelo, senza incontrare alcuna traccia del capitano Grant; ma nell’altra costa, con sua gran maraviglia e per volere del Cielo, ritrovò il Duncan, che sotto gli ordini del secondo aspettava da cinque settimane. [p. 87 modifica]

«Si era al 3 marzo 1855: lord Glenarvan era a bordo del Duncan, ma Ayrton ancor esso vi era. Comparve dinanzi al lord, il quale volle sapere da lui tutto quanto il bandito potesse conoscere intorno al capitano Grant. Ayrton rifiutò di parlare. Lord Glenarvan gli disse che alla prima fermata lo avrebbe consegnato all’autorità inglese. Ayrton stette muto, il Duncan riprese la via del trentasettesimo parallelo. Frattanto lady Glenarvan si tolse l’incarico d’indurre Ayrton a parlare; riuscì, ed Ayrton, in contraccambio di tutto ciò che potrebbe dire, propose a lord Glenarvan di abbandonarlo in una delle isole del Pacifico, invece di consegnarlo alle autorità inglesi.

«Lord Glenarvan, determinato a tutto per apprendere quanto si riferiva al capitano Grant, vi acconsentì. Ayrton raccontò allora la sua vita; fu così accertato ch’egli non sapeva nulla, dal giorno in cui il capitano Grant l’aveva sbarcato sulla costa australiana. Nondimeno lord Glenarvan mantenne la parola. Il Duncan proseguì la sua rotta e giunse all’isola Tabor. Era là che Ayrton doveva essere sbarcato, e fu appunto là che, per un vero miracolo, furono trovati il capitano Grant ed i suoi due uomini, precisamente sul trentasettesimo parallelo. Il deportato doveva dunque sostituirli in quell’isolotto deserto, ed ecco, al momento in cui lasciò lo yacht, le parole proferite da lord Glenarvan:

« — Qui, Ayrton, sarete lontano da ogni terra e senza comunicazione possibile con i vostri simili; non potrete fuggire da quest’isolotto; sarete solo sotto l’occhio di un Dio che vede ogni cuore, ma non sarete nè perduto, nè ignorato, come fu il capitano Grant. Per quanto indegno siate della ricordanza degli uomini, gli uomini si sovverranno di voi. Io so dove trovarvi, Ayrton, non lo dimenticherò mai!»

«E il Duncan, spiegando le vele, scomparve. [p. 88 modifica]

«Era il 18 marzo 1855 1.

«Ayrton era solo, ma non gli mancavano nè munizioni, nè armi, nè utensili, nè sementi. Era a disposizione del deportato la casa costrutta dall’onesto capitano Grant. Egli non doveva far altro che esistere ed espiare nell’isolamento i delitti commessi. Signori, egli si pentì, ebbe vergogna dei suoi delitti e fu ben disgraziato. Egli disse a sè stesso che se un giorno gli uomini venissero a trovarlo in quell’isolotto, bisognava essere degno di essi. Oh! quanto soffrì il miserabile! Oh quanto lavoro per rinnovare se stesso, e quanto pregò per rigenerarsi!

«Per due o tre anni la cosa andò così. Ma Ayrton, stremato dall’isolamento, sempre intento a guardare se non apparisse alcuna nave all’orizzonte, domandandosi se il tempo dell’espiazione fosse per cessare, soffriva come non si è sofferto mai. Ah quanto è dura la solitudine, per un’anima tormentata dai rimorsi! Ma, senza dubbio, il Cielo non lo trovava abbastanza punito, perchè egli a poco a poco si sentì divenire selvaggio, si sentì a poco a poco abbrutire. Non so se dopo due o quattro anni di abbandono, ma alla fine divenne quel miserabile che voi avete trovato. Non ho bisogno di dire che Ayrton Ben Joyce ed io siamo la stessa persona!»

Cyrus Smith e gli altri si erano levati al finire di questo racconto. Quante miserie, quanti dolori, quanta disperazione poste a nudo dinanzi ad essi!

— Ayrton, disse allora Cyrus Smith, voi siete stato un gran colpevole, ma il Cielo deve trovare certamente che avete espiato i vostri delitti, e ve ne dà [p. 89 modifica]una prova riconducendovi fra i vostri simili. Ayrton, voi siete perdonato; ed ora, volete voi essere il nostro compagno?

Ayrton si era tirato indietro.

— Ecco la mia mano, disse l’ingegnere; Ayrton si precipitò su quella mano che gli veniva offerta e grosse lagrime colarono dagli occhi suoi.

— Volete vivere con noi?

— Signor Smith, lasciatemi qualche tempo ancora, rispose Ayrton, lasciatemi solo nell’abitazione del ricinto.

— Come vorrete.

Costui stava per ritirarsi, quando l’ingegnere gli volse un’ultima domanda.

— Ancora una parola, amico mio. Poichè era vostro disegno di vivere isolato, perchè avete gettato in mare il documento che ci pose sulle vostre traccie?

— Un documento! disse Ayrton, sembrando non comprendere di che si parlasse; un documento!

— Sì, un documento chiuso in una bottiglia che abbiamo trovato e che dava la situazione esatta dell’isola Tabor.

Ayrton passò una mano sulla fronte, e dopo aver pensato, rispose:

— Non ho mai gettato nessun documento in mare.

— Mai? esclamò Pencroff.

— Mai!

Ed Ayrton, inchinandosi, uscì.

Note

  1. Gli avvenimenti, che sono qui narrati in succinto, formano un opera che molti dei nostri lettori hanno senza dubbio letto e che è intitolata I figli del capitano Grant. Si noterà in questa occasione, e più innanzi, esistere una certa discordanza nelle date, ma più tardi si comprenderà perchè da principio non si erano potuto dare le vere date.

    (Nota degli Editori).