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QUANDO LA FABBRICA FA LA STORIA


LA CARTIERA BINDA DI MILANO a cura di Giuseppe Deiana Milano Liceo Scientifico Statale «Salvador Allende» 1995 Quaderni di cultura e di vita scolastica n. 8. QUANDO LA FABBRICA FA LA STORIA LA CARTIERA BINDA DI MILANO La città nello spazio e nel tempo/2 Gli studenti alla scoperta del territorio milanese a cura di Giuseppe Deiana

Milano Liceo Scientifico Statale «Salvador Allende» 1995 Questo volume, fino ad esaurimento è disponibile gratuitamente presso il Liceo Scientifico Statale «Salvador (Via Ulisse Dini 7, 20142 MILANO) in particolare per le scuole e gli enti per uso didattico e divulgativo. Liceo Scientifico Statale «Salvador Allende» Via Ulisse Dini, 7 20142 MILANO Copyright 1995 Fotocomposizione e stampa Attilio Negri srl, Rozzano (Milano) Finito di stampare nel mese di dicembre 1995 Edizione fuori commercio realizzata con il contributo del «Progetto Giovani, Provveditorato agli Studi di Milano In solidarietà con gli operai e impiegati della Binda, per la difesa della loro fabbrica e del loro lavoro, che sono un patrimonio di tutti. Ricerca storica di un gruppo di studenti del Liceo Scientifico Statale «Salvador Allende» delle classi 5A, 5C e 5G, nell' anno scolastico 1993-'94, coordinati dal prof. Giuseppe Deiana, docente di storia e filosofia. Il lavoro è destinato agli studenti ed agli insegnanti sensibili ai temi dell' educazione alla ricerca, al recupero della memoria storica ed alla coscientizzazione ambientale. Ricerca storico-ambientale realizzata nell' anno scolastico 1993-94 da un gruppo di studenti del Liceo Scientifico Statale «Salvador Allende» Gruppo di lavoro Docente: Giuseppe Deiana (Storia e Filosofia) Studenti: Chiara Amadeo, Cristina Amplino, Fabio Bertoni, Francesca Battistini, Denis Bonvegna, Silvia Borini, Andrea Colombari, Daniele Dall'Ara, Antonio Deledda, Alberto Demariano, Francesco Ferrario, Stefania Gervasini, Claudia Melzi, Diego Paciello, Andrea Piscetta, Luigi Ripamonti, Claudio Sanna, Saverio Stella, Daniele Villa Veronelli (5G); Igor Deiana e Giulia Lauletta (5C); Andrea Lanza (5A). Le foto si riferiscono alla cartiera e alle lotte operaie finalizzate a impedire i licenziamenti e la chiusura della fabbrica negli anni 1993-94. Indice Prefazione, di Luciano Aguzzi 7-8 I. Introduzione metodologica, di Giuseppe Deiana, 10-24 II. Vita di Ambrogio Binda e storia della cartiera, di Cristina Amprino, 27-40 III. La struttura produttiva della cartiera in passato e oggi, di Silvia Borini, Stefania Gervasini e Claudia Melzi, 41-52 IV. I lavoratori della cartiera Binda nella storia del movimento operaio italiano e milanese, di Andrea Lanza, 53-70 V. Il rapporto tra la fabbrica e il territorio, di Igor Deiana e Giulia Lauletta, 71-87 PREFAZIONE Con il volume Quando la fabbrica fa la storia. La Cartiera Binda di Milano il nostro Liceo è giunto alla ottava pubblicazione nella collana "Quaderni di cultura e di vita scolastica" che raccoglie lavori di ricerca didattica elaborati dai docenti e dagli studenti. Le otto pubblicazioni comprendono due volumi e sei opuscoli, a cui va aggiunto, fuori collana, la prima pubblicazione del Liceo, il volume del 1992 dedicato Alla ricerca della cascina perduta. La città nello spazio e nel tempo. Frutto della ricerca didattica e della collaborazione di docenti e studenti (in questo caso del nostro Liceo e del Liceo Scientifico Statale Cremona) è anche il volume sulla persecuzione degli ebrei in Italia, a cura dei professori Marco Fossati e Alessandro Ceresatto, Salvare la memoria. Come studiare la storia di ieri per non essere indifferenti oggi, che, pubblicato dall'editore Anabasi di Milano, raccoglie molte testimonianze dirette sulla persecuzione antiebraica in Italia dal 1938 al 1945. Ai lavori presentati anche all'esterno in forma di pubblicazione si possono affiancare i numerosi analoghi lavori che, raccolti in fascicoli ciclostilati a circolazione interna, testimoniano 1' operosità didattica e culturale del Liceo. Le discipline interessate a questa produzione sono quasi tutte quelle curriculari proprie del liceo scientifico, anche se prevalgono le discipline storiche, filosofiche, letterarie e artistiche. Non mancano però, sia pure per ora limitate ad uso interno, ricerche didattiche nel campo della matematica e delle scienze. Il concetto che ispira la collana di pubblicazioni del Liceo è l'idea di una scuola come centro di cultura e di ricerca. L'attività del Liceo non può né deve limitarsi alla sola didattica di trasmissione del sapere, ma, e ciò è del resto indispensabile anche per la migliore trasmissione del sapere codificato nei libri di testo, deve saper diventare autonoma promozione di ricerca e di produzione di cultura, sia a livello di "ricerca simulata" sia a livello di offerta, anche all'esterno, di una produzione culturale che ha una sua utilizzazione indipendentemente dalle sue origini didattiche. In questo senso ci conforta la testimonianza di numerose scuole, di biblioteche e di persone interessate che, avendo avuto occasione di vedere le nostre pubblicazioni, ci hanno scritto con favore e con parole di incoraggiamento a proseguire. A livello di dotazione di attrezzature l'orientamento didattico testimoniato dalle nostre pubblicazioni ha portato il Liceo ad incrementare l'attività di laboratorio, non solo nei campi più tradizionali (Fisica, Scienze, Lingue, Informatica, Audiovisivi) ma anche in settori nuovi (Laboratorio di Storia, di Fotografia, di Videoscrittura, Multimediale). Naturalmente le difficoltà, di ogni tipo, non mancano, e si ritrovano anche nei limiti della ricerca sulla Cartiera Binda. Si tratta - è bene non dimenticarlo - di lavori degli studenti, non di studiosi già formati. Nella scuola italiana manca, del resto, una tradizione ed una consuetudine didattica di ricerca, per cui la didattica specifica è ancora poco diffusa e gli strumenti necessari ancora poco sviluppati e disponibili. Basti pensare come, nel campo dell'organizzazione delle biblioteche, degli archivi e dei musei, la dimensione didattica, aperta e pensata per interagire con le scuole, è quasi sempre assente e comunque quasi mai ha una sua specifica organizzazione, per cui lo studente che si muove nel senso della ricerca è costretto a muoversi in un ambito concepito per lo studioso esperto. Inoltre la ricerca non fa ancora parte del curriculum normale dello studente di liceo, il quale, con l'impostazione di una ricerca, è pertanto chiamato non solo a fare un lavoro diverso, ma perlopiù aggiuntivo, aggravando il suo carico di studio. Ciò rende necessario che gli studenti ed i docenti abbiano una forte disponibilità e motivazione. In un certo senso si potrebbe dire che la ricerca didattica è ancora poco diffusa perché rappresenta, nella scuola italiana di oggi, non la dimensione normale del lavoro ma quella eroica. Disponibilità, quindi, anche a livello di energie e di tempo offerti gratuitamente alla scuola e alla cultura, mossi da passione e da interesse culturale. Quando il lavoro degli studenti coinvolge il territorio, sia nella fase della elaborazione sia in quella della pubblicazione dei risultati, diventa importante la collaborazione di enti e persone esterne alla scuola, dal Comune al Consiglio di Zona, dagli enti di vario tipo che possono fornire informazioni, materiali, documentazione, alle persone che possono contribuire con competenze e testimonianze. L'altra dimensione della scuola come centro di cultura e di ricerca è, infatti, quella territoriale. Una scuola non chiusa in sé ma aperta, in uno scambio generoso di dare ed avere, al territorio che la circonda. Il nostro Liceo ha trovato spesso attiva collaborazione in enti e persone, dagli enti istituzionali come la Regione Lombardia (che ha voluto premiare il Liceo, con un primo premio, per una sua ricerca storica sulla Resistenza in occasione del 50° anniversario della Liberazione), la Provincia ed i Comuni di Milano e di Rozzano e il Consiglio della Zona 15 (che hanno dato contributi in più occasioni e supporti organizzativi), alle organizzazioni sociali, politiche e culturali, da aziende private a molte persone a titolo individuale. Tuttavia, anche nell'ambito del territorio, la ricerca didattica non può ancora contare su una consuetudine consolidata ma solo su un interesse occasionale da promuovere ed acquisire di volta in volta. Ci auguriamo che il volume sulla Cartiera Binda possa essere un nuovo e apprezzato contributo allo sviluppo di una nuova didattica e di un nuovo rapporto fra scuola e territorio. Luciano Aguzzi Preside del Liceo "Salvador Allende" AVVERTENZA L'INDUSTRIALIZZAZIONE IN ITALIA, IN LOMBARDIA E A MILANO DALL'OTTOCENTO AD OGGI Esigenze di spazio ci impongono di eliminare le parti relative ai risultati dei due gruppi di lavoro rivolti a delineare i caratteri dell' industria italiana e lombarda, dall'Unità ai nostri giorni, per inquadrare la storia della cartiera Binda di Milano, nel contesto nazionale e regionale, ampio e complesso, di cui l'unità produttiva milanese costituisce un caso esemplare e un campione particolarmente significativo. Il lavoro del primo gruppo, sull'industria in Italia, era articolato nei seguenti sei punti: a) 1860-1880: un paese povero e arretrato e un esordio difficile; b) 1880-1914: i primi passi verso l'industrializzazione: gli anni del decollo; c) 1915-1922: dalla grande guerra al primo dopoguerra; d) 1922-1945: gli anni del fascismo tra ristagno e modernizzazione; e) 1945-1965: dalla ricostruzione alla maturazione del capitalismo italiano; 1965-1990: i problemi attuali. Il secondo gruppo ha circoscritto il lavoro all' industrializzazione lombarda e milanese, secondo la seguente scansione: 1. Lombardia: a) prima fase: la Lombardia e il suo ruolo di guida nell' industrializzazione italiana dall'Unità d'Italia alla fine dell'Ottocento; b) seconda fase: 1' industrializzazione lombarda dalla fine dell' Ottocento alla grande guerra; c) terza fase: 1' industria in Lombardia prima, durante e dopo il «boom» economico; 2. Milano: a) prima fase: crescita economica e sociale dalla Restaurazione all' Unità; b) seconda fase: il mondo del lavoro dall' Unità alla seconda guerra mondiale; c) terza fase: il «boom» economico e il terziario avanzato. Su questi temi cfr. T. KEMP, L' industrializzazione in Europa, Il Mulino, Bologna 1975; R. ROMEO, Breve storia della grande industria in Italia, Cappelli, Bologna 1961; V. CASTRONOVO, L' industria italiana dall'Ottocento a oggi, A. Mondadori, Milano 1980; Cento anni di industria, a cura di V. CASTRONOVO, Electa, Milano 1988; AA.VV., La formazione dell' Italia industriale, a cura di A. Caracciolo, Laterza, Bari 1977; AA. VV., L' industrializzazione in Italia, Il Mulino, Bologna 1977; V. CASTRONOVO, Storia economica d' Italia. Dall' Ottocento ai giorni nostri, Einaudi, Torino 1995; AA. VV., Storia dell' industria lombarda, 3 voll., Ed. Il Polifilo, Milano 1991; AA. VV., Lombardia '89: 200 anni di storia sociale nell'Europa tra ieri e domani, Ed. Lativa, Varese 1989; F. DELLA PERUTA (a cura di), Storia illustrata di Milano, Nuova Editoriale AIEP, Milano 1990-95. I INTRODUZIONE LE LINEE METODOLOGICHE DI UN PERCORSO DIDATTICO SULLA CITTA' IN CRISI di Giuseppe Deiana I. Premessa: nascita e morte di una fabbrica fordiana. Con questo lavoro sulla cartiera Binda di Milano intendiamo realizzare la terza tappa del progetto di introduzione della ricerca storica a scuola: la prima si è concentrata sulla storia di una cascina milanese e lombarda presa come segmento della storia agricola e ambientale del sud Milano; la seconda ha ricostruito la figura di Salvador Allende (a cui è intestato il nostro liceo) nel ventesimo anniversario della sua morte dovuta al colpo di stato sanguinano del 1973. La scelta della cartiera (e in precedenza della cascina) per un' indagine microstorica è nata dalla necessità culturale e didattica di aprire la scuola allo studio del territorio nell'ottica di quel filone di ricerca, che si è sviluppato solo di recente anche in Italia, denominato «storia ambientale» o «storia ecologica» (1)• In questo senso, la presente ricerca centrata su una fabbrica e il suo territorio costituisce la seconda tappa del progetto di educazione ambientale, attivato da qualche anno nel nostro liceo come ragionevole proposta di sperimentazione nell' ambito del laboratorio di didattica della storia. La cartiera Binda (oggi Sottrici Binda) ha rappresentato uno dei principali insediamenti industriali dell' area sud di Milano (posto lungo il Naviglio Pavese, al confine oggi tra le zone 15 e 16 del decentramento amministrativo), insieme alla cartiera Verona (oggi Saffa, chiusa da qualche anno) e il cotonificio Cederna (2). Essa è anche il più antico in quanto risale a metà Ottocento, cioè alle origini del tessuto manifatturiero di Milano e del triangolo industriale del nord Italia. Già nel 1881 Giuseppe Colombo, docente del Politecnico di Milano, rilevava che «La cartiera Binda [...] che ha assunto con singolare successo la specialità delle carte fini e risorgendo, dopo un terribile incendio, più vigorosa di prima, gareggia colle prime cartiere italiane, è una delle poche fabbriche a grande impianto, che conti Milano; e lo deve alla forza d' acqua che il salto della Conca Fallata le ha permesso di utilizzare» (3). La fabbrica ha sempre mantenuto il nome del fondatore, Ambrogio Binda (1811-1874): uno dei «capitani» dell' industria lombarda e milanese (accanto ai vari Pirelli, Falck,


(I) Cfr. A. CARACCIOLO, La storia come ambiente, Il Mulino, Bologna 1988; S. VIOLANTE, Per una storia ecologica, in «Quaderni di storia ecologica», n. 1, 1991, pp. 7-45. (2) Cfr. M. ALLODI e M. FRANCESCHI, La, dove la città va spaesandosi verso la campagna. Studi e ricerche condotte a Milano, in zona 15 (Chiesa Rossa Gratosoglio), Edizioni Mondo Nuovo, Milano 1989, p. 102. 3) Cfr. G. COLOMBO, Milano industriale, in «Mediolanum», 1881, vol. III, p. 39, cit. in A. DE BERNARDI e S. GUARRACINO, L'operazione storica. L'età contemporanea: l'Ottocento, B. Mondadori, Milano 1987, p. 932. Breda, Richard, Ponti, Cantoni, De Angeli, ecc.) (4). Secondo un articolo della «Gazzetta Ufficiale di Milano» del 1856, Ambrogio Binda «si faceva chiamare "amorosissimo padre" dai suoi lavoratori, che gli cantavano pure lunghi inni di lode che terminavano con le parole "Benedice 1' operaio chi gli dà pane e lavor!"» (5). «Rimasto presto orfano, a nove anni lavorava già come operaio in passamanerie; messosi in proprio a diciotto anni, alla vigilia del '48 impiantò una fabbrica di bottoni a Porta Romana, dove introdusse un' avanzata divisione del lavoro che destò l'ammirazione dei contemporanei. Questo versatile imprenditore non si sentì comunque soddisfatto e nel 1855-57 costruì sul Naviglio Pavese alla Conca Fallata una moderna cartiera, alla quale nel 1868 se ne aggiunse un'altra a Vaprio d'Adda. Il Binda fu noto inoltre per la nutrita serie di opere paternalistiche avviate a favore dei propri operai» (6). Questo paternalismo lo trasformò in una figura esemplare per «senno e virtù» come risulta da un sussidiario per le scuole elementari di fine Ottocento, in cui si legge: «Quando si parla di un tale venuto su dal nulla e che è arricchito nel commercio o nell'industria si suol dire: - Vedete la fortuna! a chi è madre, a chi è matrigna. E' vero, la fortuna ha la sua parte nelle grandi proprietà; ma bisogna notare che, se non arride sempre ai lavoratori instancabili, mai e poi mai s' è dato il caso ch' essa abbia favorito un neghittoso. A questo proposito vogliamo narrarvi qualche cosa della vita d'un uomo, che fino dall' età come la vostra seppe bastare a sé stesso. «Ambrogio Binda nacque il 14 febbraio 1811. A sette anni, essendo rimasto orfano di padre e di madre, fu raccolto da uno zio di campagna, il quale a forza di scappellotti gli fece capire come si fosse presto pentito della buona azione che aveva cominciato a fare. E Ambrogio capì tanto bene che una mattina, solo solo, senza nessun appoggio, senza un soldo, se ne tornò nella sua Milano a cercar lavoro. Aveva allora otto anni. Da principio nessuno voleva sapere di lui, perché troppo piccolo; ma il fanciullo tanto seppe raccomandarsi, che finalmente poté trovare stabile collocamento presso un certo signor Vigoni, fabbricante di passamani. Ambrogio non solo seppe far bastare il piccolo guadagno giornaliero ai bisogni della vita, ma con 1' economia mise da parte a poco a poco un tal gruzzolo, col quale poté all' età di diciotto anni comprare due telai, e mettere su una piccola fabbrica da sé. Di qui comincia il corso rapido della sua fortuna. Quattro anni dopo introduce in Italia la fabbricazione dei bottoni, che fin allora venivano tutti dall' Inghilterra. Nel 1847 fa costruire un grandioso edifizio ricco di macchine, nel quale si fabbricano passamani, bottoni di metallo e altre minuterie, che erano prima una esclusiva produzione francese, e quei prodotti sono cercati ed apprezzati su tutti i mercati d' Europa. Ceduta più tardi ai figli già adulti questa fabbrica, aiutato dalla fiducia di forti capitalisti, fonda in un luogo detto la Conca Fallata quella vasta cartiera che è anch' oggi una delle principali d' Italia. In breve tempo intorno alla cartiera sorsero case ed altri fabbricati, e si formò così un nuovo villaggio, che nel 1869 aveva la sua scuola, la farmacia, il medico, e più tardi anche una chiesetta. Quella fabbrica produceva allora la bellezza di 3200 chilogrammi di carta al giorno, cioè un valore di quasi due milioni di lire all' anno. Eppure quella produzione non bastava a soddisfare le richieste, sicché il Binda nel 1868 comprò a Vaprio, per il prezzo di


(4) Cfr. R. ROMANO, I capitani d'industria, da Pirelli a Falck, in Storia illustrata di Milano, a cura di F. Della Peruta, Milano nell'Ottocento, Nuova Editoriale EIEP, Milano (in corso di pubblicazione). (5) Ibidem, bozze p. 11. (6) Ibidem, bozze p. 8. un milione di lire, un' altra grande cartiera che fu la succursale di quella di Conca Fallata. «Ambrogio Binda ebbe medaglie a tutte le esposizioni nazionali ed estere, ebbe onorevoli uffici dalla fiducia dei suoi concittadini, e morì rimpianto non solo dai Milanesi, ma da tutta Italia» (7). Dunque, data la fama del fondatore, la fabbrica ha sempre mantenuto il suo nome originario; ma ha subito alcuni passaggi di proprietà e di direzione, a cominciare dalla famiglia Cirla a seguito del matrimonio di una erede Binda con Edoardo Cirla. Poi, tra il 1982 ed il 1989 la proprietà è passata al gruppo De Medici, che nel 1989 1' ha ceduta al gruppo Soffrici di Busto Arsizio. «L' azienda di Conca Fallata è integrata nel Gruppo industriale che ha come capo fila la società finanziaria SAFINVEST di Busto Arsizio, finanziaria della famiglia Sottrici. Nel gruppo la società di maggiore contenuto è appunto la Sottrici Binda cui fanno capo dieci cartiere [...] Il fatturato del Gruppo è di circa 500 MM£ di cui circa il 20%, 100 MM£, è quello prodotto dallo stabilimento di Conca Fallata [...] La Cartiera Binda, seconda azienda cartaria nazionale, era già quotata in borsa da numerosi anni allorché venne acquisita dal Gruppo Sottrici che, al contrario, non aveva quotazioni in borsa. Il Gruppo Sottrici sviluppò una serie rapida e numerosa di acquisizioni indebitandosi pesantemente con gli Istituti Bancari per un totale di 1200 MM£. Questa situazione di sofferenza portò ad una chiusura dei fidi tra il gennaio e il febbraio 1993 [...] Data 1'impossibilità di rientrare dal debito in breve tempo gli Istituti Bancari chiesero l'ingresso nel Consiglio di Amministrazione del Gruppo, esautorandone i Sottrici, del quale assunsero il controllo alla fine del primo semestre 1993» (8). Le banche hanno predisposto un progetto di salvataggio e di ristrutturazione del gruppo Sottrici: gli esiti però si preannunciano molto incerti, soprattutto in riferimento alla fabbrica di Conca Fallata. Oggi, infatti, dopo quasi centocinquant' anni di attività produttiva, nel contesto della crisi internazionale e nazionale che colpisce soprattutto l' industria di tipo tradizionale, lo stabilimento di Conca Fallata si trova di fronte al rischio di una imminente e drammatica chiusura, che la porterebbe ad accrescere le sempre più numerose aree dismesse del territorio milanese (9). A seguito del pesante indebitamento che ha portato il gruppo Sottrici al fallimento, il consorzio di 34 banche creditrici, guidate dalla Banca Commerciale Italiana (Comit) - secondo le organizzazioni sindacali in lotta per la difesa del lavoro e della fabbrica, ancora attiva e competitiva nel settore delle carte autocopianti - più che alla ristrutturazione e alla riconversione sarebbe interessato allo smantellamento ed alla speculazione sull' area, una delle poche rimaste ancora libere nel territorio del Comune di Milano: un' area, oltre tutto, favorita dalla vicinanza dell'autostrada e dal prolungamento della metropolitana. Ecco il testo di un comunicato stampa del C.d.f. dell' 11 ottobre 1993: «Il piano presentato dai nuovi vertici della Sottrici Binda parte da un presupposto sbagliato perché fa risalire le difficoltà dell'azienda a risultati negativi della produzione nelle fabbriche, mentre in realtà il dissesto è avvenuto per una gestione finanziaria dissennata. Il piano è rivolto a


(7) Cfr. Senno e virtù. Letture educative ad uso delle scuole elementari maschili, Remo Sandron Editore, Milano-Palermo-Napoli 1898, pp. 166-8. (8) Cfr. COMUNE DI MILANO-CONSIGLIO DI ZONA 15, Relazione sulla visita effettuata il 24/09/1993 presso lo stabilimento della Conca Fallata del Gruppo Soffrici-Binda, 25 settembre 1993 (dattiloscritto). 9) Cfr. «Corriere della sera», 23/1/93, 13 e 21/3/93, 12/10/93; «Milano Finanza» 5 e 6/2/93, 7/4/93, 25/8/93; «Il Sole-24 Ore» 6, 9 e 10/3/93, 20 e 22/4/93, 28/5/93, 20/7/93, 16/9/93; «Il Giorno» 9/3/93; «Repubblica» 24/6/93, 3 e 20/7/93, 7 e 28/10/93. tagli del personale pesantissimi, 600 esuberi su 1942 e a tagli produttivi tali da causare 1' incapacità dell' azienda di stare sul mercato. La chiusura della cartiera di Olgiate toglie al gruppo una produzione di base come quella delle carte patinate, mentre 1' avvenuta cessione del marchio delle carte autocopianti "biplura" alla multinazionale Arjo Wiggins lo priva di una produzione prestigiosa ed unica in Italia, proprio quando per la svalutazione diventa ancor più conveniente produrlo nel nostro paese, e porta alla chiusura immediata dello stabilimento di Conca Fallata. Evidentemente chi ha redatto il piano, dato che si presuppone abbia competenza nel settore e pratica di strategie industriali, ha speranze o forse assicurazioni che 1' area dello stabilimento di Conca diventi fabbricabile, per ricavarne un forte realizzo in denaro. Il consorzio delle banche che ha operato il salvataggio finanziario, non essendo un ente di beneficenza, a rigore di logica dovrebbe avere un solo obiettivo, quello di riavere al più presto bonificate le fabbriche per cederle a qualche gruppo del settore interessato. La rapidità con cui si vuole arrivare alla chiusura di Conca fa pensare, invece, alla volontà di porre i lavoratori di fronte ad un fatto compiuto ed irreparabile, per recuperare al più presto i crediti concessi, costi quel che costi. In una fase di forte deindustrializzazione come 1' attuale, la cancellazione di un' altra fabbrica, diventa un problema sociale che non riguarda più i soli lavoratori della Sottrici Binda, ma investe anche le responsabilità del Comune, della Regione e del Governo» (10) . A seguito delle iniziative di mobilitazione interna allo stabilimento e al gruppo industriale delle organizzazioni sindacali dei lavoratori che, per impedire le conseguenze traumatiche sull' occupazione, hanno coinvolto le forze sociali e gli Enti locali (Consiglio di Zona, Comune e Regione), la vertenza si è trasferita sul tavolo del Ministro del Lavoro, che ha concordato la fermata degli impianti da fine dicembre '93, 1' attuazione di un programma di ristrutturazione e di riorganizzazione, la messa in cassa integrazione speciale per una fetta di dipendenti e la verifica degli sviluppi entro il mese di giugno del 1994 (11). Il 1994 segnerà quindi la ripresa o la morte di «una delle più grandi unità produttive degli inizi industriali ancora attive e funzionanti sul territorio milanese» (12) : segmento e specchio fedele di una città sempre più senza lavoro e sempre più impoverita e profondamente immiserita, almeno nelle fasce più deboli, nonostante il suo passato. II. Finalità: una scuola aperta al territorio per sensate esperienze di educazione alla ricerca storica e alla salvaguardia ambientale nella metropoli post-fordista. 1) La città nel tempo: proseguimento del progetto di educazione alla ricerca storica, per rendere operativa l'idea di laboratorio di didattica della storia e l'esigenza del recupero della memoria storica. a) Le numerose forme della mediazione didattica nell'insegnamento della storia: le nuove dimensioni dell'educazione storica. Alla domanda: «è possibile fare ricerca storica


(10) Cfr. i comunicati stampa - tra gli altri - del 26 e 30 marzo, del 4, 7, 11 e 20 ottobre, del 9 e 22 novembre 1993. (11) Cfr. Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Protocollo di intesa, del 16 novembre 1993. (12) Cfr. COMUNE DI MILANO-CONSIGLIO DI ZONA 15, cit., p. 1. nella prassi scolastica quotidiana a partire dalla progettazione e programmazione didattica?», oggi è possibile rispondere positivamente. Fare ricerca storica a scuola non solo è possibile, ma anzi necessario. Infatti, 1' educazione storica «non può essere considerata più come semplice fornitrice di conoscenze strutturate entro lo schema manualistico. L' insegnamento storico è 1' ambito disciplinare più adatto a costruire la specifica tecnica di pensiero (schemi operativi mentali più abilità operative) che serve per comprendere il nostro rapporto col passato, per attribuire significati ai fatti del passato, per capire connessioni tra di essi, per reagire alle interpretazioni altrui, per capire il rapporto tra uso delle fonti e ricostruzione del passato, per comprendere la funzione della storiografia, per comprendere come funzionano gli operatori temporali. All' ampliamento e approfondimento dei compiti dell' educazione storica deve corrispondere un arricchimento delle esperienze di apprendimento: in modo tale che gli studenti siano indotti a imparare (e a imparare bene) le ricostruzioni storiche e però apprendano anche sia la capacità di riflettere su come sono ottenute e di sperimentare tecniche di interrogazione delle fonti, sia alcune procedure di ricostruzione di aspetti o di processi del passato, sia la facoltà di capire come si forma la memoria collettiva oppure come si induca 1' amnesia sociale» (13) . Inteso in questo senso l' insegnamento della storia mette a disposizione dei docenti un' ampia gamma di risorse didattiche che, per esplicare tutte le potenzialità formative, devono essere sapientemente armonizzate nelle strategie della progettazione e programmazione (14) . L' educazione storica, dunque, per risultare più ricca e feconda di esperienze di conoscenza non può limitarsi al primo livello dell' apprendimento, quello dell' acquisizione dei risultati del sapere storico così come sono sedimentati e confezionati nei libri di testo o manuali. Per sfuggire alla passività esso deve essere sottoposto alle operazioni di smontaggio e di ricerca dei modelli di spiegazione; ma va, inoltre, integrato con 1' analisi approfondita di documenti e fonti, con la lettura attenta di saggi tematici e monografici capaci di introdurre gli studenti nei meandri del dibattito storiografico. Ma il livello più alto, garanzia dell' apprendimento più attivo, è costituito dalla ricerca storica, che esige e, soprattutto, sviluppa capacità creative, a partire dal controllo della sequenza di operazioni, gradualmente più difficili e complesse, che la compongono. E' ovvio, tuttavia, che parlare di didattica della ricerca non significa letteralmente sostituire il quadro sistematico delle conoscenze manualistiche di base, articolate nelle dimensioni sincronica e diacronica, a favore della trattazione di un certo numero di temi scelti secondo criteri più o meno casuali e astratti, oppure dettati dalla contingenza della cronaca o dalla sensibilità del docente e/o degli studenti. «Non è indispensabile, perciò, che gli studenti passino di ricerca in ricerca. E' piuttosto augurabile che affrontino almeno una ricerca all' anno lungo un tracciato di obiettivi specifici che di anno in anno fa crescere le loro competenze. Purché sia svolta in condizioni programmate la ricerca è compatibile con il resto delle attività didattiche» (15) Ma cosa si intende per ricerca riferita alle condizioni e alle possibilità scolastiche? Qual è la differenza tra la ricerca degli storici di professione e quella dei giovani in formazione? b) Lo scarto tra ricerca storica professionale e ricerca scolastica. La diversità si


(13) Cfr. I. MATTOZZI, Che il piccolo storico sia!, in 4 viaggi di Erodoto», n. 16, 1992, p. 170. (14) Cfr. G. DI CARO, Insegnare storia. La disciplina, l'apprendimento, il metodo, F. Angeli, Milano 1992. (15) Cfr. I. MATTOZZI, op. e pag. cit. misura fondamentalmente in termini di complessità e di finalità. E' chiaro che la ricerca storico-didattica passa per difficoltà graduate sul piano teorico e operativo e adattate alle possibilità conoscitive degli studenti; essa è rivolta, quindi, ad obiettivi di formazione, non di produzione scientifica in senso forte. Le procedure scolastiche, pertanto, possono solo tendere verso le esigenze della scientificità e devono essere contenute entro i limiti della ricerca simulata. Questo significa che non tutte le operazioni necessarie a produrre conoscenza storica debbano essere attivate nel lavoro didattico. Ma significa anche che il porsi nell' ottica della ricerca scolastica impegna ad acquisire nozioni epistemologiche, competenze intellettuali, concetti teorici, abilità tecniche, procedure razionali, capacità organizzative, sensibilità euristica, ecc., che sono a fondamento del processo di creatività del sapere e che, quindi, possono trasformare gli studenti in piccoli storici. «Se si costruiscono le condizioni opportune affinché i ragazzi siano capaci di produrre informazioni da fonti relative a un tema determinato e di elaborarlo in conoscenza del passato, allora si ottiene che i loro intelletti funzionino come quelli degli storici» (16) . In questo senso si può parlare di modello didattico della ricerca, che risponde ad obiettivi di formazione. Si tratta, quindi, di mettere dei giovani in formazione nella condizione di assumere la veste di piccoli storici, a partire dal dibattito sulla qualità dell'istruzione (17) e dal riferimento concettuale alla *cricercaazione» (18). c) Ipotesi di sperimentazione per imparare a fare ricerca storica. In un quadro d insieme e in forma schematica, si possono proporre alcuni percorsi possibili e facilmente realizzabili, sulla base di una metodologia adeguata, che rientrano nella tipologia della microstoria. Ad esempio, ricerche di storia scolastica (storia dell' istituto di appartenenza, storia di una sua componente: il movimento degli studenti, il movimento degli insegnanti, ecc.); di storia biografica (storia del personaggio a cui è intestata la scuola, storia di un personaggio illustre della città, ecc.); di storia sociale (storia di una rivolta contadina o di una vertenza operaia, storia di una minoranza radicata nella città e/o in un quartiere, come i quartieri ebraici, storia dell' immigrazione extracomunitaria nella città e/o nel territorio, ecc.); di storia politica (storia locale della resistenza partigiana, storia di un'istituzione cittadina, come la circoscrizione, ecc.); di storia economica (storia dell' industrializzazione del quartiere e/o della città, storia dell' agricoltura di una sub-area o sub-regione geostorica, ecc.): del territorio/dell' ambiente (storia di una fabbrica, storia di una cascina, storia di una miniera, di un fiume, di una ferrovia, di un parco, di un borgo, di un bosco, ecc.). E' evidente che la storia della cartiera Binda rientra negli ultimi due tipi di percorso, che si incrociano su un frammento di storia metropolitana milanese: un segmento della città di Milano visto nello spazio e nel tempo. 2) La città nello spazio. La seconda tappa di un lungo percorso di educazione ambientale: l'«adozione» di una fabbrica milanese. Dunque, questa esperienza di lavoro di ricerca storico-didattica da realizzare a scuola vuole essere incentrata anche sulla storia dell' ambiente: la storia di una fabbrica «tradizionale» (oggi si tende a dire «fordiana»), inserita nel contesto del tessuto urbano ed (16) Ibidem, p. 171. (17) Cfr. N. SOTTANI, La ricreazione è finita. Dibattito sulla qualità dell'istruzione, Il Mulino, Bologna 1986. (18) Cfr. G. P OZ Z O , Ricerca-aziorr e formazione degliinsegninti, i n«La rice rca » , 15 novembre 1992, p. 2. espressione materiale e simbolica del mondo produttivo e culturale del «triangolo industriale» e del territorio milanese. Essa costituisce la seconda tappa rispetto alla prima realizzazione di una sperimentazione di ricerca scolastica, focalizzata su una cascina milanese, secondo le linee di un progetto di storia ecologica elaborato per rendere operativa 1' idea di laboratorio didattico di storia, in un liceo della periferia sud di Milano che - a partire dall' iniziativa di alcuni docenti - ha maturato la convinzione della necessità di aprire la scuola alla scoperta del territorio e di inserire l'ambiente nell'esperienza curricolare della secondaria superiore (19) . Ciò a partire dalla consapevolezza che la scuola (anche quella «giurassica») non può evitare di scendere sul terreno dei nuovi saperi. La cultura ecologico/ambientale è uno dei nuovi saperi e le ragionevoli proposte di sperimentazione finora attuate nel nostro liceo sono piccole esperienze di immersione nei temi e nei problemi di tale cultura. Le motivazioni didattico-culturali che hanno spinto alla scelta della cartiera milanese sono grosso modo le stesse relative ali' «adozione» della cascina del territorio urbano del sud Milano. a) La consapevolezza della crisi ambientale che investe il mondo sia a livello planetario (lo stato di salute del pianeta compromesso dai disastri ecologici legati alla rottura dei cicli vitali dell' ecosistema terrestre), sia a livello locale («traffico urbano congestionato, inquinamento dell' aria, dell' acqua, del suolo e da rumore, piogge acide, esaurimento del verde, discariche abusive, fiumi e laghi avvelenati, industrie a rischio, ecc. Sono questi i principali fenomeni che, in forme diverse, sono riscontrabili in ogni territorio e in ogni momento della nostra vita quotidiana. Anch' essi per essere risolti impongono una svolta nel rapporto uomo-natura e una rivoluzione culturale capace di progettare una società sostenibile, nel senso che 1' approccio ecologico alla conoscenza e allo sviluppo esige un nuovo paradigma culturale, cioè un cambiamento profondo di mentalità, non finalizzata al dominio dell' uomo sulla natura» (2°) . b) La coscienza ambientale dei giovani, i quali manifestano «una sufficiente sensibilità ecologica, ma anche una conoscenza piuttosto generica e poco scientifica dei problemi ambientali, con non pochi limiti e contraddizioni soprattutto in riferimento al comportamento. I dati indicano una forte estensione quantitativa dell' interesse per l' ecologia, a cui però non corrisponde un livello qualitativo, adeguato e convincente, di responsabilizzazione. Per raggiungere questo obiettivo è necessario spostare le finalità della formazione ambientale dalla semplice sensibilizzazione allo studio critico e al comportamento maturo. Questo chiama in causa il compito della scuola e il lavoro di progettazione e programmazione degli insegnanti, su cui cade la responsabilità di far uscire la cultura ecologica giovanile dalla condizione di indeterminatezza e di marginalità, attraverso un' impostazione rigorosa connotata, per un verso, dalle esigenze concettuali della scientificità, della complessità e della criticità; per un altro, dalla necessità della


(19) Cfr. Alla ricerca della cascina perduta. La città nello spazio e nel tempo: frammenti di storia metropolitana milanese, a cura di Giuseppe Deiana, Liceo scientifico «Salvador Allende» - Consiglio di Circoscrizione 15 - Comune di Milano, Milano 1992. (20) Ibidem, p. 4. Sui problemi dell'ecologia planetaria cfr. G. NEBBIA, Lo sviluppo sostenibile, Ed. Cultura della Pace, Firenze 1991; Il futuro di noi tutti. Rapporto della Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo, Bompiani, Milano 1988; LESTER R. BROWN e AL., State of the World 1992. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute, ISEDI, Torino 1992. responsabilizzazione coscientizzante e attiva» (21). c) I progetti culturali delle associazioni ambientaliste, in particolare il «Progetto adozione» della Legambiente. «Il progetto di "adozione della città e del territorio" sollecita una o più classi ad adottare un pezzo di ambiente ben definito e caratteristico, non solo per studiarlo e conoscerlo, secondo la metodologia interdisciplinare, ma anche per affezionarvisi e difenderlo (sulla base di precisi obiettivi cognitivi e socio-relazionali) e, quindi, portare gli studenti a prendere coscienza della crisi dell' ecosistema planetario prodotta dal modello di sviluppo imperante sia a livello mondiale sia a livello locale. La proposta pedagogico-didattica di adozione di frammenti di territorio urbano o extraurbano riflette l'impostazione politico-culturale della Legambiente, riassumibile nella formula "pensare globalmente, agire localmente". Ciò significa che 1' emergenza ambientale planetaria può essere compresa da un adolescente partendo dalla città o da un suo segmento, non per soddisfare curiosità localistiche, ma per sviluppare una critica delle funzioni urbane e ricercare nuovi modelli dell' abitare il territorio» (22) . d) L' ambiente come risorsa culturale e sociale: il problema della riqualificazione del territorio e il progetto di ecosviluppo urbano. «Si tratta allora di analizzare più a fondo le problematiche ambientali urbane per cercare proposte di cambiamento e di riqualificazione della città, contro la crisi attuale, che indichino le strade del passaggio dall'attuale degrado urbano ad un modello di sviluppo basato sulla riconversione produttiva e sulla riorganizzazione sociale. Esiste, ormai, una vasta letteratura sui fondamenti di un approccio ambientalista/ecologista ai problemi delle nostre metropoli che, in forma radicale o riformista, prospetta la transizione dalla "metropolis" all' ecopolis" [...] Pertanto, l' identificazione di un nuovo modello di sviluppo territoriale e urbano non può essere basata che sull' ecosviluppo, cioè sugli elementi essenziali di una modernizzazione qualificata da criteri ambientali forti, sia sotto l' aspetto economico che sociale, come il risparmio energetico, la riduzione del consumo di territorio e di spazi veni, la valorizzazione di tecnologie non inquinanti e di energia pulita, la valutazione di impatto ambientale, ecc.» (23) Dunque, recupero della memoria storica e coscientizzazione ambientale: queste sono le finalità di fondo che motivano il progetto di studio e la valorizzazione culturale di una gloriosa fabbrica milanese, una delle più antiche ancora attive, che però oggi vive la condizione drammatica di una possibile chiusura per motivi di crisi finanziaria. Si tratta, in altri termini, di una ragionevole proposta di sperimentazione didattica sul terreno dei nuovi saperi e della qualità formativa, unendo in un progetto globale 1' educazione alla ricerca storica con 1' educazione all' ambiente : aspettando il trapasso dal secondo al terzo millennio e con esso una riforma strutturale della scuola secondaria superiore - se mai ci sarà!


(21) Ibidem, p. 5-6. (22) Ibidem, p. 7. Cfr. LEGAMBIENTE, Adottiamo la città, Milano 1989; M. CAMPIONI, Milano «adottata», in «tcole», n. 5, 1990, p. 6. (23) Ibidem, p. 9. Cfr. anche A. MAGNAGHI, Da Metropolis a Ecopolis: elementi di un progetto per la città ecologica, in AA.VV., Etica e metropoli. La possibilità ecologica, Ed. Guerini e Associati, Milano 1989; AA.VV., Il territorio dell'abitare. Lo sviluppo locale come alternativa strategica. A cura di A. Magnaghi, F. Angeli, Milano 1990. III. Obiettivi: confronto con un segmento della città visto nello spazio e nel tempo. Quelli che seguono sono i principali obiettivi didattici che guideranno il lavoro di gruppo: si tratta di obiettivi distinti in generali e specifici, cognitivi e socio-relazionali, teorici e operativi, disciplinari e pluri-interdisciplinari. 1. Industrializzazione. Saper definire il concetto di industrializzazione come realtà complessa e ricostruirne la storia, dall' Unità ad oggi, con particolare riferimento a tre livelli territoriali: quello nazionale (Italia), quello regionale (Lombardia) e quello locale (Milano). In particolare: a) saper individuare le tappe principali dell' economia italiana che hanno segnato il passaggio da una società agricola ad una società industriale avanzata; b) saper delineare le fasi e le peculiarità dell'industrializzazione in Lombardia e a Milano, come contesto che consente di inquadrare la vicenda della cartiera Binda. 2. Impresa. Saper definire l' identità di un' impresa e, nello specifico, di un' industria o fabbrica connotata come cartiera (la cartiera Binda, appunto), ricostruendone le origini, gli sviluppi e le crisi, fino a quella attuale, mettendola in relazione con la Milano industriale dalla metà dell' Ottocento alla fine del Novecento. In particolare: a) saper ricostruire le relazioni tra la storia della cartiera Binda e la storia dell' impresa in Italia; b) saper delineare la figura di Ambrogio Binda, passato da orfanello a imprenditore, mettendola in relazione con gli altri «capitani d'impresa» milanesi e lombardi. 3. Carta. Saper ricostruire i processi della produzione della carta, con particolare riferimento alle specializzazioni della cartiera Binda, seguendone le fasi storiche, fino a delineare la struttura produttiva attuale. In particolare: a) saper definire 1' industria della carta vista in prospettiva storica, con particolare riferimento alla realtà attuale; b) saper descrivere in modo analitico la specializzazione produttiva della cartiera Binda, consistente oggi nelle carte autocopianti o «biplura». 4. Lavoratori. Saper definire l' identità e la storia del movimento operaio italiano e milanese dalle origini ad oggi, ricostruendo e seguendo gli sviluppi dell' organizzazione sindacale interna alla cartiera Binda, con particolare riferimento al secondo dopoguerra e alla situazione attuale (24) . In particolare: a) saper cogliere i nessi tra dinamiche economiche e dinamiche sociali, riferite all' organizzazione operaia dal decollo industriale alla maturazione del capitalismo italiano; b) saper ricostruire i processi conflittuali della democrazia industriale nell' ambito ristretto della cartiera Binda, considerata come campione storico rappresentativo di un fenomeno più generale, riferibile almeno a Milano ed alla Lombardia; c) saper superare i limiti della documentazione scritta sul movimento operaio della Binda ricorrendo a fonti orali e materiali per il periodo dal dopoguerra ad oggi; d) saper decifrare le cause ed individuare gli esiti della grave crisi attuale che può sfociare nella chiusura dello stabilimento. Saper valutare, nello specifico, il piano delle banche, subentrate ai Sottrici, che «hanno predisposto, affidandolo allo studio Borghesi-Vitale, un progetto di salvataggio del Gruppo che prevede l'abbattimento del capitale sociale (260 MM£) e la sua successiva


(24) Cfr. V. FOA, Sindacati e lotte sociali; in AA.VV, Storia d'Italia vol. 5°,Einaudi, Torino, 1979, pp. 1783-1828; S. TURONE, Storia del sindacato in Italia Dal 1943 al crollo del comunismo, Laterza, Bari 1992. ricostituzione con una emissione di 80 MM£ di azioni, sottoscritte dalle Banche, e altri 80 MM£ con emissione di obbligazioni [...] Conclusa questa operazione la ristrutturazione e ricapitalizzazione della Società del Gruppo avverrà in cinque anni, congelando gli interessi passivi del debito gravanti sulle suddette Società ed aumentando il capitale a partire dal 1994, dopo di che ogni Azienda dovrà essere in grado di autogestirsi» (25) . e) Saper valutarel' azione del consiglio di fabbrica rivolta sia alla direzione dello stabilimento sia alle autorità politiche degli Enti locali, come risulta dal documento del Consiglio di zona 15, per il quale: «Le preoccupazioni del Consiglio di Fabbrica s' indirizzano principalmente verso due ipotesi: - la cessione, per ottenere un immediato ritorno economico che però significherebbe una irreparabile perdita sia di mercato che di immagine, delle lavorazioni di maggior pregio (in particolare la carta da rivestimento); - la cessione del complesso ad altra Proprietà, non necessariamente industriale, che potrebbe portare ad un più o meno rapido disimpegno con dismissione dell'attività produttiva per poi passare all' utilizzo della vasta area disponibile per edificare costruzioni civili e/o terziarie. Il concretizzarsi delle iniziative sopra richiamate significherebbe il rapido scadimento del complesso con ricadute sul piano occupazionale locale e la conseguenle scomparsa, dal tessuto produttivo milanese, di un' altra non secondaria e storica presenza industriale meneghina. Per i motivi sopraddetti il Consiglio di Fabbrica chiede 1' intervento delle Autorità Comunali, per il tramite del Consiglio di Zona 15, sollecitando in particolare un incontro con il Sindaco Formentini, nonché una maggiore attenzione da parte della nuova Giunta in contrapposizione alle vecchie che molto pare avessero promesso, ma, di contro, nulla o quasi mantenuto. Sempre il Consiglio di Fabbrica sollecita le Autorità ad intervenire affinché possa aprirsi una fase interlocutoria e di informazione, da parte della Proprietà, sulle reali prospettive per il futuro: infatti il nuovo pacchetto di maggioranza del Gruppo pare non abbia mai dato risposta positiva alle sollecitazioni di incontro, adottando un comportamento sfuggente (26) . f) Saper delineare i risvolti sociali ed umani, nella vita individuale degli operai, derivanti dalla messa in cassa integrazione e dalla paura di perdere il posto di lavoro, come esemplificazione concreta della particolarità dell' attuale fase di crisi economica, interna e internazionale, che connette sempre più sviluppo e assenza di lavoro, disoccupazione e modernizzazione. 5. Ambiente. Saper cogliere i nessi materiali tra una fabbrica e il suo ambiente: nello specifico, tra la cartiera Binda e il territorio milanese, urbano e metropolitano, con particolare riferimento all' assetto urbanistico e all' equilibrio ecologico. In particolare: a) saper realizzare una elaborazione grafica che ricostruisca la dimensione spazio-territoriale della cartiera, rivolta in due direzioni: quella interna, per evidenziare i diversi corpi di fabbrica e la loro specificità architettonica; quella esterna, per rapportare il manufatto industriale alla città di Milano, al territorio della zona 15 e 16, all' hinterland meridionale, al sistema di comunicazioni varie, alla rete fluviale, alla struttura produttiva ed abitativa dell'area di insediamento. In sintesi, saper effettuare una lettura stratigrafica dell' area della cartiera e del territorio circostante. b) Saper mettere in relazione il territorio della cartiera con i vecchi e i più recenti piani urbanistici del Comune di Milano; c) saper interpretare le funzioni della cartiera in termini ecologici, cogliendo i fattori storici e attuali di squilibrio, (25) COMUNE DI MILANO-CONSIGLIO DI ZONA 15, cit., pp. 3-4. (26) Ibidem, p. 5. per ripensarli e prospettare idee di riqualificazione del territorio ed elementi di un ecosviluppo urbano; d) saper valutare il complesso di edifici componenti la cartiera come un esempio di archeologia industriale, di particolare valore storico e culturale (27) ; e) saper valutare le «prospettive di sviluppo» proposte dalle banche per uscire dalla crisi, così come sono riferite dal documento del Consiglio di zona 15: «La Direzione dell'Azienda ha predisposto dei piani di sviluppo industriale che possono riassumersi nelle note sotto riportate e che si incentrano soprattutto nella realizzazione di un polo energetico. Per quanto attiene il settore produttivo si ritiene che con una spesa di circa 20 MM£ 1' impianto sarebbe posto in una condizione di assoluta avanguardia, rendendone altamente concorrenziale la produzione, nonostante già ora si tratti di stabilimento con tutti i crismi della modernità. Come sopraddetto particolarmente interessanti sembrano le prospettive in campo energetico, legate logicamente al tipo di lavorazioni qui svolte, e che si riassumono in: - realizzazione della centralina idroelettrica della Conca Fallata (installazione già molti anni addietro utilizzata per alimentare la Cartiera) per la quale è stata ottenuta la concessione di derivazione delle acque, per uso di produzione di energia, con decreto rilasciato dalla Regione Lombardia. Questo progetto, che pare dovesse essere finanziato dalla stessa Regione e dalla CARIPLO, non ha per ora avuto seguito per il disimpegno dei due Enti e per la ovvia carenza di capitali del Gruppo Sottrici [...]; - realizzazione di una centrale turbogas, associata a quella termica utilizzata per autoproduzione, per la quale è tra l'altro interessata la SONDEL (Società elettrica del Gruppo Falck) [...] Il progetto non è ancora stato avviato mentre lo studio di fattibilità sarà predisposto nei prossimi mesi; - realizzazione di un impianto di teleriscaldamento associato con la centrale turbogas. Questo progetto era stato già proposto negli anni 1980-82 ottenendo l'interessamento del Comune di Milano, con coinvolgimento anche del Consiglio di zona 15, e dello I.A.C.P. per riscaldare il Quartiere Chiesa Rossa. Il tutto non ebbe poi più seguito» (28) . 6. Pluri-interdisciplinarietà. Saper progettare e lavorare in una prospettiva interdisciplinare attraverso la collaborazione tra due o più insegnanti, a partire dal ruolo propulsivo di quello di storia, coinvolgendo più di una classe per costruire una unità dinamica di interclasse, guidata dai docenti coinvolti ed integrata dalla consulenza di esperti esterni, in particolare del mondo del lavoro, dell' urbanistica, dell' ecologia, ecc. 7. Comunicazione. Saper condensare in un libro i risultati della ricerca storica e grafica: testo contenente una parte scritta, una parte grafica ed una parte fotografica. In particolare: a) saper rendere in buona scrittura i contenuti acquisiti nelle relazioni dei singoli gruppi; b) saper produrre elaborati grafici e materiale fotografico di buon livello, tali da realizzare una mostra, per una migliore e più diretta comunicazione dei risultati del lavoro svolto; c) saper presentare in pubblico (a scuola e fuori) i risultati del lavoro scolastico sia per illustrare le conoscenze acquisite, sia per dimostrare il valore formativo e civile del recupero della memoria storica e della coscientizzazione ecologica, sia per proporre e dibattere le alternative alla crisi della città; d) saper realizzare un libro vero e proprio da pubblicare (con il


(27) Cfr. REGIONE LOMBARDIA, I monumenti storico-industriali della Lombardia. Censimento regionale, a cura di A. Garlandini e M. Negri, in «Quaderni di documentazione regionale, n. 17 (s.d.); Archeologia industriale a scuola, a cura di B. RICATTI e F. TAVONE, Marietti , Milano. (28) COMUNE DI MILANO-CONSIGLIO DI ZONA 15, cit., p. 4. contributo del Liceo, del Consiglio di zona, del Comune e/o di altri enti) come testimonianza viva di un lavoro di ricerca, frutto di un nuovo modo di impostare l'apprendimento/insegnamento, incentrato sull' educazione alla ricerca: nel nostro caso, educazione al recupero della memoria storica ed alla tutela ambientale, segni tangibili di quella qualità dell'istruzione che restituisce alla scuola pubblica una funzione culturale e civile insostituibile. IV. Contenuti: una microstoria del tessuto industriale, ambientale e sociale di una città in crisi. 1. La prima parte del lavoro (primo gruppo) è rivolta a fornir un quadro storico generale dell'industrializzazione in Italiadall'Unità ad oggi. Negli anni dell' Unità l'Italia era ancora un paese affettato; ma alla vigilia della grande guerra occupava già il settimo posto tra le nazioni più industrializzate Da qui la necessità di capire come è avvenuto il suo decollo, quale è stato il complesso itinerario imboccato per diventare una società industriale avanzata (29) . 2. La seconda parte (secondo gruppo) si propone di delineare più specificamente i tratti essenziali della storia dell'industria lombarda e milanese dall'Ottocento alla fine del Novecento. Nella nascita e nell' evoluzione dell' economia italiana dall' Unità ad oggi una grande parte l'hanno avuta la Lombardia e Milano. Qui sono stati fatti i primi passi verso 1' industrializzazione che ha trasformato un Paese povero ed arretrato in una delle maggiori potenze industriali. Pionieri dell' industria milanese e lombarda sono stati i «capitani d' industria» come Ambrogio Binda: un ceto imprenditoriale moderato e innovativo insieme, che ha imposto e consolidato 1' immagine di una Lombardia regione industriale e di una Milano città industriale per eccellenza, in quanto creatori di grandi imprese destinate a lunga vita, le quali hanno avuto un ruolo economico determinante nella storia nazionale. 3. La parte centrale, più originale e corposa, intende ricostruire la storia della cartiera Binda di Conca Fallata, seguendo le tappe principali della sua evoluzione: a) la fondazione da parte di Ambrogio Binda e la conduzione da parte degli eredi; b) la trasformazione - in tempi più recenti - in società per azioni; c) il passaggio di proprietà che l'ha vista diventare prima la Binda De Medici e poi la Sottrici Binda. I momenti più rilevanti ci sembrano due: l' origine e la crisi attuale. Il primo è legato alla vicenda umana e imprenditoriale, per non dire leggendaria e mitica, di Ambrogio Binda: «un tale personaggio che i suoi funerali per l' ingente seguito di popolo, furono paragonati solo a quelli di Alessandro Manzoni. E' pensare che, nato a Milano nel 1811, orfano a 5 anni, a 9 rifiutò l' aiuto dei parenti per guadagnarsi da solo il pane ai telai della Passamaneria Vigoni, a Porta Vigentina. A 18 anni, con i primi risparmi acquistò alcuni vecchi pettini per costruirsi due telai e aprire un opificio, a un quarto piano di piazza del Duomo: stoffe per bottoni e presto, con macchine da lui ideate, anche i bottoni. Nel 1855 con due milioni prestati da amici fondò la cartiera, con stabilimento - ultimato nel 1859 - a Conca Fallata, dove poteva sfruttare il salto d'acqua del Naviglio e del Lambro. La crisi che seguì alla seconda guerra d' Indipendenza fece la sua fortuna: venne a mancare 1'


(29) Cfr. R. ROMEO, Breve storia della grande industria in Italia, Cappelli, Bologna 1961; V. CASTRONOVO, L'industria italiana dall'Ottocento a oggi. A. Mondadori, Milano 1980; Cento anni di industria, a cura di V. CASTRONOVO, Electa, Milano 1988. importazione, e Binda cominciò a produrre carte da stampa, da lettere, da lutto, scatole, buste, cartoni, grossi quaderni con lucide copertine nere. Nel 1868 acquistò la cartiera di Vaprio d' Adda, ma Conca Fallata restò la protagonista; dopo l'incendio del 1871 e la ricostruzione, su disegno del direttore, F. Coglia, superò le 3 tonnellate di carta al giorno e i 2 milioni annui di introito. Nel 1884 gli operai erano 800, i pozzi erano 8 che in 24 ore pompavano senza sosta 210.000 litri d' acqua. Il livello della falda freatica scendeva allora dai 40 centimetri abituali a circa 3 metri dal suolo. Oggi i due casermoni in Alzaia Naviglio Pavese (numeri 254-260) costituiscono un monumento di archeologia industriale. Costeggiando il Naviglio, verso Pavia, si possono riconoscere: prima, a monte di Conca Fallata, il caseggiato a quattro piani per gli operai; quindi lo stabilimento al quale è incorporata, a sud, la casa per gli impiegati. Gli operai lo chiamano "il paese". C' erano la casa per il medico e la levatrice, la farmacia, il forno per il pane, la chiesa, l' asilo per i figli delle lavoratrici e una scuola pubblica» (30) La crisi attuale è ben evidente nel comunicato stampa del consiglio di fabbrica della cartiera, dell' 11 ottobre 1993, riportato sopra. Il caso della Binda è solo un esempio di un processo generale e strutturale, caratterizzato dalla pesante crisi economica che sta determinando uno snaturamento dell'apparato industriale milanese, nel senso che le più importanti fabbriche, che hanno segnato lo sviluppo economico degli ultimi centocinquant' anni, rischiano di scomparire. La crisi industriale si sta trasformando in un vero e proprio processo di deindustrializzazione in cui da parte della proprietà aziendale prevalgono logiche ed interessi di speculazione sulle aree piuttosto che processi di riorganizzazione e qualificazione industriale. 4. Un' altra parte del lavoro (quarto gruppo) cercherà di ricostruire la struttura produttiva attuale, vista in prospettiva storica: si tratta di evidenziare le caratteristiche dell' industria della carta (31) , per arrivare a comprendere la specificità dell' unità produttiva di Conca Fallata. Questa, «costituita dall' originario stabilimento è strutturata su un'area di circa 120.000 mq compresa tra il Naviglio Pavese ed il Lambro meridionale che la costeggiano su tre lati. La presenza dell' acqua è sempre stato elemento caratterizzante della produzione della carta che richiede, nel ciclo di lavorazione, notevoli quantità di questo elemento. Lo stabilimento ha attualmente in organico circa 320 persone, tutte in attività nonostante i grossi problemi finanziari del Gruppo di appartenenza [...] Le lavorazioni qui effettuate sono basate principalmente sulla produzione di carta chimica (circa 30.000 danno), con un fatturato di circa 80 MMVanno, e carta da rivestimento, nobilitata o laminata, con fatturato di circa 20 MMVanno. L' unità di Conca Fallata è, con il Poligrafico dello Stato (circa 10.000 t/anno e quasi esclusivamente per l'Amministrazione statale) 1' unica produttrice di carta chimica in Italia, dove la richiesta del mercato è di circa 90.000 danno. La differenza di circa 50.000 danno viene acquistata sul mercato estero, soprattutto inglese e tedesco, dove sono disponibili ingenti quantità di questo prodotto mantenuti a magazzino dalle industrie produttrici e messi in vendita a prezzi estremamente concorrenziali [...] Sul piano strutturale la dotazione d' impianto dell'azienda è recente in quanto la macchina più vetusta risale al


(30) L SARZI AMADE', Milano fiori di mano, Mursia, Milano 1987, pp. 288-9; cfr. anche A. PARIGI, Fabbriche e case operaie nella bassa pianura, CIEDES, Rozzano (s.d.). (31) Cfr. voce «Carta» in Enciclopedia Europea Garzanti, Milano 1976 e in Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Torino 1986. Per una storia dell'industria della carta: R. SABBATINI, Di bianco lin candida prole. La manifattura della carta in età moderna e il caso toscano, F. Angeli, Milano 1990. 1972, ed è stata recentemente rammodernata, mentre tutte le altre risultano essere di costruzione più moderna» (32) . 5. Il quinto gruppo si concentrerà sul tema dell' organizzazione operaia, per tentare di ricostruire la storia del movimento sindacale italiano e milanese, a partire da un caso specifico e particolare, ma significativo per due ordini di motivi: primo, perché consente di avere una visione d' insieme di un secolo di lotte per il lavoro (con riferimento soprattutto al centenario della Camera del lavoro di Milano: 1891-1991) e di risalire alle radici del sindacato italiano; secondo, perché permette di comprendere cosa è stato ed è il sindacato nella società industriale, qual è la sua forza e la sua debolezza nel conflitto sociale. Questo vale soprattutto oggi, in una fase di grave crisi economica e sociale in cui anche gli operai della Binda sono direttamente mobilitati per salvare la loro fabbrica e con essa un frammento di 150 anni di battaglie per il lavoro a Milano. 6. L' ultimo gruppo, infine, cercherà di indicare alcuni dei complessi fattori che costituiscono il rapporto tra la fabbrica e il territorio sotto l' aspetto urbanistico-ambientale, secondo diverse direttrici: a) quella di inquadrare l' area dello stabilimento nel territorio urbano e interurbano del sud Milano; b) quella di ricostruire le carte storiche di tale territorio per evidenziare i nessi tra la fabbrica, le infrastrutture viarie e i corsi d' acqua (con particolare riferimento al Naviglio e al Lambro); c) quella di evidenziare la funzionalità delle case operaie con 1' opificio, rimarcando la continuità e la rottura tra il passato e il presente; d) quella di scoprire le diverse potenzialità future dell' area della fabbrica: continuazione della produzione industriale, asservimento alla speculazione urbana, realizzazione di un polmone di verde per la città, ecc.; e) quella di considerare il complesso degli edifici della cartiera come un esempio di archeologia industriale da salvaguardare e valorizzare sotto 1' aspetto culturale; f) quella di ipotizzare un nuovo sviluppo produttivo dell' azienda rapportato ai vincoli di impatto ambientale: sviluppo che salvi il lavoro, ma salvi anche le esigenze dell' equilibrio ecologico del territorio urbano e metropolitano.

V. Metodi e strumenti: un lavoro collettivo per gruppi coordinati.

Ci si propone di realizzare un lavoro di gruppo (composto da circa 25 studenti) di natura pluri-interdisciplinare (centrato cioè su storia e disegno-storia dell' arte), attingendo -a diverse fonti (scritte, orali e materiali) attraverso: 1) lettura di libri: studio di testi segnalati dall' insegnante in riferimento alla letteratura esistente; 2) ricerche d'archivio per reperire materiale specifico: archivio di Stato, archivio delle organizzazioni sindacali, archivio della Binda (se esiste, ma è probabile che sia precluso l'accesso, data la crisi in corso); 3) ricerca sul campo: intervista a testimoni privilegiati, come dirigenti, tecnici, operai, ecc.; 4) rilevamento fotografico come materiale illustrativo da supporto all' elaborazione grafica ed alla restante documentazione; 5) consultazione di carte presso enti pubblici (Consigli di zona, ecc.) e privati (T.C.I., ecc.) per uno studio del territorio sotto l'aspetto urbanistico.


(32) Cfr. COMUNE DI MILANO-CONSIGLIO DI ZONA 15, cit., pp. 2-3. Tempi e modalità di realizzazione del lavoro nell' anno scolastico '93-94: a) settembre-dicembre: completamento della raccolta delle fonti e documenti e organizzazione del progetto di rielaborazione grafica; b) dicembre-gennaio: prima stesura delle relazioni da parte dei singoli gruppi; c) febbraio-marzo: correzione e stesura definitiva dei testi scritti e completamento della ricerca grafica; d) aprile: organizzazione di una manifestazione pubblica nella scuola e/o nella sede del Consiglio di zona per la presentazione dei risultati del lavoro a studenti, cittadini, studiosi e rappresentanti politici. [Immagine: Cartina zona 15, zona 16] [Immagine: Cartina Quartiere Gratosoglio] II VITA DI AMBROGIO BINDA E STORIA DELLA CARTIERA di Cristina Amprino I. Premessa. La cartiera Binda risale a metà Ottocento, alle origini della Milano industriale. Il suo fondatore, Ambrogio Binda, è uno dei pionieri dell'industria milanese, insieme a Giovanni Battista Pirelli, Giorgio Enrico Falck, Giulio Richard, Ernesto de Angeli, Ernesto Breda, Carlo Erba, Nicola Romeo, Eugenio Cantoni, Andrea Ponti, ecc. Questi «capitani d industria», accanto ai provvedimenti paternalistici, «manifestarono spesso una particolare durezza, specialmente quando si trattava di imporre la ferrea disciplina di fabbrica, una durezza che contrastava assai con 1' immagine di buon padre di famiglia che gli stessi imprenditori avevano cura di diffondere» (I) . E' il caso di Ambrogio Binda, di cui vogliamo tracciare gli elementi essenziali della vicenda biografica e imprenditoriale, legata alla cartiera di Conca Fallata di Milano. II. Storia del fondatore fino alla morte. «Ecco il nobile e simpatico carattere morale di Ambrogio Binda: ecco il modello di un uomo operoso, savio, intelligente, che noi proponiamo ai giovani Italiani, i quali dalla vita di un simile operaio diventato uno dei più stimati industriali d'Italia, apprenderanno come non salga in fama e in ricchezze chi giace neghittoso, e non confida nei salutari effetti di una volontà operosa e previdente» (2). Ambrogio Binda nacque a Milano, città «popolata di chiarissimi ingegni, ricca di cittadini operosi e fortemente volenti, educati a vita larga ed attiva più che non sia quella di altre molte città italiane» (3) il 15 febbraio del 1811 (4) da genitori poverissimi. Il padre, Gaetano Binda, morì dopo cinque anni e la madre, Teresa Aspersioni, lasciò il figlioletto orfano alla tenera età di sette anni. Fu posto così nel 1816 sotto tutela di uno zio farmacista e visse a Gallarate per quasi due anni, durante i quali un pizzicagnolo del paese gli insegnò a leggere e a scrivere «nel che si compendiò tutto 1' ammaestramento e 1' educazione che egli


(I) Cfr. R. ROMANO, I capitani di industria, da Pirelli a Falck, in Storia illustrata di Milano. Milano nell'Ottocento, a cura di F. Della Peruta, Nuova Editoriale AIEP, Milano (bozze in attesa di pubblicazione, p. 10). (2) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, Ambrogio Binda nei suoi tempi e oggidì, Cartiere Ambrogio Binda s.p.a., Milano 1955, p. XXXI. (3) Ibidem, p. XXV. (4) Tale data è attestata da: a) Teresa e Ferruccio ORSI, Senno e virtù. Letture educative ad uso delle scuole elementari maschili, Remo Sandron Ed., Milano-Palermo-Napoli 1902, p. 166; b) un articolo senza autore, riportato in Cartiere Ambrogio Binda S.P.A. Milano Italia. Mentre Michele LESSONA pospone la data di nascita al 16 febbraio 1811. ebbe» (5) . Mentre lo zio a causa di due raccolte consecutivamente fallite fece sentire al fanciullo, a furia di percosse, quanto sa di sale il pane altrui. Dopo aver stretto amicizia con i tessitori della borgata, nel luglio del 1818, tornò a Milano «solo solo, senza nessuno appoggio, senza un soldo» (6) «con pochi spiccioli e una lettera dello zio per un suo corrispondente di Milano che lo aiutasse ad allogarsi tosto in qualche fabbrica della grande e industriosa Metropoli» (7) . Lì dopo qualche difficoltà riuscì a trovare lavoro nella fabbrica di passamani di Vigoni, dove rimase fino al 1829, quando diciottenne, grazie ai piccoli risparmi faticosamente raggranellati, riuscì a comprare con venti lire austriache due vecchi telai e alcuni pettini. Stabilì la sua fabbrica al quarto piano dell' antico Coperchio dei Figini, situato nei pressi del Duomo, ove vi sono ora i palazzi dei Portici Settentrionali, costituito da «una lunga fila di case disadorne sorrette verso la piazza da tozze colonne di pietra, tra le quali i bottegai collocavano delle bancarelle a supplemento dei propri negozi» (8) . Seguirono i primi guadagni che gli permisero di allargare il suo modesto opificio. Nel 1833 poté realizzare la sua felicità sposando la diciannovenne Angela Grugnola, «buona, sagace, operosa, che gli fu poi di grande aiuto negli affari e lo rende lieto di tre figliuoli» (9) Carlo, Cesare e Girolamo che morirà in giovane età. Inoltre nello stesso anno apri una fabbrica di bottoni, fino allora monopolio commerciale quasi esclusivamente dell' Inghilterra. Il commercio consisteva nel coprire di stoffa «1' anima» di legno, di metallo, d' osso, d' avorio vegetale dei bottoni; lavoro che in Italia era svolto manualmente dai sarti. Binda riuscì ad ottenere notevoli successi, poiché, grazie a macchine speciali da lui stesso inventate, realizzò un felice connubio tra alta qualità e modici prezzi e i suoi prodotti cominciarono ad essere esportati per il mercato europeo. Per cercare di soddisfare le continue richieste, nel 1842, comprò una casa in Corso San Celso, che convertì in opificio. Il lustro fra il 1842-1847 sancì definitivamente il suo successo e «il nome oscuro di un orfano, di un operaio, di Ambrogio Binda» (1°) si fece strada in Italia, in Europa e anche al di là dell' oceano. Nel 1847 poté comprare una vasta area a Porta Romana dove fece costruire dall' architetto Ing. Girolamo Rovaglia «un grandioso opificio e un suntuoso palazzo» (11) . L' edificio si trova tuttora in Corso di Porta Romana 122 e presenta una pianta ad «u», è costituito da scantinato, piano terreno e tre piani. La facciata è in bugnato gentile e conclusa da fregio a triglifo; appartiene a uno stile tardo neoclassico con un evidente gusto decorativo. L' unico riferimento all'attività manifatturiera è la raffigurazione nella chiave di volta del portone centrale ad arco di Mercurio, dio protettore dei commerci. La fabbrica risulta funzionale ed accogliente. In piena attività ospitava cinquecento operai e numerose macchine tra cui: caldaie, graticole, raschiatoi, strettoi, ventiche macchine per tagliare e forare le unghie, duecentotrenta per coniale bottoni di varia foggia, quattro mole, trenta torni, macchine per i


(5) Cfr. A. CAPRARI, Ambrogio Binda. Racconto., Luigi Battei Ed., Parma 1881, p. 29. (6) Cfr. Teresa e Ferruccio ORSI, cit., p. 166. (7) Cfr. A. CAPRARI, cit., p. 30. (8) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, cit., p. XXIV. (9) Cfr. A. CAPRARI, cit., p. 36. (IO) Ibidem, p. 37. (11) Ibidem, p. 38. disegni per i bottoni di madre perla, un tornio a Guillocher, telai Jacquad (12) . Completamente dedito a progetti d' espansione Binda ignorava la contemporanea situazione politica e fu sorpreso dalla rivoluzione del 1848 e rimase «come stordito dallo strepito dell' inatteso conflitto, che terminò con lo sgombro degli Austriaci» (13). Lo sconvolgimento politico, aggravato da un imponente flusso migratorio dalla Lombardia, dall' aumento delle materie prime, dalla caduta della domanda, da commessi inadempienti nel loro officio e dalla perdita di un importante carico di merci dirette in America, gettò Binda in un profondo buco nero di disperazione, a causa dell'insorgere di calunnie e diffamazione e di crisi economica. Disorientati da questa situazione i creditori insistevano per la restituzione dei capitali e gli operai diedero corpo alle loro proteste con sommosse che richiesero l' intervento dell' autorità militare. «Un uomo di fibra meno forte della sua, sarebbe inevitabilmente caduto; il Binda invece con 1' animo commosso ma non avvilito, maturò nuovi propositi [...] e intrepidamente saggio ed energico amministratore, riuscì da solo a salvare il suo onore e la sua fortuna [...] e sorse ben presto a nuovo splendore» (14). Infatti ben presto riuscì ad appianare le difficoltà e perfezionò ed ampliò la sua industria con conseguente aumento di guadagni. Probabilmente nei momenti di maggiore disperazione avrà vagheggiato, spinto dai consigli di alcuni amici, 1' idea di ritirarsi per potere vivere «giorni riposati e tranquilli» (3) ; «ma la quiete non si affa agli uomini indomiti e generosi, ai quali 1' aver condotto a perfezione un' impresa difficile è sempre stimolo ad altra di maggior momento» (16). A causa della generale crisi Giovanni Rautter, rinomato fabbricatore di pettini, nel 1855, si trovò costretto a vendere la sua fabbrica e Binda «per aiutarlo, e in una per conservare alla sua città quella industria» (17) formò una società con pochi azionisti e comprò l'opificio. Intanto i figli tornati dai collegi svizzeri affiancarono il padre nei commerci e Cesare prese in mano le redini della fabbrica dei bottoni, «dove Binda introdusse un' avanzata divisione del lavoro che destò 1' ammirazione dei contemporanei (18) . Per sostenere la concorrenza francese nel campo dei pettini, Binda utilizzò nuove macchine e istruttori stranieri, ma a tali provvedimenti non seguì un tangibile miglioramento; come estremo rimedio Binda dovette licenziare tutti gli operai, che intanto avevano fomentato focolai di rivolta di stampo luddista, e convincerli a lavorare, seppur con un salario minore, a domicilio. Questi furono solidali con il loro datore di lavoro e costituirono nel 1859 la Società dei Lavoranti Pettinai, una delle prime cooperative operaie di produzione, con sede in via Sambuco 1 I , dove si presume abbia operato per trent'anni anche se pochi sono i dati in nostro possesso, avendo le ricerche alla Camera di Commercio e alla Federazione Provinciale delle Cooperative e Mutue dato sterili esiti. Il commercio dei bottoni e dei pettini assicuravano un tranquillo andamento e questo permise a Binda di dedicarsi ad un progetto che accarezzava da tempo: la fabbricazione


(12) Cfr. I monumenti storico-industriali della Lombardia. Censimento Regionale, a cura di A. GARLANDINI-M. NEGRI, «Quaderni di documentazione regionale» (s.d.), pp. 304-305. (13) Cfr. A. CAPRARI, cit., p. 74. (14) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, cit., p. XXVIII. (15) Cfr. A. CAPRARI, cit., p. 76. (16) Ivi. (17) Ibidem, p. 87. (18) Cfr. R. ROMANO, cit., p. 8. della carta, attestato dal consumo sempre crescente di questo prodotto di prima necessità e dalla insufficienza delle fabbriche nazionali. Binda promosse un'indagine di mercato per potere far meglio di più e a un minor prezzo del centinaio di cartiere funzionanti in Lombardia. Per la realizzazione del suo progetto due erano i punti principali: trovare un adeguato salto d' acqua ed un ingente capitale. Per il problema dell' acqua Binda aveva considerato diverse possibilità ma tre erano le zone più accreditate: a) a Lambrate, successivamente scartata a causa della portata insufficiente e suscettibile a periodi di lunga magra e di asciutta annuali di quasi due mesi; b) presso la Conca Fallata sul Naviglio di Pavia, la cui concessione però era già in parte utilizzata da una fonderia ed inoltre non ottenne 1' approvazione né dall' I.R. Intendenza delle Finanze a Milano né dal Ministero delle Finanze di Vienna; c) a Rozzano, cioè a tre chilometri dalla Conca Fallata, che serviva un mulino di proprietà erariale. Binda era riuscito ad ottenere affidamenti ufficiosi che lo avevano incoraggiato ad affittare il mulino e poi a iniziare i lavori. Ma il governo viennese negò la concessione senza alcun motivo apparente e così prima il figlio Carlo, poi lo stesso Ambrogio si recarono a Vienna per offrire una cifra maggiore, ma venne ribadito un secco rifiuto adducendo come scusa che il mulino era destinato ad essere utilizzato per uso militare. Questo fu un ulteriore prova del tentativo austriaco di ostacolare lo sviluppo dell' attività economica milanese, nonostante un decreto ministeriale del 26 Marzo 1855 che prometteva assistenza al commercio e nonostante bottiglie ungheresi e monete d' oro non troppo disinteressatamente offerte (19). Con fortunata lungimiranza Binda aveva inoltrato simultaneamente le pratiche sia per Rozzano sia per la Conca Fallata; quest' ultima arrivò a buon fine, così da permettere 1' inizio dei lavori nel dicembre '57 e 1' acquisto di fondi attigui per ampliare la proprietà (2°) . La Conca Fallata deve il suo nome al termine fallita usato sarcasticamente nel 1600 per indicare il fallimento dei grandiosi progetti del governatore spagnolo don Pedro Enriquez Acevedo conte di Fuentes, che si era proposto di completare la messa in opera del canale. La conca fu quindi soprannominata dal popolo Fallata e successivamente anche il canale veniva definito per sineddoche Naviglio Fallato. «Il riscatto venne molto più tardi, nel 1859, con la cartiera - oggi un vero e proprio monumento industriale - che Ambrogio Binda mise in funzione all' altezza della conca, sfruttando anche il salto d' acqua per la produzione di energia elettrica (21). Risolto il primo problema rimaneva quello di recuperare la somma di denaro necessaria, messa poi a disposizione da alcuni amici. Infatti la ditta era stata costituita il giorno 8 novembre '55 a rogito Dott. Giacomo Carpani, quale società in accomandita per azioni della durata di 12 anni, capitale di £. 500 mila in 50 azioni da £. 10 mila sottoscritte da ventitré soci (compresi Ambrogio Binda e i due figli), gerente Ambrogip Binda «per la fabbricazione privilegiata di cartoni vegeto minerali e di carta d' ogni genere da attuarsi alla Conca di Rozzano sul Naviglio di Pavia estendendone lo stabilimento anche altrove a norma


(19) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, cit., pp. XXXVIII-XXXIX. (20) Sembra che la costruzione della cartiera abbia comportato la distruzione di un monastero (cfr. A. BARZAGHI, Il profilo storico della zona 15, in Pittura ambiente di Arnò: la zona 15, Comune di Milano, Consiglio di zona 15, Milano 1980. (21) Cfr. La provincia di Milano, p. XIV. delle deliberazioni che sarà per adottare il corpo sociale» (22) . Presto però tale somma si rivelò insufficiente e Binda ebbe bisogno prima di un altro mezzo milione, convertito in azioni, successivamente di un milione intero, versato a prestito. Inizialmente il gerente e tutto il personale lavoravano senza salario, «salvo gratificazione in fine d' ogni esercizio a giudizio assunti da questa» (23). Finalmente nel 1858 la Cartiera era divenuta realtà, circondata successivamente da case per gli operai e gli impiegati. L' opificio si presenta come un vasto complesso costituito da molti edifici, fra i quali si distinguono il lungo fabbricato prospiciente il Naviglio formato da un basso corpo di fabbrica con copertura a terrazza e facciata scandita da scomparti regolari in cui sono inquadrati archi ciechi e un altro lungo fabbricato parallelo al precedente di pianta rettangolare, a tre piani, ripartito in tre scomparti con grande orologio, destinato a laboratorio di sperimentazione (oggi destinato a magazzini e uffici), in soluzione di continuità sorgono la casa per impiegati con pianta ad «U» e la casa operaia a quattro piani (24) . Gli operai erano inizialmente abitanti del rione, dove era situato lo stabilimento, o della campagna circostante e cominciarono a dare corpo ad una nuova classe sociale. La maggioranza era perciò di provenienza contadina, anche se non mancavano artigiani già operanti nel campo; difficile fu quindi l'adattamento alla vita di fabbrica essendo abituati a scandire e a regolare il loro lavoro con il moto del sole e il suono delle campane e a interrompere a piacimento le loro fatiche per scambiare quattro chiacchiere: risultava perciò difficilmente sopportabile restare per tutto il giorno in un locale chiuso a ripetere meccanicamente lo stesso movimento sotto il rigido controllo di un capo squadra e la situazione era ancora più gravosa per le donne che non potevano associare il ritmo di lavoro al canto. Infatti secondo un articolo della Gazzetta Ufficiale di Milano del 1856, entrando nell' opificio di Ambrogio Binda (che si faceva chiamare «amorosissimo padre» dai suoi lavoratori che gli cantavano pure lunghi inni di lode che terminavano con le parole «Benedice 1' operaio chi gli dà pane e lavor»), si notava alcunché di curioso: «si rimane stupefatti alla vista di quelle femmine, le quali, fra lo stridore delle ruote, obbligate a starsene silenziose e immobili, col volto e colle vesti di polvere ond' è pregno l' ambiente, hanno sembianza di statue irrugginite, il moto regolativo delle loro mani sudicie offrendo il loro indizio di vita e di intelligenza» (25) . Comunque Binda cercò di andare incontro alle esigenze dei suoi operai, consapevole dei suoi diritti e doveri e animato da un forte spirito paternalistico, incarnando perfettamente la figura del borghese liberale che univa buon senso a influenze religiose, illuministiche, riformiste e rivoluzionarie. Egli fu operaio e quindi ne conosceva le esigenze, preferì cercare di prevenire la miseria invece di fare inconcludente beneficienza, istituì nei suoi stabilimenti premi per le spose, doni per le puerpere, soccorsi per gli inabili al lavoro, e ogni anno tramite lotterie ridistribuiva i proventi delle multe inflitte agli operai, aggiungendo spesso denaro dal proprio conto personale, o pagando medici e medicine per i più bisognosi (26) . Inoltre già nel 1869, intorno alla cartiera, era sorto un villaggio di circa mille abitanti comprendente la casa del medico, della levatrice,


(22) Cfr. Cartiere Ambrogio Binda, cit. (23) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, cit., p. XL. (24) Cfr. A. GARLANDINI e M. NEGRI, cit., p. 286. (25) Cfr. R. ROMANO, cit., p. 11. (26) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, cit., p. XXXI. una farmacia, una scuola, un forno per il pane, uno spaccio di vino e commestibili, che grazie a generose concessioni della ditta riusciva a vendere ottime derrate a prezzi decisamente inferiori rispetto a quelli degli altri negozi, e successivamente fu costruita su richiesta dei lavoratori, una chiesa. Ben presto la cartiera fu in grado di produrre 3.200 kg di carta al giorno, che corrispondeva circa a £ 2.000.000 all'anno. Grazie ai notevoli progressi della chimica fu possibile utilizzare al posto degli stracci il legno e altri materiali fibrosi e la carta nasceva ormai in un lungo, interminabile foglio dalla continua e veniva immediatamente bobinata. Questo e la continua richiesta di carta permisero a Binda di dedicarsi alla produzione di cartoni, di carte da stampa, da lettere, colorata, di buste, di carta per giornali, per le numerose edizioni dei Promessi Sposi del Don Lisander, per le ultime grida del governo austriaco. Gli affari crebbero in breve tempo e la Cartiera non risentì delle influenze negative delle crisi economiche del 1859-60 e del 1866; anzi, Binda ne approfittò per allargare i propri commerci e nel 1868 comprò una grandiosa cartiera a Vaprio d' Adda, inizialmente di proprietà del Conte don Carlo Paolo Monti Melzi, affittata nel XVIII secolo ad Antonio Maria Parisia e poi venduta alla ditta Maglia e Pigna (27) . L' acquisto di questa ulteriore cartiera sancì definitivamente il trionfo di Ambrogio Binda ufficialmente riconosciuto da premi ed onorificenze: nel 1855 ricevette la medaglia d argento all'Esposizione di Parigi, nel 1857 la Gran Medaglia d' oro a Vienna, nello stesso anno un' altra d'oro dall'Istituto di Scienze, Lettere ed Arti di Milano, nel 1861 la medaglia all' Esposizione Nazionale di Firenze, un' altra d' argento dall' Istituto di Scienze, Lettere ed Arti di Milano, nel 1862 fu premiato all' Esposizione Universale di Londra e nel 1867 a quella di Parigi ed infine nel 1871 all' Esposizione Industriale Italiana. Inoltre numerosi ed illustri furono i visitatori degli stabilimenti, tra i quali i principi della casa regnante Umberto ed Amedeo. Frattanto Binda fu nominato Consigliere della Camera di Commercio (sezione industria) due volte, un primo periodo dal 1858 al 1862, e successivamente dal 1867 al 1870, inoltre secondo M. Lessona e A. Caprari, sarebbe stato eletto nel 1867 consigliere comunale, ma ciò non risulta negli archivi; probabilmente non accettò la carica «non già per mancanza di civismo, ma perché si riteneva inadatto a coprirla per la scarsa sua preparazione scolastica» (28) . Niente sembrava poter oscurare lo splendore del successo di Binda, che si avvantaggiò della favorevole congiuntura del 1870, ma una terribile sciagura, a causa dello scoppio di una caldaia, si abbatté sull' azienda. Così infatti descrive 1' episodio un articolo di La Perseveranza del sabato 15 luglio 1871: «Alle ore 4 di ieri mattina sviluppavasi un enorme incendio nella Cartiera Binda, posta alla conca Fallata, fuori di Porta Ticinese. Alle 4 e 3/4, 25 pompieri con 8 macchine trovansi già sul luogo. Subito dopo vi giungevano pure 6 compagnie di linea e un battaglione di bersaglieri. Ad onta di tanti mezzi il fuoco propagavasi con incredibile rapidità. In meno di 6 ore 4000 mq di fabbricati venivano arsi fino al suolo. Tutte le macchine, molte delle quali di speciale importanza, furono distrutte, i magazzini grandi e piccoli, tutti gli ateliers scomparsi in mezzo ai vortici di fiamme gigantesche. I pompieri e le forze non poterono salvare, mediante isolamento che una piccola parte di quel colossale


(27) Ibidem, pp. XL-XLI. 28) Ibidem, p. XXXI. edificio, vale a dire la parte così detta nuova. E chi si reca sui tetti di questa parte, rimasta intatta, e guarda verso l' incendio, vede uno spettacolo di distruzione dei più orribili che possa immaginare. Il fuoco ieri sera non era ancora del tutto domato e credesi che anche per tutta la giornata d' oggi lavoreranno le pompe! Il pericolo di comunicazione era interamente tolto fino da ieri alle 11 antimeridiane. I danni si fanno ascendere a 2 milioni. Lo stabilimento, le macchine e anche la mercanzia erano assicurati. Nessuna disgrazia di persona. I pompieri meritano speciale menzione. Così pure la truppa e la moltissima gente accorsa. La sventura più grave è che per la mancanza di quell' opificio sono rimasti sul lastrico e privi affatto di lavoro più di 700 operai». Secondo il testo di A. Caprari l' incendio sarebbe scoppiato alle ore 3 antimeridiane del giorno 13 luglio 1871 e avrebbe provocato danni per un valore di 3 milioni, dei quali soltanto poco più di un milione era assicurato. Binda rimase sconvolto di fronte a quel desolante spettacolo di rovine fumanti, commentando «quattordici anni di fatiche spariti in un minuto», comunque «l' animo indomabile di lui nonsi lasciò abbattere da cotanto infortunio: - lo sconforto fu momentaneo» (29) , e infatti aprì con mille lire una colletta pubblica a favore degli operai, 500 uomini e 200 donne rimasti senza lavoro, promossa poi dall'Associazione Generale di Mutuo Soccorso di Milano e Corpi Santi, da privati ed enti, dalla Cassa di Risparmio e dalla Congregazione di Carità. Dal 21 agosto fu possibile assegnare ogni due settimane un sussidio di: I) L. 10 ad operai e manuali il cui stipendio giornaliero fosse stato non inferiore a L. 1,50; 11) L. 7,50 se inferiore; III) L. 5 alle operaie; IV) L. 2,50 ai ragazzi operai; V) L. 2 alle ragazze operaie. Per capire il valore di sussidi di circa 71, 53, 35, 18 e 14 centesimi al giorno bisogna ricordare che nel 1871 per un sesin (moneta da due centesimi) era possibile comprare dal salumiere un cartoccio di repubblica (avanzaticci) e dal rosticcere una fetta di polenta. I contributi arrivarono copiosi fino a tutto settembre e il comunicato ufficiale assicurava che le somme sarebbero state sufficienti per almeno quindici mesi. In breve tempo la fabbrica venne ricostruita, anche grazie all'intervento dei figli e del direttore Francesco Coglia, che ideò e fece eseguire i disegni di ricostruzione. La cartiera ospitava turbine, ruote idrauliche, macchine a vapore, cilindri per la preparazione della pasta, macchine continue, caldaie a vapore e numerose macchine d'allestimento come lisse, calandre, lisciatici e spazzolatrici di cartoni (39). La cartiera Binda, prima in Italia, cominciò la fabbricazione della carta gelatinata mediante una macchina speciale a corrente d'acqua calda, secondo il sistema inglese. La fabbrica, ove lavoravano 700 operai: 500 donne e 200 uomini, in breve tempo tornò ad essere competitiva tale da permettere un fatturato annuo di due milioni con una produzione giornaliera di 3200 km, ossia 7000 kg, di carta (31). Comunque l' incendio rappresentò un colpo durissimo per Ambrogio Binda ed ebbe


(29) Cfr. A. CAPRARI, cit., p. 112. (30) Cfr. A. GARLANDINI e M. NEGRI, cit., p. 287. (31) Ivi. Cfr. anche Cartiere Ambrogio Binda, cit. 33 gravi ripercussioni sulla sua salute. Infatti, a soli 63 anni, il 3 aprile 1874, una morte repentina prostrò «il provato eroe del lavoro» (32). Tutta la città partecipò con sincero dolore e numerosi furono quelli che gli recarono 1' ultimo saluto nella cappella ardente; da lì il 12 aprile 1874 partì la processione funebre, a cui, nonostante una pioggia copiosa parteciparono tre bande musicali, numerosissimi rappresentanti di dieci Società operaie, di orfanotrofi, di collegi, di altri istituti, il Sindaco e i principali magistrati della città. Il carro mortuario di gran gala a quattro cavalli, su cui erano deposte cinque corone, tre di fiori, una di lauro e 1' altra d'argento e d' oro di pregio artistico e di gran valore, giunse alla chiesa di Santa Maria al Paradiso già completamente stipata di milanesi. Non cessò di piovere mai, ma la folla non si diradò, anzi con un lungo giro, da Porta Romana per Piazza del Duomo e Piazza della Scala, attraversò tutta la città fino al Cimitero Monumentale, per speciale concessione (Elle autorità che avevano provveduto anche a sbarrare le vie laterali d accesso (33) Secondo 1' «Illustrazione Universale» del 21 aprile 1874 «dopo quello di Manzoni non si era visto funerale seguito da tale stuolo di persone d' ogni classe e da tante associazioni d'operai». Tale manifestazione spontanea fu segno di grande dolore, stima, affetto e ammirazione per un uomo modesto, ma di grandi doti imprenditoriali. La cartiera «rimane ancora, dopo di lui, monumento glorioso dell' industria italiana» (34) . III. Dalla morte di Ambrogio Binda alla vigilia della seconda guerra mondiale. L' opificio passò in mano al figlio Carlo e successivamente ai figli, Ambrogio e Cesare. Lo sviluppo della Binda continuò, però, rapido e graduale fino alla prima guerra mondiale che stroncò l' esportazione, canale fondamentale per le vendite, mentre le svalutazioni deprezzarono le valute straniere e sconvolsero le dogane; inoltre gli avvenimenti bellici interruppero 1' afflusso di materie prime, come legname e cellulosa, dall' estero e fecero salire i prezzi, «cui s' aggiunsero per 1' Italia 1' assedio economico e 1' intensificato sforzo per 1' assurda autarchia» (35). La concorrenza straniera venne favorita e s' impadronì dei mercati duramente conquistati in oltre mezzo secolo di lavoro e di sacrifici della Binda come l' India, 1' Egitto, il Brasile, l'Argentina, né valsero nuovi sforzi e nuovi sacrifici, continuati intensamente per oltre un quinquennio e non cessati del tutto dopo, a riconquistarli. Il conseguente rincaro della carta ne comprimeva il pur crescente consumo, o almeno, la domanda, e la ditta doveva ingaggiare una lotta sempre più serrata contro lo sfasamento fra i prezzi di vendita tendenti al ribasso e l' aumento, sia dei costi delle materie prime, della produzione, e dei trasporti e sia delle spese generali e fiscali. La Binda, che intanto aveva nel 1918 cambiato la struttura originaria di accomandita in quella di anonima, riuscì a imbrigliare e superare la crisi, secondo la propria tradizione, con 1' assiduo perfezionamento tecnico e commerciale, con il prodotto di qualità avente un prezzo oltremodo vantaggioso e con la puntualità delle forniture.


(32) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, cit., p. XLIII. (33) Cfr. A. CAPRARI, cit., pp. 21-24. (34) Ibidem, p. 113. (35) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, cit., p. XLIV. La ripresa permise di incorporare nel 1920 una terza cartiera, lo stabilimento di Crusinallo che fu rimessa in piena efficienza, specialmente per la produzione delle carte patinate (36) Si aumentò 1' utilizzo della cellulosa, di paste chimiche e anche di additivi sintetici. Il progresso tecnologico permise l'impiego di macchine più perfezionate: raffinatori azionati da motori elettrici, patinatrici, macchine continue con dispositivi tecnici, taglierine elettriche ed apparecchiature elettromeccaniche, per la regolazione d' umidità e spessore del foglio. Lo stabilimento di Conca Fallata fu dotato di una stazione interna per permettere lo smaltimento dei prodotti ultimati con carri ferroviari; inoltre la società Binda possedeva numerosi depositi in grandi centri urbani come Roma, Messina, Padova, Firenze per agevolare la distribuzione commerciale. Diretta conseguenza di questo sviluppo fu il miglioramento della condizione operaia anche grazie alla semiautomazione: 1' orario lavorativo fu ridotto da 12 a 8 ore, si costruirono nuovi caseggiati, una struttura per gli interventi d' emergenza dei pompieri e apparati anti infortunistici, inoltre fu aperto un laboratorio per i controlli di qualità e per la ricerca di nuovi prodotti, che offrì nuovi posti di lavoro per gli operai che cominciarono a dare vita alle prime organizzazione sindacali, strutturare come commissioni interne. IV. Il secondo dopoguerra. Mentre sembrava che tutto potesse procedere verso il meglio, una nuova guerra sconvolse il mondo e dure furono le conseguenze per le cartiere Binda non essendo aziende per la produzione bellica. Infatti furono ridotte d' autorità le ore di lavoro, limitata la produzione al 40% di quella normale, due stabilimenti furono costretti a chiudere, e i loro macchinari furono trasportati in cantina onde proteggerli da eventuali bombardamenti; l' attività fu quindi concentrata nella fabbrica di Vaprio d' Adda e venne ridotto il personale, anche se gli amministratori cercarono di sostenere economicamente le famiglie degli operai partiti in guerra. Inoltre il Consiglio d'Amministrazione fu sciolto e sostituito da un Commissario Ministeriale, venne fissato il dividendo massimo, senza ovviamente garantire quello minimo, furono imposti ampi licenziamenti, che però la ditta cercò di conservare in forza, sebbene improduttivi, riuscendo anche ad eludere gli arruolamenti per la Germania e le taglie imposte da interessati gerarchi italiani e tedeschi (37). Non poche furono le difficoltà che dovette fronteggiare il giovane consigliere delegato Sandro Cirla, pronipote di Ambrogio, essendo figlio del defunto Presidente Edoardo Cirla e delle signora Rachele, unica superstite dei figli di Carlo Binda, la quale collaborò nel Consiglio d'Amministrazione. Fortunatamente la Binda uscì dal conflitto quasi intatta • anche se non fu facile superare il duro dopoguerra e contrastare «la sempre più aspra concorrenza straniera facilitata dalla zoppicante liberalizzazione (38). Nonostante 1' esportazione si fosse ridotta a scarsi quantitativi di carte speciali e


(36) Cfr. Cartiere Ambrogio Binda, cit. (37) Cfr. F. RAVIZZA e M. LESSONA, cit., pp. XLV-XLVI. (38) Ibidem, p. XLVI. sempre più sfavorevole diventasse il suo rapporto con le importazioni, la ricostruzione fu agevolata dall' aumento del fabbisogno nazionale di carta (12,5 kg per abitante nel 1952, 15 kg nel 1953, 16 kg nel 1954), anche se rimase un quinto di quello inglese e un ottavo di quello svedese. La ditta rispose alla crisi secondo la propria illustre tradizione e infatti furono inaugurati un ufficio studi e un laboratorio rispondente ai più moderni requisiti scientifici, istituiti nuovi depositi in varie parti d' Italia per poter più celermente rispondere alle esigenze della clientela. Gli attuali magazzini sono di solito sviluppati in altezza, che si utilizza completamente grazie all' ausilio di gru di impilaggio telescopico, tali da permettere il prelievo della merce palettizzata dagli scaffali per poi depositarla sui pianali degli automezzi di spedizione. Il magazzino centrale dei prodotti finiti e di spedizione di Milano, adibito alle sole carte stese, ha una capacità ricettiva di 3000 tonn. su una superficie di circa 3500 mq, mentre i vari magazzini per le carte in rotoli, e anche essi relativi al solo stabilimento di Milano, hanno una capacità complessiva di 3000 tonn. su una superficie totale di circa 5000 mq; per caricare i rotoli sugli automezzi di spedizione si utilizzano pedane elevatrici idrauliche della portata di 40 tonn. (39) . La registrazione del movimento delle carte sia nel magazzino centrale di Milano sia nei depositi è compito del Centro Meccanografico, e più precisamente dell' elaboratore IBM/360/30. Intanto il capitale sociale è salito con gli opportuni adeguamenti, da un milione a 750 milioni. Giustamente si può leggere sulla relazione presentata dal consiglio d'amministrazione all' assemblea generale del 1955, dopo un secolo di attività, che la Cartiera A. Binda ha raggiunto un posto di primaria importanza nell'industria cartaria italiana «mantenendo fede nelle più diverse contingenze della lunga vita all'ispirazione del suo fondatore, ispirazione oculata e costante nel perseguire il perfezionamento tecnico, l'espansione dell' attività e la conquista del mercato affidata alla bontà del prodotto e alla cura dei rapporti di fiducia con la clientela». Successivamente sono stati migliorati i macchinari; impiegati nuovi raffinatori a dischi per idratare l' impasto più moderni di quelli conici che posti in testa alla continua raccorciano le fibre dell' impasto se necessario; sono stati introdotti calcolatori e depuratori per le acque reflue. Conseguentemente è cambiato il ruolo dell' operaio, a cui è richiesto principalmente un compito di controllo del lavoro delle macchine, di azionamento di queste e di attività sui calcolatori (40) . Anche 1' ambiente di lavoro si è evoluto nel tempo: sono state introdotte infatti cabine insonorizzate per la riduzione dell'inquinamento acustico. Nel complesso, lo stabilimento ha assunto la configurazione attuale che è costituita da 4 componenti essenziali: l'energia, i centri forestali, i laboratori e i relativi reparti e la componente operaia. a) L' energia. La cartiera è alimentata da una centrale termoelettrica, la cui acqua di alimentazione è trattata in un impianto di demineralizzazione. Il vapore prodotto è sfruttato da una turbina a derivazione e condensazione, della TOSI, da 5000 kw, accoppiata ad un alternatore AEG che produce energia elettrica a media tensione e che fa capo ad un quadro generale di distribuzione dotato di un doppio sistema di sbarre. I vari gruppi di utenze dello stabilimento sono normalmente allacciati alla sbarra che riceve 1' energia dall' alternatore


(39) Cfr. Cartiere Ambrogio Binda, cit. (40) Intervista al sig. Nereo Fabbri, tecnico della cartiera. mentre sull' altra sbarra è disponibile la potenza di soccorso dalla rete esterna da utilizzare in caso di guasto. Inoltre 1' opificio possiede circa 8 pozzi (41) . b) I centri forestali. La cellulosa è ormai la materia prima principale e arriva, altamente selezionata, per la maggior parte dall' estero, Canada, sottoforma di fogli strettamente impaccati in balle. Per cercare di diminuire la propria dipendenza dai mercati esteri sono stati acquistati dei centri forestali: 7 di pioppi con una superficie complessiva di circa 1400 ha nella pianura padana; 4 di conifere a rapido accrescimento, con una superficie totale di circa 1500 ha, di cui 3 si trovano sull'Appennino Tosco-Emiliano e uno nelle Prealpi Varesine. I Centri Forestali sono a conduzione diretta e quindi le varie operazioni colturali vengono eseguite col personale dipendente e con le attrezzature Binda, comprendenti trattori a ruote e a cingoli da 60/90 HP, motoseghe e decespugliatori, motocoltivatori e motozappe, nebulizzatori e irroratori per trattamenti antiparassitari, rimorchi e carri-botte, aratri, erpici a dischi e fresatrici, apparecchiature trivellanti, impianti per 1' irrigazione a pioggia dei vivai di conifere. Le piantagioni, la cui messa a dimora ha avuto inizio nel 1959, coprono attualmente una superficie di circa 2.500 ha di cui 1.300 a pioppeto specializzato con un totale di circa 350.000 pioppi e 1.200 a conifere a rapida crescita con un totale di circa 2.000.000 di piantine. La maggior parte delle pioppelle e tutte le piantine di conifere collocate a dimora sono prodotte nei vivai delle Cartiere Binda che si estendono su una superficie di circa 30 ha di cui 20 ha per pioppi con circa 100.000 pioppi di uno e due anni a 10 ha per conifere con circa 1.500.000 piantine tra semenziali e trapianti di età variabile tra uno e cinque anni (42). c) Laboratori e reparti. Dopo la morte del Comm. Sandro Cirla, il Laboratorio Ricerche, da lui voluto nel 1950 per sostituire un laboratorio semplicemente di controllo, gli è stato intitolato. Il continuo e costante sviluppo delle ricerche ha portato all' introduzione di lavorazioni speciali e al perfezionamento dei tipi di carta esistenti. Gli impianti e le attrezzature sono i migliori in commercio nei campi della raffinazione, preparazione fogli, impregnazione, spalmatura, patinatura, pressatura, accoppiamento; sono posti in atmosfera condizionata e permettono la verifica costante delle rispondenze delle caratteristiche delle carte. Per la documentazione e lo studio dei vari procedimenti di stampa si utilizza un'attrezzata camera oscura mentre un Laboratorio Analisi, fornito di moderni spettrofotometri, e un Laboratorio Microbiologico, si occupano dei problemi analitici e dei controlli speciali in collaborazione con i settori di produzione. Alla Sezione Semindustriale vengono collaudate le carte in sviluppo o provenienti dalle prove di macchina prima di passare in produzione; tale sezione comprende: macchine di rilavorazione su rotoli da 30 cm a 100 cm, quali patinatrice, spalmatrice, accoppiatrice, ceratrice, ribobinatrice, taglierina rotativa e calandra. I ricercatori e specialisti si avvalgono del supporto di una ricca biblioteca. Inoltre dal Laboratorio Ricerche dipendono anche i tre laboratori di stabilimento, che con turni ininterrotti tengono sottocontrollo le produzioni dei tre opifici, di Conca Fallata, di Vaprio d' Adda e di Crusinallo, ed elaborano, mediante tecniche statistiche, tabelle di controllo della qualità. La Cartiera è fornita di una sala Prova Stampa che giudica dal punto di vista pratico l' interazione carta-inchiostro e il comportamento della carta durante i processi di stampa


(41) Cfr. Cartiere Ambrogio Binda, cit. (42) Ibidem. grazie all' utilizzo di macchine tipografiche, offset e rotocalco e apparecchi per il controllo degli inchiostri da stampa. Il laboratorio di Fabbrica ha essenzialmente funzione di controllo e provvede a esaminare in ambiente rigorosamente condizionato le materie prime e verifica a turni continui che le caratteristiche della carte in fabbricazione e in rilavorazione corrispondano alle specifiche fissate. Ovviamente nella cartiera opera un' efficiente officina manutenzione, dove tecnici esperti e operai altamente specializzati, disponendo delle più moderne attrezzature, provvedono a risolvere con rapidità e iniziativa qualsiasi lavoro di manutenzione e di montaggio (43). d) I dipendenti. Nel 1964, quando la Cartiera era dotata di due macchine per la produzione della carta, di un reparto da stampa e della conseguente organizzazione dei servizi, i circa 300 dipendenti erano rappresentati dalla Commissione Interna composto secondo l' Accordo Interconfederale da quattro rappresentanti eletti in proporzione al numero totale di dipendenti. Nonostante le migliorie apportate, non era sufficiente la salvaguardia della salute dei lavoratori e altissimo era il numero di infortuni in cui rimaneva coinvolto ogni anno il 50% dei dipendenti «ogni due anni poco o tanto si facevano male tutti» (44) , precarie erano anche le condizioni igieniche, non era disponibile 1' acqua calda e spesso gli spogliatoi erano allagati. Nonostante ciò e nonostante che alcune cartiere milanesi come le Burgo, Verona, Vasa, Saffa, fossero più sindacalizzate e attive, fino agli anni '60 non ci sono testimonianze di scioperi che vedessero in piazza tutti i dipendenti, tra cui oltre i contadini di Milano Sud si cominciarono ad annoverare i primi emigranti meridionali. Le ore di lavoro erano formalmente 48, ma lo straordinario era pratica abituale e per tutti la giornata lavorativa constava di 12 ore, 6 giorni su 6 e spesso 7 giorni su 7. L' evoluzione avvenne in pochi anni grazie alla maggiore organizzazione sindacale e all' assunzione di nuove leve: si ingaggiarono le prime lotte contrattuali e si videro i primi scioperi a carattere politico mentre si dovette ancora aspettare per la formazione di un movimento in difesa della salute e per il miglioramento degli ambienti di lavoro. Infatti il primo sciopero, avvenuto circa nel 1967, vide protagonisti sei giovani neoassunti, «gente nuova più combattiva» (45) , a cui venne chiesto di lavorare anche la domenica, per ragioni di pulizia, nel reparto di elaborazioni grafiche che tradizionalmente non aveva mai fatto giorni di straordinario. I quattro rappresentanti della Commissione Interna proposero loro di rifiutare e perciò furono presi provvedimenti disciplinari, tre giorni di sospensione, per le dieci persone coinvolte. Con 1' opera persuasiva di alcuni ciclostilati alle 2 del pomeriggio furono bloccati davanti al portone tutti i lavoratori che diedero vita al primo sciopero capace di coinvolgere tutti i dipendenti Binda. Fu chiaro che 1' unico incentivo per mobilitare i lavoratori era quello economico, infatti la scintilla che innescò i successivi scioperi fu la rivendicazione da parte di ogni reparto di essere riconosciuti come categorie speciali, a cui spettava uno stipendio maggiore. La ditta, essendo un' azienda florida per cui ogni sospensione lavorativa rappresentava una considerevole perdita economica, fu costretta a capitolare. Comunque «il '68 è volato via nel senso che proprio politicamente qui non è stato


(43) Ibidem. (44) Intervista al sig. Villa, operaio della cartiera. (45) Ibidem. sentito» (46). Il movimento politico ha coinvolto la Binda negli anni 1969-70-71 fomentato da gruppi di giovani extraparlamentari, cani sciolti, cioè neolaureati che avendo possibilità economiche si interessavano di politica e della condizione operaia portando per la prima volta in Italia a un accordo sui consigli di fabbrica (47). Nel 1970 venne istituita la mensa interna per i lavoratori e nel 1972 si segnalano purtroppo due morti sul lavoro. Gli operai iscritti nei sindacati sono attualmente il 40% circa dei 320 dipendenti, un' ottantina per la CGIL, circa 50 per la CISL, mentre pochi sono gli iscritti della UIL, anche se sembra che questa negli anni passati avesse una rappresentanza maggiore. Le ore settimanali sono state ulteriormente ridotte a 37 e sono state introdotte la pratica dei premi di produzione e le commissioni ambientali, composte da diversi operai che raccolgono lamentele e suggerimenti di tutti i dipendenti che arrivano poi sui tavoli dei dirigenti per essere discusse e/o realizzate. Dal 1984 al 1985 il gruppo è stato di proprietà dei De Medici che lo hanno poi venduto nel 1989 al «padrone-datore di lavoro» (48) Flavio Sottrici di Busto Arsizio (Varese). Successivamente il gruppo è cresciuto per acquisizioni (del 1990 quella delle attività cartarie ex-Mondadori, le cartiere di Ascoli e Monsoni di Treviso) e per investimenti industriali che hanno reso gli stabilimenti Sottrici tra i migliori in Europa per tecnologie e produttività (49) . Nel 1992 il consiglio di amministrazione, in base alla delega ricevuta in giugno dall' assemblea ad aumentare il capitale fino a 330 miliardi, ha deliberato di dare esecuzione a una tranche da 82,5 miliardi che avrebbe portato il capitale della società a 247,5 miliardi, come si legge in un comunicato, nel quale si precisa che 1' operazione avrebbe preso il via il 16 novembre e si sarebbe conclusa il 15 dicembre; 1' aumento sarebbe avvenuto mediante emissione di 82.524.392 azioni ordinarie di 1000 lire nominali al prezzo effettivo di 1000 lire (8°) . Nonostante ciò entro il 10 novembre '92 le azioni mostrano una caduta secca: - 13,64% dopo un aumento progressivo che aveva rivalutato il titolo in borsa del 70% circa. «Il gruppo - nessuno ne fa mistero - deve far cassa perché l' indebitamento è pesante, il costo M denaro è rinomato e il mercato della carta, ahimè, è tutt' altro che favorevole. Così Flavio Sottrici sta trattando la cessione di uno dei suoi fiori all'occhiello, la Sottrici Distribuzioni, la rete commerdale che egli aveva creato negli ultimi anni I tavoli di negoziato sono più d uno, tuttavia si fa il nome del gruppo franco-inglese Arjo Wiggins» (8') . La situazione è seria, aggravata dall' altalena della lira, e il gruppo si può basare solo sulle spalle di «un industriale coraggioso come Flavio Sottrici e non gruppi finanziari potenti come Gemina e Mediobanca, azionisti di riferimento della Burgo. Il gruppo Binda-Sottrici ha investito molto e molto si è indebitato. Ora ha 569 miliardi di debiti e 208 miliardi di mezzi propri per un fatturato di 940 miliardi e ha chiesto aiuto ad alcune banche d' affari per trovare nuovi soci» (52). Il 23 gennaio 1993 Flavio Sottrici dichiara al «Corriere della Sera» che i problemi


(46) Ibidem. (47) Ibidem. (48) Intervista alla sig.ra Silvana Grassi, impiegata della cartiera ed esponente del consiglio di fabbrica. (49) Cfr. «Il Giorno», 10 novembre 1992. (50) Cfr. «Il Sole-24 Ore», 30 ottobre 1992. (51) Cfr. «Il Giorno», 10 novembre 1992. (52) Cfr. «L'Espresso», 15 novembre 1992, p. 34. che assillano il suo gruppo cartario sono una crisi di crescita (ma il bilancio per il secondo anno consecutivo si è chiuso in rosso e il passivo va ben oltre i 16 miliardi persi nel 1991) e comunque reputa passato il periodo peggiore vedendo il mercato in leggera ripresa. Il gruppo è controllato dalla Safinvest, la holding della famiglia Sottrici, con una quota superiore al 75%, parte con mezzi propri e parte con finanziamenti bancari (nella Safinvest la Cir di De Benedetti è presente con poco più del 14%). Il 3 febbraio 1993 le banche Credito Italiano (Credit), Banco di Roma, Cariplo e Commerciale Italiana (Comit), hanno concesso un finanziamento di 25 miliardi nonostante i 600 miliardi di debiti. Dal Il Sole 24 ore del 6 febbraio '93 si legge che le azioni delle Cartiere Sottrici-Binda dalla Consob sono state sospese dalle contrattazioni al circuito telematico «per andamento anomalo del titolo» e «in attesa di comunicazione da parte della società»; ma Flavio Sottrici ha dichiarato che «non ci sono fatti degni di notizia». Comunque il 5 febbraio le azioni sono salite del 7,8% e gli scambi sono triplicati. Solo 1' 8 marzo '93 la Consob ha disposto la riammissione in Borsa delle azioni, mentre è stato proposto dallo studio Borghesi-Vitale & C. il piano di salvataggio del gruppo schiacciato da più di mille miliardi di debiti di fronte ad un giro d' affari di circa 700. Il progetto prevede 1' uscita di scena della famiglia Sottrici, il consolidamento di una parte dei debiti e la trasformazione per un' altra parte in capitale di rischio, l' arrivo di un nuovo management guidato da Franco Tatò, amministratore delegato di Mondadori, e Carlo Peretti, numero uno della Bull Italia. Il piano contempla in via preliminare la fuoriuscita di Flavio Sottrici, che dovrebbe cedere la partecipazione della Safinvest (1' 85%) al prezzo simbolico di 1 lira. Le banche dovrebbero poi approvare il consolidamento di 400 miliardi di debiti e un doppio intervento sul capitale, attraverso la trasformazione di 300 miliardi di crediti in azioni e di altri 100 in prestito obbligazionario. Il gruppo dovrebbe poi avere cessioni per altri 200 miliardi. Attraverso queste misure, il piano prevede che i conti del gruppo possano ritornare in attivo entro 2/3 anni, mentre per 1' indebitamento è prevista in 12 mesi una riduzione a 300 miliardi (53) . Dopo un mese intenso di contrattazioni il 19 aprile '93 1' asse Tatò-Peretti, sul quale poggiano le «chance» di sopravvivenza della Sottrici-Binda, si è insediato al vertice del gruppo cartario. L' ultima parola spettava al consiglio della Safinvest, che ha nominato Carlo Peretti amministratore delegato (già titolare del medesimo incarico nella Sottrici) e ha cooptato al suo interno Franco Tatò. La situazione attuale per i lavoratori comunque è molto critica poiché le banche subentrate sono decise in realtà a chiudere la produttiva cartiera licenziando 320 dipendenti, per poter recuperare i crediti senza avere un interesse oggettivo per un eventuale risanamento aziendale. Già il marchio delle particolari e famose carte chimiche autocopianti Biplura è stato affittato - o meglio venduto - per 30 miliardi al gruppo franco-inglese Arjo Wiggins. La Binda sembra vittima di una speculazione economica che mira a vendere con enorme profitto il terreno su cui sorge, un' area urbana vicino alla metropolitana e al Centro Congresso Assago e perciò di altissimo valore commerciale. Deve essere questa la fine della Cartiera Binda dopo 139 anni di lavoro, sacrifici e successi?


(53) Cfr. «Corriere della Sera», 7 marzo 1993. III LA STRUTTURA PRODUTTIVA DELLA CARTIERA, IN PASSATO E OGGI. di Silvia Borini, Stefania Gervasini e Claudia Melzi I. Premessa. Il nostro gruppo si propone di delineare la struttura produttiva attuale della Cartiera Binda. Per fare questo è necessario però ripercorrere brevemente la storia della carta dalle origini ad oggi e ricostruire con sufficiente chiarezza tutti i processi attraverso i quali essa viene prodotta. Inoltre un inquadramento generale sull' industria della carta nel mondo e in Italia ci sarà utile per comprendere meglio come 1' unità produttiva di Conca Fallata si è finora inserita nel mercato nazionale e internazionale. Saremo a questo punto in grado di capire ed analizzare con maggiore cognizione la specializzazione produttiva e la struttura della Cartiera Binda, non solo per quanto concerne il presente (fatta salva la crisi in atto), ma anche per quanto riguarda le varie fasi di sviluppo succedutesi fino ad ora. II. La carta e la sua fabbricazione. 1. Cenni storici. I popoli dell' antichità non conoscevano la carta e si servivano di prodotti vegetali variamente elaborati: gli Egizi, gli Ebrei, i Babilonesi usavano ricavare dei fogli da una canna palustre, il papiro; i Romani oltre al papiro egiziano usavano anche piante quali 1' acero, il platano, il tiglio. L' idea di formare un foglio flessibile e levigato con la semplice feltratura di fibre vegetali appartiene ai Cinesi, che già conoscevano la carta ricavata da una fibra animale, la seta. La carta nacque dunque in Cina intorno al 100 d.C. e precisamente nel 105 d.C. ad opera di un ministro cinese di nome Ts'ai Lun. «Sembra per altro che tale invenzione abbia preso le mosse da un episodio la cui veridicità può essere appoggiata da ragioni scientifiche accertate solo recentemente. Ts'ai Lun si trovava sulla riva di uno stagno accanto ad una lavandaia che stava sciacquando nell'acqua alcuni panni piuttosto logori. I panni, mal soffrendo 1' azione di strofinio e di battitura, si sfilacciavano e le fibrille galleggianti sull' acqua andavano a riunirsi in una piccola insenatura ai piedi di Ts'ai Lun. Sul pelo dell' acqua si formò, dopo qualche tempo, un velo di fibrille ben feltrate che Ts'ai Lun osservò, raccolse con delicatezza e pose a seccare sulla erba. Il foglio secco e avente una certa consistenza, bianco, morbido, diede a Ts'ai Lun la grande idea. Quel foglio poteva ricevere la scrittura. La sua qualità di ministro gli giovò certamente per realizzare quell' idea, ma purtroppo non ci sono noti i particolari delle prime lavorazioni tenuti in gran segreto» (I), finché il metodo di fabbricazione raggiunse, verso 1' VIII secolo, il Giappone, da cui iniziò a diffondersi verso


(I) Cfr. G. BOTTO-MICCA e E. GRANDIS, Carta, estratto da Enciclopedia della Stampa, S.E.I., Torino 1969, pag. 4. Occidente, in particolare ad opera dei commercianti Arabi. Intorno al Mille la carta cominciò ad essere prodotta in Egitto e tra il Millecento e il Milleduecento venne conosciuta in Europa attraverso i mercanti delle città marinare dell'Italia e della Spagna. Il documento più antico esistente in Italia sulla fabbricazione della carta si trova a Fabriano e si riferisce ad una fabbricazione avvenuta nel 1283. I maestri fabrianesi realizzarono inoltre la prima collatura della carta con colla animale ed inventarono la filigrana e le cosiddette «pile a maglio» (vasche meccaniche usate per la raffinazione dell' impasto fibroso), prima macchina impiegata nella fabbricazione della carta, sostituita nel 1500 dalle vasche olandesi sfilacciatrici e raffinatrici. Nel 1799 il francese Nicolas Louis Robert ideò la prima macchina continua capace di produrre un foglio continuo di carta della larghezza di 60 cm. La formazione del foglio avveniva su di una tela senza fine della lunghezza di qualche metro, prototipo della tela di macchina delle attuali continue a tavola piana. Importante, fra il 1820 ed il 1825, il cambiamento nell' uso di materie prime: le fibre cellulosiche di diretta origine vegetale sostituiscono i cenci. Da questo momento in poi le invenzioni si susseguono numerose, accelerando così il progresso nella fabbricazione della carta. Proprio su tale processo puntiamo ora la nostra attenzione. 2. Descrizione sommaria del processo produttivo della carta. L' Enciclopedia italiana definisce la carta come «un foglio o nastro di superficie piana, di diverso spessore, costituita da minutissime fibre, disposte irregolarmente 1' una rispetto all' altra, addossantesi e feltrantesi fra di loro». La feltrazione è fondamentale per la formazione del foglio di carta, perché permette che tra i fasci di molecole delle fibre cellulosiche si formino, una volta che si sia eliminata 1' acqua che esiste tra fibra e fibra, dei legami di natura chimico-fisica. Le materie prime utilizzate nel processo cartario sono molteplici. Fino al secolo scorso per la preparazione dell' impasto fibroso si usavano soprattutto stracci di cotone, lino e canapa. Queste materie prime sono oggi impiegate soltanto per fabbricare i tipi più fini di carta, mentre per la produzione corrente vengono utilizzate soprattutto le fibre di materiali legnosi. Le paste di legno si preparano secondo tre diversi procedimenti dai quali prendono nome: MECCANICO, CHIMICO, SEMICHIMICO: a) le paste meccaniche di legno si ottengono suddividendo finemente il legno per mezzo di sfibratori o di raffinatori a dischi; b) le paste chimiche «sono prodotte a partire dal legno, trattato con reattivi che portano in soluzione la maggior parte della lignina, ma lasciano quasi intatta la cellulosa, che viene recuperata sotto forma di fibre, morfologicamente uguali a quelle preesistenti nel legno. Il trattamento avviene in autoclavi (bollitori) sotto pressione di vapore ed a temperatura di circa 170°C» (2) ; c) le paste semichimiche si ottengono trattando il legno con reattivi che eliminano solo una parte di lignina. Dopo questa operazione i minuzzoli si presentano ancora interi e per separare le fibre è necessario disintegrarli in raffinatori a dischi. La resa di queste paste rispetto al legno è molto maggiore di quella delle paste chimiche. Un posto importante nell' industria cartaria è inoltre rappresentato dalla carta h


(2) Voce «Carta» in Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Torino 1986, pag. 353. macero che, dopo essere stata spappolata, viene sottoposta a trattamenti che eliminano 1' inchiostro e le impurità grossolane, ottenendo così fibre di recupero impiegate in numerosi tipi di carta. A queste materie fondamentali vengono poi aggiunte alcune sostanze dette ausiliarie, che sono: - I COLLANTI: sostanze aggiunte alla pasta in piccole quantità per conferire alla carta determinati gradi di resistenza ed impermeabilità; - LE MATERIE DI CARICA: polveri insolubili in acqua generalmente molto bianche (caolino, talco), usate soprattutto nella carta da stampa e da scrivere, perché rendono la carta più bianca, più opaca e più recettiva per l' inchiostro da stampa; - I COLORANTI: sostanze capaci di fissarsi stabilmente e di colorare un determinato supporto in virtù di particolari reazioni chimiche che intervengono tra il supporto stesso ed il materiale colorante. Non dobbiamo infine dimenticare le materie prime «a totale perdita di peso»: l' acqua e l' energia, entrambe utilizzate in quantità non indifferenti. A questo punto, dopo aver accennato ai tipi di sostanze ed alle materie prime utilizzate principalmente nella produzione della carta, possiamo vedere più in. generale 1' intero processo che porta alla sua fabbricazione. «Esso può essere suddiviso in quattro parti successive: - LA SPAPPOLATURA, che si ottiene mediante spappolatori idrodinamici ed ha lo scopo di suddividere, sospendendole in soluzione acquosa, le varie sostanze fibrose; - LA RAFFINAZIONE, eseguita meccanicamente da macchine che comprimono e tagliano le fibre immerse sempre in acqua; - LA PREPARAZIONE DELL' IMPASTO, fase durante la quale le sostanze fibrose, a cui possono essere aggiunte le varie cariche ed i materiali collanti e coloranti, vengono impastate secondo le qualità e le dosi corrispondenti al tipo di carta che si vuole produrre; - LA FORMAZIONE DEL FOGLIO, operazione per la quale vengono impiegate macchine costruite secondo il principio della macchina continua di L. Robert; queste macchine trasformano l' impasto fibroso in un nastro continuo» (3) . L'utilizzo della macchina continua in quest'ultima fase del processo, è fondamentale e pertanto è necessario spiegare brevemente il funzionamento di tale macchina, servendoci anche di uno schema esplicativo che visualizzi l' intero processo di fabbricazione (v. grafia)). «L' impasto, ottenuto nella terza fase, attraverso la cassa d' afflusso, viene distribuito su una tela metallica continua e scorrevole in senso orizzontale, sulla quale la carta assume già aspetto di foglio, liberandosi nel frattempo dell' acqua che sgocciola attraverso la tela metallica stessa. Sopra di questa è posto un cilindro scorrevole (ballerino) che ha la funzione di rendere uniforme, allo spessore voluto, il nastro cartaceo. Quest' ultimo scorre quindi attraverso una serie di presse costituite da due cilindri sovrapposti che comprimono la carta contro un anello di lana, che ne assorbe 1' umidità residua, così da consentire il distacco del nastro dalla tela meccanica. Il nastro passa quindi in una batteria di cilindri essiccatori, che hanno diversa temperatura in modo da consentire al foglio di uscire freddo: dopo la collatura ed una prima lisciatura, il nastro viene arrotolato su rulli (bobine)» (4) . L' intero processo viene condotto mediante 1' aiuto di un gran numero di strumenti automatici di regolazione e di registrazione, comandati da sensori di grammatura, umidità,


(3) Voce «Carta» in Enciclopedia Scientifica Tecnica Garzanti, Milano 1969, pag. 335. (4) Ibidem. [Immagine: schema di fabbricazione pasta di legno] spessore, colore, opacità, ecc. istallati direttamente in macchina. Il funzionamento di questi strumenti è coordinato e controllato da calcolatori che consentono di ridurre al minimo 1' intervento umano nella condotta delle macchine. Le macchine continue moderne permettono di raggiungere velocità di produzione di 700/800 metri al minuto nelle macchine per carta da giornale e di oltre 1000 metri al minuto nelle macchine per carte speciali. E' dunque importante analizzare in dettaglio anche i diversi tipi di carta che possono venir prodotti e l' uso che di essi si fa. 3. I vari tipi di carte. I tipi di carte che vengono prodotti sono numerosissimi, ma possono essere raggruppati a seconda del loro uso. Abbiamo: - CARTA DA GIORNALE. Si tratta di una carta di basso costo anche in considerazione del fatto che viene richiesta in quantità enorme. Il requisito principale di questo tipo di carta è la regolarità assoluta del nastro, che vuol dire regolarità di grammatura, di spessore, di umidità, di incarto, di allestimento, in quanto le rotative per la stampa dei quotidiani debbono poter avere una velocità notevole. L'impasto per questo tipo di carta è formato per il 70% da pasta-legno e per il 30% da cellulosa greggia, mentre non vengono generalmente usati materiali di carica e collanti. La carta da giornale si produce liscia o calandrata. - CARTA DA PERIODICI. E' un tipo di carta assai economica, anche se le materie prime sono di qualità superiori a quelle usate nella carta per quotidiani (60-70% di pastalegno bianchita e 30-40% di cellulosa di conifere); vengono utilizzati anche materiali di carica come il caolino o il talco, mentre non sono utilizzati i collanti. - CARTA PER STAMPA TIPOGRAFICA. Abbraccia una vastissima gamma di carte finissime (per esempio la carta bibbia), fini, mezzofini, patinate, andanti. Sono carte morbide, poco collate, molto bianche, perlopiù calandrate. La carica è presente generalmente in percentuali elevate: oltre al caolino si usa il carbonato di calcio, sia naturale che precipitato. - CARTA PER STAMPA IN OFFSET. Alcune esigenze fondamentali per questo sistema di stampa sono: per la carta in formato il senso (cioè l'orientamento) di fibra, per le patinate la resistenza all' acqua, e per tutte la buona collatura. Questo sistema di stampa consiste in un cilindro rivestito in gomma che preleva 1' immagine dalla lastra metallica inchiostrata e la trasporta sulla carta. - CARTA PER STAMPA IN ROTO-OFFSET. L' asciugamento degli inchiostri in queste macchine può essere affidato: a) all'assorbenza della carta (oltreché al tempo e all' ossidabilità degli inchiostri); b) al passaggio della carta su cilindri caldi e/o lambiti da corrente di aria calda; c) alla scottatura in forno con fiamme dirette. Per ognuno di questi tipi di macchine occorre la carta adatta con le attitudini per i diversi sistemi. - CARTE PATINATE. Queste carte hanno uno strato di patina applicata alla loro superficie che migliora fortemente i due principali pregi delle carte da stampa, stampabilità e opacità; infatti nella carta patinata gli inchiostri da stampa danno un rendimento massimo, perché tendono a concentrarsi alla superficie del foglio, nella patina. Inoltre la forte quantità di pigmenti molto opachi presenti nella patina elimina quasi del tutto il trasparire della stampa sul lato opposto. Abbiamo numerosi tipi di carta patinata: illustrazione, cromo, opaca per tipografia, opaca per offset, cartoncini. Importante nella stampa rotocalco ed offset dei settimanali l' impiego della L.W.C. (Low Weight Coated), carta di bassa grammatura, leggera, economica, che contiene per circa metà pasta meccanica ed unisce ad una buona opacità una stampabilità eccellente. - CARTA DA SCRIVERE FINE E QUADERNI. Questa carta deve essere moderatamente rigida, bianca, pulita. Deve avere un certo numero di doti estetiche che la facciano apparire gradevole all' occhio. La carta per quaderni deve essere poi resistente alla cancellatura. Nella fabbricazione delle carte da scrivere è utile impiegare cellulose alla soda bianchite, poco o niente pastalegno, poche cariche e amido nell' impasto. - CARTA IMPACCO. Viene usata per contenere, imballare, avvolgere le merci più svariate. La caratteristica più importante è dunque quella della resistenza che deve essere elevata. Tra le più importanti carte ricordiamo le kraft, le pergamini, la pergamena vegetale, la velina, la monolucida, la crespata, il camoscio, la paglia, la bigia e da banco. - CARTONCINI E CARTONI. Si chiamano generalmente cartoncini le carte il cui peso supera i 200g/mq e cartoni quelle il cui peso supera i 400g/mq. Il processo produttivo dei cartoncini e dei cartoni è assai simile a quello della carta; in genere per la loro fabbricazione vengono utilizzati pastalegno, cartaccia e paglia. I cartoni si distinguono prevalentemente per 1' uso cui sono destinati o per il materiale con cui sono fabbricati: abbiamo così il cartone amianto, il cartone catramato, il cartone da segatura, il cartone impermeabile, etc. Il cartone ondulato infine è formato da due strati di carta Kraft ed un' anima di carta paglia opportunamente ondulata. III. L'industria della carta oggi, in Italia e nel mondo. 1. La situazione mondiale dell'industria cartaria. L' economia dell' industria della carta è caratterizzata dai forti condizionamenti esercitati dalla diseguale distribuzione delle materie prime e dal ricorrente squilibrio tra domanda e offerta. Per quanto concerne il primo problema, l' utilizzo basilare delle varie essenze legnose nel processo cartario, ha dato origine ad una netta dicotomia tra paesi ricchi di foreste e paesi dove queste sono presenti in quantità limitate o addirittura nulle. Ciononostante tutti i paesi industrializzati hanno sviluppato un proprio settore cartario ed hanno attuato politiche miranti a proteggere ed a sviluppare la silvicultura o hanno acquistato e gestito direttamente la proprietà delle foreste. Queste diverse disponibilità di materie prime provocano continue tensioni di prezzo sui mercati internazionali, dove i paesi con notevoli risorse forestali cercano di esportare sempre più prodotti finiti, mentre gli altri tentano di promuovere la produzione interna, ma sono ostacolati dal bisogno di comprare materie prime all' estero a prezzi sempre più alti. Per risolvere il problema della carenza di offerta internazionale di cellulosa, si sono provate varie soluzioni (piantagioni di alberi su vasta scala, riciclaggio della carta usata, utilizzo di paste di origine sintetica) risultate per lo più troppo costose ed a lungo termine. Il secondo problema, rappresentato dal periodico squilibrio tra domanda ed offerta dei prodotti cartari, è dovuto in particolar modo all' ampliamento delle dimensioni degli impianti, che comporta anche la ricerca delle economie di scala (riduzione dei costi unitari al crescere delle dimensioni dell'impresa) da parte dei produttori. Il tutto porta all'integrazione sempre più spinta del processo produttivo ed alla formazione di un mercato di tipo oligopolistico (mercato in cui un numero ristretto di imprese controlla la produzione). 2. La situazione italiana dell' industria cartaria. L' industria italiana della carta ha una struttura produttiva pesantemente influenzata dal sistema protezionistico di cui ha usufruito sino alla seconda guerra mondiale. Essendo infatti entrata in crisi intorno agli anni dell' Unità d' Italia, si era cercato mediante elevate barriere doganali di farla prosperare sul mercato interno, tralasciando però le carenze strutturali che si andavano accumulando. La produzione raggiunse i massimi livelli negli anni 1930-40 grazie al ruolo trainante esercitato dal gruppo Burgo ed alla costituzione dell'Ente Nazionale per la Cellulosa e la Carta nell' ambito della politica autarchica perseguita dal fascismo. In seguito la soppressione dei dazi doganali, la debole struttura del settore (numero eccessivo e piccolissime dimensioni delle unità produttive, macchinari scadenti, scarsa diffusione del lavoro a ciclo continuo), la mancanza continua di materie prime hanno determinato 1' inizio della crisi. Sono inoltre sempre mancati interventi di carattere legislativo per la riforestazione, attuati invece negli altri paesi in difficoltà. «Esiste unicamente un progetto di legge a favore della silvicoltura, presentato al Parlamento alla fine del 1972, che prevede contributi in conto capitale, mutui a tasso agevolato, 1' istituzione e la regolamentazione delle società forestali già previste dalle disposizioni comunitarie, e 1' iscrizione delle spese autorizzate sul fondo del Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste per lungo periodo allo scopo di assicurare continuità a questi impegni» (5) . Attualmente gli stabilimenti sono concentrati prevalentemente nell' Italia centrosettentrionale e specialmente in Toscana e Lombardia, ma vi sono unità produttive di grandi dimensioni anche nel Mezzogiorno. Le varie imprese italiane della carta sono poi classificabili in: - private (Burgo, Binda, Cartiere di Verona) - pubbliche (Azienda Tabacchi Italiana, Cartiere Miliani-Fabriano) - a partecipazione statale (C.R.D.M. e C.I.R.) - private ma con una pesante situazione debitoria nei confronti della finanza pubblica (Cartiera Vita Mayer, Gruppo Timavo-Arbatax). Per quanto riguarda gli investimenti italiani all' estero essi sono sempre stati ridotti o limitati a consociate per la commercializzazione dei prodotti o a partecipazione a proprietà forestali ed in fabbriche di cellulosa per potere esercitare un certo controllo su di una quota della materia prima necessaria. Importante, nei primi anni '70, il caso di alcune cartiere nazionali (Binda, C.R.D.M., Tolmezzo, Prealpine) ciascuna con 1' 8,5% del capitale sociale e con diritto di prelievo sino al 17% della produzione di uno stabilimento canadese di cellulosa. Questa partecipazione ha assicurato possibilità di approvvigionamento anche nei momenti di tensione dei prezzi internazionali e di carenza delle materie prime. Gli investimenti esteri nell' industria italiana si hanno soprattutto negli anni '60 e con scopi ben precisi, quali: assicurare sbocchi produttivi, disporre di unità produttive all' interno della C.E.E., ecc. In seguito il mercato italiano viene quasi totalmente abbandonato a causa del cambiamento delle prospettive di un rapido sviluppo della domanda italiana di prodotti cartari e della quasi totale assenza di diversità nei costi del lavoro.


(5)Cfr. F. GOBBO, L'industria italiana della carta: un oligopolio imperfetto, il Mulino, Bologna 1974, pag. 30. IV. La produzione della carta nella Binda. 1. I primi cento anni. Nel contesto generale dell'industria della carta in Italia si inserisce il discorso della cartiera Binda, esempio di industrializzazione milanese a partire dalla seconda metà dell' 800. Questa cartiera, fondata nel 1855, ha dunque una lunga storia alle proprie spalle, e questa storia ha influito notevolmente sulla produzione della cartiera. Fondamentalmente, comunque, la storia della produzione può essere suddivisa in tre periodi principali: il primo periodo va dal 1855 ai primi anni del '900, il secondo va dal 1920 al 1950, ed il terzo dal 1950 fino ai giorni nostri. - PRIMO PERIODO. Durante questi anni furono utilizzate varie materie prime, tra cui soprattutto stracci, piante annuali, ritagli di scarti di tessitura e materie «ausiliarie» come il gesso, il caolino, il talco, la colla vegetale, la gelatina annuale. In questi primi anni l'apparato tecnologico per la produzione della carta era elementare e consisteva principalmente in vasche di pietra, nelle quali era introdotta la materia prima, pestelli in legno mossi con ruote idrauliche per l' impasto del materiale, raffinatori a cilindri olandesi, macchine continue costituite da soli elementi essenziali (telai ed essiccatori), macchine semplici di taglio e confezione delle risme utilizzate soltanto a prodotto ultimato. La carta così prodotta era trasportata, per la produzione, mediante traini guidati da cavalli lungo il naviglio. Il lavoro produttivo di questi primi anni, sebbene aiutato in parte da un apparato tecnologico, gravava soprattutto sulla manodopera, a cui spettava il compito di cernita e pulizia degli stracci (scelti per colore e tipo di tessuto e successivamente lavati e cotti in appositi bollitori a vapore con calce ed altre sostanze), seguita dall' emissione delle materie prime nelle vasche. In questa prima fase le Cartiere Binda producevano vari tipi di carta tra cui: carta da giornale, carta da pacco, carta per scrivere e carta per calendari, quaderni, manifesti, documenti. - SECONDO PERIODO. In questi anni furono operati i primi cambiamenti inerenti alla scelta della materia prima. In particolar modo venne sfruttata maggiormente la cellulosa ed insieme alle materie prime già adottate precedentemente furono introdotte le paste chimiche e gli additivi sintetici. La tecnologia divenne sempre più elaborata e specifica: furono adottati nuovi tipi di raffinatori azionati da motori elettrici, patinatrici, macchine continue con dispositivi tecnici, taglierine elettriche per il taglio e la confezione di fogli ad alta perfezione ed apparecchiature elettromeccaniche per la regolazione dell' umidità e dello spessore dei fogli. Anche il trasporto subì dei cambiamenti: i prodotti ultimati venivano trasferiti per mezzo di carri ferroviari (la Conca Fallata disponeva infatti di una stazione interna), inoltre la rete commerciale sfruttava numerosi depositi nei grandi centri urbani. In questo periodo fu fondato anche un laboratorio per i controlli di qualità e ricerca di nuovi prodotti e le Cartiere Binda rifornirono i loro depositi di carte di ogni genere, in aggiunta a quelle già menzionate nel periodo precedente: carta patinata, carta per lucidi, per alimenti, carte fotografiche, paraffinate e carte valori. Con la seconda guerra mondiale però l' espansione del gruppo Binda si arrestò e lentamente furono chiuse molte cartiere. - TERZO PERIODO. Nel dopoguerra il grande bisogno di carta favorì la rapida ripresa della Cartiera Binda. Per quanto riguarda le materie prime, la cellulosa divenne la componente principale della carta (furono per questo acquistati nuovi centri forestali per l'estrazione di questo materiale ricavato dal legno). Furono inoltre utilizzati anche il caolino, il biossido di titanio, il carbonato di calcio, i coloranti sintetici ed i collanti sintetici. L' apparato tecnologico fu ampiamente sviluppato: vennero impiegati raffinatori di nuova concezione, furono perfezionati i macchinari, introdotti i calcolatori e depuratori per le acque reflue. Un altro dato importante legato alla struttura interna della Binda e indice dello sviluppo avvenuto in questo terzo periodo è l' introduzione di cabine insonorizzate per la riduzione dell' inquinamento acustico. La produzione dei precedenti tipi di carta però ad un certo punto viene completamente abbandonata e la cartiera Binda si specializza nella produzione di carte speciali, quali laminati plastici, xerografia, nastri adesivi, astucci, carta autocopiante (v. tabella). 2. La fase produttiva più recente (6) . Fino alla fine degli anni '50 la cartiera Binda produceva la «carta classica convenzionale»: carta protocollo, per quaderni, per buste, da corrispondenza di lusso (es. diplomatica), carta da disegno, biglietti per le ferrovie, carte geografiche. La concorrenza nazionale ed internazionale, la crescente richiesta di altri tipi di carta, costrinsero la direzione della cartiera, in quegli anni nelle mani di Sandro Cirla, a modificare la produzione dell' intera fabbrica e ad intraprendere la via del laminato plastico: laminato cartaceo di supporto da impregnare per produrre laminati tipo formica, utilizzati nell' arredamento, soprattutto di cucine, e nella costruzione di elettrodomestici. Questo prodotto venne però ben presto sostituito a causa della diminuita richiesta di mercato dalla carta autocopiante. Questo tipo di carta che, prima della recente crisi, copriva circa il 90% dell' intera produzione dello stabilimento è composta da tre fogli: T/R/M. Il secondo riceve la scrittura dal foglio «T» (trasmittente) e la trasmette a sua volta al foglio «R» (ricevente). Nella parte sottostante del foglio «T» si trovano delle microcapsule, invisibili ad occhio nudo, da cui, sotto la pressione di matite, penne, ecc. fuoriesce dell' inchiostro che si combina con delle sostanze di cui è patinato il foglio «R» lasciando la traccia su quest'ultimo. Un'unica macchina, la numero 5, patinava la carta ricevente, mentre altre macchine inchiostravano quella trasmittente. Il riciclo di questo tipo di carta è limitato in quanto, prima di tutto, è necessario disinchiostrare le microcapsule; mentre é impossibile ricavare carta autocopiante da carta riciclata di qualunque tipo. In ambito nazionale la cartiera di Conca Fallata produceva il 60% della carta autocopiante italiana, circa 1.000 quintali al giorno, denominata con un proprio marchio: CARTA BIPLURA. a) Le materie prime della carta, oggi e in passato. La carta che oggi conosciamo è di origine vegetale e più precisamente è composta dalla cellulosa che si trova all'interno dei tronchi degli alberi; ma non è sempre stato così: - un primo tentativo di creare una carta poco pregiata si è avuto con 1' utilizzo di paglia


(6) Le informazioni sono ricavate dall'intervista al sig. Nereo Fabbri, tecnico della cartiera, e al sig. Roberto Cossaro, direttore dello stabilimento di Conca Fallata. [TABELLA RIASSUNTIVA] tritata, imbianchita con calce viva, troppo debole per essere utilizzata nella stampa; - successivamente si è passati all'utilizzo di cenci di lino, cotone ed altri tessuti di origine vegetale: il processo che permetteva la formazione della carta era molto lungo (cernita, macero, sfilacciatura, raffinatura per ridurre le fibre lunghe del tessuto a fibre corte, sbiancatura), richiedeva una ingente quantità di cenci e la non presenza di sostanze sintetiche all' interno di essi. b) Le fasi del processo produttivo. Il processo produttivo inizia con l' abbattimento degli alberi ed il loro trasporto; nel caso particolare della Cartiera Binda essa importa la materia prima, la cellulosa, dal Brasile e dal Canada. L' albero viene scortecciato e sminuzzato, da circa un quintale di legno si riescono a ricavare 40 Kg di cellulosa, il materiale di scarto viene in genere o bruciato o triturato. La cellulosa così ricavata è sminuzzata e bollita in sostanze acide o alcaline per essere ripulita da materiali, quali la resina, dannosi alle macchine, è successivamente sbiancata e divisa dalle sostanze in cui è stata precedentemente bollita e così pulita viene raffinata in dischi rotanti a lame in presenza di acqua. La cellulosa usata nella produzione della carta proviene da due diversi tipi di piante: quelle a fibra lunga (conifere) e quelle a fibra corta (per esempio la betulla). Un impasto pronto a diventare un foglio di carta è generalmente composto da entrambe: la fibra lunga, molto costosa a causa del lento sviluppo delle conifere, da sola produce un foglio «rugoso» poco adatto alla stampa, la fibra corta rimedia a ciò ponendosi negli spazi vuoti creando un foglio liscio, aiutata dal caolino (idrosilicato di alluminio) che, oltre a rendere la carta morbida, le conferisce anche una certa resistenza indispensabile per il suo uso industriale. I residui del processo vengono infine riutilizzati: le resine producono la colla, le sostanze usate per la bollitura sono impiegate una seconda volta per cellulose che rimarranno marroni (per esempio la carta da pacchi) e che non ripulite saranno poi molto resistenti; 1' acqua invece viene filtrata attraverso una pasta ancora vergine che trattiene il caolino, il collante e altre sostanze. Tutto quello che non può più essere recuperato viene, passando attraverso un depuratore, riversato nel Lambro o dato ad altre fabbriche per farne un uso industriale. c) L'organizzazione interna della cartiera. I lavoratori all' interno dell' industria erano, prima della crisi e dei conseguenti licenziamenti, circa 320, di cui solo 40 erano impiegati nei lavori d' ufficio. All' interno della cartiera esiste infatti una scala gerarchica: I. Direttore: sovrintende a tutte le attività della cartiera e dipende dalla sede centrale. II. Dirigenti di ogni settore: delle vendite, delle tecnologie, delle compere, del personale e delle materie prime. III. Tecnici: addetti alla produzione della carta o all' impiantistica della fabbrica. IV. Capireparto: ingegneri e periti. V. Assistenti ai capireparto. VI. Operai: quasi unicamente uomini, possiedono tutti almeno la licenza di terza media e si dividono a loro volta in: a) addetti alla raffinazione; b) conduttore o capomacchina; c) primo aiuto del conduttore; d) operai qualificati (coloro che ribobinano la carta, caricano la cellulosa e preparano gli additivi) La cartiera si divide infine in vari reparti: I. Reparto fabbricazione: diviso in una zona per la produzione di pannelli e in una più moderna per quella della BIPLURA. II. Reparto patinatura: produce le capsule per la carta trasmittente. III. Reparto allestimento: qui la carta prodotta in rotoli viene tagliata per consentirne il trasporto e la spedizione. IV. Reparto rotocalco: la carta per laminati plastici viene colorata a tinta unita o con un qualunque disegno richiesto. V. Reparto impregnazione: grazie all' applicazione (impregnazione) di diverse resine speciali, la carta decorativa così ottenuta sarà destinata o alla produzione di laminati plastici o ali' impiallacciatura artificiale. VI. Reparto spedizione. VII. Reparto preparazione capsule per la carta «R». VIII. Centrale termoelettrica: produce 1' energia che a sua volta fornisce vapore ed aria compressa, indispensabili per il funzionamento delle macchine. IX. Reparto manutenzione: si occupa del buon funzionamento dell' intera fabbrica. X. Laboratorio periti elettronici. V. Conclusione. Abbiamo tracciato gli elementi essenziali del processo produttivo della Binda come fabbrica della carta, senza pretesa di completezza data la complessità dei fattori da considerare: quelli tecnologici, quelli merceologici, quelli chimici, quelli commerciali, ecc. Come analizzato in altre parti di questo lavoro, da alcuni mesi (gennaio '94) la cartiera è sostanzialmente ferma e i lavoratori in cassa integrazione, per motivi di natura finanziaria imputabili alla gestione del gruppo Sottrici ed alla politica delle banche creditrici. La chiusura della Binda sarebbe una grave perdita per la città: un segno ulteriore di quella deindustrializzazione che mortifica la speranza di un futuro professionale nell' industria in chi, come noi, si prepara con gli studi liceali. Anche per questo la cartiera deve essere salvata e riavviata verso una nuova fase produttiva. IV I LAVORATORI DELLA CARTIERA BINDA NELLA STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO ITALIANO E MILANESE di Andrea Lanza I. La Binda come grande industria dell'800. «Vogliono chiudere lo stabilimento di Conca Fallata; la fabbrica di Conca Fallata risale al 1855, e faceva all' epoca bottoni, e noi non vogliamo lasciarla chiudere», dichiara una delegata (1) del consiglio di fabbrica. L' apertura dello stabilimento Binda di Conca Fallata risale infatti proprio al 1855, quando Ambrogio Binda fondò una società in accomandita per azioni. 11 capitale iniziale ammontava a 500mila lire, distribuito fra trentatré soci. Nel giro di qualche anno, grazie anche allo sforzo di alcuni amici e al proprio successo aziendale, riuscì ad acquistare una cartiera a Vaprio d'Adda e una fabbrica di pettini e a fondarne una di bottoni (2). La Binda si pone quindi subito tra le nuove grandi fabbriche di Milano, e d' Italia: In questa fabbrica infatti erano impiegati nel 1862 circa 330 operai e nel 1881 addirittura 700; si pensi che nei Corpi santi (3) vi erano in tutto 186 stabilimenti che occupavano 6.641 operai (4) . L' importanza della Binda non è dovuta in quegli anni unicamente alla sua grandezza, essa si organizza subito come una fabbrica moderna; la sua produzione si caratterizza per la modernità delle macchine e per la ragionata divisione del lavoro. Ambrogio Binda riesce ad ottenere, grazie ad un comportamento paternalistico e dispotico, un' ottima disciplina operaia. La Binda è un esempio chiaro della condizione operaia a metà del secolo scorso, quando cioè incominciavano a sorgere le prime grandi fabbriche e si andava formando in Italia (con Milano, Torino e Firenze in testa) la classe operaia, ancora relativamente marginale ed estremamente eterogenea. La maggioranza degli operai della Binda provengono direttamente dalle campagne e sono ancora «abbastanza plasmabili da poterli assoggettare alla nuova organizzazione della produzione e del lavoro» (5) . Prevalentemente donne (180 su 330 nel 1862 e 500 su 700 nel 1881), ma anche fanciulle e fanciulli, questi lavoratori sono sottoposti a turni di 12 ore ed oltre, spesso in luoghi umidi e polverosi. Le norme antinfortunistiche non esistono, mentre la microdivisione della produzione e la circoscrizione dell' intera vita nel ristretto territorio della


(I) Intervista a Silvana Grassi, delegata UIL nel consiglio di fabbrica. (2) Cfr. V. HUNECKE, Classe operaia e rivoluzione industriale a Milano, Il Mulino, Bologna 1982. (3) I Corpi Santi erano le zone fuori dalle porte, nuovi quartieri o vecchi paesi di campagna ormai entrati a far parte della zona metropolitana di Milano. (4) Dati dell'inchiesta ministeriale sul «lavoro negli stabilimenti industriali» relativi al 1872-'73. (cfr. F. DELLA PERUTA, Milano, lavoro e fabbrica 1825-1914, F. Angeli, Milano 1987, pag. 59). (5) Cfr. V. HUNECKE, cit., pag. 177. fabbrica e della casa tolgono al lavoratore qualsiasi possibilità di esperienze diverse da quelle dell' azienda fino ad eliminare quasi ogni bisogno. Da questa rapida descrizione della condizione dei lavoratori della Binda è facile intuire in quali difficoltà sia maturato il movimento operaio e soprattutto la sua coscienza di classe. In fabbriche come questa il lavoratore non aveva i mezzi, né il tempo, di conoscere nient' altro che le macchine con cui lavorava, i colleghi e il padrone che gli dava la possibilità di sopravvivere; gli operai non potevano prendere coscienza, come classe, del proprio ruolo nella società e, come individui, dei propri diritti. Alla Binda c' era per esempio un asilo e una scuola elementare. Il controllo diretto dell' istruzione dei propri dipendenti è certamente fondamentale: significa negare la possibilità di formare una coscienza critica tra i lavoratori; questo ci appare ancora più evidente se pensiamo che i giovani scolari avevano la possibilità di leggere, come esempio di possibilità di ascesa sociale proprio la vita di Ambrogio Binda, nel libro di A. Caprari Ambrogio Binda, racconto di A.C. ad uso di lettura nelle scuole primarie specie nelle serali per artigiani (6) . L' atteggiamento paternalistico di Ambrogio Binda e l' isolamento in cui vivevano gli operai dello stabilimento di Conca Fallata sono probabilmente la causa della mancata partecipazione di questi lavoratori alle prime lotte della classe operaia italiana; mancata presenza che si desume dalla totale assenza di riferimenti a questa realtà nei documenti e nelle ricostruzioni di quegli anni. Ma esiste un altro motivo: le fabbriche Binda, compresa quindi di Conca Fallata, furono tra le primissime in Italia ad avere una propria Cassa di muto soccorso, organizzata dal padrone stesso (7). Questo da una parte comportava una maggiore sicurezza economica dei lavoratori in caso di malattia o di incidente, dall' altra un maggior legame tra operai e padronato impediva materialmente ai lavoratori di organizzarsi autonomamente: «infatti con tutta la migliore volontà non potevano addossarsi, oltre al contributo obbligatorio per la cassa aziendale, un ulteriore onere finanziario di 15 o 20 centesimi alla settimana per il contributo ad una libera associazione operaia» (8). Ci sarà quindi un allontanamento dalle prime lotte operaie da parte di quelle fabbriche prive di organizzazioni autonome, soprattutto quando il movimento operaio, con la progressiva conquista di una propria coscienza di classe, assumerà prima tinte democratico-mazziniane e successivamente, negli ultimi due decenni del secolo, sceglierà, come via per la propria emancipazione, la lotta di classe. II. La Binda nella prima metà del nostro secolo. La Binda di Conca Fallata, che alla sua fondazione era nata come una grande fabbrica importante nel panorama milanese, perde, verso la fine del secolo, questo ruolo; il modello fordista è ora diffuso e soprattutto lo stabilimento rimane isolato geograficamente da quella che si sta delineando come la zona industriale, la cintura settentrionale di Milano.


(6) Ibidem, pag. 331. (7) Ibidem, pag. 431. (8) Ibidem, pag. 432. Nella periferia meridionale l' unica altra grande fabbrica è la Richard Ginori (9) ; amministrata dal padrone con altrettanto paternalismo come la Binda, fa anch' essa parte dei primi casi di Cassa di mutuo soccorso interna. Sono soprattutto questi fattori che ci permettono di capire come mai i maggiori luoghi di scontri e di barricate nei moti del 1898 sono, a Milano, nella zona settentrionale, e solo pochi sono registrati nei dintorni di Porta Ticinese; zona per altro molto povera e quindi potenzialmente calda anche a prescindere dalla presenza della fabbrica (1°1. L' isolamento di queste due fabbriche dal movimento operaio milanese prosegue anche nei primi decenni del nostro secolo; probabilmente anche a causa della provenienza della quasi totalità dei propri dipendenti dalle campagne limitrofe, esse non vengono coinvolte neanche nei momenti di grande partecipazione operaia come furono gli anni del «biennio rosso» (u). Così mentre «la prima cosa che colpisce chi arriva a Milano (da Torino probabilmente) è il grande numero di bandiere rosse che sventolano in tutte le ciminiere, su tutti i comignoli» (12), mentre numerosissime fabbriche vengono occupate nel Nord d' Italia e mentre matura, anche grazie al fondamentale apporto di Antonio Gramsci, 1' elaborazione teorica a proposito del ruolo dei sindacati e dei consigli di fabbricà all' interno del movimento operaio che ora si pone con forza fini rivoluzionari, probabilmente negli stabilimenti Binda 1' attività produttiva continua pressoché normalmente. Anche nei decenni successivi, dopo l'instaurazione del regime fascista, il centro del movimento operaio, ora costretto ad agire clandrastinamente, continua ad essere la zona Nord di Milano: i grandi stabilimenti della Falck, della Magneti Marelli, della Pirelli e della Breda (13) Le lotte operaie, che svolsero un fondamentale ruolo nella lotta antifascista, a cominciare dai grandi scioperi del marzo 1943, partirono proprio dalle fabbriche della cintura settentrionale. Gli scioperi si estesero nel dicembre dello stesso anno e nelle due primavere successive di guerra a tutta la città. Gli operai Binda di oggi, anche i più anziani, non hanno memoria di scioperi in quegli anni all' interno dello stabilimento di Conca Fallata. In realtà sembra molto probabile che questi ci siano stati. Le lotte nelle fabbriche si diffusero effettivamente anche nelle industrie minori, e inoltre la zona limitrofa alla Binda fu molto interessata dalla lotta partigiana. Erano attive in questa zona ben due Squadre d' azione partigiana (14) : le loro azioni consistevano soprattutto nel sabotaggio e in rapidi scontri a fuoco con le colonne tedesche transitanti sulla Pavese e nel recupero notturno delle armi cadute nel Naviglio. Inoltre nella non lontana Grazioli si verificò l' occupazione della fabbrica, cui seguì per la prima volta a Milano la fucilazione del padrone, collaboratore del


(9) La Richard Ginori produceva ceramiche e sorgeva sul Naviglio Grande poco fuori da San Cristoforo; oggi lo stabilimento e le case operaie (riconosciute come patrimonio artistico), sopravvivono parzialmente sovrastati dai grattacieli Ligresti. (10) Per una ricostruzione geografica degli scontri nei moti del 1898 a Milano è utile confrontare la tavola a pag. 321 del primo volume di Renzo DEL CARRIA, Proletari senza rivoluzione, Edizioni Oriente, Milano 1970. (11) Cfr. R. DEL CARRIA, cit. e P. SPRIANO, L'occupazione delle fabbriche, Einaudi, Torino 1964. (12) Cfr. «Avanti!», 5 settembre 1920, in P. SPRIANO, cit., pag.195. (13) Cfr. la relazione del 4° Congresso milanese del PCd'I, tenuto clandestinamente «in un'osteria di fuori porta», nel marzo o nell'aprile 1931, in Istituto milanese per la Storia della Resistenza e del Movimento operaio, I congressi dei comunisti milanesi, F. Angeli, Milano 1986, vol. 1°, pp.70-75. (14) Erano attivi nella zona la 113 e la 114 SAP Garibaldi (cfr. M. ALLODI e M. FRANCESCHI, Là, dove la città va spaesandosi verso la campagna, ed. Nuovo Mondo, Milano 1989. regime fascista e delle truppe d' occupazione naziste, e il tentativo di autogestire la fabbrica; esperimento fallito a causa del forte boicottaggio attuato dal padronato con cui gli operai dovevano commerciare. III. La Binda nel secondo dopoguerra. Il movimento operaio dopo la Liberazione poteva finalmente tornare ad organizzarsi liberamente alla luce del sole, anche se la nuova Italia era profondamente diversa da quella per cui avevano lottato molti partigiani; la situazione del proletariato italiano non venne mai affrontata seriamente se non come problema di ordine pubblico: la repressione fu spesso violenta e di quegli anni sono rimaste tristemente celebri le camionette di Scelba. Il centro delle lotte milanesi continuò ad essere la zona settentrionale, la periferia meridionale era ancora poco industrializzata. Fu con gli anni sessanta, ma poi ancora di più negli anni settanta, che la zona 15 si trasformò notevolmente; questo avvenne soprattutto anche in seguito alle grandi ondate migratorie dal Sud. Ai vecchi quartieri proletari d' epoca fascista si aggiungono nuove al immense aree di edilizia popolare. E' in questo nuovo contesto sociale che alla Binda si sviluppò un movimento operaio. IV. Anni '60: l'inizio delle lotte operaie alla Binda. E' proprio mentre avvengono queste fondamentali trasformazioni nella zona limitrofa che anche all'interno della Binda gli operai incominciano a porsi diversamente verso il proprio lavoro e soprattutto rispetto al padronato. Negli anni sessanta la rappresentanza dei lavoratori era costituita dalla Commissione interna, in base all' Accordo interconfederale, composta da quattro lavoratori, per i circa trecento lavoratori della Binda. Nessuno di questi rappresentanti era tutelato: «Normalmente nelle fabbriche si riusciva o a isolare quelli della Commissione interna, cioè metterli in un posto di lavoro talmente lontano che non potevano essere in contatto con la gente, oppure si buttavano addirittura fuori; si potevano trovare tutte le scuse possibili e immaginabili per poter prendere dei provvedimenti disciplinari a carico di questi, perché non esisteva nessuna tutela» (15) . La capacità di salvaguardare la qualità delle condizioni di lavoro da parte di questa commissione era praticamente nulla, ricorda infatti un lavoratore: «La situazione dell' azienda, dal punto di vista dei lavoratori, era estremamente grave in quanto non esisteva assolutamente niente che potesse salvaguardare la salute dei lavoratori, cioè le condizioni erano precarie. Tenete conto che gli infortuni erano ogni anno pari al cinquanta per cento dei dipendenti; questo vuol dire che ogni due anni, poco o tanto, si facevano male tutti. Servizi igienici, non ne parliamo. L' acqua calda non esisteva, gli spogliatoi erano allagati [...] L' orario di lavoro era sulla carta di quarantotto ore, la pratica dello straordinario era la pratica quotidiana, in quanto l' orario, quasi normalmente per tutti, era di dodici ore, oltre al fatto che si lavorava sei giorni su sette, e sette giorni su sette nella maggior parte dei reparti,


(15) Intervista al sig. Villa, operaio della Binda di Conca Fallata dal 1964. dove si veniva per pulizie o cose del genere». Da queste parole emerge chiaramente l' immagine della Binda di quegli anni, e più in generale di tutte le industrie medio-piccole della nostra regione. Come ai giorni nostri, anche allora le aziende con relativamente pochi dipendenti erano quelle in cui la qualità delle condizioni di lavoro erano più basse; in questi luoghi, e oltremodo nei piccoli stabilimenti, la sindacalizzazione, intesa anche solo come la conoscenza dei propri diritti e dei metodi con cui rivendicarli, è da sempre bassissima. I sindacati difficilmente hanno la capacità e le energie per radicarsi in tutte queste piccole realtà e i lavoratori sono sottoposti ad un più stretto controllo. Ma alla Binda c' era un ulteriore fattore: la maggioranza dei dipendenti viveva nelle campagne, e cioè senza la possibilità di maturare, al di fuori della fabbrica, una propria coscienza politica. A prova di questo ancora le parole del lavoratore Villa: «Non si era mai fatto uno sciopero, cioè alla Binda da quando c' era memoria storica, memoria storica di chi lavorava qua [...] Quando diciamo 'nessuno faceva gli scioperi' chi faceva gli scioperi erano normalmente i quattro della Commissione interna, che se ne stavano fuori belli tranquilli. Teniamo conto che chi allora era nella Commissione interna lo faceva perché veniva da qualche forza politica, erano quelli politicizzati». E' a metà degli anni sessanta che la situazione della Binda cambia radicalmente a causa soprattutto di due fattori: i nuovi dipendenti e una scelta dei sindacati. E' in quegli anni infatti che la Binda incomincia ad assumere nuovi lavoratori, soprattutto emigranti dal Sud e qualche giovane «che veniva da una realtà diversa da quella di chi era all' interno» (16). Il sindacato, intanto, spinto da nuovi funzionari provenienti dalle fabbriche anche più piccole, cercava di radicarsi meglio per aumentare la propria forza contrattuale e politica. Nonostante le apparenze il primo dei due fattori ha una rilevanza effettivamente centrale ed emerge chiaramente nella storia del primo sciopero della Binda. La direzione chiede a sei nuovi assunti di un reparto in cui mai si era lavorato la domenica di presentarsi il settimo giorno. «Questi, nuovi assunti, logicamente si presentano regolarmente. Gli viene chiesto di uscire, questi, combinazione, escono, proprio perché sono giovani e quindi la domenica non hanno mai lavorato; rappresentava allora il giorno della settimana dove uno poteva riposare, divertirsi, fare quello che voleva [...] Di buon grado scattano da parte dell' azienda i provvedimenti disciplinari nei confronti di questi e nei confronti di quelli appartenenti alla Commissione interna che avevano chiesto a questi tre di uscire: tre giorni di sospensione. Da qui il sindacato, le forze nuove, che erano arrivate al sindacato, riescono a presentarsi subito con i ciclostili, allora non c' erano i volantini, e si riesce alle due del pomeriggio a bloccare tutti i lavoratori fuori dai cancelli: primo sciopero di tutti i lavoratori di questa azienda. Questo è stato intorno al 1967-'68». Il primo sciopero della Binda coincide quindi con l' inizio anche di un periodo a livello nazionale sindacalmente e politicamente caldo, ma più di questo ha contato il livello, certamente più alto, di sindacalizzazione delle altre cartiere di Milano Sud. Ad esempio alle cartiere Burgo, alla Verona, alla Vosa di Gratosoglio i lavoratori effettuavano già lotte e scioperi, soprattutto contrattuali (17). Dopo il primo sciopero, in cui era stata espressa una concreta solidarietà verso i lavoratori colpiti dalla repressione della direzione, ma che probabilmente era stato anche il


(16) Ibidem. (17) Ibidem. pretesto per discutere delle proprie condizioni di lavoro, incominciò a diffondersi nella Binda una coscienza politica e una volontà di opporsi allo sfruttamento. Gli scioperi della Binda hanno quasi sempre avuto come carattere centrale quello contrattuale; il secondo fu infatti promosso, in quello stesso reparto da cui era scaturito il primo, rivendicando per quei lavoratori il riconoscimento della specificità di grafici, e quindi il diritto ad un salario più alto. «Su questa questione questi lavoratori si sono mobilitati subito: l' azienda era florida e quindi ogni fermata per lei voleva dire perdita di profitto e quindi nel giro di poco tempo si è raggiunto un accordo in cui questi lavoratori sono stati riconosciuti come grafici. Questa è stata la scintilla che ha fatto scattare tutti gli altri reparti, perché chiaramente i discorsi all' interno degli altri reparti erano che ognuno aveva qualche cosa di diverso da un altro da rivendicare e quindi anche lui voleva essere riconosciuto come una categoria, voleva un aumento salariale [...] Questa è stata la scintilla che ha cominciato a far muovere il tutto» (18). Emerge chiaramente da queste parole la linea sindacale scelta all'interno della Binda: condurre una lotta contrattuale utilizzando le specificità dei singoli reparti, sfruttando cioè la compattezza dei singoli reparti, e quelli più sindacalizzati come esempio per gli altri (19). V. Gli anni caldi della contestazione operaia. Si arriva quindi al '68: «Il '68 è volato via, nel senso che qui politicamente non è stato sentito; c' erano quei cinque o sei che andavano a sentire Capanna cosa diceva, che andavano alle manifestazioni con gli studenti, ma il '68 è volato via. Il grosso del movimento politico è avvenuto intorno al '69. [...] Tutti questi movimenti degli studenti o degli studenti già laureati hanno incominciato ad interessarsi delle fabbriche; qui si è riversata una serie di gente che alla fin si è caratterizzata come un movimento extraparlamentare di tipo maoista» (20) . Questa organizzazione rivoluzionaria, la cui reale identità sembra essere stata dimenticata da tutti, non sembra comunque che sia riuscita ad assumere all'interno della Binda una reale presenza, anche se probabilmente contribuì a favorire un confronto politico tra i lavoratori. Bisogna anche aggiungere che questa parte della periferia milanese durante tutti gli anni settanta sarà particolarmente interessata dai movimenti di sinistra; nella zona 15 avevano sede diverse sezioni del Partito Comunista, con un buon radicamento della FGCI, tre collettivi giovanili (21) e tre istituti superiori (22) particolarmente attivi nelle battaglie


(18) Ibidem. (19) Questa scelta tattica fu adottata in molti settori dai sindacati confederali, anche nel pubblico impiego (scuola, per esempio); scelta che alla Binda evidentemente si è dimostrata vincente, ma i cui risultati, in altre realtà, sono stati utilizzati successivamente dalla controparte per dividere i lavoratori, suddivisi in una miriade di diverse categorie. (20) Ibidem. (21) In particolare: il collettivo Stadera, il collettivo Chiesa Rossa e il collettivo Gratosoglio. politiche, oltre ad altre diverse realtà come ad esempio la redazione milanese del "Quotidiano dei Lavoratori". Proprio sull'influenza delle organizzazioni extra-parlamentari o più in generale del movimento studentesco del '68 sul movimento operaio dell' «autunno caldo» e degli anni seguenti è aperto un acceso dibattito storiografico tra chi sostiene 1' estraneità tra i due momenti storici e chi individua importanti legami. La tesi più sostenuta è certamente la seconda: «noi riteniamo che i fermenti del maggio francese (il quale poi, come tutti sanno, divenne mondiale) abbiano rappresentato una piattaforma culturale (23) determinante anche per gli sviluppi delle vicende sindacali italiane» (24) . Nelle rivendicazioni operaie appaiono alcuni aspetti importanti che non si possono che far risalire ai movimenti degli studenti. Nell' autunno '69 per diverse categoria, prima fra tutte quella dei metalmeccanici, scade il contratto. Al tavolo delle trattative i sindacati, spinti fortemente dalla base, spesso insofferente verso i vertici, non portano solo richieste di aumenti salariali o di riduzione degli orari, ma anche rivendicano il diritto a tenere assemblee in fabbrica in orario di lavoro e di forme più rappresentative delle commissioni interne per i lavoratori. In questi anni le lotte operaie all' interno della Binda sono molto partécipate e in qualche occasione tese; i lavoratori riescono ad ottenere, per esempio, nel '70 l' apertura della mensa, diritto ancora più importante che altrove nell' isolato stabilimento di Conca Fallata. Le rivendicazioni degli operai sono soprattutto di carattere salariale e di sicurezza sul lavoro. Ancora frequenti sono infatti gli incidenti che provocano la perdita delle dita o degli arti, e non mancano neanche in questa fabbrica le morti bianche. Nelle loro lotte gli operai rivendicavano anche il diritto ad un proprio ruolo, realmente incidente, nelle decisioni fondamentali della gestione e dell'organizzazione aziendale. Una parte dei lavoratori sosteneva il ruolo centrale che l' assemblea generale avrebbe dovuto assumere, non considerando legittimo invece il metodo dei referendum. In occasione dell' introduzione del ciclo continuo, inizio anni '70, la direzione si accordò con la Commissione interna per promuovere un referendum mentre un comitato autonomo si era nettamente schierato contro. Oggi il consiglio di fabbrica ritiene che il momento decisionale spetti all'assemblea, spiega il delegato Ortis: «Ci siamo sempre posti il principio che è 1' assemblea a decidere, in pratica come consiglio di fabbrica ci siamo sempre schierati contro il referendum». Contemporaneamente, esattamente nel dicembre del 1969, presso gli uffici di Porta Romana, venivano aperte le tre cellule dei sindacati confederali. Tra gli impiegati della Binda non ci fu mai un reale radicamento delle forze sindacali: «nel 1969 ci fu la prima assemblea e da quel momento lì alcuni scioperi vennero fatti, anche se è pur vero che agli scioperi


(22) I tre istituti del piazzale: Liceo Scientifico «Allende», Istituto Tecnico Commerciale «Custodi» e Istituto Tecnico Industriale «Torricelli». (23) I movimenti studenteschi del '68 sono stati caratterizzati da una grande spinta ideologica e utopistica e per questo ridotti dalla storiografia reazionaria a semplici contestazioni, negandone cioè il grande ruolo che questi hanno ricoperto nel costruire e nel far maturare una cultura (politica e artistica) profondamente innovativa, nel mettere in discussione ogni aspetto (istituzioni, arte, scuola, scienza, ecc.) della società, nel coinvolgere ampie fasce della popolazione. (24) Cfr. S. TURONE, Storia del sindacato in Italia, dal 1943 al crollo del comunismo, Laterza, Roma-Bari 1973 (ed. riv. 1992), pp. 411-412 politici stavano fuori il 10%. Per quanto riguarda quelli di contratto la prima volta abbiamo dovuto chiedere aiuto ad alcuni compagni di qui (stabilimento di Conca Fallata)» (25) . In pochi anni, anche se bisogna ricordarsi che sono quelli più vivi a livello sindacale e ideologico del dopoguerra, la forza contrattuale dei lavoratori della Binda aumenta considerevolmente; pochi anni prima c' era stato il primo sciopero, nato quasi casualmente, ora è la prima fabbrica, insieme alla Pirelli, in Italia ad ottenere il riconoscimento del consiglio di fabbrica (26) . «Tenete conto che 1' accordo non lo si faceva andando dall' azienda e dicendo: 'noi vogliamo da domani un delegato per ogni reparto'; avevi tutta la Confindustria, e logicamente l' Assolombarda, 1' Assocart che su queste cose non scherzavano affatto. Noi siamo riusciti per primi a spuntare il riconoscimento del Consiglio di Fabbrica, che ha dato origine alla possibilità di avere un rappresentante per ogni reparto dei lavoratori». I Consigli di fabbrica, che vengono riconosciuti nelle fabbriche contemporaneamente ad altri organismi mirati ad aumentare la democrazia italiana, come i consigli di zona e poi quelli scolastici (27) , «presentano alcune costanti fondamentali (si presentano diversamente infatti da azienda ad azienda): sono eletti da tutti i lavoratori, iscritti o no al sindacato, mediante schede che non portano alcuna indicazione di candidati; il che vuol dire che tutti sono ugualmente eleggibili e che il sindacato non è più arbitro autorizzato a porre filtri selettivi. Inoltre, il gruppo omogeneo che ha eletto un delegato ha il potere di revocarlo in qualsiasi momento con un voto di sfiducia» (28) . La rappresentanza per ogni reparto non è assolutamente un fattore secondario, per il padronato era molto più difficile isolare i delegati. La possibilità di essere quotidianamente a contatto con gli altri lavoratori permette al rappresentante di essere conosciuto personalmente e di essere riconosciuto come tale, oltre che di poter svolgere le proprie attività di propaganda e organizzazione delle lotte. Inoltre le riunioni del consiglio di fabbrica sono aperte a tutti i lavoratori. Fu quindi quella dell'introduzione dei consigli di fabbrica un'importante vittoria sindacale, insieme alla conquista del diritto di assemblee in orario di lavoro (29) .


(25) Intervista a Silvana Grassi, cit. (26) Tale notizia, contenente tra l'altro alcune imprecisioni, è stata data dal lavoratore Villa, ma non la avuto né altre conferme, né delle smentite. (27) E' interessate notare come alle forti rivendicazioni di democrazia dal basso da parte dei movimenti operai e studenteschi, da conquistare attraverso un radicale cambiamento della società, le istituzioni, per nulla cambiate nella sostanza e nella forma, abbiano istituito questi organi con cui i cittadini non hanno la possibilità reale d'influire nell'amministrazione del quartiere, gli operai non hanno nessun ruolo nell'organizzazione del lavoro nella fabbrica, così come gli studenti all'interno della scuola. Se si pensa a quello che Antonio Gramsci aveva inteso per consiglio di fabbrica tutto appare ancora più tragicamente ironico. (28) Cfr. S. TURONE, cit., pag. 414. (29) Gli storici del movimento operaio non sono unanimemente d'accordo nell'indicare gli ambiti da cui ha avuto origine la lotta per i consigli di fabbrica, se questa, cioè, sia nata all'interno o all'esterno del sindacato. Turone così sintetizza, senza avere la pretesa di definire in una frase la complessità di un passaggio storico denso di contraddizioni: »In generale si può affermare che il nuovo istituto, nato in contrapposizione al sindacalismo tradizionale, vi si è inserito poi nella misura in cui lo ha condizionato» (op. cit., pag. 415 ). VI. Gli anni del riflusso. La Binda di Conca Fallata nel frattempo cresce di dimensioni, raddoppia il numero dei dipendenti, passa infatti da trecento a seicento operai, più centottanta impiegati negli uffici di Porta Romana. E' un' azienda florida, con un' ottima produttività cui corrisponde una buona e continua domanda. Se all' inizio era difficile trovare lavoratori disponibili al assumersi le responsabilità personali che il rappresentante sindacale doveva assumersi di fronte al padronato e nel consiglio di fabbrica, con 1' applicazione dello Statuto dei lavoratori, a metà degli anni '70, ci fu un diffuso interesse opportunistico verso queste elezioni. Questo elemento ci indica chiaramente 1' affievolirsi dello scontro sindacale. Questa situazione si protrasse fino all'inizio degli anni '80, quando cioè la Binda attraversò la prima crisi, una crisi di natura puramente finanziaria, e non di domanda, causata da una gestione fallimentare della nuova proprietà, la famiglia Cirla, subentrata ai Binda. Ci furono le prime minacce per i posti di lavoro e l' arrivo della cassaintegrazione. Nel '81 venne dichiarato il fallimento dell' azienda, che passa sotto amministrazione controllata. Il numero totale dei dipendenti del gruppo da oltre 1700 peísone, suddivise nei tre stabilimenti, venne ridotto a 450. Come in altre aziende, celebre il caso della Fiat, la direzione aziendale utilizzò in questo periodo il ridimensionamento del numero dei dipendenti per allontanare dalla Binda i leaders sindacali degli anni '70 infliggendo un duro colpo all' organizzazione dei lavoratori e alla forza della loro lotta. Attraverso l'amministrazione controllata, il passaggio successivo di proprietà e il dimezzamento del numero dei dipendenti, l' azienda riuscì a riprendersi. Dal 1982 al 1984 ci fu un momento in cui i vari Consigli di fabbrica del gruppo si erano messi d' accordo con 1' azienda con il fine comune di risanarla. Due anni di tregua sindacale in base a degli accordi che si inseriscono in un più ampio progetto da parte dei sindacati confederali di reimpostazione del proprio ruolo in una società capitalista. Fondamentale in questo senso la svolta dell' EUR nel '78. I vertici CGIL guidati da Lama, seguiti successivamente da CISL e UIL, approvarono in quella occasione una linea che caratterizzò tutti gli anni '80 e che è culminata nel nostro decennio con gli accordi di luglio (31 luglio 1992 e 3 luglio 1993). La scelta storica è costituita dalla rinuncia al ruolo di classe del sindacato, preferendo ad esso «1' adeguamento del sindacato al sistema capitalista piuttosto che 1' adeguamento, e il suo radicale cambiamento dove necessario e possibile, del sistema alle esigenze della classe operaia» (30). I vertici sindacali si dichiararono favorevoli ai tagli dei salari, un indebolimento della scala mobile, ad un restringimento del diritto di sciopero e alla sottoscrizione di accordi aziendali in base alla produttività e alla mobilità in cambio del contenimento dell' inflazione e della disoccupazione e una maggiore attenzione per il Mezzogiorno. La nuova linea suscitò un acceso confronto all'interno della base, dove non era certamente assente un diffuso malcontento, se si pensa anche alla forza del movimento operaio e al potere contrattuale che si sarebbe potuto mettere sul tavolo delle trattative. Nonostante tutte le richieste da parte sindacale fossero quasi totalmente disattese, i confederali riuscirono a mantenere 1' egemonia


(30) Intervento di un delegato di un consiglio di fabbrica presso un'assemblea autoconvocata al Teatro Lirico di Milano sul tema «Contro la cogestione della crisi», ritrasmesso parzialmente da Raitre il 3 gennaio 1994, in «20 anni dopo». all' interno del movimento sindacale senza cambiare linea politica e dirigenza, anche grazie all' appoggio dei partiti storici della sinistra, e ai frequenti attacchi all' opposizione motivati spesso con la strumentale tesi degli opposti estremismi. La mancanza di democrazia all' interno dei sindacati (1' impossibilità cioè di influire sulle decisioni politiche da parte degli iscritti), il riflusso, la diffusione di un generale benessere, l' enfatizzazione del terrorismo rosso (all' inizio del decennio) sono le principali cause della perdita progressiva di iscritti e di rappresentatività dei sindacati confederali nel corso degli anni '80. Nella seconda metà del decennio vengono fondati nelle realtà più in crisi (Alfa di Arese e nel mondo della scuola all' inizio) i Cobas, che si pongono come una reale alternativa sindacale ai confederali (31). Grazie ad una scelta di salvaguardia della democrazia interna e di coordinamento «dal basso» delle differenti realtà di lotta, i Cobas hanno saputo far sorgere in diverse fabbriche o all' interno di alcune categorie del pubblico impiego comitati realmente radicati e a far riprendere forza a organizzazioni sindacali, come la Cub, le Rdb e l' Usi (32) . Per tutti gli anni ottanta il malumore verso i vertici sindacali, fatta esclusione per le realtà più in crisi, si traduceva in disinteresse per la politica e per le lotte sindacali; la Binda non costituisce eccezione nonostante, a differenza degli altri stabilimenti del gruppo (diventato nel frattempo Sottrici-Binda) partecipi agli scioperi e organizzi alcune lotte contrattuali. La stessa iscrizione ai sindacati (i confederali sono sempre stati gli unici presenti) è calata progressivamente: all' inizio degli anni '70 circa il 60% dei lavoratori era iscritto; all' inizio degli anni '90 la percentuale era già scesa al 45%, e dopo 1' accordo del 3 luglio '93 è calata ulteriormente al 30%. Il disinteresse e il disaccordo con i vertici sindacali si è anche espresso nella scarsa partecipazione (60%) al voto sull'accordo del 3 luglio, praticamente già firmato, e al risultato dello stesso: appena la maggioranza stretta dei votanti (poco più di un quarto dei lavoratori) lo ha approvato. Anche la partecipazione alle assemblee, prima dell'autunno '93, ci indica un generale disinteresse e qualunquismo. Seppure anche i rappresentanti del consiglio di fabbrica la considerino il luogo centrale per la democrazia all'interno della fabbrica, in quanto ambito dove è possibile un confronto tra tutti i lavoratori, la partecipazione alle assemblee è di circa 130 persone, su circa 320 dipendenti. La delegata Silvana Grassi afferma che il riflusso dal sindacato iniziato negli anni '80 ha prodotto «qualunquismo; ognuno in questo momento pensa a se stesso». E aggiunge nell' analisi un' altra importante causa di questo fenomeno: «in questa fabbrica (ma non solo) è stato adoperato sempre, anche a livello di consiglio di fabbrica, per gli scioperi e le altre lotte, come specchietto delle allodole, il discorso dei quattrini. Ecco, io personalmente penso che questo è uno dei mali del sindacato: invece di dare determinate ideologie, si è sempre voluto dare qualcosa per avere qualcos' altro. Non si può sempre dare qualcosa alla gente, a volte bisogna combattere per dei principi e degli ideali che non sono quelli del soldino immediato». Si arriva quindi all'inizio degli anni '90. Il movimento operaio italiano incomincia a riacquistare forza, senza però riuscire ad influire assolutamente sulle scelte governative. Il 31 luglio '92 viene firmato un accordo tra governo e sindacati in cui questi ultimi rinunciavano tra l' altro alla scala mobile, chiedendo in cambio garanzie simili a quelle già


(31) Cfr. P. BERNOCCHI, Dal sindacato ai Cobas, Coop. ErreEmme ed., Roma 1993. (32) Rispettivamente: Confederazione unitaria di base, Rappresentanze di base e Unione sindacale italiana (il sindacato storico degli anarchici). vanamente pretese in occasione della svolta dell' Eur. Alla riapertura delle fabbriche e con 1' avvio della «manovra Amato» nelle piazze esplode la rabbia operaia. Durante l'autunno si assiste in Italia a grandi cortei indetti dai sindacati confederali che terminano con vivaci proteste dei lavoratori ai comizi. Quasi sempre il palco dei sindacati è diviso dalla piazza e dai lavoratori da cordoni di polizia; spesso i comizi terminano ancora prima che la maggior parte dei manifestanti sia giunta in piazza e più di una volta la polizia, su richiesta stessa dei vertici sindacali, carica violentemente i cortei. E' in questa situazione di profonda tensione che si manifestano due fenomeni di dissenso all' interno dei sindacati: la corrente nazionale «Essere sindacato» e il «Coordinamento consigli unitari CGIL-CISL-UIL». Il primo si costituisce come minoranza radicale all' interno della CGIL senza però trovare, salvo alcune eccezioni, un reale radicamento nel movimento. Il secondo invece acquista velocemente un ruolo fondamentale; la sua caratteristica fondamentale è quella di coordinare le opposizioni che nascono nelle singole aziende e che si esprimono direttamente nei Consigli di fabbrica, un movimento cioè che si fonda sulla democrazia interna. La piattaforma su cui è nato è 1' opposizione alla manovra economica del governo Amato e alla firma dell' accordo del 31 luglio da parte dei vertici sindacali. Al contrario di «Essere sindacato», dei Cobas e degli altri sindacati autonomi, il Coordinamento dei consigli unitari non ha coinvolto solo alcune fabbriche, quasi sempre le più grandi, ma, soprattutto nel Nord, si è radicato anche nelle aziende minori. Infatti anche la Binda, che non è stata mai interessata da sindacati autonomi o da altre forme di organizzazione del malumore rispetto ai vertici confederali, partecipa a questo nuovo movimento: «Siamo rimasti in questo periodo molto collegati al movimento dei consigli unitari che è nato a Milano, abbiamo partecipato alle loro assemblee, alle loro giornate di sciopero, tranne che andare a Roma, per delle iniziative che avevamo qui all'interno; comunque abbiamo seguito molto questa corrente, magari su dodici che siamo qui dentro (nel cdf) non tutti siamo d' accordo, ma una buona maggioranza ha sempre approvato le mozioni o i comunicati dei Consigli unitari» (33) VII. 1993: Crisi finanziaria e minacce di chiusura definitiva. All'inizio del 1993 anche la Binda entra in crisi, ma, come sottolineano di continuo i lavoratori della cartiera, la loro crisi ha una natura completamente diversa da quella delle altre aziende. Le cartiere Binda non hanno nessun problema di sovrapproduzione; la loro crisi deriva esclusivamente da una cattiva gestione finanziaria dell' azienda da parte della direzione. Il consiglio di fabbrica così riassumeva la situazione nel marzo del '93 in un volantino: «Il gruppo Sottrici Binda è gravato ormai da più di 1.000 miliardi di debiti, nonostante i vari stabilimenti abbiano raddoppiato o comunque aumentato notevolmente la produzione [...] Dove sono finiti tutti i soldi che abbiamo prodotto? Il padrone di turno, Flavio Sottrici, ci ha spremuto per quattro anni ed ora viene estromesso dalle banche creditrici perché non paga i debiti. Si parla ora di vendita, di scorporamento, di chiusura di alcune delle numerose aziende del gruppo, dove 2000 dipendenti non sanno quale sarà il proprio futuro. Nel


33) Intervista ad Angelo Tranchida, delegato CGIL nel consiglio di fabbrica della Binda di Conca Fallata. frattempo i lavoratori stanno pagando con la cassa integrazione. In questa fase di crisi non abbiamo nemmeno una controparte» (34) . Durante 1' estate le trentaquattro banche creditrici hanno estromesso Flavio Sottrici dalla proprietà delle cartiere ed hanno presentato il 29 settembre un progetto di ristrutturazione (35) . La risposta dei lavoratori è stata immediata: «600 licenziamenti di cui 250 su 320 nello stabilimento di Conca Fallata. Questo è il risultato del piano di ristrutturazione presentato ai lavoratori dai nuovi padroni del gruppo Sottrici Binda. I lavoratori respingono con decisione questo piano che riduce drasticamente i posti di lavoro, sopprimendo due linee che producono carte autocopianti e carte patinate, portando alla morte gli stabilimenti di Conca ed Olgiate» (36) Nelle loro lotte i lavoratori della Binda hanno sempre denunciato la reale situazione dell' azienda e i progetti speculativi che vi stanno dietro: il clima generale di crisi economica permette a diversi imprenditori di sommare alle migliaia di disoccupati anche i dipendenti delle proprie ditte, destinando le aree delle proprie aziende che portano più profitti della produzione. Assistiamo quindi in Occidente alla chiusura di grandi stabilimenti delle multinazionali che riaprono con altro marchio nel terzo mondo o all' Est dove il costo della manodopera e le garanzie sindacali sono notevolmente minori. In altri casi gli stabilimenti vengono chiusi perché il territorio da questi occupato può essere fatto oggetto di speculazione, ovvero lo si può rendere ancora più produttivo. La storia della Binda riassume in parte i due casi: le banche, che rilevano le cartiere produttive ma portate alla crisi finanziaria da cattivi investimenti (effettuati con prestiti assicurati dalle stesse banche), si assicurano un primo grosso profitto dalla cessione del marchio ad una multinazionale, che potrà sfruttarlo meglio in luoghi in cui la manodopera ha costo minore, e successivamente si mettono nelle condizioni di poter utilizzare 1' area per speculazioni urbanistiche. Il delegato sindacale è molto chiaro: «La paura che noi abbiamo è la speculazione che possono fare su questa azienda, proprio perché il valore di questo terreno, che è situato in area diventata urbana con vicino la metropolitana e il centro congressi di Assago, è molto alto. Vendendo il marchio e pensando di vendere il terreno, le banche recuperano il grosso dei loro crediti, per cui noi lo respingiamo pienamente perché questo non è un piano di risanamento aziendale ma è un piano esclusivamente economico-finanziario di recupero dei loro crediti, dopo di che il gruppo può anche andare a morire, così come loro avevano esposto a noi in un incontro all' Assolombarda il 29 settembre: entro il '95 arriveranno al pari con i crediti, riducendo il personale di 600 dipendenti e continuando a produrre con il resto delle linee esistenti, dopo di che, nel '95, dovranno cedere, avranno recuperato il loro denaro e non gliene fregherà niente di andare avanti con la produzione o di avere una mentalità industriale. E in questo momento non c'è nessun gruppo in grado di rilevare un gruppo aziendale di queste dimensioni (37) e per cui si avrebbe la morte di tutto il


(34) Volantino del Consiglio di fabbrica Binda di Conca Fallata, 30 marzo 1993. (35) Il «progetto di salvataggio del gruppo» è stato affidato dagli istitutidi credito allo studio Borghesi-Vitale; esso prevede una prima fase di abbattimento del capitale sociale e una successiva ricostituzione dello stesso attraverso l'emissione di azioni e di obbligazioni. (36) Volantino del consiglio di fabbrica Binda di Conca Fallata, del 4 ottobre 1993. (37) Le cartiere Binda sono infatti la seconda azienda cartaria a livello nazionale. gruppo»(38) Il consiglio di fabbrica è certo della mancanza di volontà da parte delle banche di risanare le cartiere, è anzi convinto del contrario: «Il piano è rivolto a tagli del personale pesantissimi e a tagli produttivi tali da causare l' incapacità dell'azienda di stare sul mercato. La chiusura della cartiera di Olgiate toglie al gruppo una produzione di base come quella delle carte patinate, mentre 1' avvenuta cessione del marchio delle carte autocopianti 'biplura' alla multinazionale Arjo Wiggins lo priva di una produzione prestigiosa ed unica in Italia [...] e porta alla chiusura immediata dello stabilimento di Conca Fallata. [...] La rapidità con cui si vuole arrivare alla chiusura di Conca Fallata fa pensare, invece, alla volontà di porre i lavoratori di fronte ad un fatto compiuto ed irreparabile, per recuperare al più presto i crediti concessi, costi quel che costi» (39) . Per tutto 1' autunno si sono protratte le trattative, durante 1' intero periodo il consiglio di fabbrica ha organizzato le lotte per dimostrare la propria forza contrattuale e nel tentativo di trovare alleati all'interno delle istituzioni locali. Numerosi sono stati gli scioperi, i cortei, i blocchi stradali nella zona, i presidi, le delegazioni presso il Consiglio di zona, il Comune, la Provincia e la Regione, le assemblee interne e pubbliche e i blocchi delle merci. L' ade'zione a queste iniziative è stata quasi sempre molto alta, anche perché, come constata amaramente la delegata sindacale, in questo caso la partecipazione non richiede niente di più che la sola difesa dei propri interessi personali. Da tutte queste iniziative è emerso chiaramente l' isolamento in cui si trovano oggi a Milano, nonostante la crisi, i lavoratori di una fabbrica in lotta. Isolamento rispetto agli altri lavoratori in lotta e isolamento rispetto al resto della popolazione, anche della zona stessa. Entrambi chiari segni, seppur con diversi responsabili, della perdita di quel tessuto proletario e di quella coscienza e solidarietà di classe che nei decenni scorsi contraddistinguevano la periferia milanese. Nel milanese sono centinaia le aziende in crisi, eppure manca anche un minimo collegamento tra le diverse realtà. Le uniche forze in grado di poter realizzare un coordinamento del genere, i sindacati confederali, non si sono mai mossi in questa direzione. Un' organizzazione di tale entità andava costruita negli anni ricercando un radicamento attraverso il potenziamento dei consigli di fabbrica delle singole industrie, ed un collegamento che non perdesse mai il contatto diretto con i lavoratori e la realtà operaia. I sindacati confederali, coerentemente con la scelta di cogestione delle crisi, hanno preferito potenziare i quadri distaccati o del tutto estranei alla produzione; hanno accentuato ulteriormente il carattere verticistico dell'organizzazione senza impegnare energie nel potenziamento degli ambiti di base e nel mantenimento tra i lavoratori di un'entità di classe nel corso dell' evoluzione di questa; hanno sempre puntato sulla difesa dei posti di lavoro e sulle rivendicazioni contrattuali nelle singole industrie e per le singole categorie senza costruire lotte realmente unitarie. Scelte che spesso hanno significato vittorie anche importanti ma sempre parziali e che non hanno assolutamente migliorato la situazione generale dei lavoratori italiani, come emerge nei periodi di crisi in cui la contraddizione capitale-lavoro appare, come oggi, con drammatica chiarezza. In autunno il centro cittadino era attraversato quasi quotidianamente da piccoli cortei


(38) Intervista ad Angelo Tranchida, cit. (39) Comunicato stampa del consiglio di fabbrica Binda di Conca Fallata dell' 11 ottobre 1993. di lavoratori di singole aziende che dimostravano, come nel caso della Binda, la propria impotenza davanti ad una controparte composta magari da istituti bancari solo relativamente interessati alla produzione, e quindi non danneggiati dagli scioperi, e un' assoluta incapacità di rivendicare di fronte al governo una legislazione che difendesse realmente il diritto al lavoro. La costruzione di un largo fronte d' opposizione, all'interno del quale fossero coordinate e quindi valorizzate le singole realtà di lotta, avrebbe dato la forza ai lavoratori di impedire al governo di tentare di uscire dalla crisi con lo smantellamento dello stato sociale e di esigere da esso non solo ammortizzatori sociali, ma reali sicurezze. Con le poche forze dei lavoratori di una piccola-media industria invece non si ha neanche la capacità di pretendere dalla giunta comunale, come proponeva un operaio nell' assemblea sindacale del 25 ottobre '93, di destinare, senza possibilità di cambiamento, in caso di chiusura degli stabilimenti, l'area a verde pubblico, in modo da impedire qualsiasi speculazione. Oltre a questo isolamento tra le fabbriche in lotta non si può non notare una quasi estraneità della città rispetto ai lavoratori che si vedono negati il diritto al lavoro. Al di là della naturale solidarietà data dalle forze politiche progressiste e da diverse realtà della «società civile» (40) della zona, dell' aiuto nella pubblicizzazione della situazione critica di parte del collettivo di zona, alla raccolta di fondi da parte della parrocchia vicina, praticamente nessun cittadino è stato coinvolto nella lotta della Binda (41). Appare chiaro quindi da una parte la perdita di una diffusa solidarietà di classe, frutto della sistematica soppressione (chiamata poi genericamente e con qualunquismo «morte delle ideologie») negli anni '80 di quell'ideologia fondata sui valori dell' uguaglianza, della solidarietà e dell' impegno collettivo propria della sinistra, e dall' altra il ruolo marginale che l' industria si trova oggi a svolgere, in una fase come questa in cui progressivamente si sta procedendo ad una deindustrializzazione della nostra regione e più in generale dei paesi ricchi, destinati, nei progetti di ristrutturazione produttiva, al terziario avanzato. Chiaramente la Binda, pur essendo 1' azienda più grande della zona 15, non si può considerare certo uno dei nodi produttivi vitali del quartiere; la chiusura della cartiera in realtà non coinvolge che i lavoratori lì impiegati, al contrario di ciò che poteva succedere alcuni decenni fa o in realtà come Crotone (42) . Dopo mesi di lotte quotidiane sviluppatesi in


(40) Le sezioni locali del PDS, Partito di Rifondazione Comunista, Verdi e Rete, il Comitato per la nuova democrazia di zona 15, il Collettivo Intifada e il cdf della Carle & Montanari (anch'essa azienda in crisi) hanno firmato un primo volantino in ottobre; successivamente ha aderito ad una assemblea pubblica, organizzata dal cdf con l'aiuto del collettivo Intifada, una lunga ed eterogenea serie di altre realtà sempre della zona. (41) Gli studenti, si pensi al '68 ed agli anni '70, nei loro movimenti si sono sempre avvicinati al mondo operaio; a prova ulteriore della perdita della solidarietà di classe bisogna sottolineare l'estraneità delle problematiche del mondo del lavoro dal Movimento del '93, anche negli istituti tecnici e professionali. La situazione stessa della Binda, nonostante le numerose assemblee, autogestioni ed occupazioni, è stata denunciata dai collettivi studenteschi, senza tra l'altro raccogliere interesse da parte degli studenti, poche volte in alcune scuole della zona (nei tre istituti di piazzale Abbiategrasso, all'Agnesi, al Feltrinelli e nella succursale del Pacinotti). (42) Crotone è diventato nell'autunno '93 il simbolo della rabbia e della resistenza operaia di fronte alla disoccupazione. Come in parte era successo in Sardegna con le miniere occupate, l'intera popolazione della cittadina ha espresso la propria solidarietà ai lavoratori dell'Enichem, la fabbrica più grande della zona intorno alla quale ruotavano realmente tutte le risorse. I lavoratori hanno occupato lo stabilimento difendendolo dai tentativi d i sgombero; le donne hanno occupato prima il comune, poi la stazione; i commercianti hanno deciso la serrata totale, scioperi articolati e cortei, ma anche con 1' occupazione da parte dei lavoratori dell' aula consiliare della Lega Nord volta a farsi ricevere dal sindaco Formentini e con il picchettaggio delle merci in uscita (azione questa che è costata anche alcune denunce da parte della direzione aziendale, poi ritirate), nel dicembre del '93 sindacati e banche hanno firmato un accordo, poi ratificato dai lavoratori dei diversi stabilimenti compreso quello di Conca Fallata. Nell'accordo vengono concordati alcuni ammortizzatori sociali, quali prepensionamenti e cassaintegrazione a zero ore e il vincolo dell'area a zona industriale fino 1999. Attualmente, marzo 1994, il consiglio di fabbrica lamenta da parte padronale la volontà di non voler rispettare 1' accordo firmato a Roma nelle trattive per 1' applicazione di tale documento; la direzione non vuole concedere ad esempio i prepensionamenti o la rotazione per la cassaintegrazione. le scuole autogestite hanno approfondito il problema occupazione e hanno manifestato la propria solidarietà; il vescovo ha celebrato la messa sui binari. Crotone intera si è opposta alla chiusura che colpiva non solo gli operai direttamente interessati, ma anche i commercianti e i lavoratori occupati nelle altre attività della zona. [IMMAGINE] [IMMAGINE] [IMMAGINE] V IL RAPPORTO TRA LA FABBRICA E IL TERRITORIO di Igor Deiana e Giulia Lauletta I. Premessa. Con il nostro lavoro intendiamo analizzare i termini del rapporto tra la cartiera Binda e il suo territorio nella consapevolezza che si tratta di un problema particolarmente complesso, che esula dalle nostre competenze culturali: crediamo, tuttavia, di poterne spiegare alcuni aspetti osservando la fabbrica sotto l'aspetto ambientale, cioè nella dimensione spazio-territoriale. II. La cartiera Binda come esempio di archeologia industriale. Il piano paesistico (1) del 1989 classifica la cartiera Binda di Conca Fallata come un area di archeologia industriale. Prima di considerare gli elementi che fanno rientrare l' edificio in questa categoria e le conseguenze sulle trasformazioni dei territorio che la classificazione comporta, cerchiamo di capire che cosa si intende per archeologia industriale. Il termine infatti non solo è ostico, ma sembra quasi dare origine a una sorta di dissonanza, di disagio. La spiegazione è nell' abitudine, o nel pregiudizio, che ci fa associare il termine «archeologia» allo studio di fenomeni e produzioni artistiche, mentre l'attributo «industriale» si riferisce ben poco alla sfera dell' artistico e dell' estetico, quando non le contraddice in pieno. Tuttavia visto l' evolversi della disciplina dell' archeologia e il senso dell' aggettivo «industriale», bisogna rendersi conto di quanto questi concetti siano in realtà degli pseudo concetti. L' archeologia da collezione che si limita allo studio dell' antichità sradicata dal suo contesto, è superata da tempo. Il più moderno sviluppo dell' archeologia si evolve nel senso di recupero della storicità, rappresenta un modo diverso di indagine storica il cui fine è però il medesimo: portare alla conoscenza della vita dei popoli e delle sue trasformazioni. L' archeologia industriale è quindi testimonianza materiale di luoghi dove avvenivano i processi produttivi e dove vivevano, lavoravano soffrivano gli uomini che quei processi mettevano in moto. Gli stessi conformismi culturali colpiscono l' approccio al concetto di «monumento industriale», all' apparenza contraddittorio se si pensa che il termine «monumento» accentua la caratteristica estetico-celebrativa mentre il termine «industriale» si associa al concetto di utile, come antiestetico. In realtà al concetto di monumento si è ormai sostituito quello di «bene culturale» che non si sofferma sul monumento come oggetto ma come struttura storica. Chiariamo con un esempio: «una ferrovia non offre solo un ponte o una stazione significativa, ma è una struttura, storicamente motivata da necessità di collegamento, che apre una modificazione sistematica del passaggio, è caratterizzata da una determinata tecnica


(1) Piano paesistico del comune di Milano. della costruzione di tutti i suoi manufatti» (2). Una chiesa può essere sì considerata dal punto di vista dello stile architettonico e dell' assetto formale, ma questi debbono anche essere messi in relazione con la struttura della Chiesa del tempo, e con i suoi rapporti col fenomeno dell' urbanizzazione con il mondo rurale. Il metodo è comune a quello dell' archeologia industriale: considerare queste realtà come sistemi storici definiti nel tempo e nello spazio, ed inquadrarne il fenomeno artistico. La salvaguardia del monumento industriale non è sempre facile. Si incontrano dir tipi di ostacoli: da una parte il disinteresse della gente verso il mantenimento del luogo di lavoro, sentito come elemento di costrizione, e dall' altra parte la ferrea opposizione degli industriali che vedono la fabbrica unicamente come spazio per nuove attività e nuovi investimenti. Attualmente gli edifici storici sono tutelati da due leggi. La prima legge organica che ha affrontato il problema del bene culturale è la n. 1089 del 1.6.1939. Nel testo di legge il concetto di «monumento» è per la prima volta connesso a quello di «notevole importanza storico artistica». E' il segnale formale del passaggio dalla concezione nazionalistico- risorgimentale di emergenza a quella più moderna di testimonianza storica. Tuttavia la prospettiva storica non viene rispettata del tutto dalla legge, che possiede il grosso limite di considerare il bene ambientale avulso dal suo contesto. Se questa miopia è grave per qualsiasi opera artistica, pensiamo a quanto possa essere nociva per l'archeologia industriale, i cui resti sono significativi solo all' interno del territorio nel quale sono collocati. In particolare edifici di basso valore architettonico, sono interessanti dal punto di vista paesistico, perché consentono il recupero di un pezzo della storia di quel territorio. E' questo il caso della cartiera Binda che è ben lontana dall' avere elementi stilistici decò e neoclassici come la Richard di via S. Cristoforo né può vantare richiami allo stile mitteleuropeo come le officine Galileo(3) , ma è comunque parte della storia industriale, ambientale, architettonica e umana della bassa milanese. La struttura della fabbrica assume ben altro interesse se vista all' interno di un progetto più ampio di recupero del Naviglio, a cui la struttura è storicamente collegata (4). La tipologia dell'edificio Binda si inserisce nel filone dell'«architettura senza qualità» (5) che attraversa la storia dell' architettura milanese a partire dal XIX secolo fino ai giorni nostri. Infatti lo sviluppo industriale a Milano inizia, in fase embrionale, a metà Settecento. La maggior parte delle prime imprese, per lo più opifici, filature cartiere o stamperie, aveva sedi in immobili originariamente destinate ad altre funzioni. Si trattava di case patrizie, ma soprattutto di chiese e conventi, poiché 1' architettura monastica, era


(2) Cfr. F. BORSI, Introduzione alla archeologia industriale, Officina Edizioni, Roma 1978. (3) Cfr. A. NEGRI, Museo all'aperto dell'Archeologia Industriale, in Archeologia Industriale in Lombardia, Medio Credito Lombardo, Milano 1982. (4) La Regione ha previsto di far rientrare in un piano paesistico ogni spazio ed edificio prospiciente il Naviglio. Il progetto avrebbe un vincolo per cui ogni modifica agli immobili dell'area dovrebbe essere conforme con le sue caratteristiche originali e le aree verdi dovrebbero rimanere tali. Tuttavia il progetto regionale è stato bloccato dal comune che si è rivolto al Tar per ottenere l'annullamento della delibera sostenendo che questa prevarica le sue competenze. Il contrasto è ancora in corso. (5) Cfr. A. NEGRI, Inizi e sviluppi di un'architettura dell'industria a Milano, in Archeologia Industriale in Lombardia, cit. profondamente funzionale alle esigenze lavorative (si pensi al grande numero di finestre delle navate che, potevano fornire luce ad ogni singolo macchinario). Nel 1778 venne affidato dal Comune il progetto per la nuova Zecca: è questo il primo incontro (che successivamente diverrà aperto conflitto) tra progettazione architettonica, legata al gusto neoclassico dell' epoca, e esigenze funzionali e produttive. Allo stesso modo della Zecca, la fabbrica dei tabacchi, anch' essa di commessa comunale, rispose positivamente ai canoni estetici della Commissione d' Ornato (6) . I primi casi di scontro aperto si ebbero con i primi grossi stabilimenti di committenza privata. Il più importante esempio di questo scontro è quello della stamperia dei fratelli Kramer del 1825 il cui progetto rispondente a precise esigenze funzionali, fu bocciato dalla Commissione d' Ornato per ragioni di carattere estetico. Nel caso Kramer la leggi formali cercano ancora di convivere con le esigenze neoclassiche. Ben presto però la Commissione d' ornato cambiò linea, tollerando strutture non conformi al gusto del tempo in edifici funzionali allo sviluppo economico della città e posti in periferia. Dalla metà dell' Ottocento così l' architettura della fabbrica inizia a dequalificarsi al «architettura senza qualità», mescolanza di stili diversi. Le strutture costruite come semplici contenitori, in base al solo criterio della funzionalità, si moltiplicano: lungo il Naviglio Pavese oltre alla Binda (1855) c'è la filatura Schappe (1898). Altri casi, ancor' oggi osservabili nella città, sono la Breda, la De Angeli e la Pirelli, vie di mezzo tra citazioni di stili architettonici e funzionalità pura. Il complesso Binda di Conca Fallata è uno stabilimento di vaste dimensioni; attualmente occupa un' area di circa 130 mila mq e contiene al suo interno numerosi edifici. Il primo edificio visibile dall' Alzaia Naviglio Pavese è costituito da un basso corpo di fabbrica con tetto a terrazza e facciata scandita da scomparti rettangolari in cui sono inscritti archi ciechi e da un corpo retrostante più alto con tetto spiovente. In prosecuzione a questo complesso si trova la palazzina della casa per impiegati, con pianta a U. Internamente un lungo fabbricato, parallelo al precedente, di pianta rettangolare, a tre piani ripartito in tre scomparti, era destinato originariamente a laboratorio di sperimentazione e oggi a magazzini e uffici. Contigua al fabbricato è la casa operaia anch' essa a tre piani. I capannoni per la produzione sono raggruppati in due grossi complessi: all'interno i pozzi per l 'approvvigionamento dell' acqua e la centrale termica per la produzione energetica. La tipologia architettonica della fabbrica Binda è difficilmente ricostruibile (soprattutto per quanto riguarda gli elementi di decoro esterno) viste le numerose ristrutturazioni che ha subito, di cui la più clamorosa è quella conseguente all' incendio del 1871 (7) , che distrusse gran parte della fabbrica. Tuttavia, osservando gli edifici più vecchi (la palazzina per gli operai, quella per gli impiegati, i corpi adiacenti 1' uscita sul Naviglio e 1' attuale corpo centrale di fabbrica), insieme a carte e stampe d' epoca possiamo riconoscere negli edifici Binda alcuni resti distinti dello stile Neoclassico se pure ridotti alla semplice ripetizione di un modulo (ad es. 1' elemento dell' arco di cerchio è costantemente ripetuto sia nell' edificio iniziale, che nella palazzina centrale degli uffici). Le innovazioni tecnologiche entrando alla Binda ne hanno profondamente modificato la struttura, basti pensare che fino a pochi decenni fa al posto del parcheggio dei


(6) Commissione Comunale per il controllo dell'edilizia cittadina. (7) Cfr. A. GARLANDINI-M. NEGRI, I monumenti storico-industriali della Lombardia, Milano 1977. TIR era presente il deposito per le carrozze. Per 1' approvvigionamento dell' acqua il complesso ha visto succedersi alle strutture che incanalavano le acque del Lambro i moderni pozzi interni. Ancor oggi è presente una struttura chiamata «conciaio» che aveva il compito di regolare le acque della conca rispetto alle esigenze della fabbrica. Per quanto riguarda 1' energia il complesso presentava, già dal progetto iniziale, turbine, ruote idrauliche e macchine a vapore, che permettevano di sfruttare la forza energetica del salto d' acqua della Conca. Successivamente si è passati al generatore proprio. III. Rapporto con il territorio all'origine dell'insediamento: la fabbrica e il villaggio operaio. La Binda si è inserita, a metà Ottocento, in un' area che era aperta campagna , ed è rimasta tale fino ai primi decenni del nostro secolo. La manodopera arrivava dai piccoli comuni vicini alla città o dalle zone popolari come Porta ticinese. In anni in cui non c' erano altri mezzi di trasporto oltre la bicicletta e le proprie gambe questo pendolarismo costituiva disagio e diventava limite effettivo alla produttività. Per risolvere questi problemi i proprietari delle più grandi fabbriche costruirono accanto ad esse villaggi per gli operai. Per capire il ruolo che i villaggi operai ebbero nello sviluppo del territorio consideriamo il contesto in cui si inseriscono, prendendo come esempio Milano attorno al 1880. A quel tempo la città si trova a sopportare una pressione e una richiesta di abitazioni che le era sconosciuta (8) : Milano è all' apice del processo di industrializzazione e di conseguenza cambia immagine, diventando metropoli commerciale, centro amministrativo e politico, ruoli che aveva perso dopo 1' Unità d' Italia. Per attuare questa trasformazione 1' antico tessuto edilizio del centro, che raccoglieva i ceti popolari, viene sostituito con costruzioni di prestigio. Avviene una massiccia espulsione dei tradizionali ceti poveri urbani verso la periferia, questi si vanno ad aggiungere alle masse immigrate dalle campagne per la crisi agraria e in cerca di lavoro e abitazioni a basso costo. L' azione dell'amministrazione cittadina per risolvere il problema degli alloggi popolari fu praticamente inesistente. Le prime iniziative edilizie per il proletariato urbano, hanno un evidente carattere speculativo: sono per lo più «case a ringhiera» che riprendono 1' impianto della cascina a corte innalzandone notevolmente 1' impianto sino a 5 o 6 piani, (9) riuscendo così ad ospitare molti più abitanti di quelli previsti. Ancora nel 1903 la legge Luzzatti per le case popolari riconosceva indispensabile 1' intervento pubblico in un settore lasciato in mano per lo più ad iniziative paternalistiche, filantropiche o umanitarie e a grosse speculazioni. Di fatto, però, 1' intervento pubblico veniva limitato ad agevolazioni per gli operatori, individuati, ancora una volta, nelle società


(8) Cfr. A. PARIGI, Fabbriche e case operaie nella bassa pianura, Comune di Rozzano, s.d. (9) Le case a «corte» sono tipiche dell'800. Sono costituite da più corpi disposti attorno ad ai cortile al cui centro spesso si trovava il pozzo. Ogni corpo aveva più piani ognuno con tn ballatoio che dava sul cortile. I ballatoi erano generalmente comunicanti per mezzo di scale. I servizi erano comuni, uno per piano. di mutuo soccorso (10) negli industriali e negli enti morali e nelle società di beneficienza. Nel 1908, infine si deliberò a Milano la fondazione dell' Istituto per le case popolari ed economiche, col concorso di capitali del Comune e di istituti di credito. Ad opera dell' Istituto furono costruiti i primi quartieri comunali: quello di via Ripamonti, via Solari, via Mac Mahon, via Spaventa, via Tibaldi, via Lulli, ecc. (11) . Il villaggio operaio si inserisce in questo periodo di accrescimento urbano, come risposta a gravi problemi pratici, come la richiesta di nuove abitazioni e il pendolarismo. I villaggi operai erano forniti di molti servizi (i2) : la mensa 1' asilo, i bagni pubblici, la chiesa e i luoghi aggregativi. Si formava così una sorta di comunità attorno alla fabbrica, sovrastata (spesso anche fisicamente) dal casotto signorile, che diffondeva I' idea del lavoro industriale come estraneo al conflitto di classe, fondandolo viceversa sull'apparente solidarietà tra imprenditori e operai. In realtà l' imprenditore nell'offrire determinati servizi ai lavoratori non era mosso da intenti solidaristici, quanto da interessi di parte. I miglioramenti igienico-sanitari connessi alle nuove abitazioni contribuivano sensibilmente alla riduzione dell' assenteismo; la presenza di strutture come 1' asilo forniva la disponibilità del meno costoso lavoro femminile (13) . La tradizionale chiusura e autosufficienza di queste comunità rendeva molto difficile il diffondersi di idee e movimenti tendenti all' emancipazione dalla sudditanza al padrone e all' affermazione dei diritti della classe operaia. La ricattabilità era massima: qualora un operaio avesse deciso di scioperare non rischiava solo la perdita del posto di lavoro, ma anche la casa per la sua famiglia, 1' istruzione per i figli, ecc. La superiore qualità della vita che offrivano i villaggi operai, rispetto ai quartieri popolari, aveva come contropartita la ricattabilità, la dipendenza dal padrone e l'alienazione. Caratteristica comune dei villaggi operai è la «meccanizzazione» della vita della collettività anche al di fuori delle ore di lavoro. I villaggi «sono pensati come macchine per lavorare e per abitare, dove i movimenti collettivi si sviluppano lungo percorsi predeterminati, tra alcuni luoghi deputati - la chiesa la palestra, il teatro, il caffè - e in tempi che lasciano poche varianti individuali» (14) . Le case operaie possedevano spesso piccoli orti che creavano un' illusoria continuità con la realtà contadina da cui provenivano gli operai. La struttura del villaggio-comunità è quindi il prodotto del paternalismo imprenditoriale, teso a costruire un modello sociale statico ed isolato, la cui armonia si


(IO) La Società Umanitaria - forse la più famosa tra le società di mutuo soccorso - sorse nel 1883; a causa dei suoi legami con partiti e organizzazioni di classe venne sciolta come organizzazione sovversiva nel 1898, per ritornare attiva nei primi del Novecento. Le iniziative della S.U. spaziarono dall'assistenza, all'educazione, alla documentazione sulle condizioni di vita delle classe operaia e dei ceti subalterni (sulla sua attività Cfr,L'umanitaria e la sua opera, Cooperativa grafica degli operai, Milano 1922). (11) Cfr M. GRANDI - A. PRACCHI, Milano guida all'architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1984. (12) Il villaggio della frazione di Capriate fu fondato nel 1878 dal cotoniere Silvio Benigno Crespi ed è l'esempio più significativo (per dimensioni, compiutezza e qualità formali) di villaggio operaio ottocentesco italiano. L'incrocio di due assi stradali ortogonali è il fulcro attorno al quale si articola il paesello. L'asse più lungo divide gli spazi del lavoro (fabbrica) da quelli del riposo. Questi sono le case, la chiesa, la cooperativa di consumo, l'albergo, l'ambulanza, il lavatoio pubblico, la scuola, il teatro, la piazza e il cimitero. (13) Cfr. E. BONIFAZI - A. PELLEGRINO, Società e democrazia, Bulgarini, Firenze 1989. (14) Ibidem. fonda sulla subalternità dei lavoratori attorno all' autoritaria e rassicurante figura del «padre fondatore». Questo modello è certamente presente nel progetto di Ambrogio Binda, che diffonde su un sussidiario scolastico la «leggenda» della sua storia di imprenditore formato con la sue sole forze, grazie alla sue capacità e alla sua forza di volontà. All' epoca della fondazione dello stabilimento, Binda fece edificare un villaggio per gli operai di circa 100 abitanti che aveva il suo fulcro nella fabbrica. Il villaggio comprendeva la casa per il medico, la levatrice, la farmacia, la scuola, un forno, un magazzino per il vino e una chiesa. La palazzina per gli alloggi operai è presente tutt' oggi ed è individuabile dal Naviglio poiché è posta di fianco all' ingresso principale della fabbrica. La palazzina ha una tipologia molto comune nell' architettura popolare (i cosiddetti «palazzotti»): 4 piani, servizi comuni (2 per piano), pavimenti in mattoni, scale in legno. Ogni appartamento consisteva in due stanzoni e veniva dato in affitto agli operai nel periodo in cui lavoravano nella fabbrica. Come in tutti i villaggi operai anche nella Binda gli alloggi per gli operai sono distinti da quelli per gli impiegati, qualitativamente migliori (l5). Il palazzo per gli impiegati prosegue lungo il corpo centrale della fabbrica, ha tre piani ed è esteticamente migliore delle case operaie e più vivibile all' interno. Nel villaggio Binda non è mai stato presente il palazzotto padronale, poiché la famiglia Binda abitava in una villa nei pressi di porta Ticinese. Tra i servizi presenti all'interno della fabbrica c' era l'asilo mantenuto fino agli anni '30 e uno spazio che gli operai chiamavano «Paese» (16) . Con questo nome gli operai indicavano la casa gialla visibile ancor oggi dal Naviglio, che ospitava una posteria, negozio di generi di prime necessità, di utilizzo esclusivo dei dipendenti. Fino agli anni '50 il pianterreno del palazzo dei lavoratori era occupato dall'osteria, di cui oggi rimane solo 1' insegna sbiadita. Con le lotte sindacali degli anni '60 gli operai ottennero la mensa. Ovviamente le abitazioni per i dipendenti subirono molte modifiche. Le più grosse ristrutturazioni furono fatte attorno agli anni '70 per iniziativa dei singoli lavoratori che occupavano gli appartamenti: furono costruiti servizi singoli, intonacati i muri, piastrellati i pavimenti, ecc. Negli anni '80 tutti gli appartamenti sono stati venduti; oggi il 70% del totale sono di proprietà dei lavoratori. Nel 1958 furono costruite altre due palazzine per gli operai a Cassino. Queste case furono comprate a riscatto dai dipendenti. Inoltre la ditta comprò alcuni appartamenti in via De Sanctis per darli in affitto ai dipendenti durante il periodo lavorativo.

IV. Rapporti con il territorio all'origine dell'insediamento:le infrastrutture.

La mappa del territorio del 1855 ci restituisce l' immagine del territorio sul quale


(15) Nel villaggio di Crespi d'Adda è presente una gerarchia di edifici tra cui vi sono le case per gli operai, i villini per gli impiegati e le ville per i dirigenti, alcune «firmate » da architetti come Pirovano e Moretti. Sopra tutto domina la villa del padrone, castello in stile neomedioevale (Cfr. A. PARIGI, Fabbriche e case operaie nella bassa pianura, Comune di Rozzano, cit.). (16) Intervista al sig. Nereo Fabbri, tecnico della cartiera Binda. sarà costruita proprio in quegli anni la cartiera. La scelta della sua localizzazione fu in gran parte determinata dalle caratteristiche strutturali del territorio e dalle risorse esistenti. Esaminiamole quindi attentamente. a) Risorse idriche ed energetiche. La zona sulla quale fu edificata la fabbrica era particolarmente favorita da una straordinaria abbondanza di acque sotterranee e superficiali. Sorse infatti su terreni ricchi di pozzi e alla confluenza di due importanti corsi d' acqua: il Lambro meridionale e il Naviglio Pavese. Il colatore Lambro Meridionale ha origine da uno scaricatore del Naviglio Grande, che in località S. Cristoforo a Milano riceve anche le acque del fiume Olona. Infatti 1' Olona, dopo un lungo e tormentato cammino attraverso le province di Varese e Milano, cessa da un momento all' altro di chiamarsi con tale nome per assumere quello di Lambro Meridionale. Una prima tratta del Lambro, e precisamente quella tra il Naviglio Grande e quello di Pavia, prende il nome di Lambro Morto. Successivamente il Lambro, dopo avere sottopassato il Naviglio Pavese in località Conca Fallata, si snoda a sud di Milano per una lunghezza di circa km 56. Lambendo con il suo passaggio i comuni di Rozzano, Locate, quelli pavesi di Siziano, Landriano, Marzano e Villanterio, per ricongiungersi a S. Angelo Lodigiano al Lambro settentrionale e con questo immettersi nel fiume Po. Per scopi irrigui furono in passato derivate dalle sue acque numerose rogge. «Le origini del Naviglio di Pavia si possono invece far risalire ad epoca remota e precisamente all' originario scavo del cosiddetto 'Navigliaccio', iniziato nel 1359 sotto il governo di Galeazzo Visconti». «I lavori proseguirono fiaccamente nel periodo spagnolo, furono ripresi nel 1805 durante la dominazione napoleonica: i francesi dedicarono infatti una particolare attenzione al problema della creazione di un sistema di canali navigabili» (17) . Si deve quindi ritenere che i rilevanti fabbisogni idrici richiesti dalle tradizionali tecnologie di fabbricazione della carta potessero così facilmente e completamente essere soddisfatti. Inoltre, fatto ancora più rilevante, il Naviglio in Conca Fallata determinava un salto d' acqua di notevole portata e costituì quindi una fonte di energia cinetica facilmente trasformabile in forza motrice per le necessità energetiche della cartiera. b) Infrastruttye varie e territoriali. L'assetto viario del tempo era costituito prevalentemente dalla strada di collegamento tra Milano e Pavia (detta poi statale dei Giovi) che superando gli Appennini arrivava fino a Genova. Unica arteria di collegamento dei traffici a sud di Milano è stata interessata da uno sviluppo insediativo lineare costituito di molteplici iniziative industriali e artigianali. E' evidente I' importanza che tale infrastruttura ha avuto per lo sviluppo della cartiera, consentendo e rendendo agevoli gli approvvigionamenti dei materiali e 1' invio dei prodotti finiti. Meno facile da analizzare il rapporto tra la cartiera e la struttura produttiva del tempo. Il territorio in esame, come abbiamo già detto, pur prevalentemente agricolo aveva via via sviluppato una serie di unità produttive artigianali tradizionalmente di supporto alla struttura agricola: mulini e pile da riso, frantoi, fornaci, folle per panni e per la fabbricazione della carta.


(17) Cfr. A. PARIGI, Il naviglio di Pavia, Comune di Rozzano, s.d. Sarebbe interessante al riguardo approfondire quanto abbiano influito le conoscenze tecniche ed economiche materializzate nel tempo sui nuovi insediamenti industriali ottocenteschi. V. Gli attuali rapporti insediamento-territorio La planimetria n. I ci restituisce l'immagine attuale del territorio della cartiera, ormai inglobata nella città. Possiamo quindi verificare come sono cambiati in più di un secolo la struttura del territorio in esame, la qualità delle risorse e l' impatto tra l' insediamento e la città. a) Infrastrutture varie. La più rilevante modifica dell' assetto viario originario è stata la costruzione dell'autostrada Milano-Genova all'inizio degli anni '60, che passa a pochi metri a Ovest della cartiera parallelamente al Naviglio. Il tracciato della statale dei Giovi è rimasto inalterato, chiuso com' è tra il Naviglio Pavese e gli edifici esistenti. Il forte flusso di traffico che la percorre quotidianamente provoca continui intasamenti e lunghe code di macchine che impediscono il servizio dei trasporti pubblici che servono la zona con autolinee pubbliche e private. L' assetto delle infrastrutture viarie, quindi, che all' origine era stato un fattore determinante per la localizzazione della cartiera è diventato oggi un serio handicap per il suo funzionamento. La cartiera risulta infatti completamente isolata dall'accesso autostradale, mentre il difficile collegamento con la statale, costituito dal piccolo ponte della Conca Fallata, rende estremamente disagevole 1' accesso a grandi camion che trasportano le sue merci. Lo studio effettuato dalla provincia di Milano alla metà degli anni '80, visualizzato nella planimetria n. 2, risolveva in parte questi problemi della cartiera. Il nuovo tracciato viario di collegamento con la circonvallazione esterna e con la via dei Missaglia e la costruzione vicino alla fabbrica di svincoli di accesso all' autostrada, avrebbero tolto la fabbrica dal suo isolamento mentre la apertura della stazione della metropolitana (linea 2) appena a nord della cartiera, avrebbe risolto i problemi del trasporto dei lavoratori. Purtroppo il progetto è ancora lettera morta. b) Il rapporto con le acque. La Binda, come tutte le cartiere, ha un grosso fabbisogno energetico. Oggi la cartiera necessita di 100 l. d' acqua per ogni kg di carta, cifra non irrilevante se si tiene conto che la cartiera produce 30000 tonnellate di carta all'anno (all'epoca della fondazione la cartiera necessitava di 800/900 1. per ogni kg di carta). Attualmente 1' acqua viene approvvigionata da pozzi interni, profondi circa 80m, con una capienza di 70 mc al minuto (la fabbrica utilizza tuttavia soltanto 8,4 mc al minuto, il depuratore tratta infatti 12.000 mc al giorno). Una volta utilizzata 1' acqua, prima di essere scaricata, viene depurata. Il 70% viene riciclata, mentre il resto viene scaricato nel Lambro (ci sono cartiere il cui recupero dell'acqua arriva fino al 90%). «Il riutilizzo dell' acqua è oggi una necessità, vista la maggior [IMMAGINE] [IMMAGINE] carenza di acqua fresca disponibile. La depurazione è poi resa obbligatoria, da leggi (") che si vanno facendo sempre più severe» (19). Tutti gli scarichi che avvengono in acque superficiali si devono adeguare alla tabella A, mentre tutti gli scarichi che confluiscono nelle fognature devono essere adeguati ai limiti della tabella C. Comunque le cartiere in generale non scaricano acque molto nocive. Il depuratore alla Binda c'è da circa 10 anni, prima c'erano solo delle grandi vasche di sedimentazione. Il processo di depurazione è molto complesso: le sostanze inquinanti passano nelle centrifughe, dove vengono condensate, raccolte e successivamente mandate nelle discariche autorizzate. L' acqua, nei limiti della tabella A, viene recapitata nel Lambro. I processi utilizzati sono molto simili a quelli per il recupero dell' acqua bianca, 1' acqua proveniente dalla tela per lo scolamento del foglio. Le prime acque bianche sono riciclate mediante invio alla depurazione e impiegate subito per la diluizione dell' impasto. Le seconde acque bianche sono inviate invece ai recuperatori. Questi possono essere basati su tre principi diversi: flottazione, decantazione e filtrazione. I recuperatori basati sulla decantazione come quelli della Binda, sono formati di serbatoi conici, nei quali vengono introdotte le acque bianche, che contengono particelle solide ottenute dal processo di lavorazione. Sopra queste acque gravita un altro cono rovesciato che obbliga le acque a scendere e poi risalire. Durante questo percorso, nel quale la velocità è sempre più bassa, alle particelle ancora in sospensione vengono aggiunte delle sostanze chiamate «polielettroliti» che facilitano il loro deposito sul fondo, mentre l'acqua pulita va in alto. Queste sostanze vengono centrifugate attraverso apparecchiature particolari e quindi recuperate, mentre 1' acqua pulita, dopo essere stata accuratamente analizzata in laboratorio, viene riutilizzata e in parte scaricata nel Lambro (20). Nella cartiera 1' acqua non deve essere depurata solo prima dello scarico, ma anche quando viene prelevata, poiché in essa sono presenti microrganismi, alghe, batteri e microfunghi che danneggiano la produzione della carta. I principali inconvenienti originati dalla presenza di microrganismi nelle acque di fabbricazione sono: comparsa di macchie sulla carta, rotture frequenti dei fogli nel ciclo produttivo, disturbi agli impianti di recupero. I controlli di questi microrganismi sono relativamente recenti e vengono effettuati in più punti del ciclo produttivo. Il problema dell' inquinamento batterico delle acque di cartiera si manifestò con i primi impianti di recupero delle fibre e dei materiali di carica e ancor più quando si tenta di recuperare le acque per reimpiegarle nel ciclo produttivo. L' acqua di superficie è molto più ricca di impurità rispetto all' acqua di pozzo, ragione per cui la Binda ha scelto questa via pur avendo a disposizione ben due corsi d' acqua. I controlli della carica


(18) Legge n. 319 del 1976, Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, detta «Legge Merli»: regolamenta gli scarichi liquidi provenienti dalle attività produttive e dalle fognature pubbliche, che scaricano nei corsi d'acqua superficiali o nel sottosuolo. La legge impone che gli scarichi possano avvenire solo se trattati in precedenza (con depuratori) in modo da nal essere dannosi all'ambiente idrico in cui si immettono. La presenza minima degli agenti inquinanti tollerata è fissata in tabelle A, B, C. Tale legge ha avuto una efficacia limitata per la mancanza dei finanziamenti necessari per la costruzione di depuratori e anche per la continua concessione d i proroghe. (19) Intervista al p.i. Renato Siviero chimico e responsabile del depuratore di Rozzano. (20) Cfr. G. BOTTO-MICCA - E GRANDIS, Carta, Estratto dalle Enciclopedia della stampa, Società Editrice Internazionale, Torino 1969; intervista al dr. Paolo Vercelli; intervista al p.i. Renato Siviero. di microrganismi nell' acqua sono effettuati in più punti del ciclo produttivo. Possiamo quindi concludere che gli effetti che la Binda ha sull' idrografia del territorio non sono di inquinamento ambientale (come è stato detto 1' acqua scaricata è nei limiti della tabella A), ma di squilibrio alla falda (21) . Infatti la Binda, come la maggior parte delle fabbriche che usufruiscono di pozzi, impoveriscono la falda perché continua a prelevare acqua dalla seconda falda in un ciclo aperto in quanto 1' acqua non viene reimmessa nella falda ma scaricata in superficie. Per evitarlo occorrerebbe il riciclo totale, che però è di difficile attuazione e piuttosto svantaggioso, o un impianto di depurazione molto potente che depuri continuamente 1' acqua prelevata dai pozzi e utilizzata, reimettendola poi nel sottosuolo. Come è noto la cartiera non ha i mezzi per effettuare questo tipo di processo e scarica nel Lambro. Si tenga presente che i pozzi della cartiera, con i loro 80m di profondità, prelevano acqua dalla seconda falda, quella destinata a al fabbisogno di acqua potabile della cittadinanza. Per questo reimmettere l' acqua di scarico sarebbe particolarmente dannoso poiché essa, anche se nei limiti, non è comunque depurata al 100%. Bisogna comunque tener conto anche di innumerevoli vantaggi che porta una cartiera come la Binda in una zona come appunto quella del Parco Sud e precisamente zona Conca Fallata/De Pretis. «E' decisamente un modo per far fruttare componenti ambientali di estrema importanza non solo ambientale ma anche storica ed economica come il Naviglio Pavese e il Lambro. E' preferibile quindi risolvere questi minimi problemi che la fabbrica crea al territorio, sicuramente irrilevanti rispetto a quelli economico-politici che ha subito la cartiera in questo periodo, che eliminare un minimo di interesse non solo ambientale in una zona così ricca di risorse non sfruttate» (22) . c) Ipotesi di riconversione: Durante questi anni sono state fatte numerose proposte di riconversione della fabbrica, vediamo le principali. - COMPOST VERDE: destinare l'attuale area alla realizzazione di un impianto di compostaggio per la produzione di «Compost Verde» (50.000t/anno circa; 750.000/1.500.000 abitanti equivalenti). La proposta nasce dalla recente Legge Regionale 1 luglio 1993 N. 21 (smaltimento di rifiuti urbani e di quelli dichiarati assimilabili a norma del D.P.R. 915/1982) che individua, tra le altre priorità quella della gestione separata degli «scarti organici compostabili», ed in particolare 1' obbligo per tutti i comuni, a tempi brevi, della raccolta differenziata degli scarti «verdi». I rifiuti di cui sopra sono, secondo la normativa sopracitata, da considerare rifiuti assimilabili a quelli solidi urbani e, quindi il loro riutilizzo ne eviterebbe lo smaltimento presso le discariche e gli inceneritori. Il compostaggio è un processo aerobico che avviene all' aperto su piazzuole.


(21) Sotto il suolo milanese sono presenti due falde: una arriva ad una profondità di 50m, l'altra è compresa tra gli 80 e i 100m. In passato l'acqua per ogni uso veniva estratta dalla prima falda (infatti i pozzi antichi hanno sempre una profondità di circa 50m). Oggi questa falda non è più utilizzabile a causa del forte inquinamento chimico da cromo, solventi e nitrati. L'acqua è quindi prelevata dalla seconda falda con pozzi superiori agli 80m. (22) Intervista al p.i. Renato Siviero. Gli scarti vegetali interessati allo stoccaggio e compostaggio provengono: a) dalla manutenzione del verde pubblico e/o privato (potature); b) dalla produzione vivaistica; c) da scarti ligneo-cellulosici provenienti dalla lavorazione del legno vergine e eventualmente assemblato con chiodatura. Il materiale che verrà prodotto dall' impianto avrà caratteristiche tali che lo rendono idoneo all' impiego nei settori della flora-vivaistica, dei ripristini ambientali e soprattutto in agricoltura. L' impianto proposto troverebbe in questa zona un adatto inserimento e quindi le sue attività assumono un ruolo di grande importanza per lo sviluppo agricolo dei territori circostanti. La Pubblica Amministrazione potrà mantenere la titolarità dell' iniziativa mentre la gestione può essere affidata agli attuali proprietari della cartiera (23). Non è certo una proposta da ignorare se si considera che mediamente ogni abitante produce dai 30 ai 60 Kg/anno di rifiuti. - IL TELERISCALDAMENTO. All'inizio degli anni '80 fu proposto da Alessandro Pezzoni, allora consigliere di zona del PCI, di sfruttare il getto di vapore prodotto dalla cartiera di Verona (24) e dalla cartiera Binda per riscaldare l' acqua delle case. L' idea diviene un progetto coerente dopo un' accurata analisi svolta dai tecnici dell'Aem, dai componenti delle due fabbriche interessate e dalla commissione del CDZ. «Con la potenza delle caldaie di entrambe le fabbriche si possono riscaldare i seguenti quartieri Iacp: Gratosoglio, Missaglia, Chiesa Rossa, Stadera e S. Ambrogio 1°, in totale circa 6000 alloggi. In più si possono produrre migliaia e migliaia di chilowattora» (25) . I costi sarebbero stati, nel 1980, di 6 miliardi per gli scambiatori di calore, più i costi di scavo. La realizzazione del progetto avrebbe portato molti vantaggi: 1) quello economico: una volta ammortizzato il costo dell' investimento il riscaldamento per i quartieri Iacp avrebbe potuto diminuire a vantaggio degli utenti; 2) quello ambientale: pur consumando combustibile Btz (cioè: idrocarburi a basso tenore di zolfo) le centrali di riscaldamento del quartiere Iacp producevano emissioni solforose, il cui tasso sarebbe certamente diminuito con il teleriscaldamento; 3) quello energetico: produzione di energia elettrica. Lo Iacp in un primo tempo si disse molto interessato ai progetti e analoga risposta si ebbe dall'Aem. Anche il problema delle risorse finanziarie faceva sperare per il meglio, poiché la Bei (Banca investimenti europea) vedeva positivamente un prestito per un' iniziativa conforme alla politica di risparmio energetico allora auspicato dalla CEE. «Si fece in tempo ad ottenere 1' assenso delle proprietà delle cartiere di Verona, ma non delle cartiere Binda perché iniziò il grande valzer durato anni, se costruire o meno la nuova centrale a carbone dell'ENEL di Tavazzano e da qui partire per il teleriscaldamento della zona Sud della nostra città» (26). Il progetto fu definitivamente superato con la rete di metanizzazione, ormai completamente attuata nella zona Sud.


(23) Ipotesi suggerita dal p.i. Renato Siviero. (24) Intervista ad Alessandro Pezzoni. (25) Da «L'Unità» del 14 novembre 1987. 826) Ibidem. - CENTRALINA IDROELETTRICA. Tra le prospettive di sviluppo industriale proposte dalla direzione dell' azienda, vi fu quella di potenziare la centralina idroelettrica della Conca Fallata già in parte installata per alimentare la cartiera stessa. Per questo progetto era stata ottenuta la concessione di derivazione delle acque, per uso di produzione ed energia, con decreto rilasciato dalla Regione. Il progetto avrebbe dovuto essere finanziato anche dalla Regione e dalla Cariplo, ma non ha per ora avuto seguito a causa della crisi del gruppo Sottrici (27) . Secondo il p.i. Renato Siviero «il progetto è buono, ma la mia preoccupazione è che una centrale di dimensioni eccessive possa distruggere un bene storico e architettonico come quello della Conca Fallata». - CENTRALE TURBOGAS. E' associata alla centrale termica per 1' autoproduzione. I pareti raccolti sul progetto (per altro ancora molto approssimativo) sono contrastanti. Il dr. Paolo Vercelli, chimico presso lo stabilimento di Conca Fallata, obietta: «la disponibilità finanziaria dell'azienda è insufficiente per promuovere queste iniziative e bisogna inoltre tener conto degli interessi delle banche rivolti a tutt'altro campo. E' un progetto che rischierebbe di fallire in poco tempo» (28). - UTILIZZO DEL DEPURATORE. Questa ipotesi viene avanzata, ovviamente non a livello professionale, dal p.i. Renato Siviero. Tuttavia ci pare interessante esporla perché mette in luce uno dei grossi problemi della zona: 1' inesistenza di una rete fognaria per i quartieri S. Ambrogio - De Pretis. Essi conseguentemente, scaricano nel Lambro rendendo le acque completamente inquinate e la fascia fluviale ristretta del Lambro invivibile e addirittura pericolosa per l' enorme abbondanza di ratti. Anche gli scarichi della cartiera finiscono nel Lambro. Partendo da questi presupposti l' ipotesi sarebbe di un recupero degli impianti di depurazione della fabbrica per depurare un tronco di fognature nella zona 16. L' impianto di depurazione della Binda è abbastanza sviluppato: è possibile riconvertirlo (operando adeguate modifiche tecniche) per depurare le acque della zona. «In attesa che Milano faccia il suo grande depuratore è possibile utilizzarne uno già attivato. Questo può diventare anche un' area industriale che fornisce un servizio di depurazione pagato dai cittadini con tanto di lavoratori stipendiati. In molti paesi dell' hinterland questo progetto è stato attuato, utilizzando a livello civico il depuratore di fabbriche ormai chiuse». Questo progetto potrebbe avere molte conseguenze positive: a) la conservazione della fabbrica (che consente di evitare la morte di un territorio industriale importante nella storia dell' industria a Milano); b) la salvaguardia dell' ambiente e del territorio (che consente di evitare di eliminare una delle ultime zone verdi a Milano tramite una speculazione edilizia); c) risolvere il probtertiadella rete fognaria e della continua degradazione ambientale di un tratto del Lambro (evitando il continuo scarico di sostanze sporche e inquinate depurandole); d) infine, anche la conservazione di alcuni (anche se pochi) posti di lavoro (evitare quindi il grave aumento di disoccupazione nella zona provocato dalla chiusura della fabbrica) (29) .


(27) Cfr. Enrico LOMBARDI, Relazione sulla visita effittuata il 24-9-93 presso lo stabilimento della Conca Fallata del gruppo Sottrici Binda, Consiglio di zona 15, Milano 1993. (28) Intervista al dr. Paolo Vercelli. (29) In base ai dati sul depuratore si può risalire a quanti abitanti circa può trattare, comunque è un dato molto approssimativo ma indicativo. Sappiamo con precisione che il depuratore tratta 12.000 mc al giorno (in 24 ore), ciò vuol dire che tratta 8,4mc al minuto. Supponiamo inoltre che la dotazione idrica per abitanti al giorno sia d) Potenzialità future dell'area della fabbrica. Dicembre 1993: la cartiera Binda di Conca Fallata rischia la chiusura causando il licenziamento di 320 lavoratori. In uno dei loro volantini leggiamo che la Binda di Conca Fallata «è 1' unica azienda italiana a produrre grosse quantità di carta copiativa e negli ultimi due anni ha raddoppiato la produzione. La possibile causa dello smantellamento è imputabile quindi non alla mancanza di competitività del prodotto sul mercato, quanto alla dissennata amministrazione della passata proprietà del signor Sottrici che ha accumulato 1200 miliardi di debiti. Tale esposizione è stata rilevata da un consorzio di 34 banche. Il fine principale degli istituti di credito è quello di attuare una forte speculazione edilizia su aree molto appetibili» (30) . La speculazione edilizia di cui si parla è realmente possibile? Qual' è il futuro che si prospetta per l'area della Cartiera e per la nostra zona? Per rendercene conto è necessario uno sguardo più ampio che comprenda i percorsi dell' urbanizzazione della città degli ultimi decenni, per arrivare a comprendere le linee di tendenza che influiscono sulla destinazione delle singole aree di una zona. Non trascureremo infine di esaminare le singole forze che possono agire sulla destinazione di un' area tanto appetibile. VI. Accentramento e abbandono della periferia. Il modello di crescita della città dal dopoguerra (inizio della ricostruzione cittadina) ad oggi si è notevolmente modificato. La fase (31) che va dal dopoguerra agli anni Sessanta è caratterizzata dalla ricostruzione frenetica, rispondente alle oggettive necessità conseguenti alla distruzione delle zone bombardate. Un ulteriore incentivo al «principio di costruire sempre e comunque più di prima» (32) sono gli interessi di gruppi ristretti e 1' ideologia dominante che vedeva «1' edilizia come volano esclusivo per la rinascita economica del paese» (33) . In questa fase le scelte sono più legate a fatti contingenti che ad una pianificazione razionale e duratura. A Milano la prima preoccupazione della giunta della Liberazione fu quella di provvedere ad un nuovo piano regolatore, che fu però approvato solo nel 1953. Le riserve di verde agricolo previste in quel piano sono state divorate a poco a poco da nuovi immobili. Il Piano del '53 non prevede interventi per decongestionare zone sovraccariche come il centro creando spazi


di 200 litri per abitante: allora 2001 = 0,2 mc, quindi 12.000/0,2 = 60.000 abitanti esatti. Si può quindi supporre, approssimativamente, che il depuratore della cartiera Binda, riutilizzato possa depurare le acque dell'intera zona 16 (intervista al p.i. Renato Siviero). (30) Volantino congiunto di PDS, Rifondazione Comunista, Re te, Comitati per la nuova democrazia, Collettivo Intifada, CdF Carle e Montanari. (31) Giuseppe Campos Venuti individua, negli ultimi quarani anni, tre Generazioni dell'urbanistica, stabilite in base ai piani prodotti che determinano la crescita cittadina. «Mancano in Italia veri e propri "piani della ricostruzione urbana", si parte dai "piani del primo ordinamento urbano", cui seguono i "piani dell'espansione urbana", fino alla terza generazione appena agli inizi, con i suoi "piani della trasformazione urbana"» (cfr. G. CAMPOS VENUTI, La terza generazione dell'urbanistica, Franco Angeli Milano 1992). (32) Cfr. A. BOATTI, Verde e metropoli, Milano e l'Europa, Città Studi, Milano 1991 (33) Ibidem. liberi a verde (34), così come non prende in considerazione esigenze di servizi sociali. Nella fase che va fino alla fine degli anni Settanta la crescita non si arresta, ma diviene più consapevole, l'espansione viene razionalizzata. I piani razionalizzatori, se pur influenzati dal regime immobiliare, devono comunque tener conto degli standard dei servizi sociali resi obbligatori dal D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968. A Milano la variante generale al Piano Regolatore del '53 tendeva a mantenere alcune aree industriali ritenute compatibili con la città e quindi ad operare un equilibrio con le altre forze produttive, in primo luogo il terziario (35). Tuttavia già in questa fase prevale l' emarginazione delle funzioni urbanistiche meno lucrative: i servizi pubblici, le abitazioni popolari, le industrie. Negli anni '70 inizia la deindustrializzazione che avrà come conseguenza la terziarizzazione degli anni '80, con i fenomeni connessi di speculazione edilizia. La generazione urbanistica che va dagli anni '80 ad oggi è segnata dal passaggio dalla cultura dell' espansione urbana alla cultura della trasformazione. Una delle più grosse problanatiche è il «processo di espulsione delle industrie e delle residenze popolai dalle maggiori città, al quale corrisponde una terziarizzazione più accentuata dei luoghi centrai» (36) A questo grosso problema, e a quelli ad esso conseguenti, congestione del centro e dequalificazione della periferia, se ne affiancano altri, come la necessità di trasporti, le esigenze ecologiche, il recupero (ad es. come verde pubblico) di interstizi urbani non edificati. A Milano è l' epoca delle grandi trasformazioni delle industrie in terziario, mediante varianti parziali al PRG (37) . Gli interstizi urbani vengono considerati esclusivamente per interventi immobiliari, nonostante la grande necessità di nuove aree verdi. Questa politica ha di fatto spinto molti proprietari di industrie a dismetterle per i grandi vantaggi finanziari ed economici legati al cambio di destinazione d'uso in terziario. Sono di questi anni i grandi cambi di destinazione di edifici come la Pozzi Richard Ginori e la Pirelli Bicocca. Sono di questi anni le grandi speculazioni edilizie e la formazione delle aree dismesse. Nella distribuzione degli elementi urbani nella città, a Milano è sempre stata seguita una politica accentratrice, tesa a concentrare tutte le funzioni pubbliche e private di pregio entro i suoi confini, concentrando nell' hinterland e nelle fasce periferiche solo le funzioni minori: i grandi insediamenti di edilizia popolare, le carceri, le discariche, i depuratori. Questa politica ha privato i bordi della città di servizi per i cittadini e di luoghi per il tempo libero, creando invece i tristemente famosi «quartieri dormitorio». La nuova giunta, in carica dal giugno 1992, ha finora accentuato questa tendenza. Ne è un chiaro esempio la vicenda Fiera. «Il problema di aumentare la superficie espositiva della Fiera di Milano è all'ordine del giorno da molti anni, e la soluzione è stata individuata da tempo nel trasferimento del quartiere fieristico all'esterno della città» (38) . Gli enti interessati hanno indicato la nuova collocazione sull'area della raffineria Agip di Pero-Rho. «Soluzione che la


(34) Episodi singoli e periferici sono l'abbozzo del Parco di Trenno, del Forlanini, del Nord, del Lambro e del Monte stella. (35) Intervista all'architetto Claudia Capurso. (36) Cfr. G. CAMPOS VENUTI, cit. (37) Il PRG del '76 è quello che regola attualmente la città. I suoi criteri di formazione e la sua tipologia sono illustrati in Per una città più serena, a cura del Comune di Milano, Milano 1980. (38) Dove va (e quando) la fiera di Milano in ‹<La Provincia di Milano», 1993. Provincia da tempo giudica la migliore sia per l' esigenza di portare fuori dalla città, decentrandole, funzioni importanti, sia per ragioni ambientali collegate al risanamento di un' area inquinata che, inoltre, offre il vantaggio di essere molto vicina all' autostrada» (39). Di fronte alla possibilità di risanare un' area inquinata e di decongestioname un' altra la Giunta oppose motivazioni «meneghine», legate alla tradizione cittadina di cui un importante simbolo sarebbe la Fiera. Lo scontro tra Regione e Provincia si chiuse con un accordo in cui il Comune accetta il trasferimento del polo fieristico a Rho-Pero entro il Duemila. VII. La speculazione edilizia e il dibattito sulle aree dismesse. Negli anni '80, l' epoca, come si è detto, della trasformazione urbana, inizia il processo urbanistico che va sotto il nome di «deregulation» (40) , perdita delle regole. Il termine, applicato all' urbanistica, indica le varianti applicate senza criterio al PRG del '76, che hanno consentito la speculazione edilizia su gran parte del territorio cittadino. Di fronte al concreto fabbisogno di alloggi per altro non ancora risolto: «Facendo una stima approssimativa bisognerebbe costruire ancora centomila vani» (41). L' amministrazione produsse il Piano Casa per supplire alle carenze del PRG (Piano Regolatore Generale). Le zone destinate agli immobili furono individuate nelle aree agricole periferiche. Prima dell' uscita della normativa, quindi prima del cambio di destinazione delle aree, pochi grandi costruttori acquistarono i terreni con il valore agricolo, valore notevolmente inferiore rispetto a quello dei terreni edificabili. Così prima che la «deregulation» cambiasse il PRG, solo pochi costruttori, che le vicende di Tangentopoli ci dicono in collusione con l' amministrazione, hanno comperato le aree: il Piano Casa è stato costruito al 50% da un solo grande costruttore, Salvatore Ligresti. La storia quindi ci insegna quanto sia debole la destinazione agricola, poiché è facile fare varianti legislative. «La forestazione urbana è un'efficace tutela, poiché è più difficile cambiare la destinazione di un' area, quando questa comporterebbe un disboscamento. Le are demaniali, destinate a verde pubblico andrebbero subito piantumate. Per altro il metodo della forestazione urbana, che produce i filari dritti e paralleli, è molto semplice e interamente meccanizzato. Per le aree private da destinarsi a verde bisognerebbe intraprendere una procedura di acquisizione comunale e poi procedere alla piantumazione» (42). Contemporaneamente la deindustrializzazione urbana dà luogo al fenomeno delle aree dismesse. Si individuano due categorie di aree dismesse: quelle inserite nel tessuto urbanizzato e quelle inserite nel territorio periferico, a ridosso dei terreni agricoli. Per la prima categoria di aree dismesse ci sono molti esempi di industrie che con il cambio di destinazione degli anni '80 hanno cessato la loro produzione, gran parte delle quali non hanno avuto nessuna nuova destinazione. Pirelli, Tecno City, Portello, Alfa Romeo,


(39) Ibidem. (40) Il termine è americano, inventato in epoca reaganiana con la liberalizzazione dei voli aerei. La presenza delle compagnie private, ognuna con le proprie linee di volo, causò la perdita del controllo e delle regole del traffico aereo. (41) Intervista all'architetto A. Boatti, ricercatore presso il dipartimento di Scienze del territorio del Politecnico di Milano. (42) Ibidem. Montedison, Redaelli, sono solo alcuni esempi. «Il problema fondamentale di queste aree è il riuso con finalità differenti da quelle che gli sono state date in passato. Negli anni '80 tutte le aree dismesse venivano trasformate in terziario, sino ad arrivare alla saturazione. Tenendo presente che il terziario congestiona ulteriormente Milano di mezzi in entrata, bisogna fare ipotesi alternative. Una ipotetica destinazione è la residenza in quanto Milano è poverissima di abitazioni. In questo modo si contrasterebbe la tendenza accentratrice, riequilibrando il tessuto cittadino. Andando sempre in questa direzione un' altra ipotesi è la destinazione a servizi. Ma la destinazione principale dovrebbe essere a verde, per quanto riguarda il tessuto dell' urbanizzato: specialmente nelle zone centrali c' è bisogno di innalzare la dotazione pro capite di parchi e giardini» (43). Nel caso che la cartiera Binda cessasse di essere produttiva, la sua area sarebbe certamente compresa nella seconda categoria di aree dismesse, quelle in territorio di frangia, ultime propaggini del territorio edificato. «In queste aree una destinazione a verde non è importante quanto nelle aree interne al territorio urbano. Ad esempio nelle zone 15 e 16 c' è il Parco Sud (44) che comprende vaste aree agricole e demaniali che potrebbero costituire una cintura di verde (45) . Per questo tipo di aree ci sono due opzioni principali: il rilancio dell' attività produttiva o il riutilizzo degli edifici come servizi. Sul rilancio dell' attività produttiva 1' urbanistica e 1' amministrazione possono influire solo in parte poiché questa è fortemente vincolata dalle leggi di mercato e sicuramente oggi pochi imprenditori aprirebbero attività all' interno del tessuto cittadino. La seconda ipotesi è di stretta competenza urbanistica e amministrativa. Sappiamo quanto la politica accentratrice abbia prodotto quartieri poveri di servizi civili e sociali, di strutture per lo svago e 1' aggregazione. Le idee che circolano di «città del Cinema», piuttosto che di «Città della musica» potrebbero avere il loro fulcro nel riuso di strutture esistenti. L' urbanistica e l' amministrazione locale possono comunque porre dei vincoli e integrare entrambe le esigenze: per le aree periferiche sono particolarmente interessanti le destinazioni miste. Per esempio un' area può essere vincolata stabilendo che per il 30% deve essere area produttiva, per il 20% deve essere commerciale, un' altro 20% deve essere destinato alla cultura e per il 30% devono esserci verde e servizi. In questo modo la speculazione edilizia è morta.


(43) Ibidem. (44) Il parco Sud nasce ufficialmente con la legge n. 41, che definisce il parco non solo per la sua importanza ecologica e sociale ma anche come continuazione di attività agro-silvo-colturale. In realtà l'idea del parco c'era già da vent'anni, incalzata soprattutto da una miriade di associazioni di cittadini, che hanno dato vita al Comitato per il parco Sud. Questo in seguito si è interessato al dissesto a danno ambientale e dei cittadini prodotto dalle colate di cemento ad opera delle solite immobiliari: Berlusconi, Cabassi, Ligresti (Cfr., BOATTI - RAZZOLINI - ROVESCALLI, Sud Milano: una grande area di riequilibrio territoriale ed ambientale per la metropoli, Dipartimento di Scienze del territorio CLUP, Milano 1987). (45) Questa ipotesi è articolata in BOATTI - RAZZOLINI - RIDVESCALLI, cit. VIII. Conclusione. Non crediamo di aver esaurito tutti i termini del problema analizzato. Le questioni poste sono tuttavia sufficienti a far riflettere noi studenti i cittadini e gli amministratori per individuare gli «elementi di un progetto per la città ecologica» (46). Anche a partire dal microcosmo della cartiera Binda: una realtà da conoscere e da salvaguardare.


(46) Cfr. A. MAGNAGHI, Da Metropolis a Ecopolis: elementi di un progetto per la città ecologica, in AA.VV., Etica e metropoli. La possibilità ecologica, Guerini e Associati, Milano 1989. [IMMAGINE] [IMMAGINE] [IMMAGINE] [IMMAGINE] [IMMAGINE] [IMMAGINE] [IMMAGINE]