Wikisource:Collaborazioni/SBM/testi/Vita intima e aneddotica di P Moise' Loria

PAOLO VALERA

VITA INTIMA E ANEDDOTICA DI Prospero Moisè Loria Fondatore dell' Umanitaria

Centesimi VENTI MILANO LIBRERIA SOCIALE 3 Via Bossi - 3 La malattia dei Grandet

Coloro che ammucchiano il denaro sono ammalati come coloro che lo buttano via per andare spensieratamente sulla spiaggia dei naufraghi. Senza questa concezione non si capirebbe la figura balzachiana di Felice Grandet, la cui avarizia gli aveva dato lo stupido gusto di contemplare di tanto in tanto l'oro della sua fortuna. Ricco a milioni, con tante vigne da contentare un paese intero, si sottoponeva ai sagrifici del poveraccio che non sa come tirare innanzi e lasciava moglie e figlia nelle stanze gelate a bubbolare di freddo. Il tiranno del proprio e dell'altrui benessere è un tipo che si riproduce in ogni tempo e in tutte le nazioni. Turner, che vive nel lezzo e nel sudiciume e non arrossisce di avere il padre che sfacchineggia per uno scellino al giorno nel periodo in citi una sua marina veniva venduta a cento cinquanta mila lire e muore più volte milionario, è uno squilibrato. Se io volessi documentare la malattia della gente che ha fatto una vita di cane per morire circondata da ingenti capitali, non avrei che da invitare i lettori a seguirmi all'Ospedale Maggiore nei giorni in cui sono esposti i « benefattori ». Vedremmo uomini che hanno fatto la fame, che hanno affamato, che hanno messo sulla strada 1' inquilino impotente a pagare l'affitto, che hanno negato l'aiuto di cento lire a un parente per lasciare dei letti o una somma più grossa all'Ospedale Maggiore - l'istituzione che continua a ereditare senz'essere mai ricca. Tutti ricordano il vecchio musicista che andava a pranzare in una trattoria nei dintorni di piazza Fontana. La sua mania era di farsi credere pitocco, sventurato, senza il diritto alla esistenza comoda. Indossava abiti usati e mangiava cosi poveramente che più di una volta gli avventori della trattoria gli offrivano una forchettata della loro pietanza, dicendogli che ne avevano di troppo per paura di offendere la sua miseria. Sovente, quando c'era il litro della bicchierata, non lo si dimenticava. Egli si lasciava offrire, ringraziava con una parvenza di sorriso e dieci minuti dopo se ne andava con una curva di umiltà che faceva compassione. Anche i vicini della porta lo credevano uno spiantato che stesse in piedi per la sua grande parsimonia. Nessuno, neppure la portinaia, sapeva che il vecchio del bugigattolo all' ultimo piano, il vecchio che moriva nel freddo e nell' immondizia, fosse il padrone di casa. Quando è morto, i suoi mobili fracidi erano pieni di carte di valore, di biglietti da mille, da 500 e da 250, di cartelle di rendita, di manate di marenghi e di gioielli. Impiegando il numerario che aveva per i cassettoni e dietro i mobili sconquassati avrebbe avuto modo di vivere da signore. Invece ha preferito fingersi un disgraziato che avesse da fare a tirare innanzi. La sua fortuna è andata in mano di parenti che lo soccorrevano di tanto in tanto perché lo credevano in lotta coi centesimi. Le piccinerie dagli ammassatori di denaro per gli altri sono infinite. Non ho che da voltarmi indietro. Cito il signor ***, padrone dell'Albergo *** alla Stazione Centrale, proprietario di tre palazzi lungo il viale Principe Umberto. Non aveva commozioni che per i chiodi dimenticati nelle pareti dagli inquilini che se ne andavano dai suoi appartamenti. Più che milionario, non ha trovato in vita che il miserabile godimento del chiavaiolo che risparmia poche lire rifacendo le capocchie e le punte ai chiodi frusti. Ho conosciuto una famiglia milionaria del Corso Como che accendeva il fuoco con i pezzi di legno che poteva raccattare per la strada, che beveva e offriva ai due o tre amici che bazzicavano in casa sua il vino annacquato, che mangiava peggio dei pitocchi che vanno a dormire nelle cascine e che al momento in cui il marito è stato obbligato a coricarsi ammalato nel letto ha dovuto farsi prestare da una vicina le lenzuola. I lenzuoli del suo letto erano sporchi, pezzati, stracciati, rattoppati, pieni di magagne ! E chi non si rammenta dei coniugi Manzoni, i venditori di ghiaccio nei paraggi di via Francesco Sforza ? I poveri vecchietti spegnevano la candela per non sciuparla e stavano in bottega stracciati come ladri. Marito e moglie parevano la ditta della indigenza perpetua. Si nutrivano a pane e cipolle, a pane e formaggio e a scodelle di minestra, quando si sentivano lo stomaco disfatto dalle privazioni. Sono morti l'uno dietro l'altra. E il giorno in cui i parenti hanno potuto mettere i piedi nella loro abitazione hanno trovato un tesoro. C' erano denari, coupons, libretti di tutte le banche, cartelle di rendita di tutte le nazioni, monete d'oro e d'argento in tutti gli angoli, sotto il letto, dietro il comò da notte, in fondo all'armadio, sopra l' armadio, dietro l' armadio e sotto l'armadio. Il ticchio del signor Prospero Moisè Loria non era di scaldarsi lo stomaco con gli sbattimenti di braccia e di trascinare i giorni ín mezzo ai bisogni come il musicista e i Manzoni. Ma era anche lui della specie dei Grandet, con tutti i gusti e tutti i vizii dell' usuraio che non trova rapimenti che nell'accumulazione della propria ricchezza. A. Parigi, se andava con le donne per dei bisogni fisiologici, non dimenticava mai di appartenere alla classe sordida che si lascia ammazzare piuttosto di tirar fuori un centesimo più del dovuto. Ne discuteva il prezzo prima per non avere seccature. Le sciagure umane lo hanno sempre lasciato indifferente. Chi ha mai udito il nome del Loria prima che facesse parlare di sè con la sua utopia di sciogliere il problema della disoccupazione con la Casa di Lavoro ? La voluttà di voler entrare nella storia della vita collettiva come benefattore o come umanitario lo ha reso più di una volta insensibile ai dolori degli altri. Con tutti i suoi milioni non si è mai accorto ui avere intorno a sè un mondo di parenti poveri e arcipoveri ed è morto senza rammentarsi di loro, senza lasciar loro un quattrino. Se ci fosse stato un pu' di tenacia negli amministratori del suo patrimonio, vivrebbero ancora nella più squallida miseria. [didascalia immagine:] P.M. Loria. In vita apparteneva agli egoisti del suo tempo. Ricco sfondolato, si deliziava di lasciar credere alle persone che facevano qualche cosa per lui che si sarebbe ricordato di loro nel testamento. Il suo domestico è stato il suo giuoco crudele. Mentre il padrone ghignava della burla che gli aveva preparato o voleva preparargli al momento della lettura del testamento, scriveva di tanto in tanto bigliettini che fingeva di dimenticare sul tavolo, in cui esaltava e premiava i servigi di Giacomo Magatti con una discreta somma testamentaria. E continuò il perfido supplizio di abituarlo a credersi erede di una somma che lo avrebbe messo al sicuro dalle bufere dell'avvenire fino alle ultime ore della sua esistenza. La burla nel testamento era una lettera cinica, una lettera che si dimenticava di tutte le cure, di tutte le premure, di tutti i servigi, di tutti gli strapazzi quando il padrone non si sentiva bene o era ammalato, di tutta la pazienza cristiana avuta per tanti anni di sopportarlo coi suoi malanni, coi suoi capricci, coi suoi egoismi, coi suoi umori neri, con le sue prediche di tiranno della vita domestica e con tutte le altre diavolerie che sono nel vecchio permaloso e sospettoso. La lettera diceva che non gli lasciava un soldo per punirlo di avere scritto una lettera da Parigi alla moglie, nella , quale sono narrate le noie che gli dava il padrone che si abbandonava alle gozzoviglie femminili e nella quale è detto che se non si fosse trattato della eredità l'avrebbe piantato col primo treno.

la biografia di Prospero Moisè Loria che ha lasciato i milioni alla " Umanitaria "

Non ha lasciato materiale per il biografo. Malgrado la sua mania di ricordare tutte le inezie della vita, i suoi diarii sono aridi, monotoni, senza pensieri, pieni di cose inutili. In lui c'era nulla dei filantropi intellettuali che lasciano dietro di se, come il Shaftesbury, un vivaio di idee. Le sue noterelle erano dell' uomo meticoloso. Registrava ciò che faceva e ciò che spendeva. A che ora si era alzato, che cosa aveva mangiato, come aveva consumato la giornata. Sovente di notte accendeva il lume per completare il diario con le minuzie che aveva dimenticato e che non gli permettevano di dormire. (1) Con una rendita annuale che andava dalle 500 alle 600 mila lire, indossava la biancheria e gli abiti fino a quando erano sdrusciti e quando incominciavano a disfarsi li mandava come regalo al suo cugino Aasvero di Mantova. I suoi pasti erano di una sobrietà che rasentava la taccagneria. Si contentava dello stesso piatto di carne della colazione per il pranzo, mangiava dei legumi, qualche pesca o qualche mela e non beveva che un paio di bicchieri di vino comune. La sua cantina era negletta.Alla sua morte, avvenuta il 28 ottobre 1892, non gli si sono trovate in cantina che trecento o quattrocento bottiglie di vino ordinario. Lo si poteva dire un solitario. Non aveva amici, non aveva conoscenze e non andava in giro con alcuno. Le sue persone di servizio non hanno mai servito alla tavola del padrone che qualche invitato come il prof. Verga o l'ex presidente del tribunale Avignone o il dottor Tibaldi che gli curava la dispepsia fiatulenta e che lo ha veduto morire asfissiato. E anche loro venivano trattati alla buona, con due vivande e qualche altra cosuccia tanto per non lasciarli andare altrove a finire il pranzo. Di rado il Loria mandava a chiamare qualcuno o qualcuno andava a trovarlo. Ma invariabilmente faceva servire agli ospiti che avevano l'onore di mettere il piede in casa sua un caffè eccellente e dei sigari esteri. Tutta la sua tenerezza si riassumeva in pochi dolci che dava ai nipoti o ai figli dei nipoti quando andavano a baciarlo e a ricordargli che erano vivi. Le sventure individuali, le sciagure domestiche, i naufragi di Tizio e di Caio lo lasciavano perfettamente tranquillo. Lui che era entrato in Trieste come Beniamino Franklin era entrato in Pensilvania, con la camicia e le calze da mutarsi in saccoccia, e che aveva sfacchinato al porto e imparato come sa di sale il pane altrui e che si era levato dalla miseria


(1) Sono note scritte in una calligrafia quasi egiziana, ricca di code, graffe e prolungamenti alle maiuscolo e alle lettere finali. Esempio : Cartella del luglio '92. - Bagno, passeggiata Keiserin Elisabeth veg. Caffè. Colazione all' Hirsch. Giocato a scacchi col dr. Weinberger. Passeggiata con lui, poi con la consorte. Visita all'ospedale dei poveri austriaci, al cimitero e alla chiesa vecchia, ecc. Cartella di un mese dopo. - Pagata la lavandaia. Bagno e doccia. Dormito poco, ecc. con la sua parsimonia e la sua determinazione di riuscire, odiava gli impotenti, la gente che ha bisogno di soccorsi, i mendichi, gli accattoni, gli individui che implorano il tozzo di pane invece di rimboccarsi le maniche. Al Cairo passava con disgusto dal quartiere degli ebrei, dove i suoi compagni di fede vivacchiavano nellezzo e nei viottoli lastricati di sudicerie, con le case a destra che baciavano le case a sinistra. Invece di tender loro la mano, si turava il naso e li disprezzava. Così, anche milionario, non aveva viscere per i caduti o i vinti che in un senso collettivo. Nei momenti in cui si bussava al suo cuore egli rimaneva con la testa nell'alta filantropia che sdegna di diminuire di un soldo la somma destinata alla classe che intende beneficare. Tutti sanno che cosa è avvenuto il giorno in cui i pitocchi hanno scoperto che il proprietario della casa in via Manzoni, 9, aveva offerto al Municipio 100 mila lire per costituire una Società Umanitaria che « aspirava a mettere i diseredati in condizioni di rilevarsi da sè medesimi, col proprio lavoro, senza ricorrere a nessuno '. Si trovò circondato da sciami di bisognisti, di persone andate in malora, di gente che non è mai uscita dalla miseria, di poveraglia che moriva di fame. Tutte le mattine il portalettere gli scaricava in portineria la corrispondenza dei « cercottoni » che supplicavano, che scongiuravano, che domandavano in ginocchio l'aiuto del benefattore. Il Loria fece sapere a tutti i tendimani della missiva che la sua casa non era la Congregazione di Carità e diede ordine alla portinaia di mandare gli spiantati a quel paese. L'elargizione a spizzico non è mai stata nel suo programma. Anche coloro che ricorrevano a lui con commendatizie o con lettere di amici personali o con i ricordi di averlo veduto o conosciuto in altre epoche della vita, rimanevano a mani vuote. La sua risposta era identica per tutti : « Niente per nessuno ! ». L'idea di accumulare un capitale ingente per un'opera grandiosa che fosse utile al genere umano o per una istituzione della sua fede israelita, lo aveva fatto diventare più che sparagnone, taccagno. Cito un fatto del '78. L'agente delle tasse voleva costringerlo a considerare carrozza di lusso il suo veicolo lungo e scoperto come quello che serve ai cavallerizzi per condurre i cavalli a spasso. Il Loria piuttosto che aumentare le spese personali e sottomettersi a credere che il suo quattroruote apparteneva alla famiglia dei breaks o dei Tour-in-hands, si mise a leticare con l'ufficio municipale e finì per ridiventare pedone. Vuotò la scuderia, la chiuse e non si servi più che della vettura da nolo. Il litigio faceva parte della sua natura. Separatosi da suo fratello col quale aveva iniziato la fortuna a Trieste con il commercio del legname, non ha fatto più pace con lui : nè quando metteva i guadagni in cassa con la pala, nè quando era in letto moribondo. La tribolazione ch' egli ha dato al Municipio per avere contribuito alla fondazione della « Sala delle autopsie » al Cimitero Monumentale è ancora nella mente degli assessori. Era sofistico, irascibile, incontentabile. Criticava, si mostrava dolente di avere sciupato il suo per un' istituzione che avrebbe demolito con le sue mani se avesse potuto. La sua vera passione amorosa è incominciata all' altare ed è finita sottoterra con sua moglie. L'ha adorata in vita e in morte. I fiori del suo cuore e i pensieri commossi del suo cervello sono stati per lei. Il 10 luglio 1868 fu la sua débàcic domestica. La povera donna spirava con la mano nella mano del marito e Prospero Loria si sentiva l'anima andar via con quella della compagna della sua vita. In quell'affezione somigliava un po' a Victor Hugo. Il poeta assistendo ai funerali di madame Drouet - l' amante - diceva che erano i funerali di Parigi. Per lui non esisteva più nulla. Loria si è levato dal dolore tragico per ricominciare l'amore con la tomba. Non ha sciupato, non ha sprecato danaro nella pompa del monumento, come i ricconi senza sogni filantropici, ma si è comperato un pezzo di terra per dormire il sonno della putrefazione con la donna delle sue affezioni, come una volta nel letto coniugale. Lungo i suoi ventiquattro anni di vedovanza, pur avendo un culto per l'opulenza e la freschezza della carne femminile, nessuna donna di baci ha messo il piede nel santuario della sua Anna. Si contentava di ammirare le bellezze per le strade. Per le strade era capace di fermarsi, di trovare un aggettivo illustrativo per le ondulazioni feline o pornografiche, per il collo svelto e diafano e per la testa che passa e disperde la poesia della giovinezza. Il sottovoce è ch'egli abbia avuto un zinzino di passione per Teresina, la celebre fioraia dai capelli neri, la bella Teresina che ha avuto il viso sconciato dal coltello della gelosia o della vendetta e che ora consuma i tramonti nella agiatezza borghese in casa propria, a Genova. Si diceva, in allora, che i grossi brillanti ai lobi le fossero stati regalati dal Loria. E può darsi. Le mie informazioni sono che egli l' ha conosciuta. Leggendo i foglietti che compongono il diario del Loria ci si convince che la vita della capitale egiziana gli ha trasmessa l'abitudine dell'alta educazione fisica. Perchè Loria registrava ogni giorno il suo bagno, la sua doccia, la sua passeggiata a piedi o in bicicletta o in vettura e i suoi esercizii ginnici che lo mantenevano sano e robusto. La sua esistenza quotidiana mi è stata raccontata dai suoi domestici. Si alzava di buon mattino, si sgranchiva le membra con i movimenti dei pesi, si vestiva alla buona, discendeva, saltava sul suo cavallo di ferro, pedalava in qualche parte per più di un'ora, rincasava, si diguazzava nel bagno o si rinfrescava sotto i soffioni, si vestiva, sedeva a colazione, prendeva invariabilmente il caffè, fumava, faceva una passeggiata e finiva per entrare nel suo studio a movimentare le cifre del suo patrimonio. Viaggiava sei mesi l'anno. Sostava per delle settimane a Parigi, a Berlino, a Vienna e qualche volta passava delle settimane in Ispagna. O bene o male si faceva capire in tutte le lingue. Sapeva però l'arabo assai meglio. del francese. Lungo i suoi viaggi era sempre accompagnato da Giacomo Magatti - il servitore che godeva tutta la sua fiducia e che lo ha servito per più di 20 anni. Il Loria non era ciarlone e non confidava le cose intime neppure a quelli che chiamava suoi amici. Ma col Magatti non aveva segreti e non aveva paura di confidargli qualsiasi somma. L' ultimo deposito di un milione e duecento mila lire, fatto alla Banca Popolare in tante cartelle di rendita di mille lire al portatore, è stato fatto dal Magatti. Della fiducia che il Loria aveva del suo valletto di camera potrei citare non pochi episodii. Ma basti ricordare che sovente il padrone dava denari da mettere sui libretti intestati al servitore, senza neanche un po' di nero sul bianco. Il giorno in cui è morto nessuno sapeva dove scovare la manata di biglietti di banca per il modesto funerale. Si è cercato per i cassetti e si è frugato un po' dappertutto senza trovare un centesimo. Pare che il Loria sia morto con i pochi centesimi in saccoccia. Fu in quel momento che Giacomo Magatti si ricordò di avere sul libretto intestato al suo nome di servitore quindici mila lire che appartenevano al Loria - libretto che venne consegnato lì per lì al conte Dolfin Guerra, uno dei due esecutori testamentarii. La brutalità con cui il Loria ha diseredato il domestico che lo aveva servito fedelmente negli anni del benessere rivela tutte le idiosincrasie del suo organismo. Imperioso, autoritario, esigente, non ha capito un attimo d'indignazione o d'insofferenza del buon Giacomo. Erano tutti e due all'estero. Magatti, indemoniato dall' intolleranza del padrone, si sfogò con la maledetta penna, scrivendo alla moglie che era stufo di fare la vitaccia che faceva e aggiungendo che il vecchio birbone non moriva mai. Ti assicuro, diceva, che se non fosse per l'eredità, se non fosse per quelle benedette ventimila lire già nel testamento, me ne andrei senza aspettare un minuto col primo treno. Sono stufo, stufo, stufo ! La moglie di Giacomo, il quale aveva avuto un impeto naturale, come hanno coloro che sono vivi e alla dipendenza degli altri, era la guardarobiera del Loria. Ricevuta la lettera, corruscata dalla collera del marito, la lasciò in giro senza darle alcuna importanza. Un altro domestico, invidioso della posizione del servitore di fiducia, se la mise in saccoccia e a tempo opportuno la fece leggere al padrone e tutto fu perduto. Il Loria non ebbe scatti. Senza dirgli una parola, senza alterare le abitudini e il linguaggio, senza rivelare una punta di risentimento, continuò a conservarlo al posto di servitore di fiducia, e a dimostrargli la sua

[didascalia immagine:] Giacomo Magatti. bontà con ricordi che dovevano essere aggiunti alle ventimila lire nel testamento. I bigliettini dei ricordi li dimenticava sul tavolo, perchè il Giacomino li leggesse e sognasse sempre più la sua morte. Morto, è stato un disastro. A Giacomo Magatti non ha lasciato neppure il panciotto che indossava la sera prima di coricarsi. La disillusione ha solcato la fronte del domestico e ha fatto nascere quasi dei rancori tra marito e moglie. La povera donna è morta di crepacuore per i rimorsi di avere lasciata in giro la lettera. La più vecchia persona di servizio di casa Loria era Angelo Verga. Non si è ricordato di lui nè con una parola nè con un centesimo. Morto il padrone, ha dovuto implorare il soccorso della Congregazione di Carità. Alla servitù non ha lasciato che il magro stipendio del mese che stava per finire. A Giacomo Magatti dava sessanta lire, alla guardarobiera trenta, e agli altri domestici dalle quaranta alle cinquanta. Anche in viaggio il Loria non diventava generoso. Il Magatti non mangiava e non dormiva mai all'albergo del padrone. Egli aveva un soprassoldo di cinque lire il giorno col quale doveva pagarsi il vitto e l'alloggio. Il testamento è stato una disperazione per tutti. Ai conte Dolfin Guerra, suo esecutore testamentario, non ha lasciato che due orologi, il primo d'oro e il secondo d'argento, un tavolino da notte e una statuetta di bronzo che il Loria aveva comperato dal simpatico Grubicy per mille lire. Il secondo esecutore testamentario era Giuseppe Venturelli, suo segretario privato, un uomo che lo lasciava dire senza mai una risposta o una parola acre o altezzosa. La sua umiltà e la sua pazienza gli sono valse una penidone annua di due mila lire. Al rabbino Ariani che gli andava in casa e sedeva spesso alla sua tavola, col quale conversava sovente per delle mezz'ore ed al quale, più di una volta, chiacchierando, lasciò credere che si sarebbe ricordato del tempio o di una istituzione per i poveri israeliti, non ha lasciato l'anima di un bottone. Di tanto in tanto pareva devoto al messia e di tanto in tanto pareva che ne fosse indifferente. Un giorno il dottor Gnocchi-Viani sospese di scrivere con la matita che raccoglieva le idee del Loria sulla famosa Casa di Lavoro e sull'Umanitaria per domandargli che cosa intendessero gli ebrei per il messia o la venuta del messia. Il Loria parve imbarazzato. - Ecco, diss'egli, prima di tutto la venuta del messia si presta a diverse interpretazioni. Per me è l'avvenimento della redenzione umana. I parenti sono stati trattati peggio delle persone di servizio. Tranne sei mila lire annuali per il nipote Leone Loria e un assegno mensile di lire sessanta per Aasvero Loria, figlio di una sua zia, i loro nomi non figurano nel testamento neanche per un addio. Se i dieci o dodici eredi del suo disprezzo non si fossero coalizzati con la « Casa Benefica di Torino », alla quale il Loria aveva promesso tutto il suo patrimonio, qualora non fosse riuscito a costituire 1' Umanitaria, a quest' ora sarebbero ancora nelle stamberghe della povertà senza nome. Il Comitato promotore dell' « Umanitaria », il quale aveva veduto che, pur vincendo, la causa sarebbe andata innanzi per degli anni, sciolse il problema giuridico dando, come transazione, ai pretendenti o ai parenti del Loria e alla direzione della « Casa Benefica », un milione e seicentomila lire. L' autore dell' « Umanitaria » più invecchiava e più era preoccupato della sua sostanza. Se non si poteva portarla all'altro mondo bisognava scegliere o lasciarla alla mercè dei fratelli, dei nipoti, dei cugini per i quali non aveva simpatia. Le sue idee instabili lo facevano passare attraverso le impressioni del momento. Prima voleva lasciare tutto quello che aveva a una istituzione israelita di Roma. Poi mutò pensiero e andò a Parigi a consultare il Rothschild, il re degli israeliti che nuota nella scandalosa opulenza, per dedicare gran parte del suo capitale ai fratelli della sua religione. L'ultimo pensiero è stato per gli scacchi. Convinto che il gioco fosse un passatempo « utile » aveva immaginato di elevare un grandioso « Tempio » per gli scacchisti. Al Cairo le mezz'ore libere le consumava giocando a scacchi. A Torino, dopo avere veduto e studiato la « Casa Benefica », promise a quest'ultima tutto quello che possedeva. In ultimo capovolse ogni cosa. Andò a Firenze, visitò la Casa del Lavoro, accompagnato dal comm. Gelli, consigliere di quell' istituto, e ne uscì come infatuato. Incontentabile in tutto, non si sarebbe fermato alla Casa del Lavoro se non fosse stato violentato dall'opposizione. L' « Umanitaria ». divenne un proposito il giorno in cui il Consiglio municipale respinse le sue centomila lire con l'ordine del giorno dei consiglieri Gnocchi-Viani, Massarani e Barbetta contro la Casa del Lavoro. Il progetto con le cinquemila lire di rendita annue ch' egli offriva, racchiudeva tanti obblighi che nessuno che non fosse pazzo poteva accettare. La sua lettera alla « spettabile Giunta municipale di Milano », per « portare qualche lenimento » alla Questione Sociale, esigeva che il Municipio nominasse un Comitato incaricato di costituire la Società Umani- tarla, di farla riconoscere in ente morale, di procurare oblatori con un avviso sulle cantonate, ecc., ecc. «Art. 3. - Che il capitale rimanga intangibile, e gli interessi annui di questo e delle offerte e lasciti che fossero fatti in seguito, siano impiegati a procurare lavoro a chi lo domanderà per vivere, in modo che s' istruisca e col tempo possa rilevarsi e guadagnarsi da sè stesso l'occorrente. « Art. 4. - Che per ora il beneficio favorisca soltanto gli abitanti di questa città, senz'alcuna distinzione di religione od altro, come la Croce Rossa fa pei feriti. « Art. 5. - Che in appresso possa, a seconda dei mezzi, estendere il soccorso a quelli di tutta la provincia, dell' Italia, dell' Europa, e anche di tutto il mondo. » Come si vede c'era un po' di megalomania in lui. Con la sua Casa di Lavoro embrionale egli credeva di sopprimere l'accattonaggio e il vagabondaggio. Si vedeva che la povertà degli altri lo tormentava, ma che il suo cervello non sapeva suggerirgli che le solite soluzioni dei soliti filantropi che credono di sciogliere i problemi della vita con un mucchio di biglietti di banca. Nella sua testa era costante il naufragio della vita, ma non sapeva studiarlo. Il pitocco e l'ozioso sono prodotti dell'ambiente o vittime di una malattia che impedisce loro di lavorare ? Bisogna cambiare l'uomo o l'ambiente ? Il Loria è morto senza giungere neppure dove è arrivato Guglielmo Booth, il generale della Salvation Army,il grande generale che è riuscito con un milione e mezzo di sterline a radunare i disoccupati, i caduti, i vinti, i battuti in tre colonie : nella colonia cittadina, nella colonia agricola, nella colonia dei possedimenti inglesi. Il concetto della « Casa del Lavoro » è stato riassunto cosi dal Loria :

« L'accattonaggio ed il vagabondaggio sono proibiti, ma pure v' è l'uno e l'altro. Per fare che nessuno vi sia costretto, converrebbe istituire una Casa di Lavoro che accogliesse qualunque vi si recasse da sè medesimo, o vi fosse condotto dalla forza pubblica. Nel laboratorio, tutti troverebbero lavoro adattato, per quanto possibile, alle rispettive capacità. Eseguito che avessero il loro compito, riceverebbero una marchetta, colla quale potrebbero andare a mangiare nel refettorio, ed a dormire. Dopo potrebbero anche uscire, se volessero, avendo pagato col lavoro eseguito il loro scotto, come se fossero stati in locanda. Potrebbero anche rimanere, se volessero stare riparati, in una sala comune, dove potrebbero leggere e scrivere. Invece delle suddette mar- chette, si potrebbe dare qualche soldo, come usano già in alcuni paesi (1). Il lavoro che produrrebbe la Casa sarebbe venduto, in complesso, al prezzo che lo potrebbe dare anche l'operaio libero, onde non fare ad esso una concorrenza troppo forte, sebbene tale concorrenza non sarebbe che eguale a quella che la macchina fa all'operaio, e che non per questo si trova titolo di distruggere le macchine, nè di lasciare in ozio i carcerati. Il guadagno che la casa farebbe nel vendere i lavori che le costerebbero meno che all'operaio libero, servirebbe a migliorare la condizione della Casa e, per conseguenza, quella degli sventurati suoi inquilini, aumentando gli ordigni occorrenti per poter utilizzare anche le diverse, le maggiori e le minori capacità. La spesa per l' istituzione di questa Casa potrebbe essere sostenuta dal Municipio e ripartita fra i suoi contribuenti. Questi non avrebbero titolo di lagnarsene, poichè già mantengono gli stessi accattoni e vagabondi, per le strade, in prigione o negli ospedali, ove fanno tanto danno. Anche l' istituzione di questa Casa animerebbe gli oblatori. Qualora le somme che oggi costano i mendicanti ed i vagabondi a chi li mantiene venissero tutte erogate alla Casa di Lavoro che si propone, è certo che la stessa Casa potrebbe mantenersi da sè medesima e fare dei risparmi. La Questura, come fa attualmente, dirigerebbe nei luoghi ad essi assegnati gl' impotenti al lavoro ed in prigione quelli che facessero per mestiere il vagabondo o l'accattone ». La notizia che il Municipio di Milano aveva respinto le cento mila lire gli è giunta in Firenze, dove si trovava col Magatti. « E stato un colpo per la sua testa e per il suo cuore, mi disse il suo domestico di fiducia. Mi ricordo come se fosse adesso. Eravamo nel dicembre del 1891. Passeggiava con la lettera in mano e diceva con voce esasperata : « Più niente a nessuno ! più niente a nessuno ! » II. In fondo, Loria, era un malinconico, un misantropo, un povero diavolo che portava in giro la preoccupazione della propria fortuna, la quale aumentava senza dargli piacere. Senza gusti per gli ambienti sontuosi che servono a radunare di tanto in tanto gli intellettuali che lievitano e popolano il cervello di idee fresche e luminose, senza conoscenze capaci di distrarlo, di fargli germogliare ambizioni più alte di quelle di Felice Grandet,


(1) Scimmiottava le Workhonses e le Case di Lavoro della chiesa anglicana. aveva finito per limitare i suoi desiderii intorno alla poltrona del Manzoni, del quale era azionista come era azionista del teatro dei dilettanti al Cairo. Il naturalismo di Ibsen lo faceva rabbrividire. Le sue emozioni erano per i Dumas, per gli Augier e per i Sardou. Ferrari lo faceva sbadigliare. La Signora dalle Camelie gli ha fatto versare qualche lagrima. Rabagas gli pareva un capolavoro politico. E la Casa nuova dello stesso autore conteneva le sue aspirazioni di morale sociale. Ma in letto o a spasso, in vettura o in treno, a teatro o sulla bicicletta, 1' idea centrale della sua esistenza di arciricco non gli dava tregua, lo perseguitava,lo incalzava a trovare una soluzione. Non ho mai saputo come e perchè egli conoscesse certo Achille Ravizza, un' ex collaboratore dell'Unità Italiana, che ha finito l'esistenza in un negozio di pipe. Aveva forse delle tendenze repubblicane ? È probabile. A ogni modo le forme di governo non lo avevano mai disturbato. Tanto è vero che le sue ricchezze hanno avuto per culla il Cairo, la capitale dei cani e degli asini. Nato nel 1812, egli si è trovato nella massima città egiziana all'epoca di Mehemet-All Pascià, l'uomo che ha aperto le porte agli stranieri accorsi in folla e che ha fatto loro tante concessioni da arricchire anche quelli che non avevano mai sognata la ricchezza. Con la protezione del Pascià, il Loria è diventato fornitore, imprenditore, appaitatore e banchiere. I servizi pubblici erano nelle sue mani. I tronchi ferroviari erano roba sua. Forniva il legname, il ferro per i binarii, tutto. Nel turbine degli affari era circondato dal sottovoce ch'egli imitasse il nipote di Felice Grandet, andato in India a rifare la fortuna frantumata dal padre. Una volta sul campo delle ricchezze gli scrupoli imbarazzano. Non bisogna sentire più che la voce dell'oro. E così si dice abbia fatto il Loria. Secondo i suoi contemporanei pare ch'egli si sia servito degli schiavi, abbia fatto commercio di schiavi e abbia prestato danaro agli schiavisti perchè allargassero la zona della loro influenza (1). Lo stesso sottovoce è teneva


(1) Il mercato degli schiavi, dopo il disgusto che suscitava, venne confinato a Kaitbay, fuori delle mura cittadine. Cito i prezzi del mercato dal lavoro di sir Gardner Welkinson, il quale li ha messi fra quelli delle merci, fra l'olio e le pelli, fra i zerbini e gli interessi del denaro a prestito. li denaro a prestito, senza cauzione o senza pegni, costava il 60 per cento ; con pegni o sicurezza di non perderlo, il 24 per cento. Per le somme e prestate sui gioielli non si esigeva che il 12 per cento. dietro al signor Tito Canesso, stato socio in parecchie imprese col Loria. Gli uomini attempati si ricordano indubbiamente della sua figura. Aveva una testa piccina sotto un cappello che gli dava l'aria di fanciullo di scuola anche a sessant'anni, con un ventre enorme su due gambe secche. Arcimilionario, passava per il corso sul tiro a quattro e sostava sovente a bere la staffa all'Hagy, quando la buvette era frequentata dalla borghesia ricca e intellettuale. Non so in quale gola siano andati i suoi milioni. So che era genovese e che facevao spendaccione, senza riuscire mai a consumare gli interessi dell' ingente capitale. Venuto il giorno in cui il pascialato, con Ismail, vedeva di malocchio gli europei e tentava di impadronirsi delle loro fortune affrettate, Canesso e Loria ritornarono in Italia come smemorati : senza ricordi egiziani. Loria non ha mai permesso a nessuno di dare una capatina nell'epoca fortunosa e vittoriosa della sua esistenza. Questa è forse stata la ragione del suo isolamento. Aveva egli paura che si parlasse del suo passato ? E perchè non firmava gli opuscoli dei suoi tanti progetti? La stampa gli incuteva terrore. Tutto il suo da fare era che non si parlasse di lui. Il progetto di un grande elargitore sguinzaglia i reporters dovunque è traccia di lui e domani si sa tutto. Il denaro non ha odore, ma ha una storia. E cosi Loria, accasatosi a cinquant' anni in via Manzoni, non ha mai parlato o lasciato parlare dei suoi milioni. L'antipatia ch'egli aveva per la ricchezza mobiliare è forse un altro indizio. Per paura che si occupassero di lui ha venduto con qualche sollecitudine il palazzo divenuto l' Hotel Continental e il fondo di campagna chiamato Pizzabrasa. Ritorno al Ravizza. Un giorno il Loria era inquieto più del solito. Aveva viaggiato, veduto, interrogato, ma in nessun luogo aveva scovato il modo di svolgere la sua attività filantropica con i suoi capitali. Che fare? Andò dal Ravizza a domandargli se conosceva un uomo di penna, qualcuno che avesse qualche studio sulle opere pie, sulla beneficenza, sulle istituzioni benefiche. L'agente di cambio, perchè allora era agente di cambio, col pol-


Il bestiame umano costava : Schiavi neri : fanciulli da 500 a 1000 piastre Schiave nere : fanciulle da 800 a 1000 » Eunuchi ...... . . da 1000 a 1500 » Ragazzi abissini da 700 a 1000 » Ragazzi bianchi (mammalucchi) . da 2000 a 5000 » Ragazze bianche (mammalucche) . da 1500 a 10000 » lice e coll'indice fra le labbra, si mise a pensare dondolando la testa. Egli voleva un uomo filato che non portasse le sue parole in piazza. Ne conosceva uno, al quale avrebbe parlato la sera stessa, un simpatico socialista intelligentissimo che aveva rimestato il sottosuolo umano e che era chiuso come un armadio senza chiave. I segreti degli altri non erano suoi. L'uomo a cui alludeva l'agente di cambio era Gnocchi Viani, redattore del Sole. Il loro incontro avvenne in casa del beneficatore. Lo fece sedere offrendogli la tazza di caffè e il sigaro estero. Dopo una pausa gli disse di che cosa si trattava senza mai parlarti di somme. Le idee erano sue e gliele dava scritte. Voleva solo quello che la sua impazienza non gli permetteva di fare. Le idee dovevano essere vestite, avevano bisogno di un po' di forma, dello stile. Egli voleva fondare l' Umanitaria con un « ufficio di indicazioni » che « tenesse nota di tutti gli istituti di beneficenza del paese e dei loro speciali regolamenti », « in guisa che chiunque desiderasse ricorrervi » non avesse che da manifestare il suo desiderio « su apposito stampiglia a disposizione del pubblico ». La Casa lavoro della Umanitaria non aveva gli intendimenti del Booth e dei filantropi che vogliono « rifare l' uomo » come il calzettaio rifarebbe un identico paio di calze con della lana nuova. Voleva che non fosse che un ricovero momentaneo, un luogo di sosta per i disoccupati alla ricerca di un lavoro più confacente alle loro attitudini e meglio retribuito. Il tema era interminabile Si ritrovavano sovente allo stesso tavolino del caffè e del sigaro estero e tra una sorsata e l'altra, tra una boccata di fumo e l'altra rivoltavano, mettevano sottosopra, sfacevano, rifacevano per disfare un'altra volta il progetto sempre in discussione. La dizione li teneva talvolta pensierosi per qualche ora. Perchè Loria sovente si incaponiva sulla parola con la meticolosità di un Arlia, dicendo ch'essa traduceva bene quello ch' egli voleva esprimere. Gnocchi viani gli faceva vedere la poverezza dell' Umanitaria, la quale aveva, su per giù, 1' ideale del work-house. E a furia di battere e di martellare per parecchi mesi, il Gnocchi è riuscito a far entrare nel suo progetto le scuole d'arti e mestieri per i due sessi e le cooperative. Il Loria non gli lasciava trapelare quello che è poi avvenuto. Per l'Umanitaria, se andava, non voleva essere che un « oblatore », un « contribuente ». E poi, chi sapeva delle sue ricchezze ? Nessuno. Il Gnocchi Viani non è venuto a saperlo che agli sgoccioli della sua vita, dopo che l'uno si era impadronito della fiducia dell'altro. - Voglio farle vedere, gli disse un giorno il Loria, ciò che non ho mai fatto vedere a nessuno. Venga, prenda il cappello e il bastone e andiamo. Non è lontano. Andiamo qui alla Banca d' Italia. Gli uomini geniali hanno voluttà che gli uomini antigeniali non conoscono. La tavola popolata di persone che diffondono il profumo della giovinezza e della bellezza e intellettualizzano la conversazione fino a farla diventare memorabile. Le pareti illustrate da pennelli sommi, la cantina superba, la biblioteca che sprigiona scintille offrono nuovi filoni ai voluttuari della intelligenza. Dumas padre, pur essendo uscito dalla burocrazia a mille e due, non appena scoperse le sorgenti della sua ricchezza non ha potuto più vivere che nei grandi palazzi addobbati dal genio con una servitù femminile che rappresentasse la bellezza statuaria. Victor Hugo, pur essendo figlio di un falegname o di un pitocco, si è dato subito al lusso principesco, con donne plasticamente superbe alla direzione del suo ménage. Cecil Rhodes era indifferente alla agiatezza intellettualizzata. Era anche lui un melanconico, i cui occhi non illuminavano che quando gli si annunciava la scoperta di un nuovo terreno di oro o di rame o di ferro o di quarzo o di pirite o di zinco. Loria non aveva di geniale che una tazza di caffè. Le due scansie di libri che aveva in casa erano per le tignole. Vecchi libracci di nessun interesse, specialmente per lui, che non aveva tendenza alla letteratura classica. Doveva averli ricevuti in pagamento o comperati da un poveraccio andato sul lastrico dei senza comfort. I suoi trasporti erano tutti per l'oro. Discendendo i gradini che conducevano al sotterraneo della Banca d'Italia egli diceva a Gnocchi Viani con compiacimento : « Laggiù sono i miei valori ». E quando furono nell'ambiente fatto a vòlta e contro gli incendii gli fece vedere con la mano puntata tutti i cassetti e i cassettini colmi, aggiungendo che tutta quella stanza a colombari era sua. Qui carte valori, là carte valori, e sempre carte valori. « Ma il grosso della mia fortuna, disse dopo una lunga pausa, è a Parigi dai Rothschild ». È stato un po' disilluso quando seppe che Gnocchi Viani fu tra i consiglieri municipali che votarono contro la sua offerta di cento mila lire. Invece di rinsavire e riversare il suo denaro nelle tasche di un grande giornalista per la fondazione di un quotidiano che diventasse il più grande diffusore di materiale giornalistico d' Italia, si è intestardito intorno alla sua Casa di Lavoro ed è andato con la stessa proposta alla Congregazione di Carità. Respinto ! Gli pareva impossibile che ci fossero istituzioni pubbliche così dure da uon capire i suoi ideali e cosi sciocche da respingere cento mila lire ! E dalla testardaggine degli altri è nata la cocciutaggine del Loria, la quale lo condusse al famoso testamento che ha lasciato tutto il suo patrimonio di undici milioni alla Società Umanitaria, da costituirsi in base ai suoi opuscoli, i quali racchiudevano la Casa di Lavoro con l'Ufficio di indicazioni, le Scuole professionali e le Cooperative, due idee vecchie con due idee moderne. Gli eredi non avevano speranza : «  Qualora, diceva il testamento, non si potesse costituire la Società Umanitaria, il mio patrimonio dovrà passare alla Casa Benefica di Torino  » - una casa che io ho visitata e dalla quale sono uscito carico di orrori. Tutto il resto è saputo. I parenti del Loria si sono coalizzati con la Casa Benefica di Torino e tutti assieme si sono messi in lite e dopo tre anni di cavilli avvocateschi la vittoria è rimasta all' Umanitaria. L'appello e la Cassazione avrebbero prolungata la soluzione di quattro o cinque anni e cosi saggiamente vennero a una transazione che diede un milione alla Casa Benefica e seicento mila lire ai dieci o dodici parenti del Loria. Finite le liti e approvato lo Statuto dalla autorità tutoria, li li per sviluppare l' ideale loriano, è venuto quella specie d'anticristo che si chiama Bava Beccaris a buttare tutto all'aria : Il Regio Commissario Straordinario per la città e provincia di Milano, in forza dei pieni poteri conferitegli con R. Decreto 7 corrente ; considerato che la Società " Umanitaria ", qui istituita in Ente morale con R. Decreto 29 giugno 1893, nelle ultime elezioni è venuta, per l'amministrazione, nelle mani di persone notoriamente affigliate ai partiti estremi con serio pericolo che ne volgano i mezzi a fine settario per la propaganda di idee sovversive e per la preparazione della rivolta contro gli ordini costituiti (1)


(1) Ecco i nomi dei consiglieri che il generale ha sospettato capaci di consumare il patrimonio Loria per scopi settari: Angelo Tondini, presidente, Pietro Giuseppe Zavattari, vicepresidente, Consiglieri: Luigi Arienti, capomastro ; Giuseppe Croce, guantaio ; Tomasini Dario, litografo ; Luigi Della Torre, ragioniere; prof. Luigi Ferrario ; avv. Luigi Majno ; G. B. Pirolini, pubblicista ; Pietro Serugeri, guantaio ; avv. Paolo Carcano ; ing. Antonio Castiglioni; ingegnere Andrea Ferrari ; avvocato G. Calchi Novati ; avv. G. Morpurgo. Decreta: 1.° L'amministrazione della Società « Umanitaria » di Milano (lascito Loria) è disciolta ; 2. °Sarà perquisita la Sede Sociale e saranno sequestrati i fondi, i registri e qualsiasi altro documento ; 3.° La Società « Umanitaria » sarà amministrata in via provvisoria dalla Congregazione di Carità che ne detiene ancora il patrimonio, ed alla quale resta pure affidato l'incarico di studiare ed attuare la riforma di detta opera pia ; 4.° La prefettura e la questura sono rispettivamente incaricate della esecuzione del presente Decreto. Il Tenente Generale R. Commissario Straordinario F. BAVA. Odio la Congregazione di Carità che si è prestata a pagamento a rendere servigi a Bava Beccaris, modificando lo statuto e riducendo l'Umanitaria a una semplice istituzione di beneficenza. Nel 1902 l'Umanitaria è stata restituita ai suoi legittimi eredi coi suoi capitali rimasti fino allora nelle casse di quella Congregazione che andrebbe rifatta da capo a fondo o distrutta completamente. Essa rappresenta tutto ciò che c'è di antisociale e di antiumano. La sua beneficenza sente del frate Melitone. Tutti i suoi amministratori, popolari o bigotti o conservatori, sono andati avanti come ai tempi della carità medioevale.


Due letterucce di Giacomo Magatti Mandello, 19-2-1906. Egregio Signor Paolo Valera. Ho solo un'ultima fotografia del mio povero padrone e mi rincrescerebbe se andasse perduta. Gliel' affido con la raccomandazione di restituirmela non appena se ne sarà servito. l'unica mia reliquia di vent'anni di lavoro. Aggiungo, come lei desidera, la mia fotografia e quella della mia sgraziata moglie. Non avevo che le tre cartelle del diario che le ho inviate nella mia prima lettera. La lettera che mi ha diseredato conteneva niente di compromettente. Mi lagnavo semplicemente con la moglie per i modi bruschi con cui trattava i suoi veri amici. Il mio sogno era che si facesse voler bene da tutti. Invece quasi tutti lo guardavano di mal occhio. Angoloso, permaloso, ombroso, sospettoso, non poteva essere felice! Del resto il vero motivo che gli ha fatto dimenticare noi della sua casa e tutti i suoi parenti, quello che gli ha dato il colpo di grazia è stato il Municipio che gli ha respinto la sua proposta con le 100.000 lire, con le quali voleva iniziare l'Umanitaria. Dopo questo fatto che lo ha angosciato tanto mi diceva giornalmente : più niente a nessuno ! Così nel 1892 cambiò il suo testamento. Mia moglie si chiamava Giuseppina Valentini, maritata Magatti ed era essa pure in casa del Loria da otto anni come guardarobiera. Di me che cosa posso dirle ? Sono disperato. L'anno scorso ho provato a bussare all'uscio dell'Umanitaria con una supplica, ma non ho avuto che un sussidio di lire cinquanta, una volta tanto. Pensare che ero in giro con Lui da otto a nove mesi dell'anno, che tribolavo per Lui, che non risparmiavo fatiche per piacergli e compiacerlo e che sono stato al suo servizio per più di vent'anni per poi trovarmi negli ultimi anni della vita all'uscio della miseria più nera è doloroso. In vita egli mi ha trattato più da amico che da persona di servizio, perchè qualche volta mi metteva nelle sue confidenze. Nei momenti di buon umore mi consolava dicendomi che se fosse morto prima di me io avrei passato i miei ultimi giorni tranquilli. Invece era talmente ingolfato nella sua idea umanitaria che si è dimenticato di essere umano con coloro che gli sono stati fedeli fino all' ultima ora. Ora ho 60 anni sulla gobba e spesso alle prese col necessario mi viene voglia di finirla con un colpo di revolver nella testa ! Pensi, egregio signore, ho consumato i più begli anni della vita con lui, dal 1872 al 1892, e poi ecco che tutte le mie speranze sono andate in fumo. Non si ritorna giovani, non si può ricominciare la vita. Pure mi sarei sottomesso di nuovo a un lavoro adatto alle mie forze e con questa intenzione sono andato a Milano e ho domandato un posticino qualunque al presidente della Umanitaria, avvocato Alessi. Ohimè! Egli mi ha risposto che l'Umanitaria non è una congregazione di carità ! Io non sono un accattone. Li odiava troppo il mio padrone, perchè io potessi divenirlo. Ma veda lei se può farmi dare almeno un tozzo di pane in questi miei giorni di vecchiaia. Fanno tanta beneficenza in nome del mio padrone e per me che sono stato il suo uomo di fiducia non hanno un centesimo ! La prego caldamente se potesse interessarsi della mia triste condizione e coi saluti più distinti mi creda Dev. GIACOMO MAGATTI. Mandello 20-7-903.

Egregio Sig. Paolo Valera. L'articolo del Loria è esattissimo, soltanto mi permetto una piccola osservazione : dove dice che lo scarto dei vestiti e biancheria li mandava a Mantova al figlio di suo fratello, doveva

[didascalia immagine:] Giuseppina Valentini. dire che li mandava al suo cugino Aasvero, figlio di una sua zia. Il figlio di suo tratello è precisamente colui che percepisce le L. 6000 del legato. Io sarei desiderosa che completasse le mie ultime deposizioni, cioè riguardo ai testamenti delle diverse epoche e delle 15 mila lire consegnate al signor conte Dolfin Guerra, esecutore testamentario assieme a Giuseppe Ventarelli, - l'unico al quale ha lasciate due mila lire 1' anno per la grande pazienza che ha avuto con lui - denari che tranquillamente potevo tenermi, e ricordasse la nota testamentaria che mi mostrò in diverse volte il signor Loria delle 20 mila lire che alla sua morte mi sarebbero toccate, nota testamentaria che pare sia sparita non si sa come. Le rimetto le ultime cartelle delle memorie del signor Loria del '92 che faceva giornalmente. Per quanta abbia frugato non ne ho trovate altre : ad ogni modo lo prego di non distruggerle. La ringrazio del disturbo che le ho recato con questa mia. Non mi resta che raccomandarle la mia causa e la mia posizione. La riverisco distintamente e mi creda suo Devot. GIACOMO MAGATTI.


La moglie del Loria

Ruvido e sgarbato coi domestici, legnoso con la gente che lavorava per lui, più di una volta intollerante e intrattabile con tutti senza un pensiero per i suoi quattro fratelli pitocchi, era delicato,sentimentale con Anna Tedeschi,, morta il 10 luglio 1868. Guardandola non ci sono dubbi. E' la faccia della moglie di un negoziante di stoffe o di pannina del ghetto. Lui e lei erano due ditte del popolo d'Israele. L'abito della sposa era quello tradizionale della sua razza. Due stole di pizzo sopra una stoffa biancastra, molle, solcata di fettucce nere alle spalle e un giro di velluto al collo. Faccia lunga, naso tipico, capelli rialzati e bipartiti sulla fronte e il resto della massa nera giù dalla nuca fino al principio della schiena. ll pittore - uno sconosciuto nel mondo degli artisti - ha dipinto i coniugi al naturale. Le due tele, che si conservano alle pareti della sala del consiglio della Umanitaria ribadiscono le figure che si hanno nella testa. La consorte indossa un abito spettacoloso di peluche bombé, a fondo azzurro, cinto di una fascia alta, col fibbione altissimo che divide la donna al centro ombelicale, col seno piuttosto altezzoso, illustrato da otto bottoni dorati. Tutt'assieme mi parve una Palmira Spinazzi arricchita. Pendenti di perle ai lobi, risvolti di pizzo alle maniche, braccialetti d'oro massiccio ai polsi, anello dello stesso metallo pure massiccio all'anulare della mano destra. L'unico fornitore del vicerè d' Egitto dei tempi d' oro non ha potuto astenersi dall'essere volgare come la moglie. In piedi, nello stifelius, col panciotto e i calzoni dello stesso bristol nero, con la testa di semita piantata nell' alto solino del colore della neve come la sua barba e i suoi baffi e i rimasugli dei suoi capelli. La caratteristica provincialata del pittore e dei coniugi è che il marito ha una lettera in mano poggiata sul tavolino e la moglie una rosa fra le dita capovolta sul ventre come una vittima. Le tombe dei Loria sono di color greggio, lisce, con parole incise in bronzo. La lapide sulla testa della tomba della consorte ha queste parole : Ad Anna Loria Tedeschi le allieve della Scuola professionale femminile di Milano riconoscenti. Quella del consorte è cosi concepita : Ceneri di P. M. Loria - Volle autopsia e cremazione - utile usanza - 1814-1892. Ha conservato il ticchio del pedagogo fino alla cremazione. La moglie deve essere stata più benefica o benefica come il marito, perchè alla sua morte il Municipio di Roma ha inviato al desolato marito la seguente pergamena : S. P. Q. R. Prospero M. Loria. nel MDCCCLXXXII Perdeva, per intempestiva morte, La Moglie Adorata Anna Tedeschi, donna d'alto senno E di benefico cuore. Egli ispirato dalla memoria Come Lei vivente, Dal Consiglio di essa, volle Consacrare una cospicua somma a favore Della scuola professionale femminile Di Roma, intitolando col nome di Anna Tedeschi La Munifica fondazione. I rappresentanti del


[didascalia immagine:] Anna Tedeschi Loria Comune di Roma, Tratti da ammirazione per la Generosità dell'Atto, e la gratitudine per il Vantaggio procurato a quell'istituto d'istruzione Urbano, deliberarono unanimi di attestare Solennemente, con questo foglio, a Prospero M. Loria La Lode e la Benemerenza che a Lui consideratamente Tributa l'intera cittadinanza. Addì X Maggio MDCCCLXXXVIII. Il Sindaco : ALESSANDRO GUICCIOLI. Assessori effettivi: Assessori supplenti : (Seguono le firme.) (Seguono le firme.) Il Segretario Generale : ANTONIO VALLE.


L'aggressione clericale e la Camera del lavoro

L'Umanitaria, come è stata ideata dal suo fondatore, è l'opera di un mattoide. In un periodo marxistico o di elevazione proletaria la Casa d'industria o il rifugio momentaneo, scontato col lavoro del ricoverato, non può avere avvenire. Le masse non sono avviate verso l'ambiente dei pitocchi, ma verso la loro emancipazione. In mezzo alla lotta di classe il Loria non ha veduto che stomachi logori e affranti. Cosi gli umanitaristi si sono trovati più di una volta impotenti a sciogliere il problema loriano. Legati da un' idea fissa e testamentaria sono obbligati a ruminare il mangime di tutti i benefattori cristiani e a dar vita a una baracca fracida prima di essere in piedi. La concezione loriana è così debole che può essere violentata da tutte le parti, piegata a tutti i desideri, sottomessa a tutti i partiti. Chiunque può prenderla in mano e svilupparla. Perchè il suo autore l' ha concepita fuori dell'orbita del pensiero moderno. La documentazione è sotto i nostri occhi. A pochi giorni di distanza abbiamo veduto che l'istituzione nelle mani dei socialisti può essere contesa da coloro che sono alla estremità opposta della scala sociale. Che cosa c'è nell' Umanitaria che non possa essere fatto dai preti, dai chiesaiuoli, dai clericali, dal partito nero, il quale è in mezzo a noi come un tizzone di discordia ? L'emigrazione ? Bonomelli risponde per me. La rete pretesca è distesa in tutta la Svizzera e in tutta la Germania. Le in- chieste statistiche ? Le Leghe clericali del lavoro di via S. Tommaso vi possono dare tutta la Lombardia affollata di cifre. Copiano, so bene, copiano tutto ciò che è laico. Domani, senza dubbio, copieranno anche le scuole d'arti e mestieri, sostituendo al la naturalista dei riformatori d'oggi, il la delle pinzochere, se domani potranno andare al loro posto. Ma non vi andranno. La democrazia si è risvegliata. E i soci, da 4 mila, sono saliti in un fiat a 30 mila : tutta una muraglia laica che impedirà il passaggio ai nemici del progresso. Nessuno avrebbe creduto che la bontà di Loria sasebbe divenuta per noi fonte di amarezze e di dissensi, di recriminazioni e di desolazioni. Ma così è e così sarà. Perché l'Umanitaria con la camicia di forza che le ha messo indosso il suo testatore non può muoversi senza schiacciare gli altri o gli affini. Tutto il suo lavoro è del lavoro che sottrae alla Camera del Lavoro, la quale, a poco a poco, dovrà cercare l'esistenza nella vita politica. Cito a caso. Che cosa c'è di più naturale dell' Ufficio di collocamento in un ambiente puramente operaio ? L'Umanitaria se lo è appropriato. L'emigrazione proletaria non dovrebbe essere dell'edificio delle organizzazioni proletarie ! passata anch'essa nella zona dell'Umanitaria. Tra l'una e l'altra istituzione l'attrito è continuo. La consulenza medica e la consulenza legale non dovrebbero avere gli uffici nella casa di via Crocefisso ? No, perchè l'Umanitaria se le è appropriate. Del dualismo non faccio colpa ed alcuno, perché l'errore mentale è del Loria che ha butt'to nella vita moderna una vecchia istituzione che gli eredi hanno dovuto svecchiare con qualche buffata dei nostri tempi. Ma dico e dirò sempre che nella società del tuo e del mio ci dovrebbe essere una legge che impedisse agli ammalati, ai pazzotici, agli squilibrati, ai nevrastenici, alle teste tribolate dai delirii megalomaninci di infliggerci le loro fortune legate ai progetti di redenzione umana. A noi basta la restituzione delle proprietà accumulate in fretta e in furia, senza le loro soluzioni sociali che diventano per noi dei rebus o dei rompicapi. Gli studi della gente che non ha avuto testa che per ingrossare i proprii capitali ; gli ideali delle persone che si accorgono della vita collettiva quando la loro vita fisica è in isfacelo ; i sogni masturbati nei cervelli decrepiti e ammantati di ver ice umanitaria diventano,fra noi, buaggini e ingiustizie. La LIBRERIA SOCIALE - Milano, Via Bossi, 3, ha n:pubblicato i seguenti opuscoli : AUTOBIOGRAFIA ENRICO FERRI Centesimi DIECI LA REGINA VITTORIA Vita intima e aneddotica della monarchia inglese Narrata da PAOLO VALERIA. Pag. 48 - Cent. 30. VIE LE MIE MAGNAIMI