L'arte popolare in Romania/Capitolo V

Capitolo V

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CAPITOLO V.


«scorze» e tappeti.

Per la qualità dei materiali, la maniera di fabbricarli, e l’uso al quale son destinati, i tappeti, che il Romeno chiama scorze (scoarțe), velințe (termine slavo) o covoare (singolare: covor) si staccano dai tessuti di cui s’è parlato, salvo i cerge (sing. cergă) dei pastori romeni, che, fatti di lana, hanno come unico ornamento il colore, e corrispondono alle plocade della Valacchia.

Non è possibile assegnar loro nè età nè origine diversa da quella degli altri rami di quest’arte la cui sorgente si perde nei tempi. Il tappeto turco, destinato a ornare la moschea, a stare sotto i ginocchi dei fedeli oranti, a essere inviato in dono ai santuari famosi, non è affatto il loro modello, sebbene, come presto vedremo, abbia influito sulle «scorze» dell’Oltenia. Il tappeto turco di Caramania si basa piuttosto sull’antico tappeto dei Traci, dagli ornamenti geometrici, ed essendo stilizzato si distingue in modo assoluto dal tappeto persiano, che riproduce semplicemente i modelli offerti dalla natura. Ma il prodotto dell’industria persiana ha lasciato traccia sul tappeto turco di Costantinopoli, della Rumelia e della Macedonia, e per via di queste trasformazioni il lontanissimo Oriente potè imporre la sua imitazione ai Romeni dell’Oltenia, ben inteso dopo aver conquistato le altre nazioni cristiane sulla destra del Danubio. In forma più volgare e meno ricca gli corrisponde il tappeto bulgaro-serbo di Pirota. [p. 73 modifica]

Se dunque si vuol conoscere la forma originaria di questa «scorza», astraendo dalle «salviette» e dalle «tinture» che ornano i muri di certe case nella montagna valacca (1), bisogna ancora una volta rivolgersi alla Moldavia integrale, prima degli smembramenti oggi riparati, ma sopra tutto ai distretti montuosi della Valacchia.

Ho sott’occhio uno dei più belli di questi tappeti, proveniente dal distretto di Prahova. È diviso in parecchie strisce longitudinali d’un’ammirabile colorazione vegetale: giallo chiarissimo, colore di burro fresco, nero, arancione, azzurro d’una dolcezza infinita, rosso sangue di bue, verde. Vi sono rappresentati dei rombi di un cromatismo interessantissimo; e sul primo fondo giallo vi sono pure delle figure bianche orlate di nero, con in mezzo un triplice rombo verde, orlato di nero, e poi una figura rosso-cupa coi contorni verdi e il disegno interno rosso pallido orlato di rosa; una terza figura è verde, orlata di rosa, con un disegno interno giallo orlato di rosso cupo. Nelle altre strisce si ha una combinazione assolutamente nuova fra questi colori così diversi, senza che mai un tono stridente ne turbi la perfetta armonia.

Il tappeto della Bessarabia ha colori più smorti e meno variati, fra i quali domina spessissimo, sul giallo della foglia morta, sul pallido verde, sul rosa sbiadito, il potente fondo nero o un fondo turchino, d’una intensità, d’una solidità straordinarie. Il tessuto è più fitto di quello della Bucovina, che è anche notevolmente più vivace e assai più fedele all’antico schematismo di quello della Moldavia restata libera — sull’arte popolare di questa regione si è troppo spesso esercitata l’influenza del prodotto di fabbrica, dal quale provengono fiori inverosimili e uccelli impossibili. Il tappeto della Bessarabia non può essere considerato come il vero tipo di [p. 74 modifica] quest’arte presso i Romeni; esso infatti presenta talvolta dei fiori imperfettamente schematizzati (2), dei ciuffi di foglie sopra uno stelo oscillante, delle linee che tendono ad arrotondarsi. Tuttavia possiede una grande varietà, individuale, non locale, e una nobilissima discrezione di toni.

Un effetto molto più potente è prodotto dai grandi tappeti dell’Oltenia — e un bellissimo esemplare ne fu regalato al Museo del Trocadero di Parigi. Quando diciamo: dell’Oltenia, non intendiamo parlare delle forme della montagna, poiché vi si incontrano (3), più o meno regolarmente disseminati, i disegni geometrici già noti. Ma nello Jiiu inferiore o Dolj si ha dapprima una schematizzazione molto progredita di motivi presi dalla natura: sugli orli, in linea ininterrotta, è una serie di grandi fiori separati da foglie lanceolate; un secondo orlo è fatto di piccole figure geometriche; in mezzo sembra che si sia tentato di rappresentare dei busti umani con dei triangoli, riuniti a forma di M maiuscola (4). Eccone ora un altro in cui sono largamente penetrate le influenze del lontano Oriente, facendone un inestricabile miscuglio di elementi vari, non geometrici, il cui colore, sparpagliato qua e là, dà l’impressione d’uno di quei prati, fioriti d’una infinita ricchezza di fiori, che la breve primavera della vallata danubiana presenta quando si avvicina alla fine. Accanto al fiore semplificato vi sono dei grandi tulipani, riprodotti fedelmente, poi degli steli flessibili, pieni di larghe foglie; qua e là si può riconoscere la pannocchia pienamente sviluppata del granturco in mezzo a foglie che, curvandosi l’una dietro l’altra, sembrano inseguirsi in una corsa folle. E sorgono degli alberi dai molti rami frondosi, e vasi alla moda persiana lasciano sfuggire il [p. 75 modifica] loro ricco contenuto di fiori, e delle anatre, simili a quelle che ornano i templi e gli ipogei dell’Egitto, sembrano voler beccare i fiori sbocciati. Inoltre vi si possono mescolare degli animali, dei pesci, e delle bizzarre, comiche rappresentazioni dell’essere umano; caso unico in quest’arte, salvo un esempio del lontano Maramurăș in cui si vedono delle donne, che si tengono per la mano movendosi lentamente al ritmo antico della hora.

Non conosco nella penisola balcanica nessun esempio di questi tentativi arditi che cercavano di creare un’arte nuova, scostandosi dalle tradizioni.

Note

  1. Oprescu, op. cit., p. 39.
  2. Come in quello riprodotto da Oprescu, op. cit., tav. XLI.
  3. Ibid., tav. XL.
  4. Ibid., tav. XXXIX.