Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte II/Capitolo V. Quarta e quinta declinazione de' nomi.

Parte II - Capitolo V. Quarta e quinta declinazione de' nomi.

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CAPITOLO V

Quarta e quinta declinazione de’ nomi.


§ 1. La quarta classe o declinazione comprende tutti quei nomi che, uscendo nel singolare in e od i, formano il plurale cambiando quell’e in i, o ritenendo l’i del singolare. Esempii :

prète prèti
légge léggi
réte réti
piède pièdi
ariète arièti
pólvere pólveri
oréfice oréfici
bestiáme bestiámi
bríndisi bríndisi
análisi análisi
metròpoli metròpoli

Quanto ai nomi composti che finiscono con un plurale, come guardaboschi, storcileggi, ecc., vedi la Parte III.


§ 2. I nomi di questa declinazione quali sono maschili, quali femminili, quali comuni; e però vuolsi por mente alla diversa terminazione del singolare. Ecco alcune regole più generali:

Sono maschili i nomi terminati in

-ière, -áre, -íre derivati da una forma in -ièro, -áro, -íro (vedi qui addietro, cap. iv, § 8), come quelli che non appartengono veramente a questa classe, [p. 91 modifica]ma alla terza. Sono pure maschili tutti gli infiniti quando si usano come nomi. P. es. il mangiáre, il bére, il dormíre:
-óre. P. es. dolóre, bevitóre, pastóre, onóre. Ma fólgore voce sdrucciola è di genere comune:


§ 3. -óne. P. es. padróne, bastóne, ragazzóne. Si eccettuano canzóne, tenzóne femminili, e molti nomi in ióne, di cui vedi più sotto:

-ále. P. es. canále, occhiále, messále. Si eccettuano capitále (città), cambiále, morále, decretále, vestále, che sono di genere femminile:
-ice senza accento. P. es. oréfice, giúdice. Si eccettua pómice femminile:
-íle. P. es. fucíle, sedíle, apríle. Si eccettua bíle femminile.


§ 4. -áme, -íme, -úme, in senso collettivo. P. es. bestiáme, concíme, legúme:

-ánte, -ènte di natura participiale. P. es. aiutánte, accidènte, istánte. Si eccettuano sorgènte, patènte, corrènte, tangènte, femminili. Fánte, quando vale sèrva, è di genere femminile:
-ónte. P. es. pónte, mónte. Si eccettuano fónte e frónte per lo più femminili.


§ 5. Sono femminili i nomi terminati in

-íce (coll’accento sull’i). P. es. radíce, corníce:
-áte, -ete, -íte, -ote, -úte; -áde, -ède, -íde, -òde, -úde. P. es. séte, malachíte, dòte, cúte, sède, veritáte poet. Si eccettuano fráte, primáte, prète, sacerdòte, piède, ed altri che sono maschili; palúde o padúle che è di genere comune:
-ine (senz’accento). P. es. vérgine, orígine. Si eccettuano abdòmine, árgine, cárdine, cèrcine, [p. 92 modifica]ínguine, léndine, órdine, pèttine, túrbine, ed altri che sono maschili; e márgine quando vale orlo o contorno:
-ie. P.es. barbárie, spècie, móglie, intempèrie, canízie:
-ióne nei nomi astratti e collettivi. P. es. azióne, questióne, comunióne, ribellióne, opinióne, unióne, processióne, nazióne, cagióne, ustióne. I nomi di lor natura concreti sono maschili:
-si. P. es. análisi, síntesi, ènfasi, crísi. Si eccettua bríndisi che è maschile.


§ 6. Il nome cárcere è femminile, ma nel singolare può farsi maschile, specialmente nel senso di pena che si soffre in carcere. Cénere benchè femminile può nel sing. divenir maschile (il cenere degli avi), specialmente nel verso: fólgore o fónte per lo più femminili sì usano anche in genere maschile: fíne è maschile e femminile, ma sempre maschile nel senso di scopo: grégge e tráve sono di ambedue i generi. Frónte e fúne in prosa sono sempre femminili.


§ 7. I nomi che nel singolare terminano in ie non variano nel plurale. P. es. barbárie, spècie, sèrie, effígie, progènie. Si eccettuano móglie e superfície che formano il plurale mógli e superfíci.

Alcuni nomi femminili della declinazione quarta, hanno nel singolare, oltre alla terminazione in e, anche una terminazione in a. Tali sono arme, arma; canzóne e canzóna; sòrte e sòrta: i più sono poetici od antiquati, p. es. dòta, fròda, lòda, vèsta, per dòte, ecc.

Altri hanno nel singolare anche la terminazione o come in cadávero poet. per cadávere; víscero per víscere, vòmero per vòmere, cónsolo raro; confíno, ribèllo poetici, sálcio (più usato che sálce), vèrmo poet., ecc.

Alcuni nomi di questa declinazione possono avere in verso una forma latina tutta speciale, limitata al singolare. P. es. vorágo per vorágine; imágo per imágine; márgo per márgine, ecc.

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§ 8. La quinta classe o declinazione comprende tutti quei nomi che uscendo nel singolare in vocale accentata (siavi o no segnato l’accento) punto non variano al plurale. P. es.:

la verità, le verità
il caffè, i caffè

lunedì
falò
virtù,

molti de’ quali nomi sono voci tronche, come virtù da virtùte; piè da piède; da rège poet.


§ 9. Sono femminili i nomi astratti. P. es. verità, voluttà, virtù, , mercé:

sono maschili quasi tutti gli altri. P. es. , piè, Pascià, podestà, lunedì, martedì, giurì, Perù, balì, baccalà:
sono di genere comune alcuni nomi d’animali. P. es. gru.


§ 10. A questa medesima declinazione si possono riferire anche que’ nomi, comunque accentati, che hanno origine e forma forestiera, e terminano in consonante; o nomi proprii, come Dávid, Nátan, Agilúlf; o appellativi, come òmnibus specie di carrozza; bágher vettura; gíbus specie di cappello. Talora questi e simili nomi si fanno italiani assumendo in fine un o o un e, e trasportando anche talora l’accento; ed allora hanno il plurale in i. P. es. i Davíddi, i Natánni, i bágherri, ecc. Così dai nomi Èttore e Anníbale, originalmente finiti in r ed l, sono derivate le forme poetiche Ettòrre ed Annibálle (vedi Parte I, cap. viii, § 7).