Wikisource:Collaborazioni/SBM/testi/Pinotto a Milano Vertua

ANNA VERTUA-GENTILE

PINOTTO A _MILANO

MILANO PATRONATO DEGLI SPAZZACAMINI Via Cernaja, 2

NATALE MDCCCXCII Ben tappato nella giacchetta nuova, con in piedi scarpe nuove, Pinotto, che non ha paura della neve nè del gelo, lui, figliolo della montagna, è fuori fin dal mattino. Corre su la neve lungo i viali dei giardini pubblici, si arresta dinanzi la statua di Carlo Porta, che pare che rida sotto la bianca spruzzaglia. Come gli anatrini nell’acqua, egli diguazza li all’aperto, battuto dalla neve diaccia; e corre e saltella e trincia capriole. A Pinotto ride il cuore in petto quel giorno. E’ il dì di Natale ; il giorno sospirato, del gran pranzo col risotto e il panettone. Egli tiene in mano il suo mazzo di stelle di montagna, e ogni tanto lo guarda chiedendo a sé stesso : « Che diranno quei signori quando lo offrirò ?... » Arrossisce al pensiero del povero dono; ma ricorda le parole della madre : « Li offrirai, tanto da mostrare che capisci il bene che ti si fa, da povero figliolo che non ha altro ! » Egli desidera di mostrare che capisce; niente più !

Al primo ritrovarsi in quella stanza calda, illuminata, seduto alla tavola imbandita, Pinotto si sentì sperso, in soggezione; si vergognò del suo mazzo e lo nascose presto presto in saccoccia. Ma dopo il risotto e la carne e un buon bicchiere di vino, gli tornò il coraggio ; e insieme con il coraggio un bisogno di espansione, un prepotente desiderio di disfogare la tenerezza che gli inondava il cuore. Cominciò a toccare il suo mazzo, ad accarezzarlo, come un amico da cui si aspettava un gran favore. E quando un signore gli mise sul piatto una grossa fetta di panettone, il povero fanciullo, commosso, felice, fuori di sé, tirò fuori bravamente le sue stelle di montagna, e le porse, ripetendo nel dialetto del suo villaggio, le parole della mamma: « Da povero figliuolo che non ha altro, e capisce il bene che gli si fa! » — Evviva i nostri benefattori ! — gridarono spontaneamente i fanciulli spazzacamini. E un uomo, già brizzolato, che pareva il padre di tutti, con gli occhi luccicanti di lagrime e la voce rauca di commozione, mormorò : — Che il Signore Iddio benedica a questi generosi signori ed alle loro famiglie ! — Evviva! — ripeterono in coro tutti quanti.

ANNA VERTUA GENTILE. AL PUBBLICO MILANESE

SOCIETÀ DI PATRONATO DEGLI SPAZZACAMINI

QUESTA Società, fondata in Milano fin dal 1869, ha per iscopo di migliorare la condizione materiale e morale degli Spazzacamini esercenti in Milano, con una benevola e saggia sorveglianza, con doni di vestiario di prima necessità, ecc. Inoltre la Società dà ogni giorno di domenica, per mezzo di abili insegnanti a ciò stipendiati, nel locale della scuola comunale di S. Spirito, l’ istruzione elementare, affinchè i poveri Spazzacamini siano tolti almeno alla classe infelice degli analfabeti. Contributo annuo, Lire 10. Le adesioni si accettano anche, per maggior comodità, nella Libreria Hoepli, Galleria De Cristoforis.

- COMITATO - Sede, Via Cernaja, 2

Falcò Don Giovanni, Principe Pio di Savoia, presidente onorario. Andreae cav. Alessandro, presidente. Hoepli comm. Ulrico, vice presidente. Annoni Luigi, segretario. Don Carlo Testa. Borghi ing. Fedele. Gargantini-Piatti ing. Giuseppe. Tarsis conte Giovanni.

Il pranzo Natalizio degli Spazzacamini ha luogo ogni anno il giorno di Natale dalla 11/2 alle 3 pom. nel locale delle Scuole Comunali di S. Spirito, gentilmente concesso dal Municipio. L’esimio signor Rettore dell’Orfanotrofio maschile concede pur gentilmente il corpo musicale di quel benemerito Istituto, che rallegrerà il modesto pranzo degli spazzacamini.


L’ ingresso alla sala è libero IN FIRENZE PEI TIPI DI SALVADORE LANDI Dirett. dell’Arte della Stampa Il bruciataio, a cui Pinotto era stato affidato dalla madre, primi di scendere alla stazione di Novara, aveva raccomandato al fanciulletto, che stesse cheto fino al punto in cui il trono si sarebbe fermato sotto una grande tettoia, e l'uomo che apriva gli sportelli, avrebbe gridato “ Milano ” ! E Pinotto non si era mosso dal suo posto, fra una donnicciola tutta avvolta nello scialle, e la grossa persona d’un contadino barbuto, dal largo cappello a cencio sul testone arruffato. Con il fardelletto su le ginocchia e nella mano destra un mazzo di edelweiss, il fanciullo, se n’era stato, per quelle due ore di viaggio, in una forzata immobilità, tanto da averne gli stiramenti di stomaco e le gambe rattrappite. Aveva lasciato, a bruzzolo, il suo villaggio, su fra i castagni, il suo casolare accucciato in fondo alla valle, col torrentello saltellante sul greto sassoso, a pochi palmi dalla soglia; aveva lasciato la sua mamma al crocevia, presso la cappelletta della Madonna, fin dove ella lo aveva accompagnato, raccomandandogli di mantenersi buono, timoroso di Dio, e ubbidiente con lo zio Gianni, spazzacamino da anni parecchi, che era stato lui a chiamarlo a Milano. Per i pietosi signori di Milano, che voglion bene agli spazzacamini, e li istruiscono e proteggono, la buona donna aveva raccolto, di sua mano, su gli scoscesi burroni, un mazzo di stelle di montagna ; pallidi fiori, che ella sapeva, cari ai cittadini. — Tu li conserverai per il dì di Natale – aveva detto la buona montanara – quando quei generosi, che il Signore li benedica tutti, invitano gli spazzacamini a un gran pranzo col risotto e il panettone. Li conserverai per quel giorno, e li offrirai, tanto da mostrare che capisci il bene che ti si fa, da povero figliolo che non ha altro ! - Ricordando le parole della mamma, Pinotto stringeva nella mano il suo mazzo, che avrebbe certo conservato con tutta cura, per il giorno del gran pranzo, col risotto e il panettone. Era partito a bruzzolo di quello stesso mattino dal suo villaggio, e gli pareva già tanto!... Ma aveva pure una grande smania di arrivare a Milano, quella bella, quella cara, e sopra tutto buona città, di cui i fanciulli spazzacamini, quando tornavano l’estate alla montagna, dicevano mirabilie. E quando il treno entrò di corsa, con strepito assordante, di sotto la grande tettoia, Pinotto ebbe uno scossone di piacere, e si alzò tosto all’aprirsi dello sportello ed alle voci, che gli gridavano intorno: “ Milano! Milano! ” Balzò a terra con un salto ben aggiustato; ma si trovò intontito e impacciato in mezzo alla folla di gente, che si affrettava correndo per tutti i punti. O dov’era suo zio Gianni, ch’ egli si aspettava di veder lì, al, suo arrivo?... Dov’erano i suoi compagni Tita e Toni, partiti un mese prima di lui ?... In pochi minuti la stazione si sgombrò; la gente era al posto; c’era un momento di sosta. Pinotto, con il suo fardelletto sotto il braccio e il mazzo in mano, si guardava intorno smarrito. — Ehi, piccino! per di qua! – gli gridò un guardiano, additandogli l’uscita. Pinotto fece una corsa, e si trovò dinanzi al cancello che gli sbarrava la via. L’ impiegato gli levò il biglietto dal nastrino del cappello e gli aperse sorridendo. Il sole d’oro brillava fuori. Il fanciullo si arrestò un momento, abbagliato, confuso dalla luce viva, nella quale si agitava la folla e si muovevano cavalli, carrozze, veicoli d’ ogni maniera. In attesa di zio Gianni e de’ suoi compagni, che si aspettava di vedersi comparire dinanzi da un momento all’ altro, si mise a sedere su lo scalino, presso una colonna ; posò il fardello ed il mazzo, trasse di saccoccia un pezzo di pane e l’ addentò. Nessuno badava a lui. In quello strano isolamento, di mezzo al brusio, al via vai di tante persone, il povero fanciullo sentì presto, senza saperselo spiegare, un senso di rimpicciolimento, di abbandono, di pietà di sè stesso. Smesse di sbocconcellare, insaccò la testa nelle spalle, e con gli occhi lagrimosi guardò nel vuoto. Rivide le montagne, il casolare, il torrentello saltellante, la mamma, i suoi ; e gli venne voglia di piangere. Così, astratto dallo smarrimento e dal desiderio, non si accorse che due monelli, li a pochi passi sogghignavano fra di loro additandoselo; nè vide che gli si avvicinavano facendo sberleffe. Ma ad un urto che lo fece sbacchiare boccone giù dallo scalino, il suo sangue di montanaro si accese d’ira e di ardimento; si alzò d’ un tratto, e con i pugni chiusi e gli occhi lampeggianti, si fece incontro agli incogniti nemici. Li riconobbe tosto, che fuggivano a gambe levate, uno con il fardello, l’ altro con il mazzo di fiori nelle mani. — Ah le mie stelle — gridò. E, in un battibaleno, levate le scarpe, inseguì i monelli, veloce come un capriolo. Dopo una corsa sfrenata, ne raggiunse uno; quello del mazzo; lo acciuffò, gli strappò i fiori; nella sua parlata montanina recisa e brusca, disfogò il suo sdegno; con i pugni robusti gli appioppò il castigo. Tanto che, l’altro monello, spaurito, gli lanciò il fardello, e corse a perdersi di vista. Pinotto, ansimante, rosso d’ira, si strinse al petto il mazzo riacquistato e sedotte sul fardello a calzarsi gli scarponi. Quando, calmato, si guardò in tondo, si ritrovò

La vignetta qui sopra è tolta dalle illustrazioni di artisti fiorentini eseguite pel Secondo Libro dei Monologhi, in corso di lavoro, del Prof. Luigi Rasi. in un luogo delizioso, in mezzo alle piante, che la brina di dicembre ricamava fantasticamente, su la sponda d’un laghetto, animato dal vogare maestoso di grandi uccelli bianchi da lui non mai veduti, e dallo svelto, petulante guizzare di variopinti anatrini! Guardava ad occhi sgusciati, assorto nella curiosità di piccolo figlio de’ monti, ignaro di tutto, che non sia la natia vallata, le cime nevose, i folti castagneti, i silenziosi boschi di larici. E in quell’ammirazione, che lo staccava dal ricordo, se ne stette a lungo, sorridendo fra sè e sè, ridendo forte, aggrottando le ciglia, facendo piccole corse, spiccando salti, poi rannicchiandosi presso un tronco di pianta, inconsciamente felice di quella festa degli occhi e dello spirito. Risentì sè stesso, come agli ultimi bagliori della giornata, l’ aria gli si incrudelì d’ intorno e nello stomaco gli entrò il malessere della fame. Lo riprese lo smarrimento. Al raffittirsi della sera, ebbe paura e si trovò a gridare, chiamando : — Zio Gianni ! zio Gianni! — Vide venirsegli incontro un signore alto, impettito, stretto in un abito nero, con tuba in capo e in mano un grosso bastone. — Chi chiami, piccino? - gli chiese con bel garbo. - E come ti trovi qui a quest’ora? - Pinotto raccontò, facendosi strappar di bocca le risposte, piagnucolando. E il bravo signore capì tosto ch’ egli era un piccolo spazzacamino, e si offerse di guidarlo al Patronato. La parola Patronato, al povero fanciullo, che l’aveva sentita tante volte su la bocca di zio Gianni e de’ suoi compagni, suonò come una sicura promessa di protezione: E riconfortato, trotterellò dietro il compiacente signore. Trovò tosto chi gli diede da mangiare, lo incoraggì con la delicata pietà degli animi squisitamente generosi, e fece ch’ egli passasse la notte presso zio Gianni, che lo accolse bene, per quanto bruscamente, alla maniera de’ montanari, che non hanno l’ abitudine di vestire il sentimento di delicature. — E questa che roba è? - chiese lo zio additando il mazzo. — Sono stelle di montagna, per i buoni signori che nel dì di Natale danno agli spazzacamini il gran pranzo col risotto e il panettone ! - rispose il fanciullo, avvolgendo, con cura, il suo mazzo nella pezzuola turchina.

La neve minuta, tagliente, spruzza dalle nuvole grigie, turbina nell’ aria. Il freddo è rigido ; certi strizzoni che levano il respiro.