Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte II/Capitolo IV. Prima, seconda e terza declinazione dei nomi.

Parte II - Capitolo IV. Prima, seconda e terza declinazione dei nomi.

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Parte II - Capitolo IV. Prima, seconda e terza declinazione dei nomi.
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CAPITOLO IV

Prima, seconda e terza declinazione de’ nomi.


§ 1. La prima classe o declinazione comprende tutti que’ nomi che uscendo nel singolare in a, formano il plurale cangiando quell’a in e. Esempii:

lúna lúne
tèrra tèrre
sciènza sciènze
bellézza bellézze
cása cáse
túrba túrbe.

Tutti i nomi di questa declinazione sono femminili.


§ 2. Se il singolare termina in -ca, o -ga, per formare il plurale, oltre a cangiare l’a in e, bisogna premettere all’e un’h; e ciò perchè la c o g possano conservare inalterato il loro suono gutturale. Per esempio:

fatíca fatíche
bácca bácche
léga léghe.


§ 3. Se il singolare termina in -cia, o -gia (senza l’accento sull’i), nel plurale è da preferirsi per amor di [p. 84 modifica]esattezza, di conservare l’i, benchè nella pronunzia non si faccia molto sentire (vedi Parte I, cap. v, § 2). P. es.

província províncie
bisáccia bisáccie
franchígia franchígie
règgia règgie.

In ogni caso è necessario conservare l’i, quando il plurale potesse scambiarsi con qualche altro nome. Quindi si scrive le ferócie, le sagácie, le contumácie per distinguerli più nettamente dagli aggettivi il feróce, il sagáce, il contumáce; e sarà bene scrivere le camície per evitare ogni possibile confusione con il cámice, indumento sacerdotale.


§ 4. La seconda classe o declinazione comprende tutti quei nomi che uscendo nel singolare in a, formano il plurale cangiando quell’a in i. Esempii:

pápa pápi
poèta poèti
sistèma sistèmi
artísta artísti.


§ 5. I nomi di questa declinazione sono maschili, derivano per lo più dal greco e terminano in ma o ta. I nomi di professione, come artísta, fiorísta, pianísta si possono attribuire anche a donna, nel qual caso divengono femminili e fanno il plurale in e, come nella prima declinazione: l’artísta, le artíste; la pianísta, le pianíste. Così pure fratricída, omicída, ecc.

Ála, áli (poet. ále) è femminile. Il nome il fantásma, plur. i fantásmi, possiede anche un’altra forma, che appartiene alla prima declinazione, ed è la fantásima, plur. le fantásime (vedi Parte I, cap. vi, § 8). [p. 85 modifica]

I nomi che hanno il singolare in ca, o ga fanno il plurale in chi o ghi. Eccettua Bèlga, plur. Bèlgi.


§ 6. La terza classe o declinazione comprende tutti quei nomi che uscendo nel singolare in o, formano il plurale cambiando quell’o in i. Esempii:

lúpo lúpi
péro péri
líbro líbri
castèllo castèlli
perícolo perícoli
bálsamo bálsami.


§ 7. I nomi di questa declinazione sono maschili. Si eccettua il nome máno plur. máni, i nomi proprii di donna terminati in o, p. es. Clòto, Clío, Sáffo, ecc. Èco, che in origine è pur esso un nome di donna, diventa maschile quando significa la ripercussione del suono: un bell’èco, gli èchi della súa vóce.

Anche i nomi di città finiti in o sogliono farsi femminili. Vedi più oltre.


§ 8. Alcuni nomi finiti originariamente al singolare in o, nell’uso più comune cambiano questa vocale in e (vedi Parte I, cap. iii, § 7). Tali sono i nomi uscenti in -ièro. Esempii:

bicchièro bicchière
forestièro forestière
cavalièro cavalière
sparvièro sparvière
consiglièro consiglière
cucinièro cucinière
mestièro mestière
scudièro scudière.
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In altri invece la forma ière è poco usata, come nocchière per nocchièro. In verso, e specialmente in rima, vi è molta libertà nell’uso delle due forme.

Altri esempii sono scoláre più usato che scoláro; desíre per desíro voci poetiche, póme antiq. per pómo, stíle invece del poetico stílo.


§ 9. Se il singolare termina in -ío, nel plurale si mettono sempre due i. P. es. oblío, oblíi; calpestío, calpestíi.

Se il singolare termina in io (senza accento), allora, per regola generale, si mettono nel plurale due i. P.es. Fábio, Fábii; stúdio, stúdii; òlio, òlii; prèmio, prèmii; demònio, demònii; contrário, contrárii; Cássio, Cássii; sávio, sávii; giudízio, giudízii.

Si eccettuano que’ casi ne’ quali al plurale manca affatto l’iato, perchè la prima i entra nella pronunzia della consonante precedente (vedi Parte I, cap. v, § 2). I plurali dunque dei nomi terminati in -cio, -gio, -chio, -ghio, -glio conservano una sola i, ponendone due soltanto quando vi fosse rischio d’equivoco. Quindi da láccio, lácci; da rággio, rággi; da òcchio, òcchi; da rágghio, rágghi; da fíglio, fígli. Ma si scrive benefícii per non confonderlo con benèfici; e giudícii per non iscambiarlo con giúdici. Le due i, possono, quando la rima lo richieda, contrarsi in una sola i, assumendo il circonflesso. P. es. várî, stúdî, rosòlî.

Se il singolare termina in jo, il plurale esce in j che si pronunzia come i. P.es. librájo, libráj; cuòjo, cuòj.

I cognomi personali derivati da un nome in io o jo si scrivono sempre con una sola i. P. es. Pancrázi (con z semplice), Protonotári, Sávi, Bicchierái, Panerái. [p. 87 modifica]


§ 10. Se il singolare termina in co, il plurale termina talvolta in chi, tal’altra in ci (e qui comprendiamo anche i nomi aggettivi).

Termina in chi: nei nomi dissillabi e nei loro composti. Esempii:

cièco cièchi
fíco fíchi
fuòco fuòchi
bièco bièchi

Si eccettuano i nomi pòrco, pòrci; Grèco, Grèci; víco, víci rari.

Termina in ci nei nomi polisillabi in -ico, specialmente negli aggettivi sdruccioli, molti de’ quali derivati dal greco. Esempii:

arábico arábici
arcádico arcádici
bèllico bèllici
mágico mágici
láico láici
ebráico ebráici
clássico clássici
mèdico mèdici
pacífico pacífici
èpico èpici
amíco amíci
nemíco nemíci
stòrico stòrici
único únici.

Si eccettuano bellíco, bellíchi; antíco, antíchi; pudíco, pudíchi; diméntico, diméntichi; cárico, cárichi co’ suoi composti; mánico, mánichi; rammárico, rammárichi; stráscico, stráscichi e pochi altri. [p. 88 modifica]


§ 11. Termina in chi negli altri che al singolare non hanno -ico. P. es.:

ubriáco ubriáchi
opáco opáchi
vigliácco vigliácchi
catafálco catafálchi
fuggiásco fuggiáschi
animalésco animaléschi
baiòcco baiòcchi
cadúco cadúchi
bifólco bifólchi
adúnco adúnchi
Etrúsco Etrúschi
almanácco almanácchi
ábbaco ábbachi
fóndaco fóndachi
stòmaco stòmachi.

Si eccettuano mònaco, síndaco, austríaco, equívoco, intrínseco e pochi altri, che nel plurale escono in ci.

In verso (e talora in prosa) si trovano irregolarità, p. es. cadúci per cadúchi; mònachi per mònaci; pudíci per pudíchi; bièci per bièchi; prátichi per prátici; párroci per párrochi, ecc.


§ 12. Se il singolare termina in go, il plurale in tutti i dissillabi e in quasi tutti i polisillabi termina in ghi. Esempii:

mágo mághi (Mági in senso storico)
drágo drághi
págo pághi
lárgo lárghi
lágo lághi
chirúrgo chirúrghi

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pèlago pèlaghi
epílogo epíloghi
diálogo diáloghi.

Poche sono le eccezioni nei polisillabi, fra le quali i nomi greci in -òlogo indicanti una classe di scienziati. P. es.:

teòlogo teòlogi
astròlogo astròlogi
filòlogo filòlogi

Si trovano anche qui frequenti irregolarità. P. es. pèlagi poet. tèologhi, astròloghi, ecc.