Il guarany/Parte Quarta/Capitolo VII

Parte Quarta - VII. Il combattimento

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Quarta - VII. Il combattimento
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CAPITOLO VII.


IL COMBATTIMENTO.

Mentre la famiglia di don Antonio de Mariz confortavasi di quei primi momenti di tranquillità, succeduti a tante afflizioni, si sentì un grido sulla scala di sasso.

Cecilia si alzò, tremante di allegrezza e felicità; avea riconosciuto la voce di Pery.

Nell’atto che stava per correre all’incontro del suo amico, mastro Nunes già aveva abbassato una tavola che serviva di ponte levatoio, e Pery entrava di balzo per la porta della sala.

Don Antonio de Mariz, sua moglie e sua figlia restarono muti di spavento e di terrore; Isabella cadde al suolo come colpita dal fulmine, come se la vita le fosse mancata d’improvviso.

Pery recava sulle spalle il corpo esanime di [p. 62 modifica]Alvaro; il suo volto avea un’espressione di tristezza profonda.

Attraversando la sala, l’Indiano depose sopra il sofà quel carico prezioso, e guardando il volto livido di colui che già era stato suo amico, asciugossi una lagrima che gli corse per le guancie.

Nessuna delle persone presenti ardiva rompere il silenzio profondo che avvolgeva quella scena lugubre; gli avventurieri che aveano accompagnato Pery, quando passò in mezzo a loro correndo, arrestaronsi alla porta compresi da compassione e rispetto per quella disgrazia.

Cecilia non potè gustar l’allegrezza di veder Pery salvo; i suoi occhi, malgrado le sofferenze passate, ancora aveano lagrime per piangere quella vita nobile e leale, che la morte avea allora allora recisa.

Quanto a don Antonio de Mariz, il suo dolore era quello d’un padre che perde il figlio; era quel dolor muto e concentrato, che scuote le forti tempre senza però abbatterle.

Passata quella prima emozione, prodotta dall’arrivo di Pery, il fidalgo interrogò l’Indiano e udì dalla sua bocca il breve racconto degli avvenimenti seguiti, e di cui avea la conferma innanzi agli occhi.

Ecco quello che era accaduto.

Partendo la sera, nell’atto che cominciava a sentire i primi effetti del veleno terribile che avea inghiottito, Pery andava a mantenere la promessa fatta a Cecilia. [p. 63 modifica]

Andava a procaccciarsi la vita in un contravveleno infallibile, la cui esistenza solo era conosciuta dai vecchi payà1 della tribù e dalle donne, che li aiutavano nei loro preparati medicinali.

Sua madre, nella sua sollecitudine, aveagli rivelato quel secreto quando partì per la prima guerra, onde salvarlo da una morte certa nel caso che fosse ferito da qualche saetta avvelenata.

Vedendo la disperazione della sua signora, l’Indiano si sentì la forza di resistere al torpore dell’avvelenamento che incominciava a impadronirsi del suo corpo, e di correre fin nel fondo della foresta in cerca di quell’erba potente, che dovea restituirgli la sanità, il vigore e l’esistenza.

Tuttavia, attraversando il bosco, alle volte pareagli che già fosse troppo tardi, e che non arriverebbe in tempo: allora avea tema di morir lungi dalla sua signora, senza poter volgerle il suo ultimo sguardo.

Pentivasi quasi di essersi mosso da casa, e di non esser rimasto ai piè di Cecilia fino ad esalare il suo ultimo sospiro; ma ricordavasi che la fanciulla sperava di vederlo ritornare, gli sovveniva che ella avea ancora bisogno della sua vita, e però si facea animo e traeva dall’imo petto nuove forze.

Pery internossi nel più denso e cupo fondo [p. 64 modifica]della foresta, e quivi nell’ombra e nel silenzio seguì fra lui e la natura una di quelle scene della vita selvaggia, di quella vita primitiva, la cui immagine giunse a noi tanto incompleta e sfigurata.

Il giorno dechinava, venne sera, di poi si fece notte; e sotto quel folto padiglion di verzura, ove Pery dormiva come in un santuario, non un solo rumore rivelava quanto ivi accadeva.

Quando il primo riflesso del giorno tinse di porpora l’orizzonte, le foglie si aprirono, e Pery esausto di forze, vacillante, dimagrito, come fosse uscito da una lunga infermità, venne fuori dal suo nascondiglio.

Mal potea sostenersi, e per camminare era obbligato a sorreggersi alle piante che incontrava nel suo passaggio: in questo modo avanzò per la foresta, e colse alcuni frutti che gli restituirono alquanto di forza.

Giunto in riva al fiume, Pery già sentiva rinascere il vigore, e il calore avvivargli il corpo intorpidito; entrò nell’acqua e vi s’immerse.

Quando tornò alla sponda, era già altr’uomo; una riazione era accaduta in lui; le sue membra aveano ricuperata l’elasticità naturale; il sangue scorreva liberamente nelle sue vene.

Allora pensò a racquistare le forze perdute, e tutto quanto la foresta offriagli di saporoso e di nutriente servì a quel banchetto della vita, ove il selvaggio festeggiava la sua vittoria sulla morte e sul veleno. [p. 65 modifica]

Il sole già raggiava da qualche ora; Pery terminava la sua refezione, quando udì una scarica d’armi da fuoco, il cui strepito rimbombò nelle latebre della foresta.

Lanciossi nella direzione degli spari, e a poca distanza, in un luogo aperto del bosco, scoperse uno spettacolo grandioso.

Alvaro e i suoi nove compagni, divisi in due colonne di cinque uomini, colle schiene rivolte l’una contro l’altra, erano circondati da più di cento Aimorè, che si precipitavano sopra di loro con furore selvaggio.

Ma le onde di quel torrente di barbari, che mettevano bramiti spaventosi, andavano a frangersi contro quella piccola colonna, che non parea di uomini, ma di granito; le spade aggiravansi con tanta rapidità da renderla impenetrabile: in un raggio di un braccio il nemico che si avanzava cadea morto.

Già da un’ora durava quel combattimento cominciato con armi da fuoco; ma gli Aimorè si eran messi all’assalto con tanta furia, che in breve la lotta fu ridotta a corpo a corpo e all’arma bianca.

Nell’atto che Pery giunse all’orlo di quello spianato, un accidente venne a cambiare alquanto l’aspetto del combattimento.

L’avventuriere che stava colla schiena di rincontro ad Alvaro, tratto dall’ardore della mischia, si era avanzato di alcuni passi per ferire l’inimico; i selvaggi lo investirono, lasciando la colonna interrotta e Alvaro senza difesa. [p. 66 modifica]

Frattanto il valente cavaliere continuava a far prodigi di valore e di coraggio; ogni volta che avventava la spada, era un nemico di meno che restava in piedi, una vita che spegnevasi a’ suoi piedi in un lago di sangue.

I selvaggi raddoppiavano di furore contro di lui, ed ogni volta il suo agile braccio si movea con più sicurezza e precisione, ruotando come folgore la lama d’acciaio, che appena vedeasi brillare nelle sue rapide evoluzioni.

Ma gli Aimorè, scorto il giovane senza difesa alle spalle, ed esposto ai loro colpi, si concentrarono in quel punto; uno di loro si avanzò, alzò colle due mani la pesante mazza e la calò sul capo di Alvaro.

Il giovane cadde; ma nella sua caduta la spada descrisse ancora un semicerchio, che abbattè due nemici assieme a quello che lo avea ferito a tradimento; il dolore violento impresse a quell’ultimo colpo una forza soprannaturale.

Nell’atto che gli Indiani stavano per precipitarsi sul cavaliere, Pery saltò in mezzo a loro, e afferrando la spingarda che giaceva a’ suoi piedi, fece di questa un’arma terribile, una clava formidabile, la cui possa provarono tosto gli Aimorè.

Appena si vide libero dal turbine nemico, l’Indiano si caricò Alvaro sulle spalle, e spianandosi la via con quell’arma terribile, lanciossi nella foresta e disparve.

Alcuni lo seguirono; ma Pery si volse indietro [p. 67 modifica]e li fece pentire del loro ardimento: deponendo il peso che portava, caricò la spingarda colle munizioni di Alvaro e inviò una palla a quello che l’inseguiva più da presso; gli altri che sapeano, pel combattimento della sera innanzi, di che era capace l’Indiano, retrocessero.

Il pensiero di Pery era salvar Alvaro, non tanto per l’amicizia che gli portava, quanto per causa di Cecilia, da cui supponeva fosse amato il cavaliere; ma vedendo che il corpo non dava segno di vita, dubitò tosto che, fosse morto.

Malgrado ciò, non desistè dal suo proposito; morto o vivo dovea recarlo a coloro che l’amavano, o per renderlo alla vita, o per confortare la sua salma del pianto dei trapassati.

Quando Pery ebbe terminato il suo racconto, il fldalgo, commosso, accostossi alla prodicella del sofà, e stringendo la mano gelata del cavaliere, disse:

— Fra breve, bravo e valoroso amico; fra breve! La nostra separazione è di pochi istanti; presto ci riuniremo nella dimora dei giusti, ove sarai al presente, e ove spero che Iddio mi concederà di entrare.

Cecilia diede alla memoria del giovane le ultime lagrime; e prostrandosi, con sua madre appiè del moribondo diresse al cielo una preghiera ardente.

Donna Lauriana avea esaurito tutti i rimedii di quella medicina domestica, che nell’interno delle case suppliva alla mancanza degli uomini [p. 68 modifica]di professione, molto scarsi in quel tempo, specialmente lontano dalle città: il giovane non diede il menomo segno di vita.

Don Antonio de Mariz, che avea compreso perfettamente ciò che eravi a sperare dalla supposta ritirata degli Aimorè, avvertì la sua gente che si preparasse alla difesa; non perchè conservasse la benchè menoma speranza, ma perchè desiderava resistere fino all’ultimo momento.

Pery, dopo aver soddisfatto a tutte le domande di Cecilia, rispetto al modo con cui si era liberato dal veleno, uscì dalla sala e percorse lo spianato, osservando tutti i luoghi circostanti.

L’Indiano, infaticabile, ogni volta che si trattasse della sua signora, compita appena quella impresa gigantesca, per cui si era dato in mano degli Aimorè, affacendavasi già per concertare un altro progetto onde salvar Cecilia.

Dopo quell’esame strategico, entrò nell’appartamento da lui abbandonato la sera innanzi, ove trovò ancora le sue armi allo stesso modo che le avea lasciate.

Gli sovvenne della promessa fattasi fare da Alvaro, e della contrarietà del destino che avea restituito la vita a lui tre volte morto, e la involava al cavaliere lasciato sano e salvo.




Note

  1. I payà erano una specie di sacerdoti o magi degl’indigeni.