L'isola misteriosa/Parte prima/Capitolo XIX

Parte prima - Capitolo XIX

../Capitolo XVIII ../Capitolo XX IncludiIntestazione 30 giugno 2023 75% Da definire

Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
Parte prima - Capitolo XIX
Parte prima - Capitolo XVIII Parte prima - Capitolo XX
[p. 68 modifica]

CAPITOLO XIX.


Il disegno di Cyrus Smith — La facciata del Palazzo di Granito — La scala di corda — I sogni di Pencroff — Le erbe aromatiche — Una conigliera naturale — Derivazione delle acque per i bisogni della nuova casa — Vista che si ha dalle finestre del Palazzo di Granito.

Il domani, 22 maggio, furono incominciati i lavori destinati all’adattamento speciale della nuova casa. I coloni invero non vedevano l’ora di barattare con quell’ampio e sano ricovero scavato nella viva roccia, posto al riparo dalle acque del mare e del cielo, la loro insufficiente abitazione dei Camini, i quali per altro non dovevano essere interamente abbandonati, chè anzi l’ingegnere contava di farne un’officina per i grossi lavori.

Prima cura di Cyrus Smith fu di riconoscere su qual punto preciso si svolgesse la facciata del Palazzo di Granito. Si recò sul greto a piedi dell’enorme muraglia, e siccome il piccone sfuggito dalle mani del reporter aveva dovuto cadere perpendicolarmente, bastava ritrovare lo strumento per riconoscere il luogo in cui era stato aperto il buco nel granito. Fu facile ritrovare il piccone, e si vide infatti che un buco s’apriva sovra esso in linea perpendicolare, ad ottanta piedi circa sopra il greto. Già alcuni colombi selvatici entravano ed uscivano da quella stretta apertura, come se per essi appunto si fosse scoperto il Palazzo di Granito.

Era intenzione dell’ingegnere di dividere la parte [p. 69 modifica]dritta della caverna in molte camere precedute da un corridojo d’ingresso, e d’illuminarla per mezzo di cinque finestre ed una porta aperta sulla facciata. Pencroff ammetteva le cinque finestre, ma non comprendeva l’utilità della porta dal momento che l’antico sbocco offriva una scalinata naturale per cui doveva sempre esser facile entrare nel palazzo.

— Amico, gli rispose Cyrus Smith, se ci è facile arrivare alla nostra abitazione per lo sbocco, ciò sarà ugualmente facile ad altri che a noi. Ora io conto di chiudere quell’orifizio ermeticamente, e, se sarà necessario, nasconderne assolutamente l’ingresso facendo risollevare le acque del lago per mezzo d’una barriera.

— E come entreremo? domandò il marinajo.

— Per una scala esterna, rispose Cyrus Smith; una scala di corda che, come sia ritirata, renderà impossibile l’ingresso nella nostra abitazione.

— Ma perchè tante cautele? Finora gli animali non mi parvero molto formidabili; quanto ai selvaggi, la nostra isola non pare che ne abbia.

— Ne siete ben sicuro, Pencroff? domandò l’ingegnere guardando il marinajo.

— Certo che non ne saremo sicuri se non quando l’avremo esplorata in tutte le sue parti, disse Pencroff.

— Sì, disse Cyrus Smith, e non ne conosciamo ancora che una piccola porzione: eppoi, se non abbiamo nemici interni, possono venire dal di fuori, perchè sono cattivi paraggi questi del Pacifico. Prendiamo dunque le nostre precauzioni per ogni occorrenza.

Cyrus Smith parlava seriamente, e, senza fare altra obbiezione, Pencroff si preparò ad eseguire i suoi ordini.

La facciata del Palazzo di Granito stava per essere illuminata con cinque finestre ed una porta ad uso dell’appartamento propriamente detto, e per mezzo d’una larga apertura e di occhi di bue che permet[p. 70 modifica]tessero alla luce di entrare a profusione in quella meravigliosa navata che doveva servire di gran sala. Quella facciata, posta ad un’altezza di ottanta piedi da terra, guardava all’est, ed il sole nascente la salutava coi primi suoi raggi. Essa si svolgeva su quella parte della cortina compresa fra la sporgenza che faceva angolo colla foce della Grazia ed una linea perpendicolarmente tracciata sotto il cumulo di roccie che formava i Camini.

A questo modo i cattivi venti, vale a dire quelli del nord-est, non la percuotevano che per isbieco; e poi, aspettando che fossero fatti i telai delle finestre, l’ingegnere intendeva chiudere le aperture con grosse imposte che non lascerebbero passare nè il vento nè la pioggia, e che potrebbe dissimulare al bisogno.

Il primo lavoro consistette adunque nel fare le aperture. L’opera del piccone su quel duro sasso sarebbe stata troppo lenta, e si sa che Cyrus Smith era l’uomo dei gran mezzi. Egli aveva ancora una certa quantità di nitro-glicerina a sua disposizione, e se ne servì. L’effetto della sostanza esplosiva fu convenientemente ristretto, e sotto ogni sforzo il granito si sfondò proprio dove conveniva all’ingegnere; poi il piccone compì il disegno ogivale delle cinque finestre, dell’ampio vano, degli occhi di bue e della porta. Se ne appianarono le cornici, ed alcuni giorni dopo il principio dei lavori, il Palazzo di Granito era abbondantemente rischiarato da quella luce di levante che penetrava fin nelle più segrete profondità.

Secondo il piano stabilito da Cyrus Smith, doveva essere diviso in cinque scompartimenti che guardassero sul mare. A diritta un’anticamera con una porta a cui metterebbe una scala, poi una prima camera ad uso di cucina, larga trenta piedi, un dormitojo d’ugual larghezza, ed infine una camera d’amici reclamata da Pencroff, comunicante colla gran sala. [p. 71 modifica]

Codeste camere o meglio questa serie di camere, che formavano il quartiere del Palazzo di Granito, non dovevano occupare tutta la profondità del cavo: doveva esservi di mezzo un corridojo, oltre un lungo magazzino, in cui si avessero a riporre comodamente gli utensili e le provviste e tutti i prodotti raccolti nell’isola, tanto della flora come della fauna, che colà si sarebbero trovati in condizioni eccellenti di conservazione e completamente al riparo dall’umidità. Non mancava lo spazio, ed ogni oggetto poteva essere disposto metodicamente. Inoltre i coloni avevano ancora la piccola grotta situata sopra la gran caverna e che doveva essere come il granajo della nuova abitazione.

Formato questo piano, non rimaneva che metterlo in esecuzione, onde i minatori ridivennero fornaciaj, poi i mattoni furono portati e deposti a’ piedi del Palazzo di Granito. Fino allora Cyrus Smith ed i suoi compagni non avevano avuto ingresso nella caverna se non dall’antico sbocco. Codesto modo di comunicazione li obbligava prima a salire sull’altipiano di Lunga Vista, facendo un giro pel largo del fiume e discendere dugento piedi pel corridojo, poi a risalire d’altrettanto quando dovevano tornare all’altipiano. Da ciò perdita di tempo e gran stanchezza. Cyrus Smith risolvette adunque di procedere senza esitare alla fabbricazione d’una solida scala di corda che, una volta levata, doveva rendere l’ingresso del Palazzo di Granito inaccessibile. Questa scala fu fatta con gran cura di fibre di giunco intrecciate per mezzo di un verricello, onde avevano la solidità d’una grossa corda. Quanto ai gradini, li fornì una specie di cedro rosso dai rami leggeri e resistenti, e l’apparecchio fu lavorato dalla mano maestra di Pencroff.

Altre corde furono egualmente fabbricate con fibre vegetali, ed alla porta fu messa una specie di taglia grossolana. A questo modo i mattoni potevano essere [p. 72 modifica]facilmente sollevati fino al livello del Palazzo di Granito. Il trasporto dei materiali si trovava così molto semplificato, e subito incominciò l’adattamento interno propriamente detto. Non mancava la calce, ed alcune migliaja di mattoni erano là pronti a servire. Si rizzarono comodamente i tramezzi, ed in brevissimo tempo il quartiere fu diviso in camere e magazzini, secondo il disegno prestabilito.

Codesti differenti lavori si compievano rapidamente sotto la direzione dell’ingegnere, il quale maneggiava egli stesso il martello e la cazzuola. Nessuna fatica tornava ignota a Cyrus Smith, il quale dava così l’esempio ai compagni intelligenti e volenterosi. Si lavorava con fiducia, allegramente. Pencroff trovava sempre modo di far ridere. O fosse carpentiere, cordajo o muratore, il suo buon umore era contagioso, la sua fede nell’ingegnere assoluta, tanto da crederlo capace d’intraprendere e di condurre a buon fine checchessia.

La questione delle vestimenta e della calzatura, quella dell’illuminazione durante le notti d’inverno, la coltivazione delle parti fertili dell’isola, la trasformazione della flora selvaggia in una flora incivilita, tutto gli sembrava facile coll’ajuto di Cyrus Smith, e tutto doveva farsi a suo tempo. Egli fantasticava fiumi incanalati che facilitassero il trasporto delle ricchezze del suolo, cave e miniere di cui far traffico, macchine adatte a tutte le industrie, ferrovie — sì, anche ferrovie! — che coprissero come una rete l’isola Lincoln.

L’ingegnere lasciava dire senza correggere le esagerazioni di quell’ottimo cuore. Egli sapeva quanto la fiducia sia comunicativa; sorrideva anche intendendolo parlare e nulla diceva delle inquietudini che gl’inspirava talvolta l’avvenire.

In fatti in quella parte del Pacifico, fuori del passaggio delle navi, egli temeva di non essere soccorso [p. 75 modifica]mai. Era dunque sovra sè stessi, sovra sè stessi soltanto che i coloni dovevano contare, poichè la distanza dell’isola Lincoln da ogni altra terra era tale, che arrischiarsi sopra un battello di costruzione mediocre doveva essere cosa grave e perigliosa.

Ma, come diceva il marinajo, essi superavano di cento cubiti i Robinson d’una volta, per i quali tutto era un miracolo da fare. Infatti essi sapevano, e l’uomo che sa riesce là dove altri vegeterebbero e perirebbero inevitabilmente.

Harbert si segnalò nei lavori; egli era intelligente ed operoso, comprendeva presto ed eseguiva bene, e Cyrus Smith s’affezionava sempre più a questo giovinetto, il quale sentiva per l’ingegnere una viva e rispettosa amicizia. Pencroff vedeva bene la stretta simpatia che si formava fra quei due esseri, ma non ne era punto geloso. Nab era sempre Nab, invariabile, vale a dire il coraggio, lo zelo, l’affezione, l’abnegazione personificati. Egli aveva nel suo padrone la medesima fede di Pencroff, ma la manifestava meno rumorosamente. Quando il marinajo si accendeva, Nab aveva sempre l’aria di rispondere:

“Ma se è la cosa più naturale!”

Del resto Pencroff e lui si amavano molto e non avevano tardato a darsi del tu. Quanto a Gedeone Spilett, egli prendeva la sua parte del lavoro comune e non era certo il più disadatto; il che meravigliava sempre un poco il marinajo. Pensate: Un giornalista abile non solamente a comprendere, ma ad eseguire ogni cosa!

La scala fu definitivamente preparata il 28 maggio. Non vi si contavano meno di cento gradini sopra un’altezza perpendicolare di ottanta piedi. Cyrus Smith aveva potuto felicemente dividerla in due parti, approfittando di uno strappiombo della muraglia che faceva sporgenza ad una quarantina di piedi da terra. Codesta sporgenza, accuratamente livellata col pic[p. 76 modifica]cone, divenne una specie di pianerottolo, al quale fu fissata la prima scala, la cui parte penzolante fu così diminuita della metà e che una corda permetteva di rilevare fino al Palazzo di Granito. Quanto alla seconda scala, fu assicurata del pari, dall’estremità superiore alla inferiore, vale a dire dalla sporgenza alla porta medesima. A questo modo l’ascensione divenne molto più facile. D’altra parte Cyrus Smith faceva conto di mettere più tardi un ascensore idraulico che risparmierebbe fatica e tempo agli inquilini.

I coloni s’avvezzarono in breve a servirsi di quella scala. Erano agili e svelti, e Pencroff nella sua qualità di marinajo, avvezzo a correre sulle griselle delle sartie, potè dar loro delle lezioni; ma bisognò pure ne desse a Top, il quale colle sue quattro zampe non era fatto per questo esercizio; se non che Pencroff era maestro così zelante, che Top finì coll’eseguire convenientemente le sue ascensioni, e salì presto la scala come fanno i suoi congeneri nei circhi. Dite voi se il marinajo andasse fiero del suo allievo. Con tutto ciò più d’una volta Pencroff lo fe’ salire portandolo sul dorso, e Top non se n’ebbe a male.

Si farà osservare qui che, durante questi lavori, che furono spinti alacremente perchè si avvicinava la brutta stagione, non era stata negletta la quistione alimentare. Tutti i giorni il reporter ed Harbert, divenuti i veri provveditori della colonia, spendevano qualche ora alla caccia; essi non battevano se non il bosco del Jacamar alla sinistra del fiume, perchè in mancanza di ponte e di canotto la Grazia non era ancora stata superata. Tutte quelle immense foreste, a cui era stato dato il nome di Far-West, non erano dunque punto esplorate. Si riserbava quell’importante escursione per i primi prossimi bei giorni di primavera; ma i boschi del Jacamar erano abbastanza ricchi di selvaggina: abbondavano i kanguri ed i cin[p. 77 modifica]ghiali, sicchè gli spiedi ferrati, l’arco e le freccie dei cacciatori facevano miracoli.

Inoltre Harbert scoprì verso l’angolo sud-ovest del lago una conigliera naturale, specie di prateria, leggermente umida, coperta di salici ed erbe aromatiche che profumavano l’aria, come a dire, timo, basilico, ecc., tutte le specie odorose della famiglia delle labiate di cui i conigli si mostravano tanto ghiotti. All’osservazione del reporter che, essendo imbandita la mensa pei conigli, vi sarebbe da stupire che non si trovassero conigli, i due cacciatori esplorarono attentamente quei luoghi, che in ogni caso producevano gran copia di piante utili; ivi un naturalista avrebbe avuto occasione di studiare molti campioni del regno vegetale. Harbert raccolse così una certa quantità di piante di basilico, di rosmarino, di melissa, di betonica, ecc., che posseggono proprietà terapeutiche differenti e sono le une pettorali, astringenti, febbrifughe, le altre antispasmodiche od anti reumatiche; e quando più tardi Pencroff domandò a chi servirebbe tutta quella raccolta d’erbe, il giovinetto rispose:

— A curarci quando saremo malati.

E Pencroff osservò sul serio:

— E perchè dovremmo essere ammalati se nell’isola non vi sono medici?

A questo non era possibile rispondere, ma il giovinetto non tralasciò di fare la sua raccolta, che fu molto gradita dai compagni, tanto più che alle piante medicinali egli potè aggiungere una gran quantità di monarde didime conosciute nell’America settentrionale col nome di thè d’Oswego, che danno una bevanda eccellente.

Finalmente, cercando bene, i due cacciatori giunsero alla vera situazione della conigliera. Quivi il terreno era traforato come una schiumarola.

— Tane! esclamò Harbert. [p. 78 modifica]

— Sì, rispose il reporter, lo vedo bene.

— Ma sono esse abitate?

— Ma!....

La quistione non tardò ad essere risoluta. Quasi subito centinaja d’animaletti simili a conigli se ne fuggirono in tutte le direzioni e con tanta rapidità che lo stesso Top non avrebbe potuto superarli in velocità. Per quanto i cacciatori ed il cane corressero, quei roditori si posero in salvo facilmente.

Ma il reporter era risoluto a non muoversi di lì finchè non avesse fatto prigionieri almeno una mezza dozzina di quei quadrupedi. Egli voleva innanzi tutto fornire la dispensa, salvo ad addomesticare quelli che si piglierebbero più tardi. Con alcuni lacci tesi all’orificio delle tane, l’operazione non poteva fallire; se non che in quel momento non si avevano lacci, nè di che fabbricarne. Bisognò adunque rassegnarsi a visitare ogni tana, a frugarla col bastone, a fare a forza di pazienza ciò che non si poteva fare altrimenti. Finalmente, dopo un’ora di ricerche, quattro roditori erano presi. Erano conigli molto somiglianti ai loro congeneri d’Europa e conosciuti sotto il nome di conigli d’America.

Il prodotto della caccia fu dunque portato al Palazzo di Granito e fe’ parte della cena. Gli ospiti della conigliera non erano da sdegnare ed erano squisitissimi. Fu un prezioso sussidio per la colonia, sussidio che pareva dover essere inesauribile.

Il 31 maggio, i tramezzi erano finiti; più non rimaneva se non ammobiliare le camere: il che doveva essere l’opera dei lunghi giorni d’inverno. Un camino fu posto nella prima camera che serviva di cucina. Il tubo destinato a condurre il fumo al difuori diede un po’ di fatica ai fumisti improvvisati. Parve più semplice a Cyrus Smith di fabbricarlo in terra di mattoni. Siccome non bisognava pensare a dargli uscita dal piano superiore, fu aperto un foro nel [p. 79 modifica]granito sopra la finestra della detta cucina, ed è a questo foro che il tubo, diretto obliquamente, mise capo come quello d’una stufa di latta. Forse, anzi senza dubbio, durante i gran venti di levante che percuotevano di fronte la facciata, il camino dovea mandar fumo; ma quei venti erano rari, e d’altra parte mastro Nab, il cuciniere, non badava tanto al sottile. Quando furono compiti i preparativi interni, l’ingegnere s’occupò a turare l’orifizio dell’antico sbocco che metteva al lago, in maniera da impedire l’ingresso da questa parte. Massi di granito furono rotolati all’apertura e cementati fortemente. Cyrus Smith non pose ancora in atto il disegno che aveva fatto, di far coprire quell’orificio dalle acque del lago, riconducendole al loro primo livello per mezzo d’una barriera; s’accontentò di dissimular la chiusura per mezzo di erbe, di arbusti, di cespugli che furono piantati negli interstizî delle roccie e che la prossima primavera dovevano svolgere esuberantemente.

Peraltro, egli trasse partito dallo sbocco in modo da condurre fino alla nuova abitazione un filo delle acque dolci del lago. Ottenne questo risultato con una piccola apertura fatta sotto il loro livello, e questa derivazione d’una sorgente pura ed inesauribile diede da venticinque a trenta galloni d’acqua al giorno. Al Palazzo di Granito non si doveva adunque mancar mai d’acqua.

Finalmente tutto fu terminato, ed era tempo, perchè giungeva la cattiva stagione. Grosse imposte permettevano di chiudere le finestre della facciata, aspettando che l’ingegnere avesse tempo di fabbricare dei vetri.

Gedeone Spilett aveva molto artisticamente disposto nelle sporgenze della roccia, intorno alle finestre, delle piante di varia specie, come a dire lunghe erbe penzolanti, ed a questo modo le aperture erano incorniciate di verzura di bellissimo effetto. [p. 80 modifica]

Gli abitanti della solida, sana e sicura abitazione dovevano dunque essere deliziati dell’opera loro. Le finestre permettevano allo sguardo di stendersi sopra un orizzonte senza confini che i due capi Mandibola chiudevano al nord ed il capo Artiglio al sud. Tutta la baja dell’Unione si svolgeva magnificamente innanzi ad essi. Sì, i bravi coloni dovevano essere soddisfatti, e Pencroff non risparmiava le lodi a quello che egli chiamava umoristicamente il suo quartiere al quinto piano sopra i mezzanini.