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della foresta, e quivi nell’ombra e nel silenzio seguì fra lui e la natura una di quelle scene della vita selvaggia, di quella vita primitiva, la cui immagine giunse a noi tanto incompleta e sfigurata.

Il giorno dechinava, venne sera, di poi si fece notte; e sotto quel folto padiglion di verzura, ove Pery dormiva come in un santuario, non un solo rumore rivelava quanto ivi accadeva.

Quando il primo riflesso del giorno tinse di porpora l’orizzonte, le foglie si aprirono, e Pery esausto di forze, vacillante, dimagrito, come fosse uscito da una lunga infermità, venne fuori dal suo nascondiglio.

Mal potea sostenersi, e per camminare era obbligato a sorreggersi alle piante che incontrava nel suo passaggio: in questo modo avanzò per la foresta, e colse alcuni frutti che gli restituirono alquanto di forza.

Giunto in riva al fiume, Pery già sentiva rinascere il vigore, e il calore avvivargli il corpo intorpidito; entrò nell’acqua e vi s’immerse.

Quando tornò alla sponda, era già altr’uomo; una riazione era accaduta in lui; le sue membra aveano ricuperata l’elasticità naturale; il sangue scorreva liberamente nelle sue vene.

Allora pensò a racquistare le forze perdute, e tutto quanto la foresta offriagli di saporoso e di nutriente servì a quel banchetto della vita, ove il selvaggio festeggiava la sua vittoria sulla morte e sul veleno.