Gli sposi promessi/Tomo IV/Capitolo V

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CAP. V.*


1 Una sera, verso il mezzo d’Agosto, Don Rodrigo tornava2 alla sua casa in Milano, dove era sempre rimasto dal giorno che vi era tornato dalla villa3 in forma di fuggitivo. A quella villa non voleva ricomparire se non in aspetto di vendicatore, e in modo da4 restituir con usura ai tangheri5 lo spavento, e l’umiliazione, che gli avevan fatto provare; ma i tempi non erano mai stati propizj.6

Quella elazione d’animi aveva durato qualche tempo:7 di poi la fame cresciuta aveva prodotti gli sbandamenti, e il vagabondare di molti,8 e nei rimasti un fermento di di¬sperazione : erano cani9 tuttavia ringhiosi, e non ancora

  • Questo capitolo, come è stato già detto nella Prefazione (nota 2 della pag. XV) non è che un rifacimento del primissimo getto: rifacimento di quattordici fogli dai sessanta, nei quali era stata stesa l’interessante materia storica, che diventò poi La storia della colonna infame nella seconda edizione illustrata, detta del 1840 (Milano, Guglielmini e Redaelli). [p. 687 modifica]disposti ad accosciarsi10 sotto la mano alzata del signore; poi eran passati i lanzichenecchi, che avevano11 spogliato il castellotto;12 poi era venuta la peste: non v’era insomma stata mai13 una tranquillità di cose,14in Don Rodrigo avesse potuto farsi sentire. La sera, di cui ora parliamo, tornava egli da uno stravizzo, nel quale con alcuni suoi degni amici aveva15 egli cercato di sommergere le16 malinconie e i terrori della peste.17 E, siccome le idee di quella entravano per tutti i sensi, si18 trovavano accumulate nella mente, si associavano per forza ad ogni suo intendere,19 sicché non era possibile farne astrazione:20 in quelle idee stesse s’erano essi sforzati di trovare qualche21 soggetto d’ilarità. Avevano22 ricapitolate burlescamente le virtù di qualche loro amico defunto: e Don Rodrigo in ispecie aveva molto divertita la brigata, con l’orazione funebre del conte Attilio.23

Si raccontavano anche, o s’inventavano, prodezze d'ogni genere,24 compiute col favore della confusione, e dello spavento publico;25 si disegnavano nuove vittime, e la vile, impunita sfrenatezza si vantava anticipatamente dei nuovi [p. 688 modifica]trionfi, che meditava. Tornando da tutta questa allegria, Don Rodrigo sentiva però una gravezza di tutte le membra,26 una difficoltà27 crescente nel camminare, una ansietà di respiro, una inquietudine, un28 grande abbattimento; ma29 cercava di attribuir tutto questo al sonno. Sentiva un’arsura interna, una noja, un peso degli abiti; ma cercava di attribuirlo alla stagione, ed al vino.30 Giunto a casa, chiamò il fedel Griso, uno dei pochi famigliari che gli erano rimasti, e gli comandò che gli facesse lume alla stanza, dove sperava di finir tutto con un buon sonno. Il Griso vide la faccia del suo signore stravolta, d’un rosso infiammato e splendente, e gli occhi luccicanti; e si tenne lontano con una certa aria di sospetto;31 perché ogni mascalzone aveva in quel tempo32 dovuto farsi l’occhio medico.

«Ho bevuto, ho bevuto,» disse Don Rodrigo, che non potè non avvedersi di quell’atto e dei pensiero nascosto; «e siamo stati allegri: sto bene, benone, Griso: ho sonno: oh che sonno! Levami un po’ dinanzi quel lume che abbaglia.33 Diavolo, che quel lume mi34 dia tanto fastidio! Debb’essere quella vernaccia certamente, che te ne pare? eh Griso? Domani sarò vispo come un pesce.» «Sicuro,» disse il Griso,35 tenendosi sempre discosto; «ma si corichi presto,36 ché il dormire gli farà bene.»

«Hai ragione; ma sto bene ve’ Griso: levami quel lume dinanzi.» Il Griso37 non se lo fece ripetere, e partì col lume, al momento che Don Rodrigo si gettava sul letto.

Quando vi fu, la coltre gli pareva un monte, e38 se la rigettò da dosso: sentiva un sopore come invincibile, e, quando stava per39 assonnare, si risentiva, come se un importuno venisse a scuoterlo per non lasciarlo dormire: il [p. 689 modifica]caldo cresceva,40 cresceva la smania, e il terrore rispinto ritornava più forte: cosi passò qualche ora. Finalmente, presso al mattino,41 s’addormentò. E tosto gli parve di trovarsi in quella chiesa dei capuccini di Pescarenico, dinanzi alla quale, se vi ricorda, egli sogghignò in passando,42 nella sua gita43 al Conte del Sagrato. Gli pareva d’essere innanzi innanzi nella chiesa, circondato44 e stretto da una gran folla;45 non sapeva come gli fosse venuto il pensiero di portarsi in quel luogo, e si rodeva contra se stesso. Guardava quei circostanti; erano46 sparuti e lividi,47 con gli occhi spenti, incavati, colle labbra pendenti, come insensati;48 e gli stavano addosso,49 e lo stringevano, quasi col loro peso; e sopra tutto gli pareva che o con le gomita, o come che fosse, lo premessero al lato sinistro al di sopra del cuore, dove sentiva una puntura50 spiacevole, dolorosa. Voleva dire: «largo canaglia,» faceva atti di minaccia a coloro perché gli dessero passaggio ad uscire; ma quegli nè51 parevano muoversi, né mutare sembianza, né52 risentirsi in alcun modo: stavano tuttavia, come insensati. Alcuni53 su la faccia,54 su le spalle, che nude uscivano dalle vesti lacere, mostravano macchie, e buboni.55 Don Rodrigo si ristringeva in sé, ritirava le mani, le membra, per non toccare quei corpi pestilenti; ma ad ogni movimento incappava in qualche membro infetto.56 E, non vedendo la via d’uscire,57 strepitava, ansava: l’affanno l’avrebbe destato, quand’ecco gli58 parve che59 tutti gli occhi si volgessero60 alla parte della chiesa dov’era il pulpito; guatò anch’egli, e vide spuntare in su dal parapetto, un non so che di liscio e lucido; poi61 alzarsi e comparir più distinto un cocuzzolo calvo, poi due occhi, una faccia, una barba lunga e bianca, un frate ritto [p. 690 modifica]ed alto: era62 Fra Cristoforo. Tanto più Don Rodrigo avrebbe voluto fuggire; ma la folla degli incantati era63 fitta ed immobile. Gli parve allora che il frate, girando gli occhj su l’uditorio, senza64 fermarli sopra di lui, sclamasse ad alta voce:65 «Per li nostri peccati, la fame ! Per li nostri peccati, la guerra ! Per li nostri peccati, la peste ! La peste ! Povera gente!66 ella vi rode tutti, dal primo fino all’ultimo:67 tutti avete i segni della morte in vólto: beati quelli68 fra voi che sono preparati a riceverla. Ma ... » e qui pareva a Don Rodrigo che il frate ristesse, come sopraffatto da un pensiero repentino e profondo: ed egli stava ansioso, attendendo. Gli pareva69 che gli uditori non facessero pur vista di scuotersi, e che il frate tutto ad tratto, guardando a lui, e come ravvisandolo, fermandolo col guardo e con la mano alzata,70 come un bracco sopra una pernice, dicesse ad alta voce: «Tu sei71 quell’uomo!72 Or ci sei giunto: ascolta. Quanto ti sarebbe costato73 il rinunziare a quel capriccio infame? Torna indietro74 con la mente, e dillo. Un picciolo pensiero di pietà;75 ma tu non hai voluto. Tu hai messo da una parte su la bilancia l’angoscia,76 l’obbrobrio, il crepacuore, il terrore,77 d’un’anima innocente;78 hai pesato; e hai detto — non è niente: pesa più il mio capriccio -. Ora le bilance sono rivolte: l’angoscia si versa sopra di te; prova se è niente.» A queste parole, Don Rodrigo79 voleva gridare, nascondersi, fuggire; e si destò spaventato. Stette un momento80 a ravvisarsi; vide che era un sogno;81 ma, aprendo gli occhi, sentì ancor più vivo il ribrezzo e il dolore della luce; forzandosi di guardare82 intorno, vide il letto, le scranne, i travicelli della soffitta confondersi in forme strane;83 sentì nelle orecchie un ronzio nojoso e violento, ai cuore un battito84 accelerato, affannoso; si senti più spossato e più arso che alla sera [p. 691 modifica]antecedente; sentì più viva quella puntura,85 che aveva provata in sogno;86 esitò qualche tempo, senza osare di vedere che fosse; finalmente sorse a sedere, scoperse tremando la parte dogliosa, cercò di fissarvi lo sguardo, e a stento, ma con qual raccapriccio Dio ’l sa,87 scorse un sozzo gavocciolo, d’un livido pavonazzo: il segnale manifesto del88 contagio.

L’uomo si vide perduto;89 il terrore della morte lo invase; ma con un senso ancor più vivo,90 il terrore di cadere in91 balia92 altrui, d’esser preso, maneggiato, tratto intorno come un cencio, senza potersi93 far sentire, d’essere portato al lazzeretto, gittato e confuso fra tanti oggetti di orrore, oggetto d’orrore egli stesso. Voleva deliberare sul modo di evitar questa sorte toccata a tanti altri; ma sentiva94 le sue idee95 confondersi96 e intenebrarsi,97 divenir tanto più incerte quanto più erano atterrite; sentiva avvicinarsi sempre più il momento, in cui egli98 avrebbe avuto99 sol tanto di coscienza, quanto bastava a disperare: provò un bisogno di soccorso istantaneo; afferrò un campanello, che teneva presso al letto, e lo scosse con violenza. Ed ecco comparire il Griso, che stava all’erta.100 Si fermò egli presso all’uscio, guatò attentamente il padrone, e il sospetto divenne certezza.

«Griso,» disse Don Rodrigo, sollevandosi: «tu sei sempre stato il mio fido.»

«Signor sì,» rispose il Griso,101 col laconismo, e col tuono ambiguo del tristo, che dal preambolo s’accorge che l’uomo, avvezzo a proteggerlo, gli vuol domandare protezione, e fargli far qualche cosa per riconoscenza.

102 « Sto male, Griso.»

«Me ne accorgo, Signore.»

103« Se guarisco,104 ti farò star meglio che tu non sia mai stato.» [p. 692 modifica]Il Griso non rispose nulla, ed aspettò che Don Rodrigo continuasse.

«Non voglio fidarmi d’altri che di te. Fammi una carità, Griso.»

Erano forse anni che Don Rodrigo non105 aveva proferita questa parola.

«Vediamo,» disse il Griso.

«Sai tu dove106 abita il Chiodo, chirurgo?»

«Lo so benissimo.»

107 «È un galantuomo, che se è ben pagato, tien segreti gli ammalati.»

«Vallo a cercare; digli che lo pagherò bene, meglio di chi che sia, quanto vorrà; e fammelo venir qui segretamente, ché nessuno se ne avvegga.»

«Ben pensato,» disse il Griso; «vado e torno.»

«Senti, Griso, dammi prima un bicchier d’acqua: mi sento arso che non ne posso più.»

«No, signore,» disse il Griso:108 «niente senza il parere medico; non c’è tempo da perdere: stia quieto, aspetti un momento, son qui col Chiodo.»

Così dicendo,109 tolse la chiave dalla toppa, uscì, chiuse Don Rodrigo in istanza, e se ne andò.

Don Rodrigo110 rimase in una agitata aspettazione,111 in una incertezza sospettosa, e iraconda, col terrore crescente.

L’abbominevole Griso aveva già fatto nella notte112 i suoi conti pel caso, che ora si era avverato.113 Allontanò tosto di casa, con un ordine finto del padrone, l’altro servo; e corse al posto più vicino di monatti. Ivi,114 tratti in disparte due115 che erano suoi conoscenti e insieme dei più scellerati, propose ad essi una occasione di dividere spoglie opime. Quegli116 accettarono prima d’intendere le condizioni; ma il Griso le espose tosto: non si trattava d’altro che di venire a prendere Don Rodrigo, e di portarlo al lazzeretto. Dieder tosto di mano ad una117 bussola, delle quali era provvigione a quel posto, se la caricarono, e seguirono il Griso. [p. 693 modifica]Don Rodrigo stava con l’orecchio teso,118 spiando ogni romore per sentire119 se il chirurgo giungeva;120 e questo sforzo d’attenzione sosteneva121 alquanto il vigore delle sue membra, sospendeva il senso del male, e teneva in sesto la sua mente. Tutto ad un tratto intese egli122 uno squillo acuto, continuo, che si avvicinava:123 erano le campanelle, che i monatti portavano legate ai piedi124 a foggia di speroni. Un125 orrendo sospetto corse126 al suo pensiero: si levò egli a sedere in furia; e in quel momento127 senti la chiave girar nella toppa, e vide aprirsi, entrare i monatti, col Griso.

«Ah traditore! via canaglia!» urlò Don Rodrigo ; e tosto si gettò dall’altra parte per afferrare le pistole, che teneva appese a fianco del letto. Ma un monatto gli fu sopra, lo fece raccosciare sul covile, gli tenne le mani, e gridò con un orribile ghigno di collera:

«Ah! birbone! contra i ministri del tribunale!»

128 «Tienlo129 ben saldo,» disse il compagno,130 «finché lo portiamo via: egli è frenetico.»131

Lo sventurato132 Rodrigo lo divenne: si divincolava, mandava urli, lanciava bestemmie contra i monatti, e più contra il Griso, ch’egli vedeva frugare insieme con quel compagno nei cassettoni, spezzar le serrature dello scrigno, cavarne il danaro, e far le parti; mentre colui, che teneva il padrone, dava un’occhiata a questo per tenerlo bene, e una occhiata a quegli altri, dicendo:133 «fate le cose da galantuomini, altrimenti...»

Il corpo e la mente di Don Rodrigo, già dissestati dal male, non ressero134 allo sforzo,135 al dibattimento e a tanta passione: il meschino cadde tutto ad un tratto come sfinito; guardava però136 come un incantato; e di tratto in tratto dava qualche scossa, o usciva in qualche imprecazione. 137 Fatte le parti, i monatti lo posero nella bussola, e lo portarono al lazzeretto. [p. 694 modifica]Il Griso rimase a scegliere quel di più, che poteva essere il caso suo; fece un fardello, e sfrattò. Ma in quella furia del138 frugare, egli aveva presi presso al letto i panni del padrone, e scossigli, per vedere se vi fosse denaro; né in quel momento aveva badato a quello che si facesse. Se ne accorse però il giorno dopo, che,139 preso dagli stessi accidenti che,140 con occhio cosi spietato, aveva mirato nell’infelice suo padrone, cadde infermo in una osteria, dove era andato a gozzovigliare: abbandonato da tutti, fu spogliato dai monatti anch’egli, trattato141 come aveva trattato altrui e strascinato sur un carro al lazzeretto, dove finì.

Lasciando ora Don Rodrigo142 nel suo tristo ricovero, ci conviene andare in cerca d’un personaggio, separato da lui per condizione, per abitudini, e per inclinazioni, e la storia del quale non sarebbe mai stata143 immischiata144 alla sua, se egli non lo avesse voluto a forza.145 [p. 695 modifica]Fermo,146 del quale intendiamo parlare, aveva campucchiato quelL'anno della carestia, parte col suo lavoro, parte coi soccorsi di quel suo buon parente; alla fine, per non essergli troppo a carico, intaccò i cento scudi di Lucia, ma col proposito di restituire, se mai Lucia non fosse più quella per lui. Il passaggio147 della soldatesca interruppe148 quelle scarse e imbrogliate149 comunicazioni di pensieri e di notizie, che passavano tra lui ed Agnese. 150Dietro la soldatesca venne la peste,151 ai primi avvisi della quale i152 magistrati di Bergamo interdissero il commercio153 col territorio milanese154 finittimo155 mandarono commissarj ad156 invigilare al confine, fecero por guardie e cancelli.157 Pure, come era accaduto nel milanese, la disobbedienza158 fu più attenta, più destra, più ingegnosa che la vigilanza:159 gli abitanti del confine bergamasco non credevano né pur essi molto alla peste, e trattavano di soppiatto coi loro vicini;160 e con molta fatica e con molto pericolo ottennero di potere avere anch’essi la peste in casa. Entrata161 che fu, invase poco a poco il162 contado, poi i sobborghi di Bergamo, poi la città.163 La peste di Bergamo, e nei modi con cui si propagò e164 in tutti i suoi accidenti, presenta molti tratti di somiglianza notabile con quella165 del Milanese.166 Come in questo paese, così nel bergamasco,167 dopo scoverta la peste si trovò ch’ella si sarebbe dovuta prevedere per evidenti segni astrologici, e per inauditi portenti v’ebbe pure la incredulità di molti abitanti, e la negligenza delle precauzioni, v’ebbero i dispareri fra i medici,168 l’inesecuzione degli ordini, e169 e170 il rilasciamento nei magistrati stessi, nato da una falsa fiducia che il male fosse [p. 696 modifica]cessato. Quivi pure una processione171 contrastata con ragioni savie, e voluta con fanatismo, diffuse rapidamente il contagio nella città; quivi pure172 molte vite generosamente sagrificate in pro’ del prossimo da173 cittadini e particolarmente da ecclesiastici; quivi pure licenza e avanie degli infermieri e becchini che ivi174 erano chiamati nettezzini come in Milano monatti; quivi pure preservativi e rimedi strani o superstiziosi. Quivi pure come in Milano subitanei spaventi per voci sparse di sorprese nemiche, sognate dalla paura, o inventate dalla malizia; e finalmente, per non dir tutto, quivi pure,175 all’udire che in Milano v’era gente che disseminava il contagio con unzione, nacque un terrore che il simile non avvenisse, anzi parve di vedere unti i catenacci e i martelli delle porte e le pile delle chiese.

Ma la cosa non andò oltre; e176 come in questo particolare così nel resto gli accidenti tristi, che abbiam toccati, furono in Bergamo men gravi, meno portentosi;177 l’incredulità fu meno ostinata, men clamorosa,178 la trascuranza men crassa,179 la superstizione meno feroce, la violenza meno bestiale, e meno impunita. Di questa differenza v’era molte cagioni, alcune presenti, altre antiche, quale nelle persone, e quale nelle cose;180 la ricerca delle quali cagioni è fuori affatto181 del nostro argomento. Quello che ora importa di sapere si è che Fermo contrasse la peste, e la superò felicemente. Tornato alla vita,182 dopo d’averla disperata, dopo quell’abbandono e quell’abbattimento, sentì egli rinascere, più che mai fresche e rigogliose le183 speranze, le cure e184 i desiderj della vita,185 cioè pensò più che mai a Lucia,186 alle antiche affezioni, agli antichi disegni,187 alla incertezza in cui era188 da tanto tempo dei pensieri di essa, e alla nuova terribile incertezza della189 salute, della vita di lei in quel tempo, dove il vivere e l’esser sano era una come eccezione alla regola.190 Tutte [p. 697 modifica]queste passioni crescevano191 nell’animo di Fermo192 di pari passo che il vigore nelle sue membra; e, quando queste furono ben riconfortate, egli con la risolutezza d’un giovane convalescente, disse in se stesso: — andrò, e vedrò193 io come stanno le cose. — 194 Il pericolo della cattura195 gli dava poca molestia:196 da quello che si passava197 in Bergamo, egli vedeva che la peste assorbiva o affogava tutte la sollecitudini, ch’ella era come un’obblivione, o un giubileo generale per tutte le cose passate;198 vedeva che i magistrati199 avevano ben poca forza e poca200 voglia d’agire contra i delitti201 della giornata, e tanto meno contra reati202 ormai rancidi; e sapeva, per la voce pubblica, che in Milano il rilasciamento d’ogni disciplina buona e cattiva era ancor più grande.203 Oltre di che, egli si proponeva di cangiar nome, di204 procedere con205 cautela, e206 di scoprir paese,207 e prender voce nel suo paesetto natale, prima che avventurarsi in Milano. Con questo disegno, egli208 lasciò in deposito presso209 un buon prete (quel suo fidato parente era morto di peste) gran parte degli scudi che gli rimanevano, ne prese pochetti con sé,210 si tolse un pajo di pani, un po’ di companatico e un fiaschetto di vino pel viaggio; e si mosse da Bergamo sul finire di Luglio, pochi giorni da poi che Don Rodrigo era stato portato al lazzeretto.

I pochi che211 erano guariti dalla peste, si trovavano in mezzo all’altra popolazione, come una razza privilegiata. Una grandissima parte della gente languiva inferma, moriva, e quegli che non avevano contratto il male ne vivevano in un continuo212 terrore; come ogni oggetto poteva col tocco esser213 cagione di morte, così di tutto si guardavano: i passi erano misurati e sospettosi, i movimenti214 ritrosi, irresoluti:215 fretta ed esitazione in un tempo, un allarme216 incessante, una disposizione a fuggire; e, con tutto questo,217 il pensiero sempre vivo che forse tante precauzioni [p. 698 modifica]erano inutili,218 forse il male era già fatto.219 I pochi risanati invece, non temendo più del contagio, camminavano220 ed operavano senza tutte quelle precauzioni, e l’aspetto della221 incertezza altrui cresceva222 in molte occasioni la223 fiducia e la scioltezza loro: erano come i cavalieri dell'undecimo secolo, coperti d’elmo, di visiera, di corazza, di cosciali, di gambiere224 con una buona lancia225 nella destra, un buon brocchiere226 alla sinistra, una buona spada al fianco, una buona provvigione di giavellotti, sur un buon palafreno agile all’inseguimento ed alla ritratta, in mezzo ad una marmaglia di villani a piede, ignudi d’armatura e poco coperti di227 vestimenti,228 che per offesa e per difesa non avevano che due braccia e due gambe, e il resto delle membra non atto ad altro che a toccar percosse. L’immunità del pericolo ispira il sentimento e dà il contegno del coraggio:229 è la parte meno nobile, ma spesso una gran parte di esso; e questa verità si è sapientemente trasfusa nella nostra lingua, dove230 il vocabolo sicuro, che in origine vale fuor di pericolo, fu traslato a significare anche231 ardito. Con questa baldezza, temperata però dalle inquietudini che noi sappiamo,232 e dalla pietà233 di tanti mali altrui, camminava Fermo in un bel mattino d’estate, per coste234 amene,235 donde ad ogni tratto si scopre un nuovo prospetto, per236 verdi237 pianure, sotto un cielo238 ridente,239 tra il fresco e spezzato luccicare della rugiada, all’aria frizzante dell’alba, e al soave calore del sole240 obbliquo, appena comparso sull’orizzonte.241 Ma dove appariva l’uomo, dove si vedevano i segni della sua dimora, del suo passaggio,242 spariva tutta la bellezza di quello spettacolo: erano villaggi deserti, animati [p. 699 modifica]soltanto da gemiti,243 attraversati da qualche cadavere, che era244 portato alla fossa, senza accompagnamento, senza romore di canto funebre: qua e là uomini sparuti, che erravano, infermi che uscivano disperati dal coviglio, per morire all’aria aperta; birboni, che agguantavano dove fosse da spogliare impunemente. Fermo245 cercò di schivare tutte le parti abitate, venendo pei campi; sul mezzo giorno246 si riposò in un bosco, vicino ad una sorgente: ivi si rifocillò col cibo che aveva portato seco; lasciò passare le ore più infocate; riprese la sua strada;247 cominciò a riveder luoghi noti, misti alle memorie della sua fanciullezza, e due ore circa prima del tramonto scoperse il suo paesetto. Alla prima vista Fermo ristette un momento, come sopraffatto dalle rimembranze, e dai248 pensieri dell’avvenire; e, ripreso fiato,249 procedette, entrò nel paese. L’aspetto250 era come quello di251 tutti gli altri, che Fermo aveva dovuti vedere; ma la tristezza fu ben più forte che252 egli non l’avesse ancor provata. Guardò se vedeva attorno qualche suo conoscente, qualche persona viva: nessuno; le porte chiuse, o abbandonate;253 avanzando, scorse un uomo seduto sul limitare, lo guardò, durò fatica a riconoscerlo, travisato com’era dal male;254 ma non fu riconosciuto da255 esso, che256 gli piantò257 in faccia due occhj insensati,258 e non fece motto. Fermo lo chiamò per nome; non ne ebbe risposta, e,259 più che mai accorato, si avviò alla sua casa. Ella era, quale l’avevano lasciata i lanzichenecchi: senza imposte, diroccata qua e là,260 qua e là affumicata, e dentro vuota; ma non già261 pulita, ché vi rimaneva ancor lo strame, che era stato letto ai soldati. Ne uscì Fermo in fretta, inorridito, ritraendo l’occhio262 dallo spettacolo, e la mente dai pensieri e dai ricordi, che quello spettacolo faceva nascere, e si263 incamminò alla casa d’Agnese,264 con l’ansia di rivedere265 un vólto amico, di udire da lei ciò che tanto gli stava a cuore, e col266 battito di non267 ritrovarla, di non ritrovar pure chi gli sapesse dire s’ella viveva. [p. 700 modifica]Per giungervi, doveva Fermo passare su la piazzetta della Chiesa, dov’era pure la casa del curato. Quando fu in luogo donde la piazza si poteva vedere, guardò egli alla casa del curato, e vide una finestra aperta, e nel vano di quella un non so che di bianco-giallastro in campo nero, una figura immobile, appoggiata ad un lato della finestra. Era Don Abbondio in persona, e 268 ad una certa distanza269 poteva parere un vecchio270 ritratto di qualche togato,271 scialbo per natura, per l’arte del pittore, e per l’opera del tempo, appeso di traverso fuori al muro,272 per la buona intenzione di ornare qualche solennità. Fermo, che aveva sospettato chi doveva essere, arrivato su la piazza, lo riconobb; e da prima, tornandogli a mente che273 egli era una delle cagioni delle sue traversie,274 sentì rivivere un po’ di stizza, e volle passar di lungo. Ma275 tosto l’antico rispetto pel276 curato, quel desiderio di sentire una voce umana e conosciuta cosi potente in quelle circostanze, la speianza di risapere da lui qualche cosa che gl’importasse, vinsero nell’animo d: Fermo, che si277 arrestò, fece una riverenza, e dirizzando il vólto alla finestra, disse: «Oh signor curato, come sta ella in questi tempi?» Don Abbondio aveva guatato costui che veniva, gli era sembrato di riconoscerlo; ma quando sentì la voce, che non gli lasciava più dubbio: «per amor del cielo!» disse,278 «voi qui? Che venite a fare in queste parti? Dio vi guardi!279 Vi pare egli, con quella poca bagattella di280 cattura...?»

«Oh via, signor curato,» disse Fermo non senza dispetto: «mi vuol ella fare anche la spia?»

«Parlo per vostro bene,» disse Don Abbondio, «ché nessuno ci sente. Chi volete che ci senta? Non vedete che son tutti morti?281 Che venite a cercare fra queste belle allegrie? Andate, tornate dove siete stato finora; non venite a porre in imbroglio voi e me; perché, quando si tratti di castigar voi, e di tormentare me, pover uomo, vi sarà dei vivi ancora.» [p. 701 modifica]«Signor282 curato, mi saprebbe ella dar qualche nuova di Lucia?»

«Oh Dio benedetto! ancor di questi grilli avete283 in capo? Oh poveri noi! che serve che vengano i flagelli, se gli uomini non voglion far giudizio! E la peste, figliuolo, la peste? Non sapete che c’è la peste?»

«Ella deve284 ricordarsi, signor curato,» disse Fermo, con voce alquanto risentita, «che Lucia ed io... non erano grilli...»

«Oh!» disse Don Abbondio, «figliuol caro, voi285 avete sempre avuto il timor di Dio: spero che non sarete cangiato. Per questo vi286 parlo con libertà, da vero padre, perché vi ho sempre voluto bene. So io quel che dico: questo non è paese per voi: se287 vi dovesse accadere qualche disgrazia, (e già pur troppo non la schivereste) che crepacuore per me! La cattura è terribile; v’è un fuoco contro di voi!288 E poi la peste...»

«La peste l’ho avuta,» disse Fermo: «son guarito, e non289 ho più paura.»

«Vedete che avviso290 vi ha mandato il cielo: per farvi pensare al sodo... 291 Anch’io l’ho avuta, e son292 qui per miracolo.»

«Ma di Lucia non mi sa ella dir nulla?»

«Figliuol caro, che volete ch’io vi dica? Non ne so nulla:293 è in Milano; cioè v’era: di chi può dirsi ora, v’è? Sarà morta:294 muojono tutti.»

295« Ma noi siam pur vivi e ... »

«Per miracolo, figliuolo, per miracolo. E il frutto, che ne dobbiam trarre, è di cacciar tutte le bazzecole dalla testa.296 In Milano, figliuolo! chi vive in Milano? questo è un purgatorio, ma quello è l’inferno. Non vi passasse mai pel capo...»

297 «E Agnese, signor curato?»

«Agnese è qui; e per miracolo non ha contratta la peste finora;298 ma si guarda, si guarda: ha giudizio non [p. 702 modifica]vuol vedere nessuno; non le andate fra’ piedi, ché le fareste dispiacere.»

299 «Sia lodato Dio; ma ella né mi vuole ajutare, né vuole che altri m’ajuti.»

«Che dite, figliuolo? io son tutto per voi, e parlo perché vi voglio bene; e perciò vi torno a dire: non vi passasse mai pel capo... Dio guardi! In Milano! Sapete come state!300 Una cattura di quella sorte! un impegno! e con tanti nemici che avete! Dio liberi! e poi, so io quel che dico, potreste trovare... chi sa? gente che vuol bene, ma... gente che si piglia impegni di proteggere, e poi... Sostenere... cozzare... basta parlo con tutto il rispetto... ma Dio solo è da per tutto... Si301 vuole, si comanda, si promette, si302 fa l’impegno... 303si scompiglia la matassa, e si dà in mano al curato, perché la riordini... e chi ne va col capo rotto è il curato... Fate a modo mio, tornate dove siete stato finora.»

«Basta,» disse Fermo: «non mi aspettava da lei più soccorso di quello che mi abbia avuto.304 Io non intendo305 tutti questi suoi discorsi; ma poi che ella non ha altri consigli da darmi, si contenti ch’io faccia a modo mio.»

«No, Fermo, per amor del cielo, non mi fate un marrone: non mettete in imbroglio306 me e voi. Abbiate compassione d’un pover uomo, che307 ha bisogno di quiete; e sarebbe giusto finalmente che la godesse.308 Quello che ho patito io, vedete, non lo ha patito nessuno. Ne ho passate d’ogni sorte: spaventi, crepacuori, fatiche: è venuta la carestia, e m’è toccato di veder persone309 morirmi di fame su gli occhi. Ho dovuto fuggire di casa, e nessuno mi volle ajutare; ho trovato cuori duri come selci; e i soldati m’hanno sperperato ogni cosa. E sono stato... e ho dovuto... e basta... sono stato ricoverato da un degno signore... basta so io quello che ho patito. E poi la peste!310 ho dovuto assistere agli appestati... e ... ne ho avute io delle cure, sa il cielo! ma l’ho presa anch’io,311 e son qui vittima [p. 703 modifica]della mia carità: d’allora in poi non son più quello.312 Perpetua è morta, mi ha abbandonato in questi guaj; e mi tocca servirmi da me, povero vecchio, e malandato come sono. Ecco che appena cominciava a star bene, e voi venite per darmi nuovi travagli...»

«Signor curato,» disse Fermo: «io le desidero ogni bene; e del travaglio ella ne può bene aver dato a me, ma non313 io a lei, in fede mia. La spia ella non me la vorrà fare; del resto io mi rimetto nelle mani di Dio.314 Attenda a guarir bene, signor curato.»

«Sentite, sentite,» continuava Don Abbondio, ma Fermo aveva già fatta una riverenza di risoluto congedo, e camminava verso la casetta di Lucia.

— Oh povero me! questo ci mancava! — continuò a borbottare fra sé Don Abbondio, ritirandosi dalla finestra. — Povero me! Se costui va a Milano, se trova Lucia, se tornano alle loro antiche pretese, ecco rinnovato l’imbroglio. Un Cardinale che dirà: «voglio che si faccia il matrimonio», un signore che dice: «non voglio!» ed io tra l’incudine e il martello. Basta... - disse poi315 soffiando dopo d’avere alquanto pensato:316 — muore tanta gente... che dovessero rimanere al mondo317 tutti quelli che si divertono a mettere le pulci nell’orecchio di me pover uomo! —

Intanto Fermo arrivò alla casetta d’Agnese, la quale casetta, se il lettore se ne ricorda, era318 fuori del villaggio,319 solitaria. Alla vista di quel luogo,320 una nuova tempesta sorse nel cuore di Fermo; diede egli un gran sospiro e bussò.

«Chi è là?»321 gridò da dentro la voce d’Agnese: «state lontano; non bazzicate intorno alla porta; verrò a parlarvi dalla finestra.» «Son io,» rispose Fermo;ma Agnese, non aspettando a basso la risposta322 aveva fatte in fretta le scale, e apriva la finestra. «Son io: mi conoscete?» disse ancor Fermo quando la vide. «Oh Madonna santissima!» sclamò Agnese: «voi?» «Io,»323 rispose Fermo; «sono il benvenuto?»

«Oh figliuolo!» sclamò di nuovo Agnese, «quanto324 vi [p. 704 modifica]avrei desiderato, se non avessi avuto paura per voi! Ma ora che venite voi a fare ?»

325 «A saper nuove di Lucia,326 e di voi,» rispose Fermo. «A vedere se tutti si sono scordati di me. Che n’è di Lucia?»

«Figliuolo, sono mesi che non ne ho notizia: prima di quel tempo ella stava bene di salute; ma ora chi può sapere...?»

«Io andrò a vedere, io vi porterò327 nuova di vostra figlia,» disse Fermo risolutamente.

«Voi?» disse Agnese: « ma e... mi capite. Basta...»

«Volete aprirmi e parleremo più liberamente?»

«E la peste, figliuolo?»

«Grazie al cielo ella non ha ammazzato me, ed io ho ammazzato lei, e son sano e salvo come mi vedete. Aprite con sicurezza.»

328 «Scendo ad aprire,»329 rispose Agnese; «oh con quanta consolazione v'avrei riveduto. Ma ora bisogna ch’io vi preghi di starmi lontano.»

«Come vorrete,» rispose Fermo.

330 «State ad aspettarmi nel mezzo della strada; quando aprirò, non vi affacciate alla porta;331 lasciatemi rientrare, poi entrerete e vi porrete in un angolo lontano da me, e ci parleremo: le parole332 non hanno bisogno di toccarsi. Oh quante cose ho da dirvi!»

«Ed io a voi,»333 rispose Fermo.

Agnese calò in fretta le scale; giunta alla porta, avvisò ancora Fermo che stesse discosto, aprì, rientrò fino in fondo alla stanza; Fermo entrò pure,334 prese un trespolo, lo portò in un angolo, vi si pose a sedere, guardando intorno, ricordandosi di tanti momenti passati in quel luogo, e sospirando; Agnese335 andò a richiuder la porta, e336 venne a sedersi nell’angolo opposto. E subito cominciò come una sfida337 d’inchieste.

«Come vi siete fidato338 di venir da queste parti?»

«Perché Lucia non mi ha mai risposto?»

«Come avete potuto fuggire?» [p. 705 modifica]«E perché non venire dove io era in sicuro, piuttosto che mandarmi denari?»

339 «Chi v’ha strascinato in quei garbugli?»

340 «Quanto tempo Lucia è stata in quello spavento? e come è341 andata propriamente la cosa?»

342 Fatte le prime interrogazioni più pressanti, ognuno cominciò a rispondere brevemente a quelle343 del compagno. Fermo finalmente pregò Agnese ch’ella raccontasse per disteso tutta la sua storia, promettendo di soddisfarla egli poi della propria. Così Fermo344 conobbe per la prima volta daddovero le triste vicende di Lucia, e l’esito inaspettato. Tremò, fremè, impallidì cento volte a quel racconto: ora diede dei pugni all’aria,345 ed ora giunse le mani in atto di ringraziamento;346 maledisse347 la Signora, benedisse348 il Cardinale; diede maledizioni e benedizioni al Conte del Sagrato,349 invocò ora la vendetta, ora il perdono del cielo sopra Don Rodrigo. Ma un punto rimaneva tuttavia oscuro, né Agnese sapeva dilucidarlo. Perché non350 è venuta con me?351 con me suo promesso? con me che doveva,352 che poteva divenir suo marito? che ostacolo v’era più? non sarebbero mancati che i denari; e il cielo gli aveva mandati. Agnese non seppe dire353 se non ciò ch’ella aveva pur pensato: che Lucia354 fosse rimasta tanto stordita e sgomentata da quegli orribili accidenti, che non355 le rimanesse più forza da voler nulla, e fosse disgustata d’ogni cosa.

«Oh! andrò io a saperlo da lei,» disse Fermo: «voglio vederne l’acqua chiara. Ella era mia; mi si era promessa; io non ho fatto niente per demeritarla; e se non mi vuol più... » e qui avrebbe pianto, se gli uomini non si vergognassero di piangere: «se non mi vuol più, me lo ha a dire di sua propria bocca; e mi deve dire il perché.» [p. 706 modifica]Agnese cercò di racconsolarlo, e lo chiese della sua storia; che Fermo le narrò sinceramente. Questa storia356 fece molto piacere ad Agnese,357 e le rimise Fermo nell’antico buon concetto. «Voleva ben dire io!»358 sclamava essa di tratto in tratto. «Se sapeste come la raccontavano qui! in cento maniere l’una peggio dell’altra. Ma voi359 non me l’avete mai fatta scrivere ben chiara.»

«E voi, madonna,» disse Fermo, «non mi avete mai data soddisfazione sopra quello che io voleva sapere.»

«Basta,» disse Agnese: «lodato Dio che abbiam potuto parlarci una volta:360 valgon più361 quattro parole sincere di due ignoranti che tutti gli362 scarabocchj di questi sapienti. Ma voi come vi fidate di andare a Milano, dove vi hanno tanto cercato, dove ... ?»

363 «Chi mi conoscerà?»364 rispose Fermo: «non m’hanno visto che un momento; e il nome... ne piglierò un altro: non ci vuol gran lettera per questo; e poi chi volete che pensi a me ora?365 Hanno da pensare alla peste. Sono tutti in confusione. Muojono come le mosche,366 a quel che si dice ...367 Ah! pur che viva Lucia!»

«Dio lo voglia!»368 sclamò Agnese; «e lo vorrà, io spero. Quella poveretta innocente ha tanto patito! Dio369 gli conterà tutto quel male, per salvarla ora. Ah! Fermo, io ho buona speranza: andate pure; mi370 sento tutta riconfortata deil’avervi veduto. Sento una voce che mi dice che i guaj sono alla fine; e che passeremo ancora insieme dei buoni momenti.»

Fermo chiese del Padre Cristoforo, e Agnese non le371 seppe dir altro se non ch’egli era a Palermo, che è un sito lontano, lontano, di là dal mare.372 Scontento, e perché sperava da lui ajuto e consiglio, e perché desiderava di373 raccontare a lui pure la storia genuina; e perché avrebbe riveduto volentieri quell’uomo, pel quale sentiva tanta venerazione e tanta riconoscenza. Disse però: «374 «brav’uomo! vero [p. 707 modifica]religioso è meglio ch’egli sia fuori di questi guai e di questi pericoli.»

375 Agnese offerse a Fermo l’ospitalità per quella notte,376 con molte prescrizioni sanitarie erò di lontananza, di cautela, di non toccar questo, di non avvicinarsi a quell’altro luogo. Fermo accettò l’ospitalità ben volentieri, e promise tutti i riguardi, che Agnese desiderava. Era venuta l’ora'della cena; e la massaja si diede ad ammanirla. Pose al fuoco la pentola, per cucinarvi la polenta: Fermo da giovane ben educato voleva377 risparmiare la fatica alla donna, e fare egli il lavoro; ma Agnese, levando la mano: «guardatevi bene dal toccar nulla!» disse: «lasciate fare a me.» Fermo ubbidì; ed ella378 prese la farina, la gettò nell’acqua, la rimenava dicendo: «Eh! altre volte era Lucia! basta il cuor mi dice che379 la mia poveretta380 verrà con me, e presto; e che staremo tutti in buona compagnia.» Fermo sospirava. Agnese381 versò la polenta, raccomandando sempre a Fermo di non si muo¬vere, di non toccare; poi andò a mugnere la382 vacca,383 tornò con una brocca di latte, dicendo: «vedete: quella povera bestia da sei mesi è la mia unica compagnia.» Prese un bel pezzo di polenta, lo ripose sur un piattello,384 lo porse385 a Fermo, stando più lontana che poteva, e stringendosi con l’altra mano la gonna d’intorno alla persona, perché386 non istrisciasse387 agli abiti di Fermo; quindi, allo stesso modo, gli sporse una scodella di latte.388 Nel tempo della cena389 si parlò dei disegni di Fermo: Agnese gli diede istruzioni sul390 nome dei padroni di Lucia, gli comunicò le notizie confuse, ch’ella aveva391 sul luogo della loro dimora; e questi discorsi gli tennero a veglia qualche ora dopo la cena. Finalmente Agnese indicò392 all’ospite la stanza, dov’egli doveva coricarsi: era quella di Lucia: Fermo amò meglio di andarsi a gettare sul picciolo fenile,393 adducendo motivi di precauzione per la salute.394 Prima dell’alba erano entrambi [p. 708 modifica]in piedi. Agnese395 diede a Fermo due pani, e due raviggiuoli, fattura delle sue mani, gli riempì di vino il fiaschetto, ch'egli aveva portato con sé, dicendo: «in questi tempi potreste morir di fame, prima di trovare chi vi desse da mangiare.» Il congedo fu quale ognuno può immaginarselo, pieno di tenerezza, di accoramento, e di speranza. Fermo partì, viaggiò tutto quel giorno, e396 avrebbe potuto la sera entrare in Milano, ma pensò che397 avrebbe trovato più facilmente un ricovero al di fuori. Ristette di fatti in una cascina deserta a un miglio dalla città. Dormì su le stoppie,398 e all’alba, levatosi, si avviò,399 e fece la sua seconda entrata in Milano,400 che gli comparve in un aspetto più tristo e più strano401 d’assai che non era stato la prima volta.

Note

  1. Capitolo V. Una sera [dell’ultime di Giugno, | delle prime di Agosto] delle ultime di Luglio, Don Rodrigo accompagnato dal fedel Griso tornava alla sua casa in Milano; alla sua villa non | e con più | tor] dove era
  2. a casa
  3. come un
  4. incutere tanto spa¬vento
  5. quello spavento che gli
  6. l’esaltazione degli animi aveva durato qualche tempo; da poi la fame, la guerra, e la peste che si eran succedute senza interruzione in quel paese, vi avevan tenuto sempre vivo come un fermento di disperazione: non v'era mai stata quella tranquillità [di cose nece] di cose, nella quale Don Rodrigo avesse potuto farsi sentire. [Quella] Tornava egli quella sera da uno stravizzo (lacuna)
  7. [poi] dopo
  8. e in quegli che [rima] avevano
  9. ringhiosi
  10. per
  11. devastato il castellotto
  12. di Don Rodrigo
  13. quella
  14. (nel) nella quale
  15. [cercato] procurato
  16. idee
  17. che
  18. accumulavano
  19. sicch
  20. così avevano essi cercato in
  21. cosa
  22. fatto burlescamente il panegirico di qualche loro amico
  23. Avevano | Ognuno aveva esultato nel pensiero dei nemici morti, e ringraziata la peste che senza pericolo e senza fatica gli aveva liberati. Ma una gioja più schietta | con la | veniva dal ❘ Ma con gioja più schietta ognuno [faceva] si produceva il conto dei nemici morti; ognuno ringraziava la peste che senza pericolo e senza fatica l’avesse liberato da qualche vivente molto incomodo | incomodo vivente; | Ognuno aveva da parlare di qualche | e fra questi nemici ognuno annoverava più d’un traditore. | Ognuno aveva ne | parlare di qualche (parole illeggibili) ognuno, [e sper] senza taccia di esser troppo facile a sperare poteva in un tal tempo lusingarsi di farne qualche altra e si avvicendavano le congratulazioni e gli augurj. Si facevano grandi disegni sul modo di [godersi] godere insieme tutto quel prodotto in tempi migliori. Si Qui dopo più d’un traditore si ha il caso, unico in tutto l'autografo, di parole scritte (l’inchiostro è un po' diverso dal solito) sopra le precedenti: Per quel che è stato possibile ricavarne, esse sono: doveva | qualche | qui (?) fatta | senza traccia ed esser troppo corrivo per tema che lusingarsi di (due righe illeggibili) ma gran minchione
  24. [fatte] consumate
  25. si disegnavano nuove vittime alla sfrenatezza impunita e più vile | ed impunite ! sfrenatezza | la vile e la
  26. una inerzia nelle gambe che
  27. nel
  28. abbattimento
  29. lo attrib
  30. Sentiva dolori acuti alle ascelle, non si sapeva a che attribuirgli; gli veniva un pensieraccio, ma faceva ogni sforzo per cacciarlo [Giunto a casa, dove] Per tutta la strada non disse mai una parola al Griso, e giunto a casa, dove
  31. Che? Che?
  32. (dovuto farsi l’occhio] acquistato
  33. che d
  34. f
  35. [alla] da lontano
  36. per
  37. non se lo fece ripetere, [e partì col lume | e partì col lume] al momento che Don Rodrigo si gettava sul letto, si partì col lume, [risoluto di] risolvendo di pensar bene ai casi suoi, e di guardar come stesse il padrone prima di farsegli vicino l’indomani; e pensando
  38. la [gettò lontano] rigettò da
  39. addormentarsi
  40. i dolori crescevano: cosi passò qualche ora e un terrore rispinto ritornava. Finalmente con essi la smania, e i terrori:
  41. s’addormentò
  42. quando
  43. alla casa del
  44. e [sospinto] strett
  45. e
  46. quale
  47. quale rubicondo infuocato, quale
  48. [e pure] e pure lo stringevano, e sopra tutto [o coi go] gli pareva che con le gomita, o come fosse lo [premessero] premessero alle ascelle dove | e così, quasi col lor
  49. e quasi col loro peso lo
  50. nojosa e
  51. si movevano nè facev | m
  52. fare atto d’avve
  53. avevano
  54. su le
  55. pareva a Don Rodrigo di ristringersi a sé, di [cercare] sfuggire | Don Rodrigo
  56. Quand’ecco
  57. sudava, ansava
  58. parve
  59. la folla si diradasse fo
  60. [ad una] ad u
  61. comparire un
  62. fra
  63. ta
  64. fermargli
  65. Per li nostri peccati ! La fame ! la guerra
  66. tutti l’avete dal primo | tutti
  67. Gli uditori non facevano pur vista di scuotersi, ma il frate tutto ad un tratto fissav] sembrava a Don Rodrigo
  68. che
  69. che
  70. Le parole come un bracco sopra una sono sottolineate in lapis.
  71. quello
  72. Tu
  73. di
  74. col pensiero, e dillo. Ma tu non hai voluto
  75. e di
  76. il disonore; i torment
  77. l'o
  78. dall’alt | e
  79. diede un urlo
  80. a riconoscersi
  81. si senti spossato, arso più di prima, sentì nelle orecchie un ronzio nojoso e violento; guardò intorno e sentì [un) più viva [quel dolore) quella puntura alle ascelle che aveva provato in sogno:
  82. vide
  83. sentì
  84. continuo
  85. [all] sotto il braccio
  86. esitò impaurito, alzò il braccio finalmente [gua] cercò di fissare lo sguardo su la parte dogliosa; e a stento, ma con qual raccapriccio | priccio | priccio [Dio 'l sa| Dio ’l sa scorse
  87. scorse
  88. contagio
  89. l’orrore
  90. l'orrore
  91. mano
  92. [d’altrui | altrui] dei monatti d'essere
  93. far
  94. le sue idee
  95. divenir più incerte
  96. [e dive] e vacillare quanto più divenivano
  97. a misura che
  98. non
  99. più
  100. [Entrato] Messo il [capo] piede nella
  101. [con l'ambiguo laconismo dell’uomo che vede cangiati i suoi rapporti con colui che | del tristo che] col laconismo, e coll’espressione ambigua del tristo che
  102. Sto
  103. Non v
  104. tu starai me
  105. proferiva
  106. dimori
  107. Quegli
  108. niente
  109. uscì
  110. ricadde
  111. in una incertezza non senza sospetto, e col terrore crescente
  112. il suo disegno
  113. Mandò
  114. tratti in
  115. dei più scellerati, suoi conoscenti propose ad essi di venire a prendere Don Rodrigo, e [di] di dividere uno spoglio
  116. accettarono senza pure richiede
  117. [lettiga] bussola
  118. spiando
  119. se questo chirurgo
  120. e questa att
  121. [il] il vigore
  122. un doppio
  123. come di due campanelle: erano infatt
  124. a gui
  125. orren
  126. [p ❘ ne] per quella mente
  127. vide spal
  128. È frenetico Tienlo bene disse il compagno, tienlo bene ché ora lo porteremo via. L’atto, e
  129. bene
  130. or ora lo porteremo via
  131. Don Rodr
  132. Don
  133. da galantuomini. [Dopo | Lo sforzo del corpo e della mente] Don Rodrigo non potè sostenere lo sforzo del corpo e della mente, l’uno e l’altra già dissestati dal male: il furore si cangiò
  134. allo
  135. ai mali
  136. [con gli] immobilmente
  137. Quando Per qualche differenza a una parte del testo che segue, si veda la prossima nota alla parola forza
  138. frugare;
  139. men
  140. aveva veduti
  141. con meno di ce
  142. nel lazzeretto
  143. mischiata
  144. a quella dell'infelice appestato
  145. Alle pagine 587-88, in nota, è indicato in qual foglio sia l'aggiunta fatta dal Manzoni al capitolo IX, tomo III, cioè nel 58 /4, ecc. Ebbene, nello stesso foglio, al principio, si ha il breve brano seguente che è servito di copia a parte del testo presente: brano che pare opportuno riferire, sia perché nulla manchi dell'autografo, sia per le correzioni e cancellature, pur lievemente diverse da quelle della copia, in esso contenute. Qui le parentesi quadre racchiudono le cancellature. [Fatto lo spogli) Fatte le parti, i monatti lo posero nella bussola, e lo portarono al lazzeretto. Il Griso rimase a [pigliare ciò] scegliere [ciò] quel di più che poteva [convenirgli) essere il caso suo; fece un fardello, e sfrattò, [eran | era un tempo in cui) Ma in quella furia del frugare egli aveva presi [sul letto i panni] presso al letto i panni del padrone, e scossigli, per vedere se vi fosse denaro; né in quel momento aveva badato a quello che si facesse. Se ne accorse però il giorno dopo; che preso dagli stessi accidenti che aveva veduti [senza pietà) nell’infelice [che certo non merita] suo padrone, [egli] cadde infermo in una osteria dove era andato a gozzovigliare, fu spogliato dai monatti [e part] anch’egli, trattato come aveva trattato altrui, e strascinato su un carro al lazzeretto, dove [morì) finì. [Ci conviene ora andare in cerca d’un altro personaggio, ben diverso da questi due, e (lacuna) Ci conviene ora andare in cerca d'un altro personaggio ben diverso da questi due, | separato dal primo per | che separ | che separato dal primo per condizione, dal secondo pel costu¬me, e da entrambi pel cuore, | non | non avrebbe certamente]
    Lasciando ora Don Rodrigo nel lazzeretto, ci conviene andare in cerca d'un personaggio ben diverso, [da lui] separato da lui [per] per condizione, per abitudini, e per inclinazioni, e la storia del quale non [si] sarebbe mai stata mischiata a quella dell'infelice appestato, se questi non lo avesse voluto a forza. Fermo era sempre rimasto a Bergamo dove era andato a porsi in salvo; Agnese aveva un altro (etc.)
  146. adunque
  147. delle truppe
  148. [le| le scarse e
  149. comunica
  150. Dopo la
  151. per la quale
  152. Mag
  153. con que
  154. (che) confinante, [e fecero por queg] e pose
  155. Sic.
  156. invig
  157. Con tutto ciò il commercio si mantenne
  158. era
  159. [il comune] i commerci
  160. il contagio entrò in casa e ne riportarono [il contagio] la peste. Questa invase a poco a poco
  161. una
  162. territorio
  163. e in gran parte negli stessi modi, e con gli stessi accidenti che] La peste di Bergamo, e nei modi [di propa | cui] cui si propagò, e negli accidenti (lacuna)
  164. negli accidenti che
  165. di Milano
  166. Come in questo paese, nel bergamasco pure fu la incredulità e la negligenza
  167. vi fu
  168. come nel milanese [vi] vi fu pure
  169. [la] il rilasciamento
  170. l'
  171. [improvvidamente] ragionevolmente contrastata, e improvvidamente voluta
  172. ebbero luogo sacrificj generosi della vita spesa
  173. molti
  174. aveva
  175. alla notizia
  176. come
  177. l'ostinazione fu meno
  178. a superstizione meno feroce,
  179. meno feroce
  180. le quali cagioni sono fuori
  181. dal
  182. sentì rinascere
  183. cure e rides
  184. la
  185. e sopra
  186. [e ai suoi dubbj sovra di essa, | e ai suoi disegni sovra di essa. Il timore | al disegno] ai disegni antichi di
  187. ai dubbj che
  188. tuttavia sempre stato del cuore
  189. sua
  190. [E con la risolutezza] E dopo d’aver
  191. nel cuore
  192. [in uno | con] a paro che la
  193. chiaro il tutto
  194. il timore
  195. non
  196. egli vedeva in Bergamo
  197. innanzi agli occhi suoi in Bergamo egli vedeva
  198. [e sap] e per la voce publica sapeva che
  199. non
  200. [voglia] vol
  201. fragr
  202. vecchj
  203. 0l
  204. cammina
  205. sospetto
  206. prima [che] d’avventurarsi in Milano
  207. e pres
  208. si mosse da Bergamo
  209. [quel suo fidato parente una] un fidato
  210. prese
  211. avevan potuto
  212. sgome
  213. mortale
  214. cauti
  215. v’era [una] un’all’erta una
  216. continuo
  217. l’incertezza il sospetto sempre vivo [da] dell’[aver] esser già forse un pen
  218. che
  219. [Ma quegli che] Quindi [quell'] quell’[contegno] aspetto compassionevole d’inferiorità
  220. senza tant
  221. paura
  222. [per altr] molte volte
  223. loro
  224. [con una buon] con una buona lancia in mano, un buo
  225. in mano
  226. nella
  227. cenci
  228. ridotti a
  229. è [u] spesso una gran
  230. l’aggiunto
  231. coraggioso. Con questa alacrità temperata però uscì Fermo da Bergamo | temperata
  232. camminava Fermo
  233. [che usciva da tutti gli oggetti, e dalla solitudine stessa, | camminava | scendeva | camminava] dei mali altrui
  234. selvose
  235. che dominava
  236. vallon
  237. valloni
  238. pur
  239. all’aria frizzante tra il [luccicare] fresco luccicare
  240. appena compar
  241. [Ma tutto ciò | Ma ogni vestigio d’uomo che apparisse contristava | rattrist | Ma dove l’uomo appariva, o i segni del suo soggiorno ivi toglieva tutta la bellezza di quello spettacolo: erano villaggi quasi deserti, abbandonati] Ma la [via] parte vivente di quello spettacolo era quella che lo rattristava:
  242. ivi
  243. [abi] popolati
  244. gittato
  245. si po
  246. ristette
  247. e due ore circa [prima] prima del tramonto [giunse] giunse ai luoghi noti
  248. sen
  249. proseguì,
  250. di que
  251. tanti altri
  252. Fermo
  253. procedendo
  254. A margine, in penna, di mano del Manzoni:' «Stupido: gli parve Gervaso, ed era Tonio».
  255. qu
  256. lo
  257. due occhi
  258. e gli ritir
  259. continuò
  260. coi segni del
  261. spazzata
  262. da quell
  263. volse da
  264. col
  265. una persona amica
  266. battito
  267. tr
  268. pareva
  269. sarebbe paruto
  270. quadro
  271. sparuto fatto
  272. per qualche colla
  273. aveva avuta da lui
  274. volle quasi passar di lungo
  275. poi
  276. su
  277. fermò
  278. che
  279. Con
  280. cattura... !
  281. E voi che venite a fare | Che pensiero è il vostro di venire fra queste
  282. Curato.
  283. pel
  284. sap
  285. eravate
  286. ho sempre
  287. dovessi vedervi
  288. E la peste
  289. ci pe
  290. vi manda
  291. ; anch'io l'ho avuta e vi assicuro che d'allora in poi ho altro in testa che bazze
  292. guarito
  293. è a Milano
  294. muoj
  295. Ma non siam vivi pur noi (lacuna)
  296. Sicur
  297. Basta ella non mi vuol dare né
  298. si gua (lacuna)
  299. Insomma
  300. La cattura, e la peste!
  301. comanda
  302. met
  303. e poi chi andrebbe
  304. Ma almeno, poi che
  305. quello che ella si voglia dire, ma
  306. me e voi
  307. desidera un po’ di quiete, e
  308. Ho patito, vedut
  309. morirmi di fame su gli occhi miei
  310. ed io
  311. d’allora in poi non so benché l’abbia scappata la morte, per miracolo, non son più quello
  312. Ecco che appena co
  313. già io
  314. Stia bene signor curato
  315. con un sospiro
  316. oh prima che tutto ciò avvenga posson nascere cento ostacoli: speriamo nella peste.
  317. que
  318. [fu ❘ sola] solitaria
  319. sola
  320. il cuore di
  321. [disse per di dentro il] gridò per di dentro la voce
  322. era
  323. diss
  324. [ho d] vi ho
  325. A vedere come
  326. e di voi
  327. le sue
  328. Apro, rispose
  329. disse
  330. Aspettatemi
  331. io l
  332. non si sentono
  333. disse
  334. si pose in [un) un angolo a sedere sur un
  335. richiuse
  336. andò
  337. di
  338. di
  339. Perché vi si (lacuna)
  340. Lucia, almeno non ha sofferto (lacuna)
  341. stata
  342. Tutt | Queste ed altre interrogazioni rimanevano necessariamente senza risposta. Finalmente tutti e due s'avvidero che a quel modo non sarebbero soddisfatti né l’uno, né l’altro, e Fermo disse il primo (lacuna) A poco a poco vennero le risposte, e | Le prime interrogazioni non otteneva | Quando
  343. che gli venivano fatte. Finalmente Fermo
  344. seppe per le
  345. e
  346. ma un
  347. Don Rodrigo l’uno e
  348. l'altro
  349. Parola illeggibile.
  350. ha cercato di seguirmi? me suo promesso, me a m
  351. per essere mia moglie? con me suo promess
  352. ess
  353. altro
  354. sbigottita da
  355. pote
  356. [ristabilì] fece risalir [Fermo nel concetto di Agnese] la riputazione di Fermo che a
  357. e gli
  358. sclamò ella
  359. perché
  360. valgon
  361. due
  362. scara
  363. Chi
  364. in questa confusione?
  365. rispose Fermo
  366. in
  367. Ah purché Dio Lucia viva
  368. rispose
  369. gli
  370. son tutta
  371. Sic.
  372. Fermo ne ebbe
  373. togliergli ogni cattiva impressione che [gli] le ciarle pubbliche avessero potuto dargli sul conto suo
  374. Così il periodo; ma lo spiega la precedente cancellatura, cui fu scordata la necessaria sostituzione.
  375. Era venuta l’ora della cena, ed Agnese
  376. ed egli l’accettò ben | raccoma
  377. fare gli (lacuna)
  378. prese la farina, get
  379. vivremo ancora ins
  380. starà
  381. andò a mangiare
  382. sua
  383. che da qualche mese era la sua unica compagnia
  384. [e con] vi versò un piattello di latte | gli mise dinanzi l’uno e l’altro | volte
  385. in due
  386. Fermo non la
  387. per
  388. La cena | Nel
  389. e un
  390. no
  391. sul luogo della loro dimora
  392. a Fermo
  393. col pretesto che
  394. [Di buon, mattino ❘ Si alzò di buon mattino | si alzò a] Di buon mattino
  395. [rie] avv
  396. giunse sulla sera
  397. sarebb
  398. e il mattino
  399. verso la città
  400. il cui
  401. di quello che