Zecche e monete degli Abruzzi/Amatrice

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II.


AMATRICE.


È l’Amatrice picciola dell’Abruzzo ulteriore II, e capoluogo di cantone del distretto di Civitaducale, un otto leghe a maistro-tramontana dall’Aquila. Essa non fu mai da fatto notevole nobilitata, nè in un libro di numismatica se ne sarebbe incontrato il nome, ove la fede mantenuta agli aragonesi nella congiura dei baroni nel 1485 non le avesse meritata la più speciale predilezione di re Ferdinando I, che volle perpetuarne la ricordanza sulle monete, le quali ci fe’ primo conoscere Giuseppe Maria Fusco1. Sono esse due di que’ pezzi di rame che dal rappresentatovi quadrupede prendevano il nome di cavalli, duodecime parti del grano di argento, vedutosi poi la prima volta effettivo sotto il regno di Filippo II di Spagna, e coniato quindi di puro rame sotto il governo di Filippo IV. Il cavallo, minima frazione della moneta, era stato introdotto da Ferdinando I nel 1472 per evitare le frodi avvertite nelle valute di mistura di argento e rame, ed uscì dalle zecche di Napoli, di Brindisi e d’Aquila; alle quali pur vorrebbesi aggiungere dal Fusco quella di Capua, riconoscendo egli il nome di tal città nelle sigle c a talvolta apparenti in cosiffatte monete, in luogo d’altre sigle che, poste nel sito stesso, accusano per verità il nome del monetiere.

Vi fu chi ritenne che ne’ tempi moderni non si sieno coniate [p. 14 modifica]monete di schietto rame anteriori ai cavalli di Ferdinando I del 14722, ascrivendo così la priorità di quella innovazione de’ sistemi monetarii alle zecche del regno. Mi si conceda di rivendicare, in via di digressione, quest’onore alla mia patria, sulla fede di un sincero documento e dei denari tuttavia superstiti del doge Cristoforo Moro che tenne la somma dignità della repubblica di Venezia dal 1462 al 71. Ecco la nota che ho ricavata dal capitolare delle borchie (broche) della veneta zecca3: Adi 7 lujo 1462. Noto io Jachomo de Antonio d’Alvixe schrivan chome vene qui alla zecca ozi sier Triadan Griti savio grande, disse da parte de la signoria se dovesse far certi pizolli grandi per mostra, de rame puro, e chussì fo fato; e fato che i fono, fono dati al dito missier Triadan, i quali pizolli haveva da una banda la testa del dose e dal’altra san Marcho. Avvegnachè rarissime, tali monete di rame schietto colla testa di Cristoforo Moro non mancano alle nostre raccolte, e sono vie maggiormente da tenersi in pregio perchè di dieci anni precedono la prima delle note in quel metallo. Ma ritorniamo ad Amatrice.

Dei due cavalli che il Fusco ne dette incisi, l’uno raffigura la testa incoronata del re, volta di profilo alla diritta del riguardante, e intorno ad essa la epigrafe ferrandus .... rex, e dall’opposto lato un cavallo sciolto gradiente verso la diritta, contornato dalle parole fidelis . amatrix, sopra al cui dosso nel vano del campo sta uno scudetto, mentre sotto la linea dell’esergo due bisanti prendono in mezzo una rosa. Vedasi questa moneta al numero 1 della prima tavola. La varietà prodotta dal Fusco non porge altra discrepanza dalla precedente, se non una rosa che occupa il posto dello scudetto, e nell’esergo del rovescio una m fra due rose.

[p. 15 modifica]L’avvenimento che porse occasione alla stampa di queste monete è ingegnosamente conghietturato dal Fusco, quantunque della zecca dell’Amatrice niuna memoria a noi arrivasse, e si possa sospettare financo che non ivi, ma altrove, siensi battute con quel particolare impronto. Sollevatisi nel 1485, come vedremo nel seguente capitolo, i principali baroni del regno, auspice ed ausiliario il sommo pontefice Innocenzio VIII, moltissime città ribellarono alla casa d’Aragona, massime negli Abruzzi, ove più tardi che altrove fu spento il fuoco della rivolta. Costante nella fede giurata al suo re, siccome opina il Fusco, dev’essersi allora serbata Amatrice; della qual fede, se anche tacciono gli storici, è luminoso documento la scritta apposta sulle monete ch’esaminiamo; conghiettura suffragata dalla notizia d’altri privilegii che re Ferdinando accordava a quella terra nel 1486. Si legge infatti ne’ repertorii aragonesi la seguente nota4: In anno 1486 re Ferrante concede all’università et huomini della città dell’Amatrice ob fidelitatem erga eum observatam la terra di Civita Regale, la quale alias fu di detta città e per esso re era stata concessa alla città dell’Aquila, per rebellione della quale è devoluta ad esso re, e perciò la restituisce alla detta università; etiam concede la terra della Rocca e li casali della Montagna di Rosito, le quali olim furono di detta città dell’Aquila rebelle, come appare in Privil. fol. 70. Se anche il diploma con cui Ferdinando accordava tanti favori e privilegii ad Amatrice non è giunto a noi, colpa le dispersioni e i saccheggi cui pur troppo soggiacque l’archivio aragonese, la citata nota de’ repertorii ci attesta una peculiare predilezione di quel sovrano verso la picciola terra ob fidelitatem erga eum observatam, le quali parole concordano colla epigrafe delle monete, e quasi riducono a certezza la ipotesi del valente erudito, che ritiene non ad altra epoca appartengano, che all’anno 1486.

Note

  1. G. M. Fusco, Intorno ad alcune monete aragonesi ec., p. 12 e seg., tav. 1, n. 5 e 6.
  2. Gian Vincenzo Fusco, Sulla introduzione della moneta di rame nel regno di Napoli, memoria detta alla sezione di archeologia e geografia del VII congresso degli scienziati.
  3. Ora esistente nell’imp. r. Archivio generale di Venezia. Ozi, oggi; pizolli, piccioli denari.
  4. R. Archivio di Napoli. Repert. Provinc. Aprut. cit. et ult., T. I, fol. 127 a t.